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Politically (in)correct –

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Academic year: 2021

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Politically (in)correct –

Licenziamenti individuali:

un referendum inammissibile

di Giuliano Cazzola

Tag: #ReferendumCGIL #ReferendumJobsAct #JobsAct #Articolo18

Con questo articolo ci proponiamo di sostenere due tesi. La prima: è inammissibile il quesito referendario abrogativo, promosso dalla Cgil in materia di licenziamenti individuali, che la Consulta esaminerà in via definitiva il prossimo 11 gennaio. La seconda: se la Corte dovesse essere di diverso avviso, si andasse alla consultazione, si raggiungesse il quorum per la sua validità e i voti favorevoli fossero maggioritari gli effetti non si limiterebbero a riscrivere un nuovo articolo 18, limitatamente (salvo l’estensione fino a 5 dipendenti) alle disposizioni riguardanti – come sostiene la Cgil nelle sue illustrazioni – il licenziamento disciplinare, ma sarebbe forte il rischio di un ripristino della reintegra anche in altre fattispecie di licenziamento dove ora è esclusa. A sostegno di queste nostre considerazioni si allegano due schede: una contenente il quesito vero e proprio; nell’altra sono evidenziate in giallo (è un puntuale lavoro compiuto dal professor Giuseppe Pellacani) le modifiche che subirebbe l’articolo 18 “novellato” dalla legge n. 92/2012 (la riforma Fornero) se l’operazione referendum dovesse andare in porto secondo le intenzioni dei proponenti. In premessa, occorrerà ricordare che nella giurisprudenza consolidata della Corte per l’ammissibilità dei quesiti referendari abrogativi sono richiesti tre precisi requisiti: chiarezza, univocità e omogeneità. E sono appunto tali requisiti che vengono a mancare nel quesito “Abrogazione disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi” di cui alla SCHEDA 1 allegata. Il quesito consiste in due domande differenti: la prima propone l’abrogazione del d.lgs. n.23/2015 (il contratto a tutele crescenti); la seconda, con la tecnica del “taglia e cuci” riscrive in pratica l’articolo 18 dello Statuto come “novellato” dalla legge n. 92/2012. E’ ammissibile – noi pensiamo di no - un’operazione siffatta nell’ambito di un solo quesito, soprattutto quando le norme che ne sono investite riguardano platee diverse di soggetti interessati? In sostanza, sarebbe abrogata la disciplina riservata ai nuovi assunti dal 7 marzo 2015 e modificata quella riguardante tutti gli altri lavoratori.

Il risultato complessivo non sarebbe quello di ritornare all’originario articolo 18, ma quello di aderire ad una normativa nuova di zecca, sancita da un articolo riscritto, usando la norma previgente come un serbatoio di parole manipolate per attribuire loro un differente

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significato. Al cittadino che partecipa alla consultazione verrebbe chiesto, alla fin dei conti, di aderire o meno – attraverso un processo abrogativo – ad un’altra disciplina del recesso individuale che non distingue tra vecchi e nuovi assunti. Ma a questo punto si fa strada un altro interrogativo. Secondo la Cgil, infatti,la reintegra nel posto di lavoro opererebbe solo in caso di licenziamento disciplinare giudicato illegittimo, anche per le aziende fino a 5 (non più 15) dipendenti. In quelle con un numero inferiore di addetti, la reintegra non sarebbe automatica ma a discrezione del giudice. Osserviamo, però, (SCHEDA 2) il nuovo articolo 18 per come sarebbe amputato dal quesito referendario. Una lettura del testo dal comma 4 al comma 7 (al netto delle frasi evidenziate in giallo e perciò espunte in caso di eventuale successo del referendum) mette in evidenza che la nuova tutela, con reintegra annessa, non si applicherebbe soltanto in caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa ritenuto illegittimo, ma anche il caso di motivo oggettivo tout court (come risulterebbe appunto nel comma 7). Per concludere, allora, ad avviso di chi scrive il quesito in materia di licenziamento è chiaramente inammissibile perché in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale per almeno due ragioni. La prima. La Corte ha posto tre requisiti come indispensabili per l’ammissibilità dei quesiti: la loro chiarezza, l’univocità e l’omogeneità. A proposito del licenziamento, invece, manca il requisito della univocità perché si tratta di tre quesiti distinti; in particolare il terzo introduce ex novo nell’ordinamento una norma mai esistita in precedenza (un nuovo articolo 18). Un elettore potrebbe essere d’accordo su uno o due di essi, ma non sul terzo. Con un quesito unico che contiene una pluralità di domande si coarta la volontà dell’elettore, portandolo a condividere forzatamente una nuova regolamentazione della materia.

La seconda. La Corte non ammette tecniche di ritaglio dei quesiti che utilizzino il testo di una legge come serbatoio di parole a cui attingere per costruire nuove disposizioni (addirittura lasciando sopravvivere solo alcune parole contenute in periodi diversi, separati dal punto, come per il comma 7 dell’art. 18). Il quesito deve riguardare l’abrogazione di norme la cui soppressione può far espandere la normativa residua, ma non può creare ex novo nuove disposizioni con tale tecnica di “taglia e cuci”. In questo modo il referendum abrogativo si trasformerebbe, di fatto, in un referendum propositivo surrettizio non previsto dal nostro ordinamento (lo prevedeva la riforma costituzionale respinta dal referendum del 4 dicembre).

Giuliano Cazzola Membro del Comitato scientifico ADAPT Docente di Diritto del lavoro UniECampus

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