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Edizione di martedì 16 marzo Nuovo Cassetto previdenziale del contribuente: funzionalità aggiornate di Redazione

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Academic year: 2022

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NEWS DEL GIORNO

Congedo padre prorogato e ampliato per il 2021 di Redazione

NEWS DEL GIORNO

La CGE chiarisce quando la reperibilità è orario di lavoro di Redazione

NEWS DEL GIORNO

Nuovo Cassetto previdenziale del contribuente: funzionalità aggiornate di Redazione

NEWS DEL GIORNO

Sicurezza sul lavoro: la nozione di datore di lavoro in senso prevenzionale include anche l'amministratore unico di società

di Redazione

BLOG

Il licenziamento “preterintenzionalmente oggettivo” ai tempi del COVID: incontri giurisprudenziali incontrollati del terzo tipo

di Marco Frisoni

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Congedo padre prorogato e ampliato per il 2021

di Redazione

L’Inps, con circolare n. 42 dell’11 marzo 2021, ha comunicato che la durata del congedo obbligatorio per il 2021 è stata ampliata da 7 a 10 giorni, da fruire, anche in via non

continuativa, entro i 5 mesi di vita o dall’ingresso in famiglia del minore. Inoltre, è previsto e ampliato il congedo obbligatorio e facoltativo dei padri anche nel caso di morte perinatale del figlio.

L’Istituto ricorda che la Legge di Bilancio 2021 ha esteso le disposizioni relative al congedo obbligatorio per i padri lavoratori dipendenti, introdotte in via sperimentale con la L. 92/2012, anche alle nascite e alle adozioni o affidamenti avvenuti nel 2021.

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NEWS DEL GIORNO

La CGE chiarisce quando la reperibilità è orario di lavoro

di Redazione

La Corte di Giustizia Europea, con sentenza del 9 marzo 2021 (causa C-344/19), ha stabilito che rientra nella nozione di “orario di lavoro”, ai sensi della Direttiva 2003/88, la totalità dei periodi di guardia o prontezza, ivi compresi quelli in regime di reperibilità, nel corso dei quali i vincoli imposti al lavoratore siano di natura tale da pregiudicare in modo oggettivo e assai significativo la facoltà, per quest’ultimo, di gestire liberamente, nel corso dei periodi in

questione, il tempo durante il quale i suoi servizi professionali non sono richiesti e di dedicare questo tempo ai propri interessi. Viceversa, qualora i vincoli imposti al lavoratore nel corso di un periodo di guardia o prontezza determinato non raggiungano un siffatto grado di intensità e gli permettano di gestire il proprio tempo e di dedicarsi ai propri interessi senza limitazioni significative, soltanto il tempo connesso alla prestazione di lavoro che viene, se del caso, effettivamente realizzata nel corso di un periodo siffatto costituisce “orario di lavoro”.

Pertanto, al fine di stabilire se la reperibilità rientri nell’orario di lavoro, è necessario effettuare una valutazione globale dell’insieme delle circostanze del caso di specie –

segnatamente, delle conseguenze di un termine assegnato e, eventualmente, della frequenza media di intervento nel corso di tale periodo – per valutare se i vincoli imposti al lavoratore siano di natura tale da pregiudicare in modo oggettivo e assai significativo la facoltà di gestire liberamente, nel corso dello stesso periodo, il tempo durante il quale i suoi servizi

professionali non sono richiesti.

Alla luce di ciò, relativamente al caso di specie, sollevato da un pompiere tedesco che chiedeva di vedere riconosciuti i periodi di reperibilità alla pari del normale orario di lavoro, con diritto alla corresponsione della relativa retribuzione, la Corte dichiara non fondata la domanda, sia per il numero esiguo degli interventi effettuati durante la reperibilità, sia per il termine per raggiungere il luogo di lavoro, pari a 20 minuti, ritenuto congruo, anche alla luce della possibilità di utilizzo del veicolo di servizio messo a disposizione dal datore, che

beneficia dei diritti di precedenza in deroga al Codice della strada.

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NEWS DEL GIORNO

Nuovo Cassetto previdenziale del contribuente: funzionalità aggiornate

di Redazione

L’Inps, con messaggio n. 1028 dell’11 marzo 2021, ha informato che la funzionalità Evidenze, inserita nel Nuovo Cassetto previdenziale del contribuente, è stata integrata con il modulo Evidenze 2.0, che consente agli intermediari e ai datori di lavoro titolari di abilitazione di individuare autonomamente le anomalie di particolare rilevanza relative alle posizioni contributive (matricole aziendali) in delega e di intervenire sulle singole evidenze risolvendo le problematiche rilevate.

È possibile consultare, inoltre, quale ulteriore strumento a supporto della sistemazione delle evidenze, il “Vademecum UniEmens”, realizzato in sinergia con il CNO, che fornisce indicazioni utili per il monitoraggio e la correzione dei flussi UniEmens e delle note di rettifica.

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Sicurezza sul lavoro: la nozione di datore di lavoro in senso prevenzionale include anche l'amministratore unico di società

di Redazione

La Cassazione Civile, Sezione Lavoro, con ordinanza 22 gennaio 2021, n. 1399, ha stabilito che, in tema di infortuni e sicurezza sul lavoro, opera una nozione di datore di lavoro in senso prevenzionale, che, per espressa previsione normativa, comprende non solo il datore di lavoro formale, ma anche il titolare dei poteri di decisione e di spesa in materia di prevenzione e sorveglianza degli obblighi antinfortunistici; in tale nozione va, pertanto, inclusa la figura dell’amministratore unico di società, che, in quanto titolare di una specifica posizione di garanzia, è responsabile ex articoli 2087 e 2050, cod. civ., nonché in relazione al regresso esperibile dall’Inail ai sensi degli articoli 10 e 11, D.P.R. 1124/1965.

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BLOG

Il licenziamento “preterintenzionalmente oggettivo” ai tempi del COVID: incontri giurisprudenziali incontrollati del terzo tipo

di Marco Frisoni

Appare oramai evidente che l’attuale panorama (ancora) emergenziale, dovuto all’avvento del COVID-19, ha prodotto effetti in ogni ambito del Paese, nessuno escluso, e in larga parte, purtroppo, ampiamente negativi.

D’altro canto, ad oltre un anno (!!!) dal paventarsi del contagio sul suolo italico, la situazione risulta quanto meno incerta, trovandosi il Paese a fronteggiare continue ondate virulente che mettono a durissima prova il già martoriato sistema sanitario a livello territoriale e nazionale, imponendo continue sospensioni di numerose attività d’impresa, con le immaginabili

catastrofiche conseguenze sul piano economico complessivo.

In effetti, allo stato odierno, l’unico rimedio esperibile appare la somministrazione vaccinale collettiva, la quale, tuttavia, almeno ad ora, arranca in maniera disordinata e disomogenea, e ciò, in attesa di tempi migliori, crea ulteriore sconcerto, preoccupazione e timore fra la popolazione.

Nell’alveo di un siffatto tremendo frangente, sin dalle fasi iniziali della pandemia, il

Legislatore, rendendosi ben conto delle telluriche ricadute che si sarebbero manifestate sul piano occupazionale, ha emanato una serie di provvedimenti (culminati nella L. 178/2020), seppure con formule letterali non sempre coerenti e felici, finalizzati alla preclusione (e, dunque, al divieto) di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ex articolo 3, L.

604/1966, inteso nell’accezione più ampia delineata, nel tempo, da dottrina e orientamenti giudiziali) e di licenziamento collettivo (articoli 4 e 24, L. 223/1991), nonché alla sospensione delle sottese procedure già avviate o da attivare (articolo 7, L. 604/1966 e articolo 5, L.

223/1991).

In altre parole, come oramai noto, con l’obiettivo, di certo lodevole, di salvaguardare i livelli di occupazione (già di pe sé non ottimali) nostrani, si è deciso di introdurre una sorta di

“moratoria” (o limbo, di dantesca memoria) sui licenziamenti “economici”, vale a dire derivanti dalle conseguenze, sulle attività datoriali, della crisi sanitaria in essere, affiancando, in via parallela a tale scelta (che tenta di bilanciare, per quanto possibile, il rapporto fra interessi di rango costituzionale che entrano in conflitto fra di loro), un sistema di integrazione salariale radicato sulla causale emergenziale da COVID-19, mantenendo vivo il rapporto di lavoro con costi marginali (ma pur sempre esistenti) per i datori di lavoro impossibilitati a dare corso a procedure di ristrutturazione occupazionale delle proprie aziende.

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discusso, anche in maniera accesa, per intercettare le fattispecie di recesso escludibili dalle accennate sospensioni/preclusioni, di massima individuate nell’area (in verità sempre più ristretta, una vera e propria riserva indiana) del recesso ad nutum, vale a dire regolato

dall’articolo 2118, cod. civ. (e, dunque, recesso ordinario che si potrà attuare senza obblighi di forma e motivazione, con l’osservanza del periodo di preavviso a favore della parte receduta).

In codesto ambito, a turbare il fragile equilibrio psico-fisico del consulente del lavoro

provvedeva la figura del dirigente, alter ego del datore di lavoro, di cui all’articolo 2095, cod.

civ., poiché, se è vero che tale apicale lavoratore, rispetto alla risoluzione del contratto di lavoro subordinato, risulta esente dalle limitazioni scolpite nella L. 604/1966 (e, pertanto, confinando il recesso nel contratto di lavoro subordinato dirigenziale all’articolo 2118, cod.

civ.), non di meno vi erano degli elementi di riflessione che inducevano gli interpreti a suggerire un cauto approccio alle pratiche di licenziamento nei confronti del personale dirigenziale stesso, poiché residuavano dubbi in merito al non assoggettamento alle limitazioni in tale senso discendenti dalla normativa emergenziale propagata nel tempo.

In estrema sintesi, per corroborare le già menzionate suggestioni, basti rammentare quanto segue:

1. il licenziamento dei dirigenti deve essere intimato per iscritto (articolo 2, L. 108/1990) sotto pena di inefficacia, con deroga espressa all’informalità del recesso ad nutum;

2. il dirigente andrebbe considerato per il licenziamento collettivo (a seguito delle previsioni della L. 161/2014), che è casistica evidentemente (ontologicamente e causalmente) “economica”, con il paradosso che il recesso individuale rimarrebbe, a prescindere dalla sottese ragioni, esente da limitazioni e la medesima situazione, proiettata in chiave “collettiva”, diverrà sospese/vietata;

3. dottrina e giurisprudenza hanno declinato il concetto di “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, soprattutto ai fini della spettanza delle indennità supplementari previste di Ccnl, che, al proprio interno, ben potrebbe ammantare ragioni economiche/oggettive/organizzative.

Insomma, appariva opportuno avvicinare il licenziamento del dirigente con precauzione, poiché, oltre alle valutazioni di cui sopra, molti commentatori sottolineavano che, in realtà, al di là dei formalismi e dei richiami espliciti all’articolo 3, L. 604/1966, occorreva soffermare l’attenzione sulla ratio posta a base delle preclusioni/congelamenti dei recessi datoriali durante la fase pandemica e, nel dettaglio, sulla volontà dell’Esecutivo in carica di preservare l’occupazione da ricadute derivanti dagli effetti negativi del COVID-19 sui rapporti di lavoro a

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intimato verso un dirigente in pendenza delle norme emergenziali che sospendo/vietano il recesso per motivazioni oggettive.

In particolare, il giudice capitolino, con una riflessione che ha già suscitato un aspro dibattito nella dottrina, riflette sul dato sostanziale (e non meramente formalistico) che si ricava dal dettato normativo e sulla finalità che presiedono le scelte legislative poste in atto; in realtà, secondo il Tribunale adito, il Legislatore ha voluto proteggere il bene “lavoro”, nella sua funzione socio-economica e costituzionalmente protetta, ponendolo al riparo dalle intemperie che, quasi certamente, sarebbero derivate dalla crisi economica sui livelli occupazionali.

Di talché, sarebbe irragionevole circoscrivere queste protezioni ai soli licenziamenti

nominalmente riconducibili all’articolo 3, L. 604/1966, posta la finalità delle norme in parola, dovendosi, invece, estendere le tutele a tutte le casistiche nelle quali le motivazioni poste a base del recesso, al di là del formalismo discendente dalle norme di riferimento, denotino una ragione di natura oggettiva/economica/organizzativa, con precipuo riguardo al contesto di crisi in corso (e l’indagine sula giustificatezza ben potrebbe orientare verso una simile visione).

Si può, dunque, affermare che il giudice del lavoro della Capitale, seguendo un percorso logico- giuridico non dissimile dal caso del recesso ontologicamente disciplinare, abbia, nei fatti, conclamato la sussistenza, nel tempo del COVID-19, del licenziamento

“preterintenzionalmente” oggettivo, decisamente insidioso, atteso che, a questo punto, un’analisi in concreto sulle giustificazioni di qualsivoglia recesso ad nutum potrebbero

disvelare intenti “oggettivi” e, dunque, aprire scenari, in termini di soccombenza datoriale, sino ad ora inesplorati.

Ecco allora, in conclusione, che l’incontro con questa giurisprudenza – più o meno condivisibile o disputabile – genera un’evidente sensazione si straniamento, che trova epigoni solo nell’arte cinematografica, in quanto, con tutta chiarezza, il sentimento di alienazione che prova il

consulente del lavoro di fronte a questi pronunciamenti (quasi “marziani”) è ben descritto nella pellicola di culto “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, magistralmente diretta da Steven Spielberg, e che consente un parallelo abbastanza verosimile con coloro che, nel film, furono protagonisti di un primo contatto con una civiltà extraterrestre, ma, d’altronde, si sa, non infrequentemente la realtà supera la fantasia.

Segnaliamo ai lettori che è possibile inviare i propri commenti tramite il form sottostante.

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