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Cap. 2: TEORIE SULLA PATOGENESI DELLA LAMINITE.

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Cap. 2: TEORIE SULLA PATOGENESI DELLA

LAMINITE.

La laminite viene classicamente riferita come una patologia multifattoriale, dove varie cause, principalmente di natura sistemica, vanno a determinare un danno a livello dello zoccolo, essendo la giunzione dermo-epidermica è l’organo bersaglio di tale patologia. Il fatto che questo particolare organo sia difficilmente accessibile, vuoi per indagini sperimentali/cliniche, in quanto racchiuso nella scatola cornea, vuoi la difficoltà economica e morale di intraprendere studi sperimentali sul cavallo: ha reso lo studio di questa patologia particolarmente arduo. Inoltre gioca un ruolo determinante il fatto che questa patologia, presenta una fase prodromica, nella quale agiscono le cause e ricrea il danno, che è asintomatica, o meglio, si possono in questa fase riscontrare sintomi a livello di altri apparati ma non a livello del piede: quest’ultima cosa determina che nella stragrande maggioranza dei casi il clinico è chiamato ad intervenire quando ormai si è già instaurata la lesione e quando l’unico intervento possibile è quello di arrestare o limitare l’evoluzione:cosa particolarmente rischiosa, considerando che spesso e volentieri i danni che si instaurano sono irreversibili. Le teorie che vengono prese in considerazione sono:

1. La teoria vascolare. 2. La teoria enzimatica. 3. La teoria infiammatoria.

4. La teoria endocrino/metabolica. 5. L a teoria biomeccanica.

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Per ogni teoria viene affrontato in maniera concisa la genesi, l’evoluzione, i dati scientifici di riferimento; in ultima analisi si analizzano i modelli sperimentali utilizzati per l’induzione della laminite.

LA TEORIA VASCOLARE

Essa vede la laminite come una malattia vascolare periferica la cui patogenesi ha ceome vento centrale l’ischemia del complesso lamellare seguita, successivamente, da riperfusione e conseguente danno fino alla necrosi. Il principale sostenitore di tale tesi è il Prof. D. H. Hood dell’università del Texas (Texas A&M University)che ormai da tre decadi conduce studi in tal senso; pur tuttavia egli afferma che “ad oggi ci sono dati, impressioni cliniche ed opinioni, riguardanti l’argomento laminite, che si sono accumulati con il passare dei secoli, e con i quali bisogna fare i conti, nello studio della laminite.” ( a.Hood D. H., 1999). Tale teoria prende spunto da una serie di studi, condotti a partire dagli anni ’70 da: N. E. Robinson et al., 1976; D. Allen, 1990; Hunt et al. Quelli citati sono studi condotti mediante l’induzione della laminite in cavalli sani che, successivamente all’instaurarsi della sintomatologia acuta, venivano posti in anestesia generale, l’arto disarticolato per effettuare le cateterizzazioni necessarie per effettuare le misurazioni sul circolo. Questi studi dimostrano , come sostiene Hood nel suo articolo (b.Hood D. M. et al. 1993), che nella laminite si verifica ischemia o comunque la riduzione del flusso sanguigno. L’ischemia inizia una complessa cascata di eventi che culminano nella perdita

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della funzione tissutale: in essa svolge un ruolo fondamentale la necrosi dovuta ad anossia. Un secondo componente della “cascata ischemica”, è il verificarsi della lesione da riperfusione: essa è il danno a cui va incontro un organo quando il circolo sanguigno viene ripristinato dopo un periodo di ischemia. La maggior parte del danno di questo tipo è attribuito alla perossidazione cellulare ed intracellulare dei lipidi secondari a produrre perossidi e superossidi. La genesi dell’ischemia vede poi delle diverse ipotesi esplicative:

− Alle net. al., che hanno condotto studi a dimostrare che si

verifica un elevata pressione capillare, dovuta ad un alta resistenza vascolare dalla parte del letto venoso, ciò predisporrebbe al trasudamento capillare ed all’accumulo di fluido interstiziale (a. Allen D. et. al. 1990). La pressione interstiziale poi determinerebbe l’instaurarsi della sindrome compartimentale, fenomeno studiato nell’uomo ed in altre specie animali: quando la pressione del liquido interstiziale, supera la pressione del letto capillare, ci sarà una chiusura critica del letto capillare, che viene per così dire “occluso” dall’esterno, compresso, e ciò determina ischemia e successiva necrosi. Tale ipotesi è avvallata dal fatto che, da un punto di vista istologico, la laminite presenta caratteristiche proprie della sindrome compartimentale: edema, ischemia e necrosi a livello delle lamine sensitive (b. Allen D. et. al. 1990).

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− Galey et. al., hanno condotto studi che ipotizzano il meccanismo determinante dell’ischemia: in un vasospasmo seguito da iperemia e danno da riperfusione (Galey F. D., 1990). Questo gruppo di ricerca ha utilizzato, come mezzo per studiare la vascolarizzazione del piede, la γ scintigrafia; ed il modello di induzione sperimentale della laminite mediante estratti di noce nero (Juglans nigra) come riportato in letteratura (Galey F. D. et. al. , 1975). Interessantemente si è avuto conferma del fatto che, con l’instaurarsi della laminite, la porzione delle lamine dorsali è particolarmente suscettibile alla privazione dell’afflusso sanguigno: tale zona difatti non è fornita di una circolazione collaterale ed è l’ultima porzione ad essere irrorata, come dimostrato dagli studi agiografici (Colles C. M. , 1979). Parimenti Galey ha dimostrato che l’afflusso di sangue alla porzione distale degli arti è aumentata: si ipotizza che tale incremento di flusso sanguigno potrebbe bypassare i capillari dello zoccolo mediante l’apertura degli shunts arterovenosi.

− Hunt R. J. , vede l’instaurarsi dell’ ischemia in seguito

all’incremento della resistenza post-capillare dovuta a venocostrizione: avendo egli condotto studi sull’emodinamica del piede equino, durante l’infusione continua di endotossine (LPS= Escherichia coli 055:B5) (Hunt R. J. Et.al.).

Il lavoro di Hood, rielaborando i dati di questi studi ed interpretando i risultati di studi suoi propri, è giunto alla conclusione che sia proprio la particolare vascolarizzazione del

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piede equino: la pressione idrostatica (vd. effetto di pompa digitale Cap. 1, pag. 13) a la capacità termoregolante, ovvero la presenza della doppia circolazione e degli shunts arterovenosi, che predispongono il piede equino alla malattia vascolare (b.Hood D.M. 1999). durante la fase di sviluppo della malattia, si ha la riduzione del flusso sanguigno trofico alle lamelle, che quindi subiscono prima danni ischemici, e questi sono inizialmente asintomatici, poiché in condizioni di ischemia/ipossia anche la percezione algica viene meno o comunque è ridotta, ed è come se il piede fosse anestetizzato; passato questo breve periodo, si ha di nuovo l’afflusso sanguigno pur essendoci stato però l’accumulo di cataboliti, sostanze tossiche etc, nonché l’instaurarsi di un fenomeno infiammatorio. La controversia apparente: tra la presenza di un polso digitale aumentato, il calore del piede, ed il fatto di sostenere un contemporaneo stato ischemico delle lamelle, si spiega con il fatto che l’apertura degli shunts arterovenosi bypassa il letto trofico a favore di quello termoregolatorio ad alta velocità ( vd. Cap. 1, pag. 8).

LA TEORIA ENZIMATICA

Il professore Chris C. Pollitt, dell’università del Queensland in Australia, come il sostenitore della sopra esposta teoria, è da tre decadi oramai che conduce studi sulla laminite: suoi sono i preparati con materiale plastico infuso nella circolazione del piede, foto a scansione, nonché preparati istologici, che tanto contributo hanno

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portato allo studio in primo luogo dell’anatomia del piede equino ed in secondo luogo allo studio della laminite. Egli è, per così dire, partito dallo storico studio sulla laminite, quello di Obel del 1948 (Obel n., 1948): quest’ultimo da un lato ha dato la prima scientifica classificazione della manifestazione clinica ( la zoppia secondo la scala di Obel, che verrà descritta nel capitolo successivo), dall’altro ha correlato, per primo, la sintomatologia clinica con delle immagini istologiche e quindi uno studio del danno a livello tissutale. Pollitt ha proseguito su questa strada e grazie alle metodiche istologiche oggi a disposizione, è arrivato a formulare un sistema di classificazione istologica della laminite (Laminitis Histological Grading System) (Pollitt C. C., 2004).

1. Figura 1. Laminite grado 1. (Questa e le alter foto del capitolo: Pollitt C. C. “Equine laminitis”. Vet. Clin. N. Am. Equine Pract. 34-44. Vol.3. Issue 1. March 2004. )

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Figura 2. Laminite grado2.

Figura 3. Laminite grado 3.

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Figura 5. Disegno schematico, originale di Pollitt, rappresentante l'evolversi del danno cellulare partendo dalla condizione fisiologica, fino al grado tre della lesione istologica della laminite.

Ha inoltre poi indagato sugli agenti scatenanti la patologia e successivamente andando a approfondire l’aspetto della patogenesi fino a livello biochimico. Si deve inoltre a lui la formulazione di un modello in vitro di laminite (French K. R. 2004). Quello che sostiene questo autore, in breve, è che:

− da un punto di vista istologico, nella fase di sviluppo non si ha ischemia, anzi al contrario si ha proprio il trasporto a livello podale di fattori lesivi, con il flusso ematico aumentato.

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− la struttura fondamentale colpita è la membrana basale (vd. Cap.1 pag. 36) che viene degradata dall’”attivazione incontrollata”delle metalloproteinasi ( di queste è stata fatta trattazione nel Cap. 1). La laminite come afferma Pollitt: “non è altro che un processo molecolare dinamico che prende il sopravvento sulla normale biologia; essendo la sua caratteristica quella di un processo che appare al momento e luogo sbagliato” (Pollitt C. C. 2003).

LA TEORIA INFIAMMATORIA

Il fatto di considerare la laminite come una flogosi, è un dato non recente, nel senso che prima delle due precedenti teorie su esposte, il mondo accademico riteneva questa patologia innescarsi proprio su base

infiammatoria ( il termine inglese laminitis deriva da laminar interface

e significa appunto infiammazione delle lamine (Morgan S. J. et. al. 1999)). Sono innumerevoli gli studi condotti sull’indagine di svariati fattori proinfiammatori ed infiammatori che si ritiene possano giocare un ruolo nella patogenesi della malattia: il tumor necrosis factor α (TNFα);la serotonina; l’istamina; vari tipi di interleuchine; le prostaglandine; citochine varie ed altre sostanza ancora, il cui trattamento completo esula dalla presente trattazione. Recentemente poi, nuovo sostegno a tale teoria è emerso dagli studi che stanno ponendo l’accento sul ruolo dei leucociti nella patogenesi, andando a paragonare quello che accade nella laminite a ciò che accade in corso della sepsi nell’uomo, e cioè, il così detto “fallimento d’organo” (Belknap J. K. 2006). Tali cellule infiammatorie, migrate nel distretto laminare, andrebbero ad esplicare la loro azione mediante: radicali ossigeno;

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citochine proinfiammatorie e metalloproteinasi ( Black S. J. et. al. 2006; Loftus J. P. et. al. 2006; Hurley D. J. , et. al. 2006).

LA TEORIA ENDOCRINO/METABOLICA

Di tale teoria bisogna considerare due aspetti principali: da una parte il discorso riguardante la sindrome metabolica, l’insulino resistenza e l’obesità; dall’ altra, i glucocorticoidi, sia quelli somministrati, esogeni, che quelli sovraprodotti in seguito alla malattia di Cushing. Questi due aspetti presentano interconnessioni, ed entrambi hanno in comune il fatto di predisporre all’insorgenza della laminite: in ultima analisi entrambi vanno ad influenzare il metabolismo del glucosio e l’endotelio vasale. Questa è la più recente delle teorie; ed è grazie alle indagini condotte in campo umano che si è arrivati a definire la sindrome metabolica e si stanno sempre più indagando sul ruolo svolto dal metabolismo degli zuccheri (insulina) e la sua interdipendenza con il metabolismo del tessuto adiposo. Si è compreso l’importante ruolo dell’alimentazione’ o meglio della sovralimentazione, come fattore predisponente alla malattia cardio-vascolare. D'altronde la moderna scuderizzazione dei cavalli, li pone sempre più in similitudine con l’uomo in fatto di problemi di soprappeso e stili di vita, con una medesima dinamica scatenante,direi: eccessivo consumo, vuoi per quantità che per qualità, di alimenti a sempre più elevato tenore calorico, vita sedentaria, o per meglio dire nel caso dei cavalli, confinamento per interi giorni nel box, con l’impossibilità di utilizzare l’energia introdotta nell’organismo che quindi va ad accumularsi sotto forma di grassi di deposito. Inoltre, ormai da decenni, è nota nella pratica clinica,

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l’osservazione che ci sono soggetti in cui l’obesità si accompagna a ricorrenti episodi di laminite che cronicizza per anni ed anni (Geor R. J. et. al. 2007), a dare un quadro abbastanza caratteristico e che consente l’individuazione , spesso abbastanza semplice, di tali soggetti. Per molti anni si è creduto che alla base di tale, chiamiamola, sindrome, ci fosse un problema di ipotiroidismo, ma oggi si è venuti a conoscenza che tale supposizione non corrisponde a verità. Oggigiorno, l’attenzione è rivolta al ruolo della resistenza all’insulina, come fattore predisponente alla laminite ed all’obesità del soggetto. Per capire la relazione che intercorre tra la patologia qui trattata e tali condizioni è necessario dare qualche definizione:

− SINDROME METABOLICA: essa può essere definita, nell’uomo,

secondo vari punti di vista (Grundy S. M., et. al. 2004):

1. aspetti clinici che seguono alla sindrome, per l’Adult Treatment

Panel III (ATP III), il principale è la malattia cardiovascolare.

2. ponendo l’attenzione sulle componenti metaboliche della

sindrome, ATP III, ne individua sei: a. ADIPOSITA’ ADDOMINALE. b. DISLIPIDEMIA ATEROGENICA.

c. PRESSIONE SANGUIGNA AUMENTATA.

d. INSULINO RESISTENZA +- INTOLLERANZA AL GLUCOSIO. e. STATO PROINFIAMMATORIO.

f. STATO PROTROMBOTICO. 3. ponendo l’accento sulla patogenesi:

a. OBESITA’.

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c. FATTORI INDIPENDENTI CHE VANNO A DETERMINARE LA SINDROME METABOLICA.

4. criteri clinici per fare la diagnosi si sindrome metabolica. 5. rischi di malattie derivanti.

6. interventi terapeutici.

Parimenti anche nel cavallo, la definizione è in sviluppo: si và dall’originale proposta da Jhonson (Jhonson P. J. 2002), di una sindrome in cui si abbia l’associazione, tra una laminite da media a moderata, ed una concentrazione di insulina , plasmatica o nel siero, aumentata. Ma come nell’uomo la sindrome metabolica è sì in relazione alla malattia, ma altresì indica anche un soggetto in salute e predisposto alla patologia cardio-vascolare; così, anche nel cavallo, si è arrivati a parlare di sindrome metabolica prelaminitica ( in inglese: Pre

Laminitic Metabolic Sindrome, PLMS) (Treiber K. H. , 2006), indicando

con tale termine ponies sani ma a grande rischio di sviluppare la laminite in seguito ad ingestione di carboidrati, vuoi dal pascolo che da cereali.

− INSULINO RESISTENZA: si definisce con tale termine uno stato

metabolico nel quale la normale concentrazione di insulina non riesce ad ottenere il normale effetto nei tessuti bersaglio, e quindi non si ha incremento di assunzione di glucosio da parte dei tessuti (il tessuto muscolare ed adiposo) (Kahn C. R. 1978). Nel cavallo si ha frequentemente uno stato di insulino resistenza compensato, che si manifesta con iperinsulinemia ed una concentrazione di glucosio entro i limiti di riferimento (Frank N. 2006, Treiber K. H. , 2006).

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OBESITA’: essa viene riferita o in forma di Body Mass Index

(BIM),

ma si è visto che nel cavallo assume particolare importanza oltrechè alla massa grassa/massa corporea, anche la distribuzione particolare che il tessuto adiposo può andare a rivestire: viene quindi utilizzato il Body Condition Score (BSC). Si è visto che , come in umana, riveste particolare importanza, il deposito adiposo a livello addominale; nel cavallo il morfotipo “a rischio” è quello che in lingua inglese viene definito “cresty neck”, ovvero sia cavalli con un notevole accumulo adiposo nella regione del collo, nonché a livello del torace e della regione della coda, depositi che possono a volte anche essere asimmetrici nella distribuzione.

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Per quanto riguarda l’implicazione con la laminite, in sintesi:

− l’obesità, (Johnson P. J. et. al. 2004) essa va a costituire un vero e

proprio stato pre infiammatorio: gli adipociti infatti, oltre ad essere delle cellule di riserva ed accumulo di energia, sono anche cellule che producono numerose sostanze ad attività ormonale (adopochine) che giocano un ruolo fondamentale nella regolazione della massa e composizione corporea. Alcune di queste adipochine sono: la leptina, la restina, l’adiponectina, il fattore rilasciante mineralcorticoidi, e certe citochine proinfiammatorie ( ad esempio il TNFα e l’interleukina-6). Inoltre si è visto che il tessuto adiposo omentale è ricco di 11β-HSD-1, un enzima in grado di determinare la produzione locale di cortisolo ( ricordiamo che esso ha un’azione antagonista nei confronti dell’insulina), tanto che poi altrove si parlerà di sindrome di cushing periferica. Il tessuto adiposo, tramite le adipochine, è quindi in grado di instaurare ( o comunque contribuire in buona parte), da un lato, il fenomeno dell’insulino resistenza, dall’altro determina lo sviluppo di uno stato infiammatorio cronico. Entrambi questi due fattori costituiscono fattori di rischio, predisponenti, per la laminite.

− L’insulino resistenza, tale condizione influisce, da una parte

mediante la glucotossicità sull’endotelio dei vasi podali, in particolare a livello di vascolarizzazione lamellare, dall’altra parte è noto da esperimenti oramai convalidati (Pass M. A. et. al. 1998; Wattle O. et. al.) che non solo le cellule deputate al sostegno della terza falange hanno un elevato metabolismo, e quindi necessitano di

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glucosio in elevate quantità, ma anche che a tale livello non ci sono dei depositi di glicogeno e l’assunzione di glucosio è interamente affidata all’azione dell’insulina: privando le cellule di glucosio si determina il distacco dell’ingranaggio dermo-epidermico.

− la sindrome metabolica, riunisce i problemi dei due precedenti punti.

− glucocorticoidi, essi ( sia somministrati, che prodotti dall’organismo

come nel caso della malattia di Cushing) da una parte causano insulino resistenza, essendo antagonisti all’azione dell’insulina, e a sua volta tale stato incrementa la sensibilità dei tessuti ai glucocorticoidi ((Johnson P. J. et. al. 2004). Inoltre i glucocorticoidi hanno un loro proprio ruolo diretto di vasocostrizione, agendo sull’endotelio vasale (DA rivedere)

LA TEORIA BIOMECCANICA

E’ ormai universalmente accettato che un arto sottoposto a carico continuo và incontro a laminite, questo è il caso di dolore intenso, , fratture, etc. , all’arto controlaterale che non viene caricato (Redden R. F. 2004): il carico costante va infatti ad ostacolare il normale flusso sanguigno, conducendo a danni a carico alla vascolarizzazione e di conseguenza creando un deficit trofico alle strutture del piede (vd. cap1 pag. 13). Altro caso, che rientra in tele spiegazione, è quello dell così detto rifondimento da strada (road founder) (Pollitt C. C. 2001) dove si ha la laminite per concussione ripetuta e prolungata su terreni duri: classico l’esempio del cavallo che fugge e viene ritrovato dopo ore di corsa sull’asfalto o terreno duro.

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ELEMENTI COMUNI DELLE VARIE TEORIE:

I modelli accettati per indurre la laminite a fini sperimentali, sono fondamentalmente due:

− il sovraccarico di carboidrati ( )

− la somministrazione di estratti di noce nero ( )

Per quanto riguarda il fatto se il letto vascolare sia vasocostretto o vasodilatato, esistono studi a conferma dell’una o dell’altra ipotesi, propendono per il primo caso gli autori citati trattando della teoria vascolare, mentre esempi di studi a conferma della vasodilatazione sono quelli di Pollitt e Galey (Pollitt C. C. et. al. 1998; Galey F. D. et. al.). Per quanto concerne i dati a conferma della vascolarizzazione, c’è chi esprime dubbi in quanto essi sono ottenuti in una situazione sperimentale, con i cavalli in anestesia generale e l’arto disarticolato: si utilizzano cioè metodiche talmente invasive che può anche risultare nella genesi di artefatti (Robinson N. E. 1990). Parimenti anche i modelli di induzione presentano dei limiti, nel rappresentare i casi clinici di pratico riscontro: essi infatti simulano un’indigestione più che un’assunzione lenta e duratura, anche se è pur sempre vero che in soggetti predisposti, come quelli con la PLMS, un solo pasto eccessivamente abbondante può esacerbare la situazione, rompere l’equilibrio e sfociare nella malattia (Kronfeld D. S. et. al. , 2006).

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Figura

Figura 5. Disegno schematico, originale di Pollitt, rappresentante l'evolversi del danno  cellulare partendo dalla condizione fisiologica, fino al grado tre della lesione istologica della  laminite

Riferimenti

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