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C APITOLO 3. C ARATTERISTICHE DELLA RELIGIONE FUNERARIA AMARNIANA

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C

APITOLO

3. C

ARATTERISTICHE DELLA RELIGIONE

FUNERARIA AMARNIANA

§ 1. Escatologia

Per quanto riguarda la teologia amarniana e, in particolare, la teologia funeraria, gli studi di E. Hornung si distinguono per completezza e profondità analitica1.

La religione di Akhenaten era fondata sulla luce, sulla manifestazione sensibile della divinità solare, il Disco. Ci si chiede come si possa conciliare una visione del mondo incentrata sulla luce con due elementi assolutamente legati alle tenebre come la notte e la morte. Partendo dal presupposto che “die Anwesenheit des Aton ist Leben, seine Abwesenheit ist Tod”2, si capisce come sia stata raggiunta una completa identificazione fra la notte e la morte nell’assenza di luce. Accomunati dallo stesso destino tenebroso, viventi e morti esistono dunque in un’unica dimensione, quella luminosa. Nella tomba di Meryra si legge: “Tu sorgi nell’Orizzonte orientale del cielo per dare vita a tutto ciò che hai creato, il genere umano, il bestiame, tutti gli esseri che volano e strisciano, con tutti i tipi di rettili che sono sulla terra. Essi giacciono a terra quando sei tramontato. […] Quando tu tramonti nell’Orizzonte occidentale del cielo, essi giacciono a terra come i morti. Le loro teste sono coperte; le loro narici sono chiuse fino a che tu non sorgi nell’Orizzonte orientale del cielo”. Il parallelismo è qui ben esemplificato, dove naso turato e capo coperto, elementi riferiti all’uomo che si corica, sono tipici della descrizione del sonno dei morti nella tradizione. Il naso turato viene riempito dell’alito della vita al mattino con il sorgere del Disco: i morti resuscitano e i vivi si alzano e si rallegrano (Meryra II: “Gli occhi hanno vita alla vista della sua bellezza [scil. del Disco], i cuori hanno salute quando brilla per loro”). In particolare la catena concettuale luce-vista-amore-bellezza (di Aten e

1 In part.: Zur Struktur des ägyptischen Jenseitsglaubens, in ZÄS 119 (1992), pp. 124-130 e Akhenaten. La religione della luce nell’antico Egitto, Salerno Editrice, Roma 1998, Cap. VIII, Una religione dell’Aldilà senza Aldilà, pp. 91-99.

2 HORNUNG E., Zur Struktur, cit., p. 125. Riscontro nei testi amarniani: “L’uomo dice: «È vita il vederlo [scil. il Disco], c’è la morte nel non vederlo»” (tomba di Panehesy), “Quando sei sorto essi vivono, quando sei tramontato essi muoiono. Sei la durata della vita, perché si vive di te”

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del re) sembra essere centrale; così nel Piccolo Inno della tomba di Huya: “Quando tu sei sorto loro vedono grazie a te. I tuoi raggi illuminano la terra intera. Ogni cuore esulta a vederti quando tu sei sorto come il loro signore” e nella tomba di Pentu: “Si svegliano per vedere la tua bellezza. (Quando tu sei sorto?) essi vedono e discernono tramite essi [scil. gli occhi]. Tu hai mandato i tuoi raggi su di loro”. Ancora, May afferma che “Tu riempi le Due Terre con la tua bellezza”, Tutu: “[il Disco] caccia via l’oscurità e manda i suoi raggi così che ogni terra sia riempita con il suo amore” e nel Grande Inno: “Gli occhi sono fissi sulla bellezza finché non tramonti, dopo tutti i lavori sono lasciati da parte”. L’associazione fra la vita dei vivi e quella nuova dei defunti è tale che sugli stipiti delle porte delle case di el-Amarna compaiono le iscrizioni identificative del proprietario tipico delle tombe tradizionali, a meno che non si tratti del contrario: un uso tradizionale dell’architettura urbana (di cui sappiamo poco) trasposto in quella funeraria.

Particolarmente significativa è la metafora del vento del Nord che solletica le narici dei defunti e li richiama alla vita. Essa è molto frequente e si trova persino sulla bara lignea della tomba KV 553. Inoltre accomuna sullo stesso piano il re e il Disco, perché Akhenaten è per Panehesy “il respiro di tutte le narici, attraverso cui gli uomini respirano” e per Tutu “il cielo che contiene l’Aten vivente e nel quale ci sono brezze. Tu ne hai date alle narici dei tuoi favoriti”, mentre ancora Tutu si rivolge al Disco: “Possa io inalare la tua dolce aria del vento del Nord, che è fragrante dell’incenso del servizio di Neferkheperura, il mio dio”.

Ma qual è il destino del Disco dopo il tramonto? I riferimenti sono quasi completamente assenti, né viene fornita alcuna descrizione iconografica o

3 “Parole dette da […]: «Possa (io) respirare il dolce soffio che esce dalla tua bocca. Possa (io) contemplare (la tua perfezione) al mattino. (Il mio) desiderio è di sentire la tua dolce voce [come] il vento del Nord. Che siano ringiovanite le tue membra per mezzo della vita che (prodiga) il tuo amore. Disponi (per me) le tue braccia cariche della sussistenza (che) tu (dispensi); che (io) la riceva, che (io) viva (grazie ad essa). Possa tu pronunciare il mio nome per l’eternità senza che abbia a cercare (il cammino) della tua bocca, o mio (signore), etc.»”. La composizione delle linee

è però stata corretta da M. Gabolde: “Possa (io) respirare il dolce soffio del vento del Nord” e “(Il

mio) desiderio è di sentire la tua dolce voce che esce dalla tua bocca”, il risultato è certo meno

poetico, ma filologicamente più soddisfacente; cfr. GABOLDE M., D’Akhenaton à Toutânkhamon,

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letteraria4, si è detto, di un viaggio sotterraneo5; il Disco “resta nell’orizzonte” (tomba di Ay). La sparizione del sole oltre l’orizzonte sembra essere una sparizione tout court: dopotutto l’Aten non è il dio, ma una delle sue manifestazioni visibili, sullo stesso piano del re. Come il re, invecchiato, muore6, anche il disco ogni giorno si annulla, per ricrearsi però il giorno dopo; ecco per quale ragione non viene data alcuna spiegazione del perché il sole compaia al mattino dalla parte opposta dell’orizzonte (la teologia tradizionale lo spiegava tramite un viaggio sotterraneo nel senso opposto); di esso si dice infatti: “tu fai nascere te stesso giornalmente senza cessare” (tomba di Tutu). Il dio, Ra-Horakhty, alberga nel cuore del re, che ne è figlio carnale, profeta e immagine vivente (Akhenaten può dire: “La tua potenza e la tua forza sono fermamente fissate7 nel mio cuore”, tomba di Huya) e la sua potenza non viene mai meno,

come afferma Pentu: “Quando tu attraversi il cielo tutti gli uomini dipendono (?) da te senza cessare, di notte come di giorno”; nella tomba di Ay si afferma: “Quando sei sorto l’eternità è data a lui [scil. il re]; quando sei tramontato tu hai dato a lui perennità”.

La scomparsa di Aten e l’avvento delle tenebre non è tuttavia visto come un avvenimento drammatico: Meryra può affermare che “Il tuo tramontare è bello, o Ra vivente” e Pentu: “Tu sei tramontato in vita e gioia, ogni occhio gioisce”. Sono tuttavia descritti alcuni effetti negativi della notte: la cecità pressoché totale, la possibilità che avvenga un furto (ma è il buio o il sonno, come la morte, che impedisce al malcapitato di difendersi?), l’aggirarsi di bestie feroci; Pentu: “Un occhio non vede il suo compagno; ogni genere di rettile è sulla superficie della terra. (Gli uomini) giacciono a terra e sono ciechi (?) finché tu non hai rifulso” e nel Grande Inno della tomba di Ay: “Quando tramonti nell’Orizzonte occidentale, la terra è nell’oscurità, come la morte. Essi giacciono a terra in camera con le loro teste coperte; un occhio non vede l’altro. Tutti i loro beni che sono sotto le loro teste potrebbero essere rubati, senza che loro lo sappiano. Ogni leone esce dalla sua tana, i serpenti mordono. L’oscurità è per

4 Di più: “Toute la production intellectuelle et spirituelle d’autrefois qui avait été élaborée pour assurer la survie de l’individu disparaît des textes et de l’iconographie des tombes d’Amarna”,

GABOLDE M., op. cit., p. 19.

5 Anche se nella tomba di Ay si dice: “Possa tu viaggiare liberamente dalle porte del mondo sotterraneo”.

6 Il concetto non è mai esplicitato, tuttavia il re non rinuncia fin dalla fondazione della città di

Akhetaten a prepararsi un sepolcro nella nuova necropoli.

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loro imboscata. La terra è in silenzio […]. La terra dipende da te, come tu li hai creati”.

È interessante notare che l’Aten non assume nessuno degli aspetti negativi o terrificanti della divinità solare (es. l’Occhio di Ra) o di altri dèi (es. Seth, Sekhmet, Hathor) che ha sostituito8; secondo N. de Garis Davies non paura, ma gratitudine e un senso di dipendenza sono visti come i naturali motivi per la pietà verso il nuovo dio, che non si arrabbia, non punisce, non manda pestilenze. Nessuna interpretazione teologica della notte viene inoltre data: essa non è una punizione né un periodo di penitenza prima che il dio si manifesti di nuovo e nemmeno un periodo di rigenerazione della luce come era per la tradizione; non si dà nemmeno una spiegazione fisiologica: es. la notte esiste per far riposare gli uomini che lavorano. Tanto meno viene espressa una qualche considerazione di ordine astronomico. Essa è semplicemente assenza di luce e, come la morte, non viene giustificata: c’è e basta.

Il ruolo del re è fondamentale, oltre che come sede fissa della divinità, nella definizione di una morale comune. Alla scomparsa di un regno dell’Oltretomba segue la logica scomparsa del suo re: Osiri, il dio che, assieme ad Amon, è quello con meno attestazioni ad el-Amarna. Se nella fase iniziale del regno (architrave di Hatiay, Museo del Louvre)9 si assiste ad una mediazione enoteistica che identifica Osiri come sole notturno e che attribuisce al dio epiteti tipici di Ra (e viceversa, che attribuisce a Ra-Horakhty le prerogative di Osiri), più avanti nel regno saranno accuratissime le attenzioni ad evitare il dio dei morti e il suo rituale, tanto che perfino il tradizionale titolo di “Osiri”, peculiare di ogni defunto, verrà omesso con cura. Con alcune significative eccezioni, che vedremo in seguito. L’eliminazione di Osiri porta il conseguente scioglimento del Tribunale divino che deve giudicare l’anima del defunto: quale nuovo criterio viene applicato alle anime dei defunti per poterle definire giuste e degne di godere della vita eterna? Il metro di giudizio è ora la lealtà verso il re, l’unico che può decidere del destino ultraterreno di un sottoposto10. Un cortigiano seguace della

8 Il “divoratore dei morti” pronto a mangiare il defunto se l’esito della pesatura del cuore dovesse

essere negativo compare significativamente solo dopo l’esperienza amarniana.

9 DRIOTON E., Trois documents d’époque amarnienne, in ASAE 43 (1943), pp. 35-43.

10 Quasi nulla sappiamo delle sepolture della gente comune (che sono comunque semplici e senza

corredo), provenendo tutte le informazioni dalle tombe dei funzionari: la ricostruzione che si ottiene rischia dunque di dare l’immagine di una religione élitaria. Se la lealtà al re come criterio di giudizio è chiara a livello dei funzionari statali, necessariamente per i comuni sudditi deve

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dottrina diventa così un maaty, un giusto vivente nella Verità, e può ottenere la sepoltura e il beneficio delle offerte quotidiane nel tempio. Da un lato, il re è il dio-Nilo, il sole che sorge come Aten, il dio buono, la luce che è vita da vedere, la luce di ogni uomo, “origine del fato e creatore della protezione, signore della sepoltura, datore di vecchiaia, signore del termine di vita, nel giorno del cui vigore c’è prosperità. Alla tua vista c’è vita e salute” (tomba di Parennefer). Dall’altro lato il “giustificato” è generalmente sincero, uno che rifugge le cose odiose e la malvagità. Ma sono le virtù “burocratiche” quelle che vengono esaltate: egli è libero dall’insolenza, uno fedele al re, scrupoloso, servizievole, puntiglioso, veramente accurato, che non parla a voce alta né a sproposito (“grande nel chiudere la bocca”), obbediente agli insegnamenti del re, uno che ascolta la dottrina. Tutu afferma: “In nessuna occasione sono stato trovato nel male”, “Ho fatto il giusto per il re”, “Ero preciso e sincero” e infine Meryra: “Non c’è povertà per colui che ha ascoltato le tue vie e ha posto ripetizione di esse nel suo cuore. Come è felice chi sta alla tua presenza e dà il suo cuore alla Dottrina!”. Per Panehesy “Sua Maestà è Ra, che forma l’umile a suo piacimento, e crea prìncipi secondo il suo ka”.

Dopo aver permesso al funzionario di servirlo fino alla vecchiaia (è una preghiera ricorrente, così Meryra: “Dammi una vecchia età senza essere lontano da te”), il re dunque concede una sepoltura ai propri cortigiani nella necropoli, dove già aveva concesso la costruzione e la decorazione di una tomba. La necropoli è designata come “collina di Akhetaten”, ma anche il “territorio dei favoriti” (Meryra) e “la sede dell’eletto” (May). Salendo nella gerarchia, se la vita eterna del funzionario è concessa dal re, quella del sovrano stesso è garantita dal dio; dice Tutu che l’Aten è: “Colui che crea se stesso”, mentre “(finché) lui [scil. l’Aten] esiste, tu [scil. il re] esisterai eternamente. […] Come per l’Aten, tu sei il suo amato figlio, tu sei della sua stessa natura”11.

In accordo con la tradizione, la vita ultraterrena del defunto consiste in una copia della vita terrena, ma ora questa esistenza si esplicita in modalità

tradursi con l’obbedienza all’etica sociale e ad alcune regole morali generali. È inverosimile ritenere che la reazionarietà della riforma amarniana avesse cancellato la “democratizzazione dell’Aldilà” conquistata nel I Periodo Intermedio. Un recente studio sulla religiosità popolare amarniana ad opera di Anna Stevens non aggiunge tuttavia grandi informazioni sul rapporto della gente comune con la morte; cfr. STEVENS A., The material evidence for domestic religion at Amarna and preliminary remarks on its interpretation, in JEA 89 (2003), pp. 143-168.

11 “Filium Dei unigenitum […], genitum non factum, consubstantialem Patri per quem omnia facta sunt”.

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temporali del tutto diverse. Innanzitutto, la geografia oltremondana viene annullata: non esiste un Aldilà come spazio fisico, così come il Disco non attraversa il mondo sotterraneo durante la notte. La nuova vita del defunto si svolge ora sulla terra in cui aveva vissuto, nel tempio dell’Aten, nella città. Il tempo dei morti, inoltre, non è più la perfetta inversione di quello dei viventi: il ba non si aggrega più al corteo solare sotterraneo, ora abolito, e non vive una vita notturna, ma, esattamente come da vivo, si risveglia di giorno e partecipa delle attività quotidiane alla luce del sole; in particolare beneficia, per il proprio sostentamento, dell’offerta divina consacrata dal re nel servizio giornaliero al tempio. Viventi e morti vivono con la luce del sole e muoiono/dormono con il buio. Al mattino il defunto si sveglia con i raggi del sole, si purifica e si veste e adora la divinità. Il concetto è esplicitato in molti testi, ne riportiamo qualcuno; Meryra: “Possa (il re) concedere la vista dell’Aten ogni volta che sorge al mattino”, Huya: “Possa concedere la visione dell’Aten dal suo sorgere fino al suo tramontare come Aten”, Tutu: “Possa tu alzarti al mattino nel tuo luogo eterno per vedere l’Aten quando sorge. Possa tu purificarti e prendere lino fine come quando eri sulla terra. […] Possa tu adorare l’Aten e possa egli darti aria. Possano i suoi raggi rinfrescare il tuo corpo12. Possa tu alzarti e dimenticare la stanchezza e possa egli dare vita al tuo volto quando tu lo vedi” e Ay: “Possa tu vedere i raggi di Ra quando egli sorge e dà luce all’imboccatura della tua camera tombale!”, “Possa egli [scil. Ra] concederti il respiro e svegliare le tue membra. […] Possa il tuo cadavere prosperare”. Il fatto che la vita debba continuare come prima è esplicitato anche nelle scene figurate, che a motivi evenemenziali – tra l’altro molto rari – come la visita della Grande Sposa Reale Tiy o il Tributo delle Nazioni, alternano motivi che fissano per l’eternità la mansione del defunto a Palazzo. Nei testi i funzionari auspicano che anche dopo la morte possano continuare a servire il proprio re; Huya, che è Intendente del Palazzo di Akhenaten, chiede: “Possa concedere ingresso ed uscita dalla Casa del Re e che i suoi membri siano riforniti con piacere ogni giorno”, Ay chiede: “Concedi che il mio ka sia durevole e prosperi come quando io ero sulla terra, seguendo il tuo ka”.

12 Come possono i raggi del sole rinfrescare? Interessante parallelismo in una scena della terza ora

del Libro delle Porte, che sembra comparire con Horemheb: un lago di fuoco che rinfresca solo Osiri e i beati defunti, ma è ardente per gli altri morti; cfr. HORNUNG E., La valle dei Re, Einaudi,

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Risulta chiaro dai testi il ruolo centrale del servizio liturgico nel tempio e forse così si spiegano le centinaia di altari predisposti nei cortili dei templi amarniani. È l’offerta quotidiana al tempio che garantisce la sopravvivenza dell’anima dopo la morte; si tratta di una sorta di “messa di legato perpetuo” concessa dal re per i suoi cortigiani fedeli. Meryra auspica: “Possa egli/ella (re o regina) concedere un’offerta di pani, che sono stati offerti alla Presenza (del dio), e un’offerta di liquidi nell’Hut-benben”; Meryra II ancora: “Possa egli concedere […] il latte che appare sull’altare, pane, birra e cibo in tutti i tuoi altari, ogni cosa buona e dolce, per il ka del Sovrintendente all’Harem del re, lo Scriba reale e Intendente, Meryra, giustificato in Akhetaten”. Dello stesso tenore le parole di Pentu: “Tu mi hai posto per sempre in un posto di favore, nella mia magione di estasi. Il mio spirito va per vedere i tuoi raggi, per nutrirsi sulle sue offerte. Sono chiamato per nome […], godo delle cose che sono offerte. Io consumo pani shen e bat e pesen e birra des, carne arrosto calda e acqua fresca, vino e latte, che sono offerti nel santuario dell’Aten in Akhetaten”. Sembra tuttavia che al sostentamento fornito dal servizio liturgico si affianchi una forma privata, come secondo la consuetudine: per Meryra ad esempio si auspica: “Possa concedere che le tue offerte siano abbondanti nella tua camera sepolcrale; possa il tuo nome essere celebrato per sempre, eternamente”, “Possa egli concedere che i figli della tua Casa versino libagioni per te”.

Ignoriamo quale sia la sorte ultraterrena dei funzionari sepolti al di fuori di el-Amarna, se cioè essi godessero delle offerte consacrate nel più vicino tempio dell’Aten o solo di quelle del Grande Tempio di el-Amarna: data l’estrema mobilità del ba, non dovrebbe essere stato un problema per loro uscire dalla loro tomba provinciale e raggiungere la capitale per godere delle offerte. Un paio di ushabty di Setau, trovati nella sua sepoltura tebana di Deir el-Medina conferma che anche i ba dei provinciali godessero delle offerte consacrate nel tempio (“Servitore della Sede della Verità, Setau. Possa tu avere vino e latte che venga dalla tavola d'offerta davanti all'Aten”, “Possa tu avere una fresca libagione che venga dalla tavola d'offerta davanti all'Aten”)13, ma non spiega di quale tempio si trattasse.

13 ČERNY J., A Community of Workmen at Thebes in the Ramesside Period, IFAO, Cairo 2001, pp.

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Sia E. Hornung sia M. Gabolde evidenziano, al di là dell’ostentazione di piaggeria cortigiana, una mutata sensibilità religiosa: “Les fidèles d’Aton vivent dans l’ignorance du dieu qu’ils honorent, dont ils ne perçoivent que la puissance au travers de la lumière. Ils doivent s’en remettre totalement au roi dont le rôle devient démesuré. Leur angoisse métaphysique est donc profonde et leurs espoirs sont limité: contempler sans cesse Aton et Akhenaton et leur rendre grâce en permanence”14. Testimonianze angosciate sembra provengano da un gruppo di tombe dell’Età post-amarniana: Paatenemheb (il cosiddetto Canto dell’arpista di Antef)15, Neferhotep (TT 49, regno di Ay) e Nefersekheru (TT 107, inizio XIX dinastia se la datazione di Gabolde, contraria a B. Porter e R. Moss, può essere accettata). Il fascicolo di prove presentato per suffragare questa ipotesi è però, a mio avviso, troppo debole (di due tombe su tre se dovrebbe ridiscutere la datazione).

§ 2. Modificazioni strutturali e iconografiche delle sepolture private

La nuova escatologia portò ovviamente ad un profondo rivolgimento nella struttura degli ipogei. Innanzitutto la loro ubicazione sulla riva orientale del Nilo, secondariamente la scomparsa delle false porte e, infine, il passaggio dai pilastri tradizionali alle colonne.

Gia nelle stele di confine di Akhetaten il re descrive programmaticamente la costruzione della Tomba Reale, delle tombe della famiglia reale e delle tombe dei funzionari: tutte rigorosamente sulla riva est del Nilo, in aperto contrasto con la tradizione che vedeva nella riva occidentale il luogo privilegiato, se non esclusivo, per la realizzazione delle sepolture. La negazione dell’Occidente come regno dei morti e l’assoluta secondarietà del tramonto rispetto all’alba, portarono a questa decisione che sottolineava ancora l’aspetto vitale della comparsa del Disco sull’orizzonte orientale sia per i vivi sia per i morti.

Se un Aldilà non esiste, anzi, se esso è direttamente esperibile in questo mondo, il ba del defunto non necessita più di un punto di passaggio fra i due mondi: da qui la scomparsa della falsa porta e pure l’estrema rarità degli altri tipi

14 GABOLDE M., op. cit., p. 21. La visione estatica di Dio come premio per l’Aldilà, tuttavia, non è

in sé un elemento di così scarso fascino per una religione, da decretarne il fallimento: il Cristianesimo stesso, dopotutto, dipinge così il Parardiso.

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di stele con formule di offerta per il defunto (si tratta esclusivamente di cinque stele di Any, della stele di Panehesy e di due altre stele)16.

La sostituzione dei pilastri con le colonne, che si riallaccia a tipi dell’arte del tempo di Amenotep III, vuole ribadire ancora una volta la totale mondanità dell’Aldilà amarniano.

Anche dal punto di vista iconografico, le sepolture vanno incontro a significativi cambiamenti: le consuete scene di vita nell’Aldilà sono ora sostituite con scene di vita cortigiana ad Akhetaten. Già N. de Garis Davies, e poi J. Vandier, aveva posto l’accento sull’onnipresenza del re, fortemente in contrasto con la discrezione tipica della tradizione quanto alla rappresentazione del monarca in tombe private17. Tenendo conto dei due fattori precedentemente enunciati, cioè la teologizzazione della famiglia reale, centro focale del nuovo culto e quasi indispensabile intermediaria nei rapporti col dio, e la mondanità dell’Oltretomba amarniano, centrato sulla vita del Palazzo e del Tempio, non fatichiamo a capire le nuove scelte iconografiche. Come ha notato J. Vandier nella sua analisi, “la plupart des tableaux que nous ont conservés les tombes d’Amarna peuvent difficilement se rattacher à des thèmes du répertoire classique”: in esse il re adora il Disco solare, pasteggia, si sposta sul carro o in portantina, ricompensa i funzionari fedeli. A queste scene si aggiungono la visita della Grande Sposa Reale Tiy, la cerimonia del Tributo delle Nazioni e piccole scene di vita ufficiale e professionale.

Una nota a parte meritano le rare scene funebri presenti nelle tombe private: esse compaiono esclusivamente nella tomba di Huya e nella tomba di Any. Nel primo caso il defunto è ritratto come mummia, dotato della barba di Osiri e con il cono di incenso sul capo. Attorniato da quattro lamentatici e undici uomini in atteggiamento di compianto, riceve offerte cultuali costituite da pani, fiori, verdure e cosce di buoi, mentre un sacerdote, vestito della consueta pelle di leopardo, versa delle libagioni da un vaso hes18. Nella stessa tomba si sono

16 DAVIES V, pp. 9-10; DRIOTON E., op. cit., in ASAE 43 (1943), pp. 25-35; LACAU P., Catalogue géneral des antiquités égyptienne du Musée du Caire. Stèles du Nouvel Empire, I, Le Caire 1909,

pp. 222-24, tav. LXIX; HALL H.R., Hieroglyphic texts from Egyptian Stelae, etc., in the British Museum, The Trustees of the British Museum, London 1925, vol. VII, p. 7, tav. XV.

17 “Alors que, dans les sépultures de la XVIIIe Dynastie, le souverain, tout en étant le moteur de l’activité de ses sujets, n’apparaissait guère qu’en spectateur, il devient, le plus souvent, acteur, pendant le court intermède qu’il a voulou et qu’il présidé”, VANDIER J., Manuel d’Archéologie

égyptienne, Éditions A. et J. Picard et Cie, Paris 1964, vol. IV, p. 671. 18 DAVIES III, tav. XXII.

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conservati pochi frammenti di una scena di processione funebre con le prefiche e i portatori del corredo, mentre i buoi che dovrebbero trascinare il sarcofago sono ritratti ancora in libertà. Il corredo è meglio indicato nella camera sepolcrale, ai lati della nicchia con la statua del defunto: vi si possono vedere un paio di cocchi, due urne canopiche, sedie e sgabelli, sandali, casse, vasi, tavoli ed un letto. A questa scena si può affiancare la breve descrizione del funerale ideale nella tomba di Ay: “Possa un bue tirare te (nel catafalco), possano un imbalsamatore e un lettore (?) (camminare) di fronte a te, purificando la barca (funebre) con latte, il loro numero essere quello che il re Uaenra decreta per un favorito che ha promosso. Possa egli portarti alla sede dell’eletto come uno che ha completato la sua vita in bellezza. Possa la tua tomba essere in festa ogni giorno, in accordo coi tuoi piani quando eri in vita. È il tuo dio che li ha accresciuti per te, l’Aten vivente, signore dell’eternità, ed essi sono stabiliti in eternità senza fine per un uomo giusto, libero dall’agire falsamente”.

Le due raffigurazioni della tomba di Any sono meno esplicite: in entrambe il defunto seduto, con il cono di incenso sul capo, riceve offerte da parte del figlio o di un sacerdote. In una è presente il tavolo colmo di offerte del banchetto funebre e in piedi dietro al defunto vi è la moglie, nell’altra si tratta più specificamente di una libagione19.

Tutte le principali tombe di el-Amarna (Meryra I, Panehesy, Meryra II, Huya, Ahmose, Pentu, Ramose, May, Any e Tutu) conservano tracce più o meno significative di una statua cultuale all’interno della camera più recondita dell’ipogeo, chiamata “santuario” o “tabernacolo” da N. de Garis Davies. Il loro grado di conservazione è spesso cattivo, ma in un paio di casi ciò che resta è notevole. Nella tomba di Ramose (AT 11) le sculture nella nicchia sono due, da intendersi come statue del defunto e della moglie. Di esse non viene fornita alcuna spiegazione e, riallacciandosi alla tradizione tebana, queste sculture dovevano dunque rappresentare il ka del defunto. Dopotutto non c’è motivo nella nuova teologia amarniana di escludere questo tipo di reverenza cultuale, che è ben manifestata anche in altre forme.

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§ 3. I testi

I testi utilizzati nelle sepolture di el-Amarna sono divisibili in tre grosse categorie: didascalie a commento delle scene e discorsi diretti dei personaggi; piccoli inni e formule di adorazione da parte del defunto o da parte del re e della regina in onore di Ra-Horakhty; formule di carattere augurale rivolte al defunto.

Le didascalie forniscono una spiegazione delle scene rappresentate, qualificano i personaggi più importanti coinvolti nell’azione e riportano i discorsi dei personaggi, dalle solenni proclamazioni del re in occasione di cerimonie pubbliche, con la relativa risposta del funzionario via via proprietario della tomba e della folla che assiste, ai semplici discorsi fra persone semplici (ad es. avendo sentito dei rumori un uomo manda un ragazzo in città per capire che cosa stia succedendo).

N. de Garis Davies, che ha pubblicato interamente le sepolture private amarniane, ha anche fornito una prima, eccellente, edizione del testo e un breve commento20. Dalla lettura del materiale innografico e delle preghiere, si evince come solo poche di esse abbiano una pretesa letteraria, con conseguente organicità dell’esposizione, coerenza dei passaggi logici e uniformità grammaticale. In particolare si tratta del Grande Inno, conservato nella sola tomba di Ay, di un Piccolo Inno conservato in diverse copie e di un “Magnificat” dalla tomba di Meryra e da una seconda tomba. Mentre il primo è largamente poetico e uniforme, il secondo sembrerebbe derivare da una collazione di due testi interpolati con una sezione di passaggio. Il resto delle preghiere sembra essere una raccolta piuttosto disomogenea di frasi ad effetto stereotipate, forse tagliate e incollate da composizioni più grandi, senza pretese poetiche e con qualche problema di tipo grammaticale (es. la grande incoerenza nell’uso dei pronomi soggetto). La collocazione di questi inni solari è molto circoscritta:

- spessore della porta d’entrata, assieme all’immagine del defunto e alla coppia reale in adorazione: è il saluto del defunto al sole mattutino (lato ovest) o serale (lato est);

- alle estremità degli architravi delle porte, in sei colonne a fianco del defunto inginocchiato. Al centro, invece, campeggia una doppia coppia di cartigli dell’Aten, affiancati ai due lati dal doppio cartiglio del re e dal

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cartiglio della regina, a formare una sorta di ideogramma della scena dell’adorazione del disco da parte della famiglia reale e come sottolineando la trinità della manifestazione del sacro (e quindi, di nuovo, la teologizzazione del re e della regina);

- in colonne sugli stipiti della porta interna, dunque all’ingresso alla camera funeraria e in sostituzione della falsa porta; si tratta di appelli formali per favori e privilegi sepolcrali;

Le formule di carattere augurale, sempre accompagnate da un’adorazione ai “Tre Poteri” (come li definisce N. de Garis Davies) cioè l’Aten, il re e la regina, sembrano essere concepite come un corpus piuttosto organico di preghiere in favore del defunto da recitarsi da parte di amici e parenti in visita alla tomba.

L’intera innografia amarniana ha comunque un grande debito con la precedente produzione di argomento solare: già la tradizione prescriveva per i passaggi dell’ingresso della tomba una preghiera al sole mattutino e una al sole serale, accompagnate da immagini del defunto orante. Tuttavia, diverse caratteristiche originali rendono in alcuni aspetti questi inni teologicamente distanti dalla precedente formulazione: in particolare la non distinzione tra “creazione” e “dono della vita” concesso quotidianamente dall’astro solare (è il concetto che J. Assmann definisce di creatio continua); l’interpetazione dei raggi del sole come “soffio di vita”, attuando una distinzione fra “aria” e “luce” come elementi cosmici che l’antico sincretismo non conosceva; l’attribuzione della capacità di produrre e preservare la vita, oltre che alla luce, ad ogni elemento cosmico del sole, come il tempo (il dio è Nb nḥḥ e ’Itn cnḫ); l’assenza di ogni riferimento ad altre divinità, così come di una mitologia propria dell’Aten e di una consorte divina; l’adorazione come risposta naturale e spontanea alla luce solare21.

§ 4. Modificazioni strutturali e iconografiche della sepoltura reale

La maggior parte della pianta della Tomba Reale corrisponde alle caratteristiche delle tombe dei sovrani precedenti ricavate nella Valle dei Re: una scalinata d’accesso (A), un lungo corridoio (B), una seconda rampa (C), una

21 ASSMANN J., Egyptian solar religion in the New Kingdom. Re, Amun and the crysis of polytheism, Kegan Paul International, London 1995, in part. il cap. 3; ASSMANN J., Liturgische

Lieder an den Sonnengott. Untersuchungen zur ägyptischen Hymnik, MÄS 19, Bruno Hessling,

Berlin 1969;ASSMANN J., Sonnenhymnen in thebanischen Gräbern, Theben 1, Philipp von Zabern,

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camera con pozzo (D), una camera dotata di pilastri (E), un piccolo annesso (F). Vi sono paralleli significativi con le tombe di Thutmosi III (KV 34), Amenhotep II (KV 35) e Amenhotep III (KV 22); l’ipogeo amarniano, tuttavia, differisce dai modelli tebani sostanzialmente per la mancata deviazione dell’asse di 90°, per l’inclusione delle camere alfa, beta e gamma (le tre camere si inseriscono sulla seconda rampa e sono disposte a formare un angolo), per l’innesto sul corridoio principale delle camere da 1 a 6 (tre corridoi grosso modo perpendicolari a B e altre tre camere grosso modo parallele a B) e per le enormi dimensioni (quasi il doppio in larghezza della più grande tomba reale tebana, pur mantenendo i canoni di proporzione e l’utilizzo della sezione aurea). Esistono dei confronti sia per la deviazione delle camere alfa-gamma (tomba tebana della principessa Neferura), sia per la deviazione delle camere 1-6 (tomba tebana della regina Merytamen), tuttavia ci sfugge il motivo reale della scelta architettonica, così come del perché sia stata mantenuta la realizzazione di un pozzo, collegato con concezioni religiose legate al culto osiriaco22.

Bisogna tuttavia tenere conto che l’ipogeo non è stato portato a termine e l’irregolarità della simmetria di alcune camere, nonché la distorsione degli assi, sembrano il risultato di un errore dei tagliapietre, anche se la pianta generale sembra essere stata progettata fin dall’inizio così com’è e non avere dunque subito variazioni sostanziali in corso d’opera. Calcoli geometrici hanno rilevato la possibilità per i raggi del sole, se i rilievi rocciosi di fronte all’accesso della tomba lo consentissero (la possibilità non è stata verificata), di entrare dalla porta di ingresso e arrivare direttamente in mezzo alla camera del sarcofago23. Ovviamente con la sigillatura della sepoltura l’effetto sarebbe svanito, a meno che l’asse sarcofago-Aten non fosse considerato puramente ideale.

Dal punto di vista decorativo, bisogna notare che la Tomba Reale introduce il rilievo nelle tombe reali (qui nella versione su intonaco), fino ad ora solo dipinte (con Horemheb si arriverà all’introduzione del bassorilievo dipinto). Sulla parete di roccia veniva prima abbozzato a rilievo uno schizzo della raffigurazione, poi coperta con intonaco e realizzata quando questo era ancora fresco. Infine, si passava alla decorazione pittorica. Le tracce profonde (specie del Disco solare) rimaste sulla pietra hanno permesso di identificare alcune scene

22 ROMER J., The Valley of the Kings, Michael Joseph, London 1981, pp. 279-281. 23 MARTIN G.T., op. cit., Vol. 2, tav. 12A.

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anche dopo la caduta dell’intonaco, che nella Tomba Reale ha subito devastazioni volontarie e degrado naturale dall’antichità fino ai giorni nostri.

Dal punto di vista iconografico e testuale, la decorazione della Tomba Reale è alquanto monotona, pur non mancando di accurato realismo e patetismo in scene funebri particolarmente toccanti. Il corridoio di accesso, di norma decorato, è qui invece lasciato completamente spoglio. L’iconografia predilige i temi dell’adorazione del Disco da parte della famiglia reale: sul muro A e sul muro C della camera sepolcrale (E) il sovrano è il principale officiante, seguito dalla moglie e dalle figlie che agitano il sistro. Sul muro A è effigiata la cerimonia mattutina mentre sul muro C il servizio serale; le due cerimonie sono tuttavia simili e si differenziano solo per la posizione del sole e dei raggi radenti il suolo. Scene di adorazione, con completa titolatura del Disco, del re e della regina sono rappresentate in altre camere. Un secondo tema quadruplicato, se ne accennerà nei paragrafi successivi, è la scena di compianto funebre. Nella camera alfa la decorazione parietale è dominata dalla scena su diversi registri di riunione della corte in occasione di una nascita importante (tav. Va). L’interpretazione è suffragata dalla presenza del visir in persona, assieme agli altri cortigiani, e dalla presenza di due flabelliferi dietro una nutrice con in braccio il neonato. La scena di giubilo per la nascita dell’erede, però, si trasforma in una scena di dolore per l’improvvisa morte della madre: il re e la regina, sostenuta nel dolore dal consorte, lamentano la defunta nella camera del parto. Dibattito aperto su chi fosse la puerpera deceduta. Simile è la scena rappresentata sull’intonaco della camera gamma: anche qui una nascita importante contemplata dalla corte e dal visir è trasformata in tragedia dalla morte della madre. Martin identifica la defunta con Maketaten, che è esplicitamente nominata e raffigurata nella parete contigua sotto un baldacchino “per partorienti”, in un altro tipo di scena di compianto funebre da parte della famiglia reale24.

Alcune decorazioni floreali campeggiano sui muri a fianco della porta tra i locali C e D.

I testi della Tomba Reale si limitano a brevi didascalie delle scene e all’ossessiva ripetizione delle titolature dei “Tre Poteri”. È poco sorprendente, alla

24 Secondo Marc Gabolde, invece, le due raffigurazioni sarebbero semplici scene di compianto

funebre che nulla avrebbero a che fare con una nascita. Le due compiante, in questo caso, sarebbero le principesse Baketaten e Neferneferura.

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luce di quanto detto più sopra, la totale mancanza di riferimenti ai libri funerari generalmente adottati nelle tombe reali, soprattutto all’Amduat, che i sovrani avevano particolare cura di rappresentare nelle proprie sepolture. È significativo, invece, che dopo l’esperienza amarniana Horemheb prediligerà per la propria sepoltura il Libro delle Porte, dove la responsabilità morale del re nelle sue azioni non si sottrae a severe leggi astratte: si tratta probabilmente di una reazione all’eresia amarniana effettuata da un re che ha avuto accesso al trono per carriera politica e non per essere rampollo di una lunga scia di re-dèi25.

§ 5. Riti funebri e corredo

Alcune considerazioni, innanzitutto, si impongono. Pensiamo in primo luogo al fatto che le usanze della popolazione comune possono essere state diverse da quelle della Famiglia Reale di el-Amarna. In secondo luogo è difficile trovare forme “pure” di religione amarniana al di fuori del contesto strettamente legato alla nuova capitale e anche qui con grossi punti interrogativi: nulla ci garantisce che, morto il profeta unico della nuova religione, le forme liturgiche non siano state contaminate da forme tradizionali di pietà; ignoriamo se il corredo funebre trovato nella Tomba Reale rispecchi effettivamente le disposizione dettate da Akhenaten prima di morire. Possiamo limitarci ad analizzare le poche sepolture di Età amarniana, con un occhio di riguardo, se non esclusivo, sulla Tomba Reale. Trarre considerazioni di carattere teologico da elementi del corredo funebre direttamente emanate da Akhenaten, come il sarcofago, l’urna canopica e gli ushabty, certamente approntati ben prima della morte del re, è invece possibile: esse ci mostrano comunque alti gradi di innovazione anche nel campo del corredo funebre. La massima prudenza è invece richiesta per tutti gli elementi che possono essere state realizzate dopo la morte del sovrano e quindi al di fuori del suo controllo dogmatico (mobilio, amuleti, mattoni magici).

§ 5.1. Mummia

M. Gabolde e, in misura minore E. Hornung, affermano che in Età amarniana l’attenzione per la mummificazione venga meno. In effetti ci sono le

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premesse teologiche perché ciò avvenga: l’esistenza materiale del corpo passa in secondo piano rispetto a quella spirituale del ba, che si reca al tempio per partecipare dell’offerta divina; “Dato che l’esistenza conta solo di giorno, alla luce di Aton, la mummia risulta di conseguenza destituita di ogni importanza, così come la rigenerazione del corpo nell’oltretomba”26. E. Hornung fa notare come siano state trovate diverse mummie non eviscerate dell’Età di Amenhotep III e Amenhotep IV a Deir el-Medina (ma è una pratica diffusissima in tutte le epoche e in tutto l’Egitto). È notevole invece come parte dell’iconografia sostituisca la tradizionale venerazione della mummia con la deplorazione del cadavere. Siamo qui di fronte ad una totale inversione di tendenza, in quanto la tradizione guardava con orrore al cadavere, ma con estrema reverenza alla sua forma purificata e santificata, “osiriaca”, cioè la mummia.

La Tomba Reale mostra tre scene molto toccanti di deplorazione di cadavere (sala alfa, parete F, due raffigurazioni; sala gamma, parete A), dove la corte, dalla coppia reale fino al visir passando per diverse donne e funzionari, è riunita sembra in occasione di una nascita trasformatasi però in lutto per la morte della puerpera. Accanto a questo tipo di scena, si affianca quella di venerazione della statua del defunto (sala gamma, parete B; sala F, muro B), provvista di cono di incenso sulla testa e posizionata al di sotto di un ricco baldacchino. Un parallelo viene tracciato con tre frammenti di sarcofago conservati all’Université de Strasbourg (più un quarto frammento al Museo dell’Opera della Primaziale Pisana)27 e mostranti il cadavere di un uomo steso su un catafalco con una donna che gli tocca la testa dicendo: “Piange a causa tua il mio cuore in pianti, io mi lamenterò a causa tua ogni giorno”. Un’altra scena del sarcofago mostra la statua del medesimo defunto, ritratto in piedi, attorniato da due donne in atteggiamento di deplorazione (il braccio destro sul capo, una delle due donne è inginocchiata) e dalla parte inferiore della figura di un uomo con in mano un vaso hes o un turibolo. Una terza scena, replicata sul frammento di Pisa, che ha il vantaggio di recare anche una porzione del testo, mostra il defunto ben abbigliato, seduto su di

26 HORNUNG E., Akhenaten, op. cit., p. 96.

27 Per i frammenti di Strasbourg cfr. GUENTSCH-OGLOUEFF M., Fragment de sarcophage du temps d’Akhenaton, in RdE 4 (1940), pp. 75-80; GABOLDE M., op. cit., p. 108; per il frammento pisano

cfr. AA.VV., Camposanto Monumentale di Pisa. Le antichità, II, Panini, Modena 1984, pp. 47-48 (catalogo edito da S. Pernigotti, con però errata datazione del frammento alla prima XVIII dinastia su precedente errore di W. Helck); GALLO P., Pisa, Strasburgo e un sarcofago post-amarniano, in

EVO 16 (1993), p. 15-17 (per il riconoscimento dell’appartenenza del frammento allo stesso sarcofago dei reperti di Strasbourg, ma ancora con errore di datazione all’Età post-amarniana).

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una ricca sedia e dotato di cono funerario sulla testa mentre protende il braccio verso un tavolo di offerte; il testo recita: “…per il ka del sovrintendente al Tesoro del Signore delle Due Terre Thutmosi. Un’offerta che il re fa: si dà olio in sua presenza, il sovrintendente al Tesoro Thutmosi”28.

Si aggiunge poi l’unica scena di compianto funebre di una mummia in posa osiriaca risalente ad el-Amarna, cioè quella già vista nella tomba di Huya.

M. Gabolde pone l’accento con insistenza sulla reazione sconfortata dell’Età post-amarniana, che emerge in particolar modo dai già menzionati testi di Paatenemheb (Canto dell’Arpista nella Litania di Antef), Neferhotep (TT 49) e Nefersekheru (TT 107): se è condivisibile che questi testi si mostrino pessimisti sull’esistenza di un Aldilà felice e sereno e sottolineino la tenebrosità e l’infelicità o, al più, l’inconoscibilità (in una sorta di agnosticismo) del mondo ultraterreno, mi sembra meno condivisibile l’affermazione secondo cui “le scepticisme sur la finalité de l’embaumement et l’aversion pour le corps momifié n’ont jamais été affirmé avec autant de force”, dato che nessuno di questi testi accenna alle mummie in sé come elemento negativo29.

Infine, bisogna riportare la notizia che nei pressi della Tomba Reale di el-Amarna sono stati trovati i resti ora dispersi di una mummia forse carbonizzata, che al momento venne identificata con quella del faraone vittima di un ostracismo estremo realizzato col fuoco. Le cronache, peraltro assai poco dettagliate, registrano anche il ritrovamento di un teschio, con l’incertezza se si trattasse di un teschio umano e animale30.

§ 5.2. Sarcofago

Il sarcofago di Akhenaten è stato trovato nella Tomba Reale e nelle adiacenze distrutto in minuti frammenti: è opinione comune fra gli studiosi che la devastazione sia stata frutto della damnatio memoriae che ha colpito il re dopo la restaurazione della religione tradizionale, anche se M. Gabolde ha recentemente

28 Bisogna notare che il sarcofago è stato poi usurpato in Età post-amarniana, sovrapponendo a

precedenti titolo e nome quello del Sovrintendente al Tesoro Thutmosi, finora sconosciuto.

29 “(Tu che avevi) numerose genti, tu sei dentro la terra dove la solitudine è apprezzata. Colui che amava allungare il passo per camminare è ostacolato, chiuso nelle bende e immobilizzato. Colui che era ricco in stoffe e amava vestirsi riposa nel suo abito della veglia” (Lamentazione per

Neferhotep, TT 49): in sintonia con la coppia affollamento/solitudine, le bende di lino della mummia (nelle coppie libertà di movimento/immobilità e abiti lussuosi/bende) sono un mezzo per muovere la critica, ma non il fine; cfr. GABOLDE M., op. cit., p. 20.

30 MARTIN G.T., The royal tomb at el-‘Amarna. Vol. I: the objects, Egypt Exploration Society,

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proposto che siano stati gli stessi operai incaricati, al tempo in cui Tutankhamen decise lo sgombero della necropoli, a distruggere il sarcofago per impedire che venisse riutilizzato. Entrambe le ipotesi sono plausibili.

Esso è stato tuttavia ricostruito con buona verosimiglianza all’inizio del secolo scorso ed è ora conservato nel cortile laterale sinistro del Museo Egizio del Cairo (tav. Vc). I nomi didattici dell’Aten, tutti nella loro forma secondaria tranne in un solo caso, suggeriscono una datazione intorno all’anno IX, data in cui si operò l’evoluzione del nome e le due forme probabilmente convissero31.

Se il sarcofago evita accuratamente le tradizionali figure di Anubi e dei quattro figli di Horo, esso presenta tuttavia una particolarità innovativa: l’introduzione delle quattro figure tutelari agli angoli (tav. Vb). Per Akhenaten le immagini sono tutte della Grande Sposa Reale Nefertiti, che i suoi successori sostituirono nei loro sarcofagi con Iside, Nephti, Neith e Selket. Questa novità pone l’accento sulla centralità della figura della regina e sulla importanza teologica della triade Aten-Akhenaten-Nefertiti. In tutte le facciate del sarcofago è infatti presente, in alto e al centro, una rappresentazione del disco solare raggiato. Il modello della figura tutelare come espresso nella Tomba Reale venne adottato dalla dama Ta-aat di Deir el-Medina, che si fece confezionare un sarcofago (di importazione amarniana secondo M. Gabolde) con diversi membri della sua famiglia in scene di offerta (cfr. Cap. 13, § 4.1.1).

Altri frammenti di granito permettono di ipotizzare con certezza un sarcofago preparato per la principessa Maketaten, che aveva un coperchio diverso da quello di Akhenaten. Alla morte della principessa, dunque, si riferirebbero alcune delle scene funebri della Tomba Reale.

Grosso dibattito, in parte smorzato dall’esibizione di Monaco del 200132, sulla bara della tomba KV 55, sicuramente di fattura amarniana. Di tipo rishi (cioè con grosse ali piumate che avvolgono il corpo), realizzata in legno con applicazioni in oro e incrostazioni di pasta di vetro, pietre preziose e semipreziose, mostra una figura dotata di parrucca, barba osiriaca e ureo. La maschera aurea del volto e il cartiglio dell’iscrizione che corre sulla fascia centrale del coperchio sono state asportate in un’operazione di damnatio memoriae avvenuta qualche tempo

31 Anno XIV se si tiene conto della cronologia gaboldiana.

32 GRIMM A. – SCHOSKE S. (A CURA DI), Das Geheimnis des goldenen Sarges, Staatliches Museum

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dopo la morte di Akhenaten. Senza soffermarsi qui sulle iscrizioni, le intenzionali correzioni di genere grammaticale e status sociale del proprietario, basti notare che il tipo rishi è adottato anche da Tutankhamen in tutte e tre le sue bare interne, mentre l’uso della parrucca invece che della nemes sembra adattarsi più a una dama o a un personaggio di rango della corte e trova corrispondenze nei vasi canopi attribuiti a Kiya rinvenuti nella medesima tomba.

Infine, un’ulteriore prova, se si vuole, del rigetto della mummificazione in Età amarniana è che sarcofagi in cui il defunto sul coperchio è ritratto in abiti civili anziché in forma osiriaca compaiono già nella tarda XVIII dinastia.

§ 5.3. Urna canopica

Legata alla discussione se in Età amarniana la mummificazione fosse ancora in uso o meno è anche la presenza dell’urna canopica di alabastro di Akhenaten, trovata in stato altamente frammentario nella Tomba Reale (tav. VIa-b). La disputa si concentra anche sul fatto se le tracce di resina non registrate all’interno dei quattro scompartimenti possano o meno provare un suo mancato utilizzo33.

Indipendentemente o meno dal suo effettivo impiego, è interessante qui vedere quale programma decorativo sia stato scelto per la sua realizzazione. Bisogna tenere presente che l’urna è frutto della ricostruzione effettuata da M. Hamza nel 193934 e che allo stato attuale, a causa dell’incorporazione dei frammenti nella struttura ricostruita, è impossibile capire con certezza cosa fosse originale e cosa sia stato integrato. L’iconografia è densa di simbologie magiche: ad ogni angolo vi è un falcone Ra-Horakhty sormontato dal disco solare, che trattiene negli artigli un amuleto shen; a fianco vi è il doppio cartiglio del dio nella prima forma didattica. La base è ornata di un fregio di amuleti tit (detto anche “nodo di Iside”) e djed alternati (tav. VIb). Le quattro figure tutelari si richiamano alle quattro Nefertiti del sarcofago di Akhenaten, un motivo poi ripreso da tutti i successori (già da Tutankhamen in poi) anche sulle loro urne canopiche.

33 “It cannot automatically be assumed that the ritual feature of pouring bitumen or resin over or in the canopic jars was a regular feature of the funerary rites of the ‘Amarna royal family’”,

MARTIN G.T., op. cit., p. 32).

34 HAMZA M., The alabaster canopic box of Akhenaton and the royal alabaster canopic boxes of the XVIIIth Dynasty, in ASAE 40 (1940), pp. 537-543, tavv. LII-LVI.

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I vasi canopi sono stati trovati allo stato frammentario: i coperchi erano decorati con la testa del sovrano, sulla cui nuca sovrasta la protezione del falcone solare che trattiene negli artigli l’amuleto shen. Secondo il principio del “simile richiama il simile”, per il quale rappresentare o scrivere una cosa è suscitare quella cosa35, ad Akhenaten si auguravano stabilità (djed), continuità nel tempo (shen) e, forse, la protezione di Iside (tit), come dea della magia e moglie del dio dei defunti Osiri. Per certi versi, questa presenza è per noi di difficile interpretazione.

La Tomba Reale ha restituito anche diversi frammenti in alabastro di altre urne canopiche, che, assieme ai frammenti di più sarcofagi, testimoniano come la Tomba Reale fosse una sepoltura collettiva, destinata al Re, probabilmente alla regina madre Tiy e alla principessa Maketaten, e forse ad altre principesse reali. § 5.4. Corredo

Nonostante le massicce devastazioni, per cui quasi nulla di intero è rimasto nella Tomba Reale, i frammenti recuperati dalle diverse missioni di scavo dalla fine dell’Ottocento fino agli ultimi scavi condotti da Martin sono davvero numerosi e ci permettono di farci una pur pallida idea di cosa dovesse essere contenuto nella tomba.

Innanzitutto l’ipogeo ha restituito una serie di oggetti, anche molto antichi, appartenenti a sovrani precedenti, secondo una prassi comune che si riscontrerà, ad esempio, anche nella tomba di Tutankhamen. Questi oggetti sono: un ostracon recante un’iscrizione ieratica con il nome di Nebmaatra (Amenhotep III); un castone d’anello con scarabeo recante il nome di Menkheperra (Thutmosi III) in oro e steatite invetriata; i frammenti di una larga tazza in alabastro con i cartigli di Tiy e Nebmaatra; una tazza in diorite con il nome di Thutmosi III e una tazza carenata in diorite con il nome di Khafra (IV dinastia!).

La parte maggiore del corredo recuperato è costituito da gioielli, in materiale pregiato e di notevole fattura. Ecco l’elenco secondo la pubblicazione di G.T. Martin: un sigillo ad anello in oro con l’iscrizione “Neferneferuaten Nefertiti” sul castone; un anello da dito in oro con una rana e uno scarabeo sul castone, iscritto “Mwt nb.t pt”; un sigillo ad anello in oro con figura di divinità ad

35 “Le signifiant n'est en rien arbitraire mais manifeste et représente l'être ou la chose qu'il signifie”, KOENIG Y., Magie et magicines dans l'Égypte ancienne, Pygmalion, Paris 1994, p. 156.

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intaglio; un sigillo ad anello in oro con Bes fra due segni ankh sul castone; un sigillo ad anello in oro con figura danzante munita di tamburino e amuleto sa (‘protezione’) sul castone; un anello in oro e cornalina con occhio udjat e amuleto sa sul castone; un lustrino a margherita in oro con due buchi; un vago di collana in oro; diversi orecchini a margherita e palmette in oro; diversi elementi di collana in oro (un disco, nove buchi a forma di guscio, cinquantatrè melegrane, una goccia, cinquanta perline di vetro); una collana (sette pendenti di Bes in faïence invetriata blu, vaghi in cornalina, feldspato, vetro e faïence colorati, turchese e quarzo bianco); diversi frammenti di foglia d’oro; uno scaraboide con testa di Hathor in steatite. In materiale meno pregiato sono stati trovati anche: (in faïence) amuleti ed anelli con occhi udjat, urei, fiori di loto, vaghi di collana; (in vetro) diversi vaghi di collana; (in pietra) frammenti di braccialetti; diversi elementi metallici (rame, piombo) più o meno amorfi e infine un amuleto in faïence azzurra con Bes danzante e tamburino. L’utilizzo di parte della simbologia tradizionale nella sepoltura reale mitiga un po’ il senso di austero monoteismo che invece appare piuttosto intransigente in altre forme. Non si deve escludere però che gli oggetti recanti divinità come Mut, Hathor e Bes (tra l’altro popolarissimo anche ad el-Amarna)36 fossero stati interrati con il re e non con Maketaten, di conseguenza introdotti nella tomba in un periodo in cui la maggiore (l’unica?) guida spirituale della religione non aveva più alcun influenza effettiva sulla liturgia da seguire. Sarà il caso, lo si vedrà, dei mattoni magici.

Una nota a parte va dedicata agli scarabei: secondo E. Hornung con la perdita di importanza della mummificazione e della rigenerazione del corpo, venne anche meno l’uso dello scarabeo del cuore, che ne era il simbolo più importante; il suo posto venne preso dall’anello al dito. Al momento non sembra ci siano elementi per smentire o confermare un’affermazione tanto categorica, resta il fatto che nella Tomba Reale sono stati trovati ben tre scarabei (un pezzo ora disperso con base dorata, un secondo pezzo con base in argento e un terzo in steatite invetriata di verde inciso con un pesce e un segno nefer), a cui si

36 Egli è presente nella Tomba Reale anche per un ostracon con iscrizione mutila che lo raffigura

dotato di una clava; è un prodotto degli operai che lavoravano alla tomba? Essi hanno lasciato anche altre tracce nella zona: due mazzuoli in pietra, un coltello di pietra grezza, due chiodi in metallo, un frammento di coltello in bronzo e due cunei di legno.

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aggiungano lo scarabeo del Museo Egizio di Torino (5993) e, forse, uno scarabeo del Museo Nazionale di Palermo (18405)37.

La tomba era probabilmente riempita di vasellame con offerte di cibo: si contano diversi frammenti di vasi, piatti, tazze, giare, orli, abbeveratoi e anse in alabastro, tre frammenti di vasi hes, otto frammenti di altri vasi, due frammenti di coppe, trentanove altri frammenti di vasi e ventuno frammenti di anse in faïence, un’ansa in legno, una giara, un vaso dipinto di azzurro, una piccola tazza dipinta e tre frammenti di anfore in ceramica, un frammento di vasellame in calcare e il coperchio di una tazza in diorite.

Per i pezzi del mobilio, sono stati trovate due teste di leone di lettino funerario in calcare e diversi elementi d’intarsio in faïence, vetro e alabastro. A ciò si aggiungano tre frammenti di cofanetti sempre in faïence e un frammento in alabastro. In questo tipo di scatole, che dovevano essere piuttosto numerose, dovevano essere conservati oggetti come un modello di bastone in legno con l’iscrizione “Figlio di Ra, Akhenaten”, un modello di barca sempre in legno, uno zoccolo con parte di zampa di una figurina in legno di bovino, rotto nella parte posteriore, un secondo modello di bastone in faïence azzurra con un occhio udjat e i cartigli del re e un terzo dello stesso materiale e colore con i due cartigli del re.

Elementi di piccole sculture (al di fuori degli ushabty, ovviamente), sono emersi nel corso degli scavi: si tratta del torso e collo di una statua con doppio scettro, dell’altezza di 8 cm e con i cartigli del primo nome didattico dell’Aten, di un orecchio e parte della guancia di una statua (dimensioni 8 x 2 cm), della barba cerimoniale di un’altra statua (altezza 6,5 cm), di un frammento di testa (parte bassa e orecchio sinistro mancanti) di una scultura in calcare e della punta della Corona Bianca di un’ultima scultura. Di difficile interpretazione il cosiddetto “calco funebre” del re trovato da M.W.F. Petrie. Scrive lo studioso britannico: “The purpose of making the cast of his head after death is also obvious, as it would be needed for making correct images for his ka, and as a model for the inner coffin of wood and ushabtis” 38. Dalla Tomba Reale proviene anche un delizioso rilievo di adorazione del Disco da parte della Famiglia Reale oggi conservato al Museo Egizio del Cairo.

37 Si tratta di uno scarabeo in diorite verde tipologicamente accostabile all’esemplare torinese; cfr.

TULLIO A., Saggio sulla topografia e sulle antichità di Cefalù, in «Kokalos» 20 (1974), p. 124. 38 PETRIE W.M.F., Tell el Amarna, Methuen & Co., London 1894, p. 18; una bella fotografia è

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Alcuni elementi iscritti permettono allo stesso modo di ritenere che nella Tomba Reale fossero inserite delle provvigioni alimentari affatto dissimili da quelle delle sepolture tradizionali: si tratta di un ostracon di ceramica datato all’anno VI probabilmente di Akhenaten, di una giara per vino in ceramica iscritta a nome del Sovrintendente al Magazzino del Tempio dell’Aten in Akhetaten, di un sigillo di fango con l’iscrizione “[Vino?] della Casa dell’A[ten]”, di un ostracon in ceramica con datazione forse all’anno XVII (di Akhenaten) e la menzione di una partita di šdḥ, vino di melegrane.

Del corredo appartenente a personaggi privati (escludendo le tombe di Menfi, che verranno trattate a parte), possiamo solo citare un frammento di sedia (ora disperso) e un cubito (conservato al Museo di Liverpool) appartenuti a Nakhy, Servitore della Sede della Verità ad ovest di Akhetaten, sepolto a Deir el-Medina.

Si è visto come nella tomba di Huya fosse indicato, almeno a livello figurativo, il corredo che il funzionario aveva predisposto per la propria tomba: scatole, vasellame di diverso tipo, un lettino, due sedie e due sgabelli, cofanetti, un cocchio intero, sandali e bastoni, due tabernacoli a slitta oltre che a pile di pani e altre offerte alimentari39.

§ 5.5.1. Ushabty regali

Dell’Età amarniana possediamo sia un buon numero di ushabty del re (tav. VIIa-b) sia una sufficiente porzione, certo minore rispetto alle altre epoche, di ushabty di privati. Entrambe le categorie sono state compiutamente studiate da G.T. Martin in due separate pubblicazioni40.

Dalla Tomba Reale di el-Amarna, dai cumuli di sterro presso l’ipogeo e da alcune officine urbane provengono ben 206 (+2) ushabty di Akhenaten in alabastro (5), faïence (29), granito (47), calcare (57), quarzite (22) e arenaria (44+2) e un solo ushabty di Nefertiti. Gli ushabty di Akhenaten sono di tipologie ben distinte: essi possono portare il copricapo nemes, il copricapo khat, la parrucca tripartita o “arcaica” e la parrucca nubiana. Nelle mani tengono i seguenti emblemi: il geroglifico ankh; lo scettro heqa nella destra e il flagello

39 DAVIES III, tav. XXIV.

40 MARTIN G.T., The royal tomb: the objects, op. cit.; MARTIN G.T., Shabtis of private persons in the Amarna Period, in MDAIK 42 (1986), pp. 109-129.

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nekhekh nella sinistra; lo scettro heqa nella sinistra e il flagello nekhekh nella destra; niente.

Alla lista fornita da Martin, tuttavia, posso ora aggiungere altri sei ushabty frammentari: si tratta di una delicata testina in quarzite dipinta, dove il re è ritratto con la nemes e di un’altra statuetta, mancante della parte dal bacino in giù, sempre in quarzite, dove il re reca la nemes sul capo, lo scettro heqa nella mano sinistra e il flagello nekhekh nella mano destra, esposti alla mostra Il cammino di Harwa. L'uomo di fronte al mistero: l'Egitto41 di Brescia nel 1999. Gli altri quattro sono pubblicati nel catalogo di una mostra tenutasi a Pamplona, El toro Apis, e appartengono tutti ad una collezione privata; di nessuno dei sei Martin reca notizia nelle tavole complete della sua pubblicazione.

I ritratti non sono in I stile amarniano; in ogni caso è possibile notare delle differenze fra le varie rese somatiche del volto. Se non è plausibile che il re abbia preso ushabty confezionati per dei predecessori (lo stile tradisce l’epoca), è possibile che questi siano stati fatti per diverse persone e poi aggregati al corredo del re, come è avvenuto per quelli molto noti di Tutankhamen. La produzione massiccia di questo tipo di manufatti, tuttavia, sconsiglierebbe anche questa seconda soluzione e spiegherebbe le differenze con un semplice cambio di mano o di bottega. Martin, tuttavia, ha classificato ushabty non iscritti provenienti un po’ da tutto lo Wadi Reale, dove non è escluso che ci siano altre sepolture (oltre alle poche, non finite, tombe che sono state ritrovate).

Particolare attenzione meritano i testi che le statuette recano. Prima di riportarli possiamo già anticipare che nessuno di essi si riferisce a formule tradizionali, ma vi sono semplicemente incisi i nomi e i titoli del re. L’unica “anomalia” testuale sembrerebbe essere il perdurare dell’espressione maa heru, ‘giusto di voce’, ‘giustificato’, in relazione con il giudizio oltremondano di Osiri; è tuttavia possibile che all’epoca di Akhenaten la parola avesse perso il significato originario per assumere quello più semplice di ‘defunto’, ‘beato’. Il giudizio dell’editore: “[They] are almost unique in the royal series of the Eighteenth Dynasty in bearing simply a column of inscription giving the king’s titulary, accompanied by one or more epithets. Though the Osirid form of the shabti was

41 TIRADRITTI F. (A CURA DI), Il cammino di Harwa. L'uomo di fronte al mistero: l'Egitto, Electa,

Milano 1999, fotografie alle pp. 45 e 48. I miei sentiti ringraziamenti all’autore, che, nel corso di un colloquio informale al Cairo, mi ha reso nota l’esistenza degli altri quattro frammenti che ignoravo.

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retained in the Amarna Period, naturally Akhenaten is not referred to as an Osirid in these texts. The use of the phrase “true of voice” in text D and F is also unexpected in view of the Osirian ideas underlying the conception of «justification»”42.

- Testo A, “Nswt bỉt.y (Nfr-ḫpr.w-Rc Wc-n-Rc)|, sA Rc (Aḫ-n-’Itn)|, cA m cḥc.w=f”, (“Il Re dell’Alto e del Basso Egitto, Neferkheperura Uaenra, Figlio di Ra, Akhenaten, grande di durata di vita”).

- Testo B, “Nswt bỉt.y cnḫ m mAct, nb tA.wy (Nfr-ḫpr.w-Rc [Wc-n]-Rc)| […]”, (“Il Re dell’Alto e Basso Egitto vivente nella Verità, il Signore delle Due Terre, Neferkheperura Uaenra […]”).

- Testo C, “HqA nfr, cnḫ m mAct, nb tA.wy (Nfr-ḫpr[.w]-Rc [Wc-n-Rc])| […]”, (“Il principe buono, vivente nella Verità, il Signore delle Due Terre, Neferkheperura Uaenra […]”).

- Testo D: “[…] ([Nfr-ḫpr].w[-Rc] Wc-n-Rc)| sA Rc, cnḫ m mAct (3ḫ-n-’Itn)|, cA m

cc.w=f, mAc ḫrw”, (“[…]Neferkheperura Uaenra, Figlio di Ra, vivente nella

Verità, Akhenaten, grande di durata di vita, giusto di voce”).

- Testo E: “[…] cnḫ m mAct, nb tA.wy, (Nfr-ḫpr.w-Rc Wc-n-Rc)|, sA Rc, cnḫ m mAct, nb[…]”, (“[…] vivente nella Verità, il Signore delle Due Terre, Neferkheperura Uaenra, Figlio di Ra, vivente nella Verità, il Signore […]”).

- Testo F: “[…] sA [Rc], cnḫ m mAct, nb ḫA.w (Aḫ-n-’Itn)|, mAc ḫrw”, (“[…]Figlio di Ra, vivente nella Verità, Signore delle Corone, Akhenaten, giusto di voce”).

Per la serie regale, si aggiunga l’unico ushabty di Nefertiti: (“[…]=f ḥm.t nswt wr.t, (Nfr-nfr.w-’Itn Nfr.t-ỉỉt.y)|, cnḫ.t ḏt”; “[…] di lui, la Grande Sposa Regale, Neferneferuaten Nefertiti, vivente per sempre”) e ben undici ushabty non finiti (tutti dalle officine urbane, mentre nessun ushabty finito è stato restituito dalla città).

§ 5.5.2. Ushabty privati

Nell’analizzare gli ushabty privati43, ed estendendo la considerazione a quelli regali, G.T. Martin sottolinea l’estremo conservatorismo della cultura

42 MARTIN G.T., op. cit., vol. 1, p. 40.

43 Dal catalogo di Martin, che a suo dire ha comunque natura provvisoria, è sfuggiti almeno un

ushabty: il n. 1383 del Museo Gregoriano Egizio della Città del Vaticano, appartenente a Peripaur (wr swnw m st MAct t, Capomedico nella Sede della Verità, e wt, preparatore di balsami), cfr.

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egiziana, che mantiene l’utilizzo di questo tipo di equipaggiamento anche nella nuova religione. “The use of shabtis as such in the Amarna era is perhaps not altogether surprising, but their employment in mummiform Osirid guise, in both royal and private examples, rather than for instance in the dress of daily life, is somewhat remarkable. The use of Osirid figurines thus throws an interesting sidelight on the religious climate of the period, suggesting that Osiris was not one of the deities especially singled out for vilification”44: in effetti la figura mummiforme contrasta con quanto rilevato sopra (e condiviso con la ricostruzione teologica di E. Hornung e M. Gabolde) sia per quanto riguarda il rigetto della mummificazione come pratica di conservazione del corpo sia come il rigetto di ogni riferimento osiriaco nella religione funeraria. Tuttavia, si noti che solo gli ushabty e pochissimo altro rappresentano una debole concessione al mondo funerario di matrice osiriaca e ritengo un po’ semplice ritenere che “Osiris was not one of the deities especially singled out for vilification”, dato che da protagonista dell’oltretomba viene relegato a semplice ispiratore per statuette funebri.

Martin ha rilevato le seguenti cinque categorie di ushabty amarniani: - A, ushabty di Età amarniana recanti la formula ḥtp dỉ nswt o il cosiddetto “testo standard amarniano” incorporante la ḥtp dỉ nswt;

- B, ushabty di Età amarniana recanti una formula all’Aten o il titolo e l’abituale testo funerario estratto dal Capitolo VI del Libro dei Morti;

- C, ushabty di Età amarniana recanti il titolo e il nome del possessore senza altre iscrizioni;

- D, ushabty di Età amarniana senza iscrizioni;

- E, ushabty contemporanei o pressoché contemporanei all’Età amarniana recanti il testo standard dal Capitolo VI del Libro dei Morti.

I pezzi delle prime due categorie sono i più interessanti per le ricerche di carattere teologico; i restanti ci saranno utili, invece, per gli approfondimenti

Orientalistische Literaturzeitung 26, Berlin1923, pp. 421-424. Un secondo oggetto è esposto nella sezione egizia del Civico Museo Archeologico del Castello Sforzesco di Milano (E 0.9.40159): si tratta di una bella statuina in legno dipinto appartenente ad Amenmesse (proprietario della TT 9), “incantatore di Serqet nella Sede della Verità”; lo stile è prettamente amarniano, anche se nel testo (che si accompagna al Capitolo VI del Libro dei Morti) non c’è alcun riferimento all’Età di Akhenaten; cfr. TIRADRITTI F. (a cura di), Sesh. Lingue e scritture nell’antico Egitto. Inediti dal Museo Archeologico di Milano, Electa, Milano 1999, p. 124. Si tratta probabilmente di una

imitazione arcaizzante dello stile amarniano.

Riferimenti

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