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1. Lo sviluppo drammatico dei Captivi e il ruolo di Ergasilo

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Academic year: 2021

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1. Lo sviluppo drammatico dei Captivi e il

ruolo di Ergasilo

Organizzata in un intreccio complesso e, come vedremo, non privo di difficoltà, la fabula dei Captivi è questa: Stalagmo, schiavo dell'etole Egione, si è dato alla fuga portando con sé il figlioletto di lui, Paegnion, e si è rifugiato in Elide. Lì ha venduto il bambino al ricco Teodoromede, che gli ha cambiato il nome in Tindaro e l'ha regalato come servo personale a suo figlio Filocrate, della stessa età (press'a poco quattro anni). I due fanciulli sono cresciuti insieme, uniti da un saldo rapporto di affetto e lealtà, mentre a Egione è nato un altro figlio, Filopolemo. Trascorsi vent'anni, nel corso di una guerra tra Elide ed Etolia5, sia Filopolemo che Filocrate e Tindaro sono stati fatti prigionieri dai rispettivi nemici. A questo punto ha inizio l'azione narrata dalla commedia: il vecchio Egione, che si è dato al commercio di prigionieri di guerra elei nella speranza di poterli utilizzare come merce di scambio per riavere suo figlio, ha acquistato proprio Filocrate e Tindaro. I due decidono di

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Secondo Lefèvre, pp. 31-2 (che ipotizza una materia romana come livello più profondo della struttura dei Captivi), lo scontro tra Elide ed Etolia doveva inequivocabilmente richiamare alla

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scambiarsi i ruoli, per far sì che il padroncino, fingendosi servo, abbia la possibilità di tornare in patria a trattare il riscatto (vale a dire lo scambio con Filopolemo, attualmente schiavo di un cliens di Teodoromede). Il piano ha successo ma, una volta partito Filocrate, Egione si accorge dell'inganno e per punizione spedisce Tindaro ai lavori forzati in una cava. Filocrate, tuttavia, tiene fede alla parola data e ritorna dall'Elide portando con sé non solo Filopolemo, ma anche Stalagmo. Grazie alla testimonianza del vecchio servo fuggiasco, i pezzi del mosaico si ricompongono, e così Tindaro, riconosciuto come figlio, riconquista la libertà.

Questi gli eventi principali. Ma sin dall'inizio della commedia la vicenda principale, fatta di affetti profondi, lealtà e spirito di abnegazione, si intreccia con le comiche peripezie del perennemente affamato Ergasilo, “protetto” del giovane Filopolemo e quindi disperato per la sua assenza (che per lui significa assenza di cibo). Il parassita scorrazza tra la casa di Egione (che fa costantemente da sfondo alla scena), il foro e il porto, sempre in cerca di un pasto da scroccare, finché, in modo del tutto imprevisto, non diviene primo testimone e annunciatore dell'arrivo della nave che riconduce a casa Filopolemo. La lieta novella che porta viene dunque ricompensata da Egione con l'assegnazione dell'incarico di cellarius, in pratica la garanzia di un accesso perpetuo e incondizionato alla dispensa del ricco senex.

La struttura drammatica dei Captivi ha sempre costituito un nodo estremamente problematico per gli studiosi. La commedia presenta infatti numerose difficoltà e

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incongruenze anche piuttosto gravi a livello di drammaturgia, trama e motivazione dell'azione scenica, che sono state oggetto di letture molto diverse da parte degli interpreti moderni.

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1.1 Problemi di drammaturgia. L'opera

A livello di impianto generale, i Captivi si presentano come un testo piuttosto lento, caratterizzato da ripetute “spiegazioni”6, principalmente volte a far sì che il pubblico comprenda bene il complicato intreccio e acquisti familiarità con l'inversione di ruoli Tindaro/Filocrate7. L'azione scenica è ridotta al minimo (e sostanzialmente limitata alla scena del riconoscimento di Tindaro da parte di Aristofonte, vv. 533ss.), e la commedia avanza per lo più a mezzo di lunghi dialoghi “statici” e monologhi8. In più, i vari nuclei narrativi (o “movimenti”, secondo la definizione di Taladoir9) appaiono piuttosto slegati tra loro, in particolare il thread relativo al parassita. Il filone analitico della critica ha identificato inoltre tutta una serie di problemi inerenti a passi ben precisi:

6 Cfr. Taladoire p. 104. 7 Cfr. Viljoen 45, n.28. 8

I Captivi contengono otto monologhi di una certa estensione, di cui quattro pronunciati da Ergasilo (vv. 69-109, 461-97, 768-80, 901-8), due da Egione (vv. 498-514, 751-63), uno da Tindaro (vv. 516-32) e uno dal puer (vv. 909-21), senza contare i numerosissimi a-parte e la messinscena di Ergasilo, che dal v. 790 al v. 832 sostanzialmente monologa (nonostante Egione sia in scena e intervenga con degli a-parte).

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• I due captivi, Filocrate e Tindaro, fanno sicuramente la loro comparsa già al v. 1 (hos quos uidetis stare hic captiuos duos). Il fatto che la recita del prologo da parte del prosopon prologizon avvenga alla muta presenza di uno o più protagonisti del dramma non costituisce di per sé un'anomalia10, ma il problema è: fino a quando restano in scena i prigionieri? I commenti non affrontano esplicitamente la questione, anche se sulla base delle didascalie sembra di poter concludere che Ussing, Schoell, Lindsay, Havet ed Ernout facciano uscire Filocrate e Tindaro insieme al prologo, al v. 68. Scandola11 e Blaensdorf12, tuttavia, ipotizzano che i due rimangano in scena fino al v. 124, dopo il quale uscirebbero, scortati dal lorarius: si avrebbe così una duplice presenza muta, che andrebbe a coprire il prologo, il primo monologo di Ergasilo e il dialogo tra Egione e il carceriere. Si tratta di un'ipotesi che – è lo stesso Blaesendorf13 ad ammetterlo – “parrebbe insopportabile a qualunque regista, non solo ai filologi”, ma che se non altro ha un utile valore “diagnostico”, segnalando il problema della mancanza di segnali testuali relativi ai movimenti dei due uincti, i cui spostamenti dovevano d'altronde essere piuttosto complessi, date le enormi catene che avevano addosso (cfr. v. 113, istas maiores).

• Il testo non ci informa circa il momento esatto dello scambio di identità tra i due prigionieri. Ernout si pone il problema14, parlando di conditions vraiment ètranges dans lequelles Tyndare et Philopolème ont pu, sans étre vus ni

10

Basti pensare al prologo delle Eumenidi di Eschilo, con l'intero coro delle Erinni addormentate. 11

P. 105: “Lo sferzatore, dopo aver slegato dalla colonna i due prigionieri che vi si trovavano, li conduce in casa”. 12 Pp. 61s. 13 Ibid. 14 Ernout p. 87.

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soupçonnés, procéder à un échange de personnes, e Viljoen15 gli risponde con la proposta che l'inganno sia stato progettato e messo in atto già prima del loro acquisto da parte di Egione16.

• Questo problema, d'altronde, si accompagna a quello sollevato dal v. 37, commutant vestem et nomina, e dal v. 39, huius ille, hic illius hodie fert imaginem: anche non volendo considerare imaginem come equivalente a persona, “maschera”17, sembra evidente che l'inversione di ruoli sia in qualche modo visibilmente segnalata da una corrispondente inversione di costumi. Secondo Blaensdorf18, l'uso dei presenti commutant e fert indica che Tindaro e Filocrate non hanno già portato a termine lo scambio, e dunque arrivano in scena con indosso ognuno i propri vestiti. L'inversione di ruoli avverrebbe quindi – fuori scena – solo dopo il loro rientro nella casa di Egione (quindi, per Blaensdorf, dopo il v. 124), e dopo la loro liberazione dalle catene più pesanti (cfr. v. 112s., is indito catenas singularias / istas, maiores, quibù sunt iuncti, demito). In questo modo il pubblico avrebbe modo di “abituarsi” alla vera identità dei due giovani, per poter poi apprezzare meglio e seguire consapevolmente il resto della vicenda19.

Secondo Viljoen, invece, nulla avverrebbe sulla scena, per tre possibili ragioni: o il prologo semplicemente sbaglia20; o nessuno dei personaggi

15

Viljoen, p. 47 16

Dello stesso avviso è Paduano, p. 63. 17

L'idea è di Duckworth, p. 94. 18

Blaensdorf, pp. 62s. 19

La posizione di Blaesendorf, in realtà rimasta isolata, è a mio parere contraddetta dai vv. 38-39 in cui immediatamente dopo il già citato commutant (che quindi andrebbe tradotto come un commutent), il prologo dice: illic uocatur Philocrates, hic Tyndarus: / huius illic, hic illius hodie fert imaginem. Se commutare, indicando un'azione, può forse avere una qualche connotazione di futuro, fert imaginem al presente non può che indicare uno status già in atto alla presenza di chi parla (cfr. anche la serie di deittici).

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della commedia indossa un costume particolare che lo identifichi (per cui non c’è niente da scambiare); o entrambi i captivi sono vestiti “da prigionieri”, cioè allo stesso modo.

• Lo scambio di ruoli tra schiavo e padrone è parso spesso insufficientemente motivato a livello drammatico21: Filocrate e Tindaro, infatti, hanno già pianificato sin dall'inizio della commedia la sostituzione che permetterà la fuga del giovane padrone, ma in realtà non verranno a conoscenza delle intenzioni di Egione (di usarli cioè come moneta di scambio per riscattare Filopolemo) fino alla seconda scena del secondo atto. Per Lefèvre la fallacia, drammaturgicamente inverosimile sotto tutti i punti di vista, non è altro che un semplice trucco che consente al poeta di inserire il tema a lui caro dell'inganno al senex. Di opinione diversa è Viljoen22, per cui all'origine dell'espediente sarebbe la paura della richiesta da parte di Egione di una somma troppo elevata: travestito da schiavo, Filocrate avrebbe potuto chiedere il permesso di tornare in Elide per negoziare il riscatto per il suo padrone, e se anche la richiesta fosse stata rifiutata dal vecchio Teodoromede, il più “costoso” dei due prigionieri a quel punto sarebbe stato già libero23.

• Alla fine del dialogo con il lorarius, Egione manifesta il desiderio di recarsi a casa del fratello per controllare gli altri suoi prigionieri (vv. 126-7 ego ibo ad fratrem ad alios captiuos meos; / uisam ne nocte hac quippiam turbauerint), ma viene interrotto dall'intervento di Ergasilo. I due dialogano fino al v. 191,

al v. 37 vestem in sortem. 21

Cfr. p. es Langen 1886, pp. 117ss. e Lefèvre 1998, p. 29. Ernout, p. 87, parla di inutilité de cette substitution.

22

Viljoen 1963, 48s. 23

Antonsen-Resch, p. 74, fa notare come lo scambio di persona sia anche il presupposto della successiva punizione di Tindaro da parte del padre inconsapevole.

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dopo di che Egione fa capire di aver improvvisamente cambiato programma, e rientra in casa dicendo ibo intro atque intus subducam ratiunculam, / quantillum argenti mi apud trapezitam siet. / Ad fratrem quo ire dixeram mox iero. Ma nel dialogo con il parassita non c’è traccia non solo di questo ripensamento, ma nemmeno delle ragioni che lo hanno indotto. Semplicemente, segnalano gli analitici24, Plauto aveva bisogno qui di “tagliare” e far sì che Egione tornasse dentro25. Il motivo addotto, d'altronde, è piuttosto labile: perché mai il ricco senex dovrebbe tornare in casa per verificare in questo momento le sue finanze? Secondo Antonsen-Resch26 il vecchio intende verificare lo stato dei suoi risparmi perché è preoccupato della spesa necessaria per saziare il vorace parassita; Viljoen27, che pure sostanzialmente concorda, aggiunge che il bilancio di Egione potrebbe essere traballante a causa dell'“acquisto intensivo” di prigionieri. Tra le varie posizioni, spicca per equilibrio quella di Leo28, per cui l'intera scena serve in sostanza “solo all'introduzione di Egione e alla descrizione dello stato d'animo nelle figure contrastanti del padre e del parassita”.

• È parso strano29 che Egione si ponga il problema di verificare in qualche

24

Cfr. p. es. Hough 1942, pp. 27-9. 25

Sempre Hough, ibid., spiega l'incongruenza come dovuta all'inserimento da parte di Plauto delle scene con il parassita.

26

Pp. 75s. Cfr., per un'opinione opposta, Lefèvre 16. 27

P. 54. Sull'inquadramento generale del problema relativo alle entrate e uscite di Egione cfr. sempre Viljoen pp. 53-5.

28

P. 203 29

Cfr. p. es. Norwood 1932 p. 88, Lefèvre pp. 19 e 30 e, per un'opinione diversa, Blaensdorf, p. 63, la cui confutazione è in realtà piuttosto debole: “Questa ricerca non è tardiva perché Egione crede d'essere ancora in possesso di Filocrate. Quanto a lui, non ha perso ancora niente”. Se proprio si vuol trovare una motivazione psicologica al comportamento di Egione, sarà più verosimile supporre che egli, nella sua ansia di riavere il figlio, si sia lasciato inizialmente “ubriacare” dagli

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modo l'identità del presunto Filocrate (in realtà Tindaro) solo al v. 459 (eadem percontabor ecquis hunc adulescentem nouerit), vale a dire dopo aver già affidato “sulla fiducia” l'incarico di mediatore al falso schiavo, e che effettui la verifica solo dopo essersi in prima persona occupato della partenza del prigioniero (cfr. vv. 505ss.).

• Sotto mentite spoglie, il vero Filocrate parte per l'Elide presumibilmente subito dopo il v. 460 (sequere te, te ut amittam). Al v. 496 (nunc ibo ad portum hinc) Ergasilo si avvia verso il porto e, al suo ritorno (v. 768), porta la notizia dell'arrivo della nave con a bordo anche Filopolemo e Stalagmo. Ciò significa che Filocrate, nello spazio di poco più di trecento versi (mezz'ora in teatro, nella stima di Blaensdorf30), è partito dall'Etolia, è giunto in Elide, ha cercato suo padre, gli ha raccontato tutta la storia, è venuto a sapere del figlio rapito di Egione, ha rintracciato e preso con sé Stalagmo, è andato da Menarco, l'ha convinto a liberare Filopolemo ed è ritornato in Etolia. Per dirla con Duckworth31, siamo probabilmente di fronte a uno dei most striking example[s] of the lapse of dramatic time.32

elevati discorsi dei due captivi (v. 419, hominum ingenium liberale!), e che solo in seguito, per semplice scrupolo, abbia pensato di adottare qualche precauzione. Si spiega così anche l'ordine dato ai servi di custodire il falso Filocrate: se prima, in un impeto di fiducia, il senex aveva addirittura fatto togliere le catene anche al prigioniero che non doveva partire (v. 354-5 solvite istum. Atque utrumque, e segg.), ora dà ai servi l'ordine di non allentare la sorveglianza (vv. 456-7, servate istum sultis intus, serui, ne quoquam pedem / ecferat sine custode). Ad ogni modo, è chiaro che la motivazione principale è di ordine drammaturgico: la scoperta dell'inganno porterà alla punizione di Tindaro, facendo sì che lo scioglimento della vicenda slitti ulteriormente dopo il ritorno di Filocrate. Cfr. comunque l'articolata trattazione di Viljoen, p. 52.

30 P. 64. 31

Duckworth 1952, p. 132. Ma questo trattamento disinvolto del tempo narrativo era già stato denunciato nel nel 1580 dal Muretus.

32

Cfr. però, ad esempio, gli Acarnesi di Aristofane, in cui Anfiteo va e torna due volte da Atene a Sparta tra il v. 132 e il v. 175, o l'Heautontimoroumenos, in cui tra un atto e l'altro trascorre un'intera

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• Analogamente, Tindaro viene spedito extra portam ai lavori forzati al v. 750, ma ritorna in scena meno di 250 versi dopo, dando a intendere di aver soggiornato in lapicidinis abbastanza da sperimentarne le sofferenze (cfr. vv. 998ss.)33.

• Filocrate non sapeva che Tindaro era figlio di Egione, né che era stato rapito da piccolo, né che l'autore del rapimento era Stalagmo, né che Stalagmo era uno schiavo fuggiasco di Egione. Molto probabilmente non era nemmeno a conoscenza dell'esistenza stessa di Stalagmo, che aveva avuto a che fare con suo padre solo vent'anni prima. Ma allora, anche prescindendo dalle difficoltà cronologiche, non si spiega né perché l'abbia cercato, né come abbia fatto a rintracciarlo34.

• La conclusione dell'anagnorisis al v. 1023-4 (nunc edepol demum in memoriam regredior audisse me, / quasi per nebulam, Hegionem meum patrem uocarier) appare irrimediabilmente frettolosa, nonché povera dal punto di vista della caratterizzazione emotiva (cfr. p. es. scene analoghe nella Rudens o nell'Epidicus)35.

notte. 33

Secondo Lowe, pp. 23-5, questi salti cronologici corrisponderebbero ai punti in cui il modello greco utilizzato da Plauto conteneva degli intermezzi corali (comuni nella commedia nuova come strumenti per il riassorbimento del tempo scenico, cfr. Gaiser 1972, p. 1037 sg.).

34

Cfr. Antonsen-Resch, p. 71, Viljoen 46 n. 34 e 57s., Leach 1969, 293-296. 35

Cfr. Antonsen-Resch p. 71, Leach p. 293. Ancora una volta eccessivamente psicologistica la soluzione proposta da Blaensdorf, p. 64: “Ma un bambino di quattro anni conosce già assai bene i nomi del padre e della madre, ed è ancora più credibile che il ricordo si risvegli grazie all'aiuto di altre persone”.

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Prima di passare all'analisi dei problemi drammaturgici che coinvolgono il personaggio di Ergasilo, sarà il caso di soffermarsi un attimo sulle questioni che abbiamo sommariamente presentato.

Si tratta indubbiamente di incongruenze reali, alcune anche particolarmente “gravi” dal punto di vista della coerenza drammatica. Ma il rischio che si corre nell'affrontarle è quello di adottare il metodo di un'agguerrita critica analitica, che si limiti a smontare verso per verso la commedia, sottolineandone imperfezioni e contraddizioni in nome della möglichkeit fattuale e psicologica36. Non solo: anche chi si oppone a questo approccio si ritrova spesso a contestarlo sul suo stesso campo e nei suoi stessi termini37.

Da entrambe le parti, quindi, si finisce per cadere in un patologico iperrazionalismo, che pretende di applicare al teatro plautino categorie (prima tra

36

Sull'esempio dell'“avversario” (forse fittizio) confutato da Lessing. Cfr. anche, con finalità e conclusioni diverse, Lefèvre. Un esempio dell'impianto concettuale sotteso a questo tipo di critica è dato dalle parole di Krysiniel-Josefowicz 1954, 159: [in Grecia] both the tragedy and the comedy attained a degree of perfection where certain postulates of dramatic technique could not possibly be overlooked. Therefore, wherever we come across any trangression of the rules of dramatic technique we mai infer that Plautus changed the plot of the original. Si tratta praticamente di una parafrasi di un passo di Fraenkel, che scriveva (ugualmente senza addurre riferimenti precisi): La tecnica della Commedia Nuova nella sua piena maturità, dalla quale deriva tutto il teatro superstite di Plauto, è, secondo l'opinione pressoché unanime degli esperti, sorprendentemente fissa nell'insieme. Se in Plauto e solo in Plauto si trovano gravi violazioni della prassi drammatica che si riscontra nei resti degli originali, non è lecito attribuirle agli originali.

Già nel 1911, tuttavia, Wilamowitz (SB Akad. Berlin 21, 1911, 485ff.) rimproverava a Leo l'uso delle incongruenze per identificare i distacchi dai modelli greci, dimostrando la presenza di analoghi difetti drammatici, ad esempio, nelle Vespe di aristofane (per cui evidentemente non ha senso parlare di contaminatio).

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tutte quella di una presunta verosimiglianza assoluta) ad esso estranee, e dunque non pertinenti in sede critica.

Per tutto un filone di studi, poi, l'analisi di contraddizioni e inesattezze sta alla base della definizione dei rapporti tra Plauto e la commedia greca, anche in questo caso in due direzioni: secondo una prima, più fortunata, corrente di pensiero38, quelli che appaiono come “errori” in realtà non sarebbero altro che spie di suture, ampliamenti o comunque interventi di vario genere operati da Plauto su materiali testuali comici risalenti a un ambito ellenico; per Eckard Lefèvre e la sua scuola39, invece, le incongruenze dimostrerebbero proprio che la struttura dei Captivi von A bis Z von Plautus ist40.

A queste tendenze ha provato a reagire Viljoen, di cui varrà la pena citare per esteso un passo particolarmente significativo:

The first unjustified basic assumption is that all the Greek originals of New Comedy were dramatically perfect and flawless, and that all defects – inconsistencies, repetitions, inadequate motivations or explanation – in the plot and the structure of the Latin plays are due to the Roman adapter. But there is no a priori reason for this assumption and even the preserved remnants of New Comedy show us that these models were not always so flawless. There is, moreover, no reason why the Greek comic poets themselves could not have borrowed or 'contaminated' from plays of their predecessors, their contemporaries or themselves, particularly in view of the general sameness in plot that characterised New Comedy. On the other hand, there is as little reason for assuming clumsiness and lack of technical skill as the peculiar mark of Roman comic poets: the

38

Il primo a muoversi in questa direzione fu Ladewig, p. 55, seguito da nomi come Leo, p. 203, e Fraenkel, p. 236ss..

39

Cfr. Maccus Barbarus, e in particolare il saggio introduttivo, dello stesso Lefèvre. 40

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mere fact that the Roman adapter is often credited (or debited!) with quite intricate and far-reaching changes in the whole structure and set-up of the Greek original seems in itself a refutation of this supposed lack of dramatic skill and enterprise. Add to this the fact that many passages with an obviously strong Roman colour, and therefore probably Roman originality, excel in power of expression, lively wit, vivacious farcicality and dramatic momentum in a way which certainly does not suggest the hand of a clumsy, unskilful and boorish bungler and botcher.

In the second place, the criteria for determining flaws and inconsistencies are quite arbitrary and subjective and differ from one scholar to the next .

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1.2. Problemi di drammaturgia. Ergasilo

Passiamo dunque ad analizzare la funzione del personaggio del parassita nell'economia della commedia, partendo anche stavolta dal rilevare alcune incongruenze drammaturgiche.

• Al suo ingresso Ergasilo recita un lungo monologo, in cui fornisce tutta una serie di dati “da prologo”, relativi agli antefatti dell'azione scenica. Ma le informazioni che dà si sovrappongono in gran parte a quelle contenute nel prologo vero e proprio: menziona infatti la guerra tra Etoli ed Elei41; definisce l'ambientazione della commedia42; parla della cattura del figlio di Egione43 e del commercio di prigionieri intrapreso dal senex44. L'unica novità in questa sorta di doppione è rappresentata dal nome di Filopolemo (v. 95), che il prosopon prologizon non aveva comunicato.

Questo “riassunto”, incastrato com’è tra i lamenti del parassita affamato, risulta in effetti estremamente debole dal punto di vista della motivazione drammatica (nel contesto del discorso di Ergasilo un semplice accenno al rapimento del suo benefattore sarebbe più che sufficiente) e

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V. 93 ita nunc belligerant Aetoli cum Aleis, cfr. v. 24 postquam belligerant Aetoli cum Aleis. 42

V. 94 nam Aetolia haec est, cfr. i vv. 26-7 ibidem in Alide ... commercari hic, chiari pur se non altrettanto espliciti.

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Vv. 94-95 illic est captus in Alide / ... huius Hegionis filius, cfr. v. 25 capitur alter filius. 44

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irrimediabilmente ridondante rispetto al prologo, che peraltro si è concluso solo pochi versi prima, cosicché non c’è nemmeno bisogno – ad esempio – di richiamarlo alla memoria degli spettatori.

C’è stato chi, come Ussing45, ha provato a risolvere il problema negando l'autenticità del prologo, ma questa soluzione è impraticabile, in quanto le informazioni contenute nei vv. 1-68 (specialmente quelle relative allo scambio di identità dei prigionieri) sono assolutamente indispensabili per la comprensione da parte del pubblico di quanto avverrà in scena46.

• Incongrui sono sembrati i lazzi che Ergasilo scambia con Egione ai vv. 152-19147: il vecchio è pur sempre un padre profondamente angosciato per la sorte del figlio, e quindi in teoria tutt'altro che disposto a farsi coinvolgere in un dialogo scherzoso (tanto più contribuendo egli stesso a renderlo tale con battute e giochi di parole, cfr. vv. 158-64, 182 e 184-5).

• Nel secondo monologo (vv. 461-97), il parassita racconta i suoi sfortunati tentativi di procacciarsi un invito presso la iuventus che popola il foro, e conclude manifestando l'intenzione di recarsi al porto in cerca di miglior fortuna. è stato più volte detto che questa sezione manca di funzione drammatica48.

• Dopo lo spumeggiante assolo della parodia del servus e l'altrettanto vivace dialogo con Egione (vv. 768-901), Ergasilo abbandona definitivamente la

45

P. 460. 46

Di questo avviso è anche Blaensdorf, p.62.

47 Cfr. Blaensdorf, p. 62. Diverso è il parere di Leach, che a proposito dell'offerta di una cena aspera fatta da Egione a Ergasilo, scrive: His patronizing humor turns peremptory, and he promises only short rations, if anything at all. Neither relaxation nor benevolence is permissible in the midst of his current domestic and financial crisis.

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scena quando mancano ancora oltre cento versi alla fine del dramma. Ciò rafforza l'impressione che la connessione tra le sue vicende (e il suo stesso personaggio) e quelle degli altri protagonisti sia estremamente labile.

In generale, la levità della figura di Ergasilo, la sua ossessione per il soddisfacimento dei bisogni materiali, il suo essere costantemente sopra le righe (nonché spesso, come abbiamo visto, fuori dal filo della narrazione) hanno spesso indotto a ritenerlo un elemento estraneo al nucleo centrale della commedia. C’è stato chi, come ad esempio Prescott49, Hough50, Abel51 e Viljoen52, ha suggerito che la funzione di Ergasilo si debba considerare limitata al “bilanciamento” dei toni seriosi del dramma mediante spunti farseschi. Altri (Lejay53 e Leach54) gli hanno riconosciuto il ruolo di prezioso interlocutore degli altri personaggi, in grado di innescare tragicomici effetti di ironia.

Anche su Ergasilo si è lungamente esercitata la critica analitica, con la solita divisione tra i fautori della “plautinità” del personaggio e i sostenitori di una matrice greca.

Già Ladewig, nella prima metà dell'Ottocento, e poi Herzog e Kakridis, avevano proposto di considerare le parti di Ergasilo come risultato della contaminatio del modello dei Captivi con un'altra, non meglio identificata (come d'altronde il modello 49 Pp. 268-9. 50 Pp. 26-37. 51 Pp 53. 52 P. 45. 53 P. 133. 54 P. 266ss.

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principale) commedia greca. L'idea, che si basava originariamente sul netto contrasto di stile, tono e contenuti che distingue le parti affidate al parassita dal resto dei dialoghi e dell'azione, fu poi ripresa da Hough, che la rifondò sulla base di un'analisi della struttura drammatica.

Wilamowitz, oltre a criticare gli analitici dal punto di vista metodologico55, affermò56 che i Captivi fossero il rifacimento di un'unica opera, sicuramente risalente a una fase tarda, post-menandrea, della commedia nuova (che privilegiava la commozione rispetto alla comicità “facile”), riprendendo in parte l'argomentazione di Schoell57.

Fraenkel58 riteneva che le peculiarità del parassita derivassero dai cospicui interventi “additivi” da parte di Plauto, e riconosceva elementi inequivocabilmente romani nell'uso di un linguaggio militare (vv. 152-66), nella caratterizzazione della giornata (vv. 464-8), nelle allusioni al diritto romano (vv. 491-5), nella lista di divinità (vv. 863-4), nell'uso di toponimi latini (vv. 881-3), nell'ultimo monologo del parassita (vv. 901-8), non dando particolare peso agli aspetti drammaturgici.

La critica unitaria si è sforzata di indagare soprattutto in direzione del contributo di Ergasilo all'economia complessiva della commedia: per Abel59 (seguito da Arnaldi60), il ruolo del parassita nei Captivi corrisponde a quello di Eracle nell'Alcesti, e

55

Cfr. Supra, n. QUELLA DELLE VESPE. 56

Menander, das schiedsgericht, Berlin 1925 p. 134. 57 P. XVIIs. 58 Pp. 236ss. 59 P. 53. 60 P. 311.

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consiste nell'alleggerire i toni di un'opera cupa e a tratti disperata, riportandola sui binari più rassicuranti della commedia standard. Anzi, per Viljoen61 (che pure non nega una certa scarsa connessione tra le varie tracce narrative), Ergasilo deve proprio “ricordare agli spettatori che tutto sommato stanno assistendo a una commedia”. Analogamente, Taladoire62 scrive: Il faut, sans doute, en flattant sa bonne humeur, reassurer le public sur l'intérét réel de cette pièce sans femmes, sans leno et sans matamore; il y a au moins, un parasite, et de la bonne race.

L'originale posizione di Lejay63, per cui Ergasilo servirebbe a far risaltare “il fondo mediocre dell'anima di Egione” (personaggio, quest'ultimo, che Lejay non esita a definire un “imbecille”), è stata infine ripresa – e saggiamente ammorbidita – da Leach64, che vede nel parassita una sorta di “catalizzatore” di eventi ed emozioni, che stimola lati nascosti della complessa personalità di Egione.

61 P. 45. 62 P. 102. 63 P. 133. 64 P. 267ss.

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1.3. Impianto dell'opera e funzione del parassita

Una volta completato questo percorso attraverso la drammaturgia dei Captivi, proviamo a trarre qualche conclusione, partendo da tre dati di fatto: a) abbiamo visto che la commedia presenta oggettivamente numerose difficoltà; b) sappiamo (da Plauto stesso e dai risultati ottenuti dalla critica) che il poeta di Sarsina si serviva in abbondanza di materiali greci; c) conosciamo, grazie al fiorire degli studi analitici, molte delle modalità in cui Plauto interveniva per ampliare, modificare, adattare (in una parola, vortere, nel suo senso più ricco) i testi da cui prendeva spunto.

Ma anche alla luce di questi tre punti, l'operazione di mettersi a cercare punto per punto le eventuali suture e poi decidere di volta in volta cosa significano (se cioè ogni espressione, nucleo concettuale, sviluppo drammatico vada assegnato a questa o quest'altra commedia greca oppure a Plauto, oppure a qualche rimaneggiamento successivo) sarà necessariamente viziata da una dose eccessiva di arbitrarietà e indimostrabilità. Vediamo invece cosa possiamo dire basandoci semplicemente sul testo che abbiamo65.

65

Ugualmente sui testi sarà fondata la terza parte di questo lavoro, in cui si tenterà, con tutt'altre finalità, di leggere aspetti del testo plautino alla luce di materiali greci.

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Nei Captivi sono identificabili diverse storie potenzialmente dotate di un elevato grado di autonomia che si intrecciano, con inizi e conclusioni anche parecchio sfasati tra di loro. Ognuna di esse potrebbe facilmente essere il soggetto di una commedia a sé: la storia dello schiavo che si scopre essere di nascita libera e ritrova il padre sarebbe una trama abbastanza standard per una commedia d'intreccio; la vicenda di Egione, dalle movenze meno rocambolesche e sottilmente malinconiche, potrebbe essere tradotta in una commedia più pensosa, di stampo menandreo; la giornata terribile ma a lieto fine di Ergasilo potrebbe essere il filo conduttore di una pie'ce farsesca, nella tradizione italica, basata su una comicità tutta verbale e di situazione.

Ma la vera particolarità dei Captivi sta proprio nel fatto che le tre vicende (insieme ai “mondi” satelliti che vi si accompagnano, ad esempio la storia di Stalagmo e quella di Aristofonte) si dipanano contemporaneamente, e la regia plautina mette in scena di volta in volta i momenti in cui le tracce narrative si sovrappongono.

L'azione è ridotta al minimo, perché il grosso della storia consiste in un processo di scoperta, di disvelamento di una serie di soluzioni che sono già disponibili all'inizio dell'azione, in quanto dipendono esclusivamente dalle relazioni familiari e sociali, che non mutano. La vicenda – è stato giustamente detto – mutatis mutandis ricorda per certi versi quella di Edipo.

La storia, l'acquisizione di consapevolezza, avanza a un ritmo ineguale, nei momenti in cui si stabilisce un contatto nuovo tra i personaggi: quando Ergasilo incontra Egione ed è informato su quanto succede a casa dei senex; quando Egione incontra i prigionieri e decide di farne partire uno; quando Ergasilo incontra i giovani

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al foro e decide di andare al porto; quando Tindaro incontra Aristofonte e, riconosciuto, viene allontanato; quando Ergasilo entra in contatto (anche solo visivo) con i giovani al porto e torna in città a dare la bella notizia; quando Egione incontra Stalagmo e scopre la verità sul figlio.

Come in quasi tutte le opere del teatro antico, gli spettatori conoscono sin dall'inizio il finale della vicenda, così come conoscono i rapporti tra i personaggi. Ma se il prologo dice che la vicenda si risolverà, non dice tuttavia come. E dunque Plauto, intrecciando le storie, rallentando e accelerando a piacere la successione degli eventi, spostando senza sosta la focalizzazione, soprattutto attraverso lo strumento del monologo66 modifica continuamente il punto di vista sulla vicenda, e a tutti i personaggi, a turno, si rivolge l'atteggiamento simpatetico dell'autore (e del pubblico)67.

La giornata di Ergasilo costituisce il fil rouge che tiene insieme gli episodi. Dopo che il prologo ha comunicato in modo semplicemente referenziale i dati necessari alla

66

L'abbondanza di monologhi è ovviamente stata notata dalla critica, che però l'ha considerata quasi sempre uno dei motivi di scarsa riuscita drammatica dell'opera: i troppi monologhi rallenterebbero l'azione, rendendo la commedia pesante e troppo seriosa.

67

Si potrebbe dire che questo non vale per Stalagmo, la cui rappresentazione è interamente negativa. Ma Stalagmo, nell'economia del dramma, non è dotato di una individualità propria, e si riduce praticamente alla sua funzione attanziale. Il “cattivo” deve rimanere tale fino all'ultimo: gli viene addirittura concessa da un rabbonito Egione la possibilità di meritarsi uno sconto di pena (v. 959 Si eris uerax, tua ex re facies... ex mala meliusculam, v. 968 si eris uerax <ex tuis rebus>feceris meliusculas) o addirittura la remissione completa del castigo (v. 970 At ea subterfugere potis es pauca, si non omnia), ma lui ostinatamente rifiuta, e si professa poneros per eccellenza (vv. 955 Fui ego bellus, lepidus, bonus vir numquam, neque frugi bonae / neque ero umquam; ne spem ponas me bonae frugi fore). E, in fin dei conti, resta il fatto che Stalagmo pronuncia a malapena quindici, brevissime, battute.

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comprensione della vicenda, il primo monologo di Ergasilo proietta lo spettatore nel clima emotivo in cui si apre il dramma. Ovviamente, lo fa nei modi e con gli accenti propri di un comico rovesciamento di valori, per cui il “nobile” dolore di un padre privato del figlio è scimmiottato dal ben più vile appetito di un parassita scroccone. Il secondo monologo marca un momento di profonda frustrazione, naturalmente “alimentare”, di Ergasilo (preludio allo scoramento di Egione, troppo tardo ad accorgersi dell'inganno subìto), ma innesca anche la soluzione di tutte e tre le vicende68: la decisione di recarsi al porto farà sì che il suo personaggio (che finora ha quasi esclusivamente fatto da contraltare al senex) entri in contatto – pur se a distanza – con gli altri protagonisti. E al parassita (cui sunt uerba sine penu et pecunia, cfr. v. 472) basta vedere, intuire che la fine dei guai altrui è prossima, per trovare un modo di aver parte alla festa: facendosi enfatico messaggero di buone notizie (fin quasi al punto di rivendicare il merito dell'accaduto69), introduce come un usciere il lieto fine, in cambio di un congruo (per lui!) compenso.

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Ancora una volta: ai fini della nostra analisi è irrilevante che la decisione di Ergasilo di recarsi al porto si giudichi più o meno razionalmente “motivata”: è comunque indiscutibile che è qui che si origina lo scioglimento complessivo della vicenda. All'obiezione per cui, se anche Ergasilo non fosse andato al porto, Egione e gli altri si sarebbero comunque incontrati, si può rispondere che questa seconda soluzione avrebbe lasciato in sospeso una delle linee narrative, cioè la “caccia al pranzo” di Ergasilo. Ma tanto l'obiezione quanto la risposta (quanto ulteriori obiezioni alla risposta e via dicendo) ci riportano a quella critica iperrazionalistica che – si è già visto – finisce per rivelarsi pura speculazione fine a se stessa.

69

Cfr. v. 842 Iam ego ex corpore exigam omnis maculas maerorum tibi, v. 858 Vin te faciam fortunatum?, e soprattutto vv. 863-5: ego nunc tibi sum summus Iuppiter, / idem ego sum Salus, Fortuna, Lux, Laetitia, Gaudium; / proin tu deum hunc saturitate facias tranquillum tibi.

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Resta da spiegare come mai, in un lavoro dedicato alla singola figura di Ergasilo, tanta parte sia stata dedicata all'esposizione di problemi relativi ai Captivi nel loro complesso? La risposta è semplice: perché le difficoltà inerenti al ruolo del parassita non sono che uno degli aspetti di una commedia dalla struttura e dalle caratteristiche pressoché uniche. Considerare le ingenuità nella motivazione dell'azione scenica, le incongruenze nei comportamenti di Egione, l'arbitrarietà della gestione di spazio e tempo drammatici, rende evidente che da questo testo (quale che ne sia stata la genesi) non ci si può e non ci si deve aspettare un'azione limpida e lineare. In qualche modo – che abbiamo cercato di chiarire – le acrobazie drammaturgiche appartengono ai Captivi così come li possediamo, e possono arrivare a costituirne un utile strumento interpretativo.

Nella ridda di giudizi dei critici, varrà dunque la pena di tenere stretto il buon senso di Drexler70, che parla di Unwahrscheinlichkeiten, ohne die es keine fabula gäbe: le incongruenze di Ergasilo, al di là della loro origine, servono a consentire che i fili dell'azione (quello relativo al parassita e l'intricata storia che ruota intorno ai prigionieri) si svolgano l'uno accanto all'altro e, intrecciandosi, si influenzino a vicenda nella costruzione di un molteplice lieto fine.

Lieto fine per la ricerca di Egione, che giunge a termine proprio quando il senex, scoperto l'inganno, non ci sperava più; lieto fine per lo scambio Filocrate-Filopolemo, risolto quando il servo non solo è ormai rassegnato, ma ha già sperimentato le conseguenze del temuto abbandono; lieto fine – a sorpresa – per la ventennale

70

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schiavitù di Paegnion/Tindaro, il quale ritrova il padre e la libertà; e lieto fine anche per Ergasilo che, dopo aver patrocinato il ricongiungimento di tutti gli altri, può finalmente godere di quella sancta saturitas cui ha aspirato fin dalla sua apparizione.

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