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CAPITOLO 2 - INTRODUZIONE 2.1 INQUADRAMENTO TERRITORIALE

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CAPITOLO 2 - INTRODUZIONE

2.1 INQUADRAMENTO TERRITORIALE

La Garfagnana occupa l’area più settentrionale della Provincia di Lucca, al confine con tre Province: Massa-Carrara, Reggio-Emilia e Modena.

Questa posizione di avamposto della Regione Toscana, soprattutto verso l’Emilia, le conferisce una connotazione di “area cerniera” di notevole valore strategico - quale punto di contatto fra diverse realtà territoriali - ampiamente frequentata e ambita anche nell’antichità (Fig. 1).

Fig. 1 – Carta della Garfagnana

Capitolo 2 – Introduzione ————————————————————————————————————

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Dal punto di vista geomorfologico la zona è strutturata intorno al sistema fluviale del Serchio ed ai sistemi montani che vi confluiscono, quello Apuano e quello Appeninico, a loro volta solcati da profonde vallate trasversali che ospitano i bacini idrografici secondari degli affluenti. Le zone pianeggianti sono concentrate nel fondovalle e sono costituite dai depositi alluvionali e dalle aree golenali del fiume.

Il Serchio, con i suoi due rami originari, l’uno dall’Appennino (Serchio di Pradarena) l’altro dalle Apuane (Serchio di Gramolazzo), attraversa le Province di Lucca e Pisa per sfociare nel Mar Tirreno all’altezza della Riserva Naturale di San Rossore.

Le dorsali appenninica e apuana, rappresentano rispettivamente l’interfaccia con l’Emilia e con la Versilia. I due sistemi montuosi si saldano alla testata della valle nell’area del Monte Argegna e del Passo dei Carpinelli dando origine ad una sella che divide la Garfagnana dalla Lunigiana.

Tali catene presentano rilievi di tutto rispetto: in particolare il tratto dell’Appennino offre con il M.te Prado la quota maggiore di tutta la Regione con i suoi 2054 metri s.l.m., ma l’intera dorsale è caratterizzata da montagne che superano ampiamente i 1800 metri s.l.m. (M.te Vecchio 1982 m., M.te Cella 1946 m., M.te Sillano 1847 m.).

Il massiccio apuano, invece, raramente raggiunge le quote appenniniche (M.te Pisanino 1948 m., M.te Tambura 1895 m., M.te Cavallo 1888 m.).

Tuttavia il versante appenninico è caratterizzato da forme generalmente tondeggianti, determinate dall’azione erosiva esercitatasi sulle rocce in prevalenza arenacee (fatta eccezione per i rilievi calcarei della Pania di Corfino); il lato apuano presenta invece un aspetto notevolmente diverso, con rilievi costituiti in prevalenza da rocce calcaree e metamorfiche, con pendii più ripidi (Giovannini 1993).

Capitolo 2 – Introduzione ————————————————————————————————————

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2.2 CARATTERI GEOMORFOLOGICI DELL’AREA DI

INTERESSE

Tra le catene montuose degli Appennini e delle Apuane, anticamente si determinò una depressione tettonica corrispondente alla Valle del Serchio (Cap. 4.3).

Le rocce affioranti in Garfagnana sono per la maggior parte di tipo sedimentario, e furono in passato interessate da movimenti tettonici intensi, che ne portarono alcune a subire metamorfismo (marmi e rocce associate delle Apuane). Sul metamorfico autoctono si accavallarono successivamente rocce provenienti da Ovest, le formazioni della Falda Toscana e delle Falde Liguri; queste ultime (ofioliti), sono oggi ben visibili, in forma di massicci isolati, in alcune zone prossime al fondovalle.

Più recentemente, sostanzialmente a causa del sollevamento delle Apuane e dell’Appennino, la zona centrale della Valle del Serchio iniziò a sprofondare, originando una fossa tettonica limitata da fratture, tuttora sede di notevole attività sismica (Nardi 1981).

Nel Pliocene in quest’area in corso di sprofondamento si originarono due laghi, rispettivamente sull’area di Castelnuovo e di Barga-Gallicano; queste conche lacustri furono colmate nel Pleistocene antico in seguito al deposito di sedimenti fini di origine lacustre e di apporti a ciottoli di origine torrentizia provenienti dai versanti. Argille, sabbie con intercalazioni di ligniti, chiuse verso l’alto da ghiaie e ciottoli o conglomerati, sono oggi visibili sui lati della valle, nelle parti più elevate, messe allo scoperto dall’erosione (Giovannini 1993).

La zona di rinvenimento dei siti oggetto di questo studio, Pian di Cerreto e Muraccio, fa parte di questo assetto geomorfologico di deposito, ed è costituita da terrazzi a mezza costa digradanti con più ordini di ripiani verso il fondovalle: la sua origine è da attribuire all’azione sedimentaria del lago pliocenico che si estendeva dal Molino di Villa, nel bacino del fiume di Corfino, fino al Monte Perpoli, alla confluenza della

Capitolo 2 – Introduzione ————————————————————————————————————

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Turrite Secca con il Serchio, e nella azione erosiva praticata dal Serchio, dal fiume di Corfino, dal Torrente di Castiglione e dal Torrente Canottola.

Alcuni terrazzamenti di versante situati in quota sembrerebbero tuttavia da ricondursi più che a paleo-superfici alluvionali, a paleo-frane o collassi gravitativi dei versanti stessi: qualunque ne sia l’origine, rappresentano in ogni caso il relitto di antichi profili di equilibrio reincisi nel corso delle più recenti fasi erosive.

Questi depositi hanno risentito dell’effetto stabilizzante prodotto nei secoli da interventi di regimazione da parte della popolazione rurale, allo scopo sia di contenere i danni delle piene, sia di recuperare aree coltivabili, fertili ed irrigabili: in Alta Garfagnana sono tutt’ora visibili sistemi di muretti a secco disposti radicalmente alle conoidi attive che hanno consentito il mantenimento della morfologia originaria.

In generale, questo spiega come, anche in epoche antiche, le favorevoli condizioni morfologiche abbiano condizionato la scelta di questi luoghi, prevalentemente pianeggianti, da parte dei gruppi umani in cerca di terreni adatti all’insediamento ed alle pratiche agricole.

Le ricerche condotte in maniera sistematica negli ultimi anni sui terrazzi che orlano la riva sinistra del Serchio, soprattutto nella zona di Pieve Fosciana, hanno permesso di integrare in maniera rilevante il quadro dell’insediamento umano in Garfagnana.

Infatti gli ampi terrazzi che degradano leggermente verso il fiume, allo sbocco della via trans-appenninica che risalendo il crinale dell’Alpe di San Pellegrino sfruttava il Passo delle Radici, conoscono una ripetuta frequentazione dal Neolitico all’età del Bronzo.

Ordine dei terrazzamenti alluvionali dell’area (sulla sinistra orografica del fiume Serchio) (Fig. 2)

I Terrazzo di Villa Collemandina*

II Terrazzo di Pian di Cerreto di Sopra e di Sotto** III Terrazzo di Pieve Fosciana***

IV Terrazzo di Solceta****

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* Detto Piano di Villa, si trova ad Ovest del paese di Villa Collemandina; si sviluppa in direzione nord/nord-ovest – sud/sud-est e degrada da m. 529 a m. 456 slm.

** Si sviluppa tra il paese di Pian di Cerreto e il Serchio, in direzione nord-sud, degradando da m. 424 a m. 375 slm.

*** Indicato comunemente come Piano della Pieve, termina direttamente sulle scarpate del fiume Serchio ed è caratterizzato da una notevole estensione, nella parte apicale raggiunge indicativamente una quota di circa 400 msl. Tuttavia parte della superficie alluvionale interessata da frequentazioni preistoriche, in località Muraccio, è stata in tempi recenti sottoposta ad un’opera di bonifica, motivo per cui è stata incisa sul lato a monte per circa 1,5 m e livellata formando un piano agricolo.

La superficie morfologica naturale è stata dunque asportata e, al momento delle indagini archeologiche, lo strato superficiale di terreno agricolo era il risultato dello sbancamento.

Le strutture archeologiche, “decapitate” nella porzione superiore, si sono conservate soltanto a valle dove la bonifica si è spinta meno in profondità.

**** Ultimo terrazzo della serie, prende il nome dalla località situata sulla destra del torrente di Castiglione. E’ situato nelle immediate vicinanze di Pian di Cerreto, separato da quest’ultimo e dal Piano della Pieve rispettivamente dal Torrente Canottola e dal Torrente di Castiglione; si sviluppa in direzione nord/nord-est – sud/sud-ovest, degradando da m. 362 a m. 328 slm.

Capitolo 2 – Introduzione ————————————————————————————————————

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Fig. 2 – Carta geologica: porzione dell’area di interesse

Legenda

Conoidi Olocene

Alluvioni terrazzate Pleist. sup.

Capitolo 2 – Introduzione ————————————————————————————————————

III

IV

II

I

Sito di Muraccio Sito di Pian di Cerreto

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Serie Toscana

Unità del Flysch ad Elmintoidi

Gruppo dell’Alberese

Scaglia rossa

“Macigno”: arenarie quarzoso-felspatiche alternate a sottili interstrati di argilliti e siltiti

Ciottoli a prevalenti elementi di arenaria “macigno” Pleist medio/sup.

Calcari e marne a Rhaetavicula contorta Trias sup. (“Retico”)

“Flysch ad Elmintoidi”: calcari marnosi scuri, marne e arenarie calcaree

Argille e marne con calcari; talora brecce sedimentarie costituite da rocce verdi, diaspri e calcari

Capitolo 2 – Introduzione ————————————————————————————————————

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2.3 STORIA DELLE RICERCHE PALETNOLOGICHE IN

GARFAGNANA E LUNGO LA VALLE DEL SERCHIO

Le prime ricerche preistoriche in Garfagnana risalgono agli ultimi anni dell’800 e agli inizi del 1900, periodo in cui diversi naturalisti quali C. De Stefani (1877), C. Regnoli (1867) e G.A. Colini (1898), rinvennero in varie località numerosi manufatti che attestavano una frequentazione della zona sia in epoca eneolitica che durante l’Età del Bronzo.

Fra il 1930 e il 1940 scavi programmati furono effettuati da B. Lanza (1946), in due caverne nei pressi di Sassorosso, già interessate dai precedenti studi del Regnoli. Nel 1950 A. Malatesta individuò la grotta delle Campane, un ampio riparo sotto roccia sulla riva destra della Val di Lima, presso Bagni di Lucca. Nell’estate dello stesso anno il Malatesta eseguì vari saggi, nei quali mise in luce un orizzonte superficiale a ceramiche eneolitiche e una serie di livelli con un’industria litica di tipo Paleolitico Superiore (Malatesta 1951). Nel 1962 l’Istituto di Paleontologia dell’Università di Firenze effettuò un’altra campagna di scavo che apportò nuovo materiale litico e resti ossei di fauna selvatica prevalentemente di montagna (Palma di Cesnola 1962, 1963, 1993). Al contrario della Val di Lima, situata nella media Valle del Serchio, nella quale le ricerche paletnologiche condotte in quegli anni avevano individuato la presenza umana già durante l’antica età della pietra, in Garfagnana, A.C. Ambrosi sul finire degli anni ‘50 affermava che “…Se future scoperte non porteranno nuovi tributi alla conoscenza archeologica dell’Alta Valle del Serchio, fino ad oggi nessun reperto è ancora venuto a testimoniare la presenza dell’uomo paleolitico in Garfagnana …” (Ambrosi 1958).

Questa lacuna della storia dell’Alta Valle del Serchio fu colmata solo dagli anni ’70, grazie alle ricerche sistematiche condotte sul territorio da P. Notini, M. Sosso e M. Bartolomasi, che portarono all’individuazione di numerose stazioni paleolitiche e mesolitiche, rendendole note al Prof. A.M. Radmilli, docente di Paleontologia Umana presso l’Ateneo pisano. Iniziarono così gli scavi di importanti giacimenti situati nel

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fondovalle e lungo il crinale appenninico, coordinati dall’Istituto di Antropologia e Paleontologia Umana dell’Università di Pisa, sotto la direzione del Prof. C. Tozzi. Il primo giacimento ad essere esplorato fu quello di Isola Santa (dal 1975 al 1977), rinvenuto da P. Notini e M. Sosso presso l’omonimo paese, su un terrazzo fluviale a circa 15-20 metri sopra il corso del torrente Turrite Secca ad una quota di circa 500 metri s.l.m.

Isola Santa (Kozlowski et al. 2003) riveste un’importanza particolare, perché fu il primo giacimento in Italia centro-meridionale in cui fu documentata un’industria ipermicrolitica caratterizzata dalla presenza di punte a dorso bilaterale (punte di Sauveterre), di lamelle a dorso con troncatura obliqua e da geometrici triangolari e semilunari, del tutto simile - a livello tipometrico e tipologico - all’industria litica sauveterriana rinvenuta nell’insediamento di Romagnano III situato in Val d’Adige (Broglio e Kozlowski, 1983).

Il laboratorio di Geocronologia di Roma ha effettuato varie datazioni al C14 sui livelli 4 e 5, dalle quali sono emerse delle date comprese fra il 7380 ±130 BP e 9429 ± 90 BP per il Sauveterriano e una data di 10720 ± 140 BP. per l’Epigravettiano finale (Radmilli 1976; Tozzi 1980, 1984, 1995; Biagi et al. 1981; Guidi et al. 1985; Galiberti 1997).

Contemporaneamente agli scavi effettuati dall’Università di Pisa nella Valle della Turrite Secca, riprendevano le ricerche anche nella Val di Lima, dove P. Mencacci e M. Zecchini nel 1976 effettuarono dei saggi, in due grotte presso la località di Ponte Nero nel comune di Bagni di Lucca. I lavori di scavo nella cavità di Ponte Nero I rilevarono come questa fu sporadicamente frequentata, restituendo solo poche decine di manufatti attribuibili al Paleolitico Superiore. La vicina grotta di Ponte Nero II, a differenza della precedente ebbe diverse visitazioni, rilevabili dal numero elevato di strumenti in selce, associati ad abbondanti resti faunistici presenti su più livelli, tutti databili all’Epigravettiano finale (Mencacci e Zecchini, 1976; Biagi et al. 1981; Guidi et al. 1985; Tozzi 1995; Galiberti 1997). Nel 1977 G. Lera segnalava la scoperta di due insediamenti mesolitici, il primo posto lungo la riva nord del Lago Baccio, alla quota di 1560 metri s.l.m. nell’Appennino

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emiliano, riferibile al Castelnoviano (Lera 1977) e il secondo sul bordo di un’ampia conoide presso la località di Piazzana, alla quota di 820 metri s.l.m. nel comune di Coreglia. Un saggio preliminare condotto nell’agosto 1978 dall’Istituto di Antropologia e Paleontologia Umana di Pisa, accertò, in base allo studio tipologico dell’industria litica, l’esistenza di frequentazioni ripetute in epoche diverse, di cui la più antica è collocabile nell’Epigravettiano finale (ancora inedita) (Biagi et al. 1981; Guidi et al. 1985; Tozzi 1995).

Le ricerche di superficie promosse dal centro di studio Carfaniana Antiqua continuavano incessanti, principalmente nei comuni di Piazza al Serchio, San Romano, Camporgiano, Careggine e Castelnuovo Garfagnana, rivelando una fitta rete di insediamenti (Notini 1974). Nel Parco Naturale dell’Orecchiella fu scoperto un gran numero di stazioni-officina, in cui i gruppi umani paleolitici lavoravano la materia prima raccolta dai vicini affioramenti. Da segnalare per la quantità di materiale il giacimento di Casini di Corte a metri 1160 s.l.m., nel quale furono recuperati migliaia di manufatti, caratteristici dell’Epigravettiano finale, come nelle stazioni-officina di Verrucole I a 780 metri s.l.m. e della Greppia a 1220 metri s.l.m. (Dini 2000, 2001). Nel 1972 P. Notini, con le sue ricerche, individuò alla quota di metri 1750 s.l.m., lungo la breve dorsale che unisce la catena appenninica principale alla parallela catena del Monte Cusna (metri 2121 s.l.m.), l’importante giacimento mesolitico di Lama Lite. Lo scavo fu effettuato in collaborazione tra il Museo Civico di Reggio Emilia e l’Istituto di Antropologia e Paleontologia Umana dell’Università di Pisa nel luglio del 1976, interessando un’area di circa 12 mq, rinvenendo nel riempimento di una modesta incisione il residuo di un deposito antropico mesolitico al cui tetto si era sviluppato, durante l’Atlantico, un suolo sepolto da colluvi durante il Sub-boreale. L’industria litica riferibile al Castelnoviano comprende oltre 2200 manufatti non ritoccati, 229 microbulini e incavi adiacenti a frattura, 137 strumenti composti per circa la metà da trapezi rettangoli e scaleni a piquant trièdre; vi sono inoltre troncature, lame ritoccate, denticolati, più rari invece i grattatoi e gli strumenti a dorso. I carboni mostrano un'associazione vegetale formata da laburno, acero, frassino, cui si aggiungono rari resti

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di faggio alla sommità del suolo sepolto. L’orizzonte mesolitico è stato datato a 6620 ± 80 BP (Castelletti et al. 1976; Biagi et al. 1981; Guidi et al. 1985; Tozzi 1995).

Contemporaneamente alle ricerche del Notini, anche M. Cremaschi svolgeva per il Museo Civico di Reggio Emilia accurate prospezioni di superficie sul versante settentrionale dell’Appennino tosco-emiliano, rinvenendo lungo la cresta appenninica presso il Passo della Comunella a m 1619, un altro importante insediamento mesolitico. L’industria litica giaceva su una superficie di erosione che tagliava il substrato roccioso e un suolo bruno acido ed era a sua volta sepolta da depositi colluviali. L’insieme litico di tipo Castelnoviano era composto da circa 650 manufatti, ed era associato a carboni di frassino, acero e laburno datati a 6960 ± 130 BP (Castelletti e Cremaschi, 1975; Tozzi 1980, 1995; Biagi et al. 1981). Le ricerche intraprese da M. Cremaschi consentirono l’individuazione di un altro insediamento mesolitico, su un ripiano glaciale nei pressi del Monte Bagioletto a metri 1725 s.l.m. Gli scavi portarono alla luce una successione stratigrafica di 1,50 metri di sedimenti colluviali che ricoprivano un suolo bruno acido, eroso alla sommità, mentre alla base si conservava un orizzonte antropico. L’industria ipermicrolitica comprende tra le armature numerose punte a dorso bilaterali, dorsi troncati, triangoli di Montclus, segmenti e numerosi microbulini, consentendo un’attribuzione al Sauveterriano. I carboni mostrano un’associazione di frassino, laburno ed acero e hanno fornito un’età compresa fra 8260 ± 60 BP e 7670 ± 120 BP (Biagi et al. 1981; Cremaschi et al. 1982).

Dopo alcuni anni, nel 2001, M. Dini e P. Notini scoprirono il giacimento di La Greppia II nell’area dell’Orecchiella, in seguito a lavori che portarono in superficie numerosi manufatti ai margini di una folta faggeta. Situato su una serie di piccoli terrazzi tra i 1250 e i 1150 m s.l.m. poco al di sopra degli affioramenti silicei della formazione geologica della Falda Toscana, questo sito completa il quadro di conoscenze sulle locations, rinvenute intorno alla Pania di Corfino (Dini e Moriconi, 2005; Dini e Sagramoni, 2006).

L’industria comprende lame, lamelle, schegge non ritoccate, scarti di lavorazione e numerosi nuclei ed è tipica di una facies di officina per la scheggiatura della selce proveniente dai vicini affioramenti. Gli strumenti ritrovati, seppur non numerosi,

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testimoniano che nel sito venivano svolte diverse attività legate ad una presenza stagionale e non occasionale dell’area. Sono presenti armature (frammenti di dorsi, dorsi e troncature, qualche triangolo) che testimoniano un’attività venatoria; lamelle, schegge ritoccate e grattatoi (tipi corti e circolari) utilizzati per tagliare/raschiare pelli, legno, ossa, pochissimi bulini. L’industria può dunque essere riferita ad un momento terminale dell’Epigravettiano finale, di transizione verso il Mesolitico antico (Sauveterriano), ma differisce da quelle note nelle altre officine litiche dell’area (Casini di Corte e la vicina La Greppia I) per il microlitismo più accentuato e la presenza di geometrici che indicano una fase cronologicamente più avanzata (triangoli di tipo sauveterroide) e punte a doppio dorso, da porre intorno a 10.000 anni BP. L’industria dell’US2, ancora in fase di studio, è stata datata a 11240 ± 80 BP e rispecchia nelle sue parti la struttura tipo-tecnologica dell’US1, confermando così la tipologia delle altre stazioni officina precedentemente studiate.

Dallo scavo di tale giacimento, durato quattro anni, nacque il Progetto Orecchiella tra il Dipartimento di Scienze Archeologiche dell’Università di Pisa, la Comunità Montana della Garfagnana, la Provincia di Lucca e l’Azienda per le Foreste Demaniali di Lucca C.F.S., allo scopo di svolgere indagini dettagliate sulla storia del popolamento antico dell’Appennino.

Questi importanti scavi effettuati nell’Appennino tosco-emiliano, associati alle ricerche in Garfagnana, resero possibile l’elaborazione, da parte di P. Biagi, L. Castelletti, M. Cremaschi, B. Sala e C. Tozzi, di un modello d'insediamento dei gruppi mesolitici compresi fra le Alpi Apuane e le Prealpi Lombarde. Esso era fondato, in base alla provenienza della selce usata per la fabbricazione dei manufatti, sul riconoscimento di ampi movimenti stagionali (pianura Padana, crinale appenninico, Valle del Serchio), volti allo sfruttamento intensivo delle risorse alimentari presenti nei vari ambienti nel corso dell’anno (Biagi et al. 1981).

Nel 1977 veniva fondato il Gruppo Archeologico della Garfagnana (G.A.G.) che, sotto l’incoraggiamento e la guida scientifica della Soprintendenza Archeologica della

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Toscana e dell’Istituto di Antropologia e Paleontologia Umana dell’Università di Pisa, (ora Dipartimento di Scienze Archeologiche sezione di Preistoria), iniziarono ricerche sul territorio, specialmente nei dintorni di Castelnuovo di Garfagnana, rinvenendo numerosi insediamenti sui terrazzi fluviali che degradano verso il fiume Serchio, come Piano di Cerreto, Piano di Villa Collemandina e Solceta, ubicati fra 350 e 450 metri s.l.m., o sui pianori soprastanti, come a Pian dell’Uomo e Colle Freddino entrambi a 500 metri circa s.l.m. (Guidi et al. 1985; Tozzi 1995).

Nei primi anni ’80 P. Notini effettuava una nuova esplorazione sistematica di un tratto dell’Appennino Tosco-Emiliano, dal Passo di Pradarena metri 1579 s.l.m., al Passo delle Forbici a metri 1830 s.l.m., mettendo in luce circa venti nuovi siti, recuperando un migliaio di manufatti e alcune decine di strumenti, quali grattatoi, troncature, lame e punte a dorso, la maggior parte dei quali collocabili nel Mesolitico, sia nell’aspetto sauveterriano che in quello castelnoviano. Presso la località La Paduletta a metri 1685 s.l.m., in due aree distinte furono raccolti un centinaio di manufatti microlitici: alcuni saggi effettuati in vari punti del pianoro hanno dato altri 133 pezzi fra cui 10 strumenti, 2 nuclei ed un microbulino distale. Da tre insediamenti, rinvenuti nei dintorni del Casone di Profecchia alle quote di 1370, 1400 e 1290 metri s.l.m., provengono circa 500 manufatti genericamente attribuibili, come detto, al Mesolitico (Notini 1983).

Nel 1983 O. Guidi, M. Pioli e G. Rossi ripresero le prospezioni nella Valle della Turrite Secca, trovando a monte di Isola Santa, su di un terrazzo fluviale nei pressi della sorgente La Pollaccia, un’industria litica simile nei caratteri essenziali a quella rinvenuta nel sito di Isola Santa scavato negli anni ’70. Questo nuovo giacimento spinse questi ricercatori ad approfondire le loro ricerche, rinvenendo numerosi siti tutti posti sui terrazzi fluviali, a pochi metri d’altezza sopra il corso del torrente. Oltre ai due insediamenti sopra ricordati, i ricercatori del G.A.G. misero in luce i seguenti giacimenti: Le Pierme a 450 metri s.l.m. e La Pianaccia a 350 metri s.l.m., dai quali provengono complessivamente un centinaio di manufatti micro e ipermicrolitici, attribuibili al Sauveterriano; quantitativamente assai più consistente è l’industria litica

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raccolta presso Locanda Piastricoli a metri 360 s.l.m.. Da questa località provengono un migliaio di manufatti, tra cui 17 nuclei, 22 grattatoi, 8 bulini, 6 troncature, oltre a numerose punte e lame a dorso, triangoli ipermicrolitici e un trapezio, che indicano una frequentazione del sito durante tutto il Mesolitico.

Adiacente al sito di Locanda Piastricoli, nel 1985 fu scoperto, in seguito ai lavori per l’ampliamento di una rimessa di legname, un piccolo riparo completamente colmato da detrito di versante e da pietrisco crioclastico (Guidi 1989). Al Riparo Piastricoli, furono condotte nel 1986 e nel 1987 altre due campagne di scavo, da parte del Dipartimento di Scienze Archeologiche dell’Università di Pisa. L’industria litica recuperata è costituita da 58 nuclei, 1491 manufatti non ritoccati interi, 341 strumenti (349 tipi primari) e oltre un migliaio di pezzi residui della scheggiatura, inquadrabili in una fase terminale dell’Epigravettiano finale con elementi di transizione verso i complessi sauveterroidi. Le strutture essenziali ed elementari, rivelano che si tratta di un’industria dominata dagli strumenti differenziati a ritocco erto; scarso il substrato, rilevante l’indice dei grattatoi, basso quello dei bulini. Questi ultimi sono soprattutto di tipo semplice, mentre tra i grattatoi predominano i frontali corti e sono assenti i circolari; il rapporto bulini-grattatoi è molto basso. Tra gli erti differenziati predominano le punte e lame a dorso che sono molto frammentate, seguono i dorsi-troncatura e i geometrici, anch’essi piuttosto frammentati, scarse le troncature, solo due i becchi.

Oltre ai numerosi manufatti in selce, dal Riparo Piastricoli provengono anche molti esemplari di Columbella rustica forati, un canino atrofico di cervo con foro per la sospensione, due punteruoli in osso e ciottoli di varie dimensioni presenti in tutti gli strati, alcuni con tracce di esposizione al fuoco e distacchi volontari, altri con tracce di usure che fanno pensare ad un loro utilizzo come percussori. I resti di fauna recuperati durante le varie fasi di scavo, soprattutto denti e mandibole che sono più resistenti ai processi di disfacimento, ci presentano una fauna piuttosto omogenea nei vari livelli, dominata dallo stambecco, seguito a grande distanza dal cervo, dal camoscio e dal cinghiale. I carboni mostrano la dominanza della quercia seguita da laburno, nocciolo,

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frassino e da rari resti di pomoidee, abete e pino (Castelletti et al., 1994). Le datazioni radiocarboniche effettuate su due distinti livelli di frequentazione del riparo, strati 820 e 826, hanno fornito rispettivamente un’età di 11010 ± 315 BP e di 10340 ± 360 (Guidi 1989; Tozzi 1995).

Di fronte al Riparo Piastricoli sulla riva opposta della Turrite Secca (destraidrografica), a metri 360 s.l.m. nel comune di Molazzana, fu individuato nell’agosto 1987 il Riparo del Fredian, nel quale un piccolo saggio mise in luce l’esistenza di un deposito archeologico contenente resti faunistici e industria litica. Le quattro campagne di scavo succedutesi dal 1987 al 1990, dirette dal Prof. C. Tozzi, evidenziarono una successione stratigrafica alla base della quale giace un deposito fluviale, cui si sovrappone un deposito a pietrisco crioclastico (strati 5-4-3) ed uno a elementi fini dominanti (strati 2-1). Nello strato 5 è contenuta un’industria litica molto abbondante di tipo Epigravettiano finale a dorsi troncati e geometrici(Boschian et al., 1995; Tozzi 1995; Martini e Tozzi, 1996; Galiberti, 1997).

A valle dei siti ora ricordati i membri del G.A.G. segnalarono il ritrovamento di altri quattro insediamenti, presso le località di Le Peschiere, Il Calorino, Molino del Riccio e nelle vicinanze di Casa Pantano al Fiume, dai quali provengono un centinaio di manufatti attribuibili genericamente al Sauveterriano, i quali vanno a completare il quadro delle conoscenze sulla frequentazione umana durante il Paleolitico finale e il Mesolitico nella Valle della Turrite Secca (Guidi et al., 1985; Tozzi, 1995).

Tutti questi ritrovamenti di stazioni paleolitiche nel territorio dell’Alta Valle del Serchio, che si susseguirono praticamente senza interruzione, dalla metà degli anni ’70 fino agli inizi degli anni ’90, spinsero gli amministratori locali a promuovere l’apertura presso Castelnuovo Garfagnana di un Museo Archeologico del Territorio, strutturato su una mostra permanente dal titolo il “Mesolitico della Garfagnana”.

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Se durante tutti questi anni le ricerche sul territorio consentirono l’individuazione di numerosi insediamenti, collocabili nel tardiglaciale würmiano e l’Olocene antico, la presenza dell’uomo in Garfagnana durante il Paleolitico Medio, è testimoniata dal ritrovamento di pochi manufatti di tecnica levallois raccolti nelle stazioni di Verrucole, Forcola, Sillicagnana e Calabricchia (Notini 1974; Guidi et al., 1985; Tozzi 1995). Questi reperti possono essere attribuiti, in base alla tipologia, all’interpleniglaciale würmiano, durante il quale il miglioramento delle condizioni climatiche può aver spinto i gruppi umani che frequentavano intensamente le aree costiere della Versilia, a fare saltuarie spedizioni verso l’interno.

Ricerche di superficie effettuate nel 2001 hanno inoltre portato all’individuazione di alcuni manufatti musteriani lungo il crinale appenninico, presso il Passo del Giovarello a 1660 m slm. Questa scoperta risulta essere di eccezionale valore, per la rarità dei documenti di tale periodo a quote così elevate.

Ancor più evanescente era la conoscenza della frequentazione di cacciatori - raccoglitori durante la fase antica del Paleolitico superiore nell’Alta Valle del Serchio, fino a quando i lavori di sbancamento per la costruzione del campo sportivo di Pontecosi a metri 320 s.l.m., in prossimità dell’omonimo lago nel Comune di Pieve Fosciana, hanno portato alla luce abbondante industria litica di tipo Aurignaziano, raccolta da M. Vangi e immediatamente segnalata a P. Notini, responsabile del Museo Archeologico del Territorio. Alle raccolte di superficie, alle quali presero parte anche i membri del G.A.G., seguirono nel 1996 due piccoli saggi esplorativi condotti da P. Notini e M. Dini, per accertare la posizione stratigrafica dei reperti, che risultarono essere in posto. Dalla primavera del 1998 e per i due anni successivi venne avviato lo scavo, coordinato dal Prof. C. Tozzi, mirato all’esplorazione sistematica dell’intera area.

Il materiale raccolto in superficie e nella prima campagna di scavo (per ora il solo pubblicato) ammonta a 2.639 manufatti, di cui 1.130 provenienti dallo scavo (Negrino e Tozzi, 2001). Le materie prime sono riferibili ad almeno 14 litotipi appartenenti a varie formazioni geologiche (Falda Toscana, gruppo delle Liguridi, complesso di Monte

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Modino-Cervarola, ciottoli fluviali del pede-appennino emiliano) e testimoniano spostamenti anche a considerevoli distanze.

Tra i materiali raccolti prevalgono nettamente i prodotti non ritoccati e gli scarti di scheggiatura costituiti da nuclei, schegge e lame. I manufatti ritoccati sono costituiti da 83 pezzi, solo 32 dei quali raccolti in strato. Tra i materiali raccolti in superficie prevalgono i grattatoi, soprattutto carenati e a muso, mentre nello scavo risultano meglio attestati i dorsi.

Infatti particolarmente interessanti sono le lamelle a ritocco erto profondo, che sembrerebbero annunciare i dorsi gravettiani mentre non sono presenti elementi Dufour. Sempre tra i ritoccati sono attestati diversi raschiatoi ed una lama ravvicinabile ai tipi “à étranglement”. I bulini sono quasi assenti e non è attestato alcuno scagliato.

Dall’analisi dell’industria il sito di Pontecosi è stato dunque definito come una stazione di fondovalle, contraddistinta dalla presenza di un’officina per la scheggiatura di elementi laminari e la produzione di armature e riveste una particolare importanza in ambito regionale essendo al momento l’unico insediamento aurignaziano in posto della Toscana settentrionale. Le caratteristiche tecno-tipologiche dei materiali hanno inoltre permesso di attribuirlo al cosiddetto “filone a dorsi marginali” (Palma di Cesnola 1993).

La presenza di dorsi profondi e rettilinei e la totale mancanza di elementi Dofour sembrano indicare una certa recenziorità e preannunciare alcune caratteristiche propriamente gravettiane.

Il popolamento della Garfagnana ha mantenuto una certa continuità anche dopo il Mesolitico, con una apparente fase di regressione attestata solo nel Neolitico, in passato giustificata in base ad una probabile scarsa attitudine della zona all’agricoltura.

Fino a pochi anni fa, infatti, la Valle del Serchio sembrava essere stata quasi del tutto abbandonata durante il Neolitico, poiché solo pochi frammenti di ceramica tardoneolitica provenivano dalla grotta delle Campane, ma ulteriori indagini hanno

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hanno permesso di individuare, negli ultimi anni, nuovi siti e ipotizzare un modello di insediamento anche per a questo periodo (Cap. 2.4).

Infine, con l’Eneolitico e il Bronzo antico le tracce della presenza umana ritornano frequenti e diffuse, soprattutto sui terrazzi fluviali posti a quote inferiori ai 500 m, uniche zone idonee per svolgere una modesta attività agricola. Ricerche di superficie e successivi sondaggi hanno consentito di riconoscere, in località Muraccio di Pieve Fosciana, le tracce di un abitato riferibile alla fase piena e avanzata del Bronzo medio. Le ceramiche indicano in maniera vistosa i rapporti culturali dell’insediamento del Muraccio con l’area terramaricola emiliana, soprattutto del modenese (Ciampoltrini e Notini, 1995).

Altri importanti insediamenti riferibili all’età del Bronzo sono stati individuati lungo la dorsale appenninica, probabilmente legati allo sfruttamento dei pascoli d’alta quota a partire da sedi permanenti ubicate sui terrazzi di fondovalle e sulle aree collinari del Pedeappennino emiliano.

Sul versante apuano furono invece frequentati grotte e ripari principalmente a scopo sepolcrale e cultuale come la Buca delle Fate di Calomini (Formicola e Grifoni Cremonesi, 1979) e la Buca di Castelvenere (Mencacci e Zecchini, 1976). Queste importanti testimonianze, sono indicative di una frequentazione sulle Apuane legata soprattutto allo sfruttamento delle risorse minerarie e boschive.

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2.4 INQUADRAMENTO CULTURALE

Prima di affrontare l’analisi dei siti oggetto di questo studio, si ritiene necessario, sulla base delle conoscenze attuali, fornire un inquadramento crono-culturale della porzione medio tirrenica della penisola italiana all’avvento del Neolitico, con particolare riferimento alla situazione delle ultime comunità mesolitiche e del loro rapporto con le prime istallazioni di “pionieri” neolitici in Toscana settentrionale.

In Europa, il processo di Neolitizzazione è frutto di un passaggio graduale che ha inizio durante il Mesolitico, periodo in cui, con la fine della fase glaciale wurmiana, territori ed ambienti tendono ad assumere un aspetto simile a quello attuale.

Il progressivo miglioramento climatico del periodo Atlantico ha fatto sì che da paesaggi di prateria steppica si passasse ad ambienti di tipo forestale, condizionando in tal modo l’uomo a limitare o abbandonare un’economia basata esclusivamente sulla caccia a mammiferi di grossa e media taglia e ad animali gregari quali cavallo, bove e stambecco e a ricercare nuove risorse.

Così l’uomo mesolitico, adattandosi al nuovo habitat postglaciale, inizia ad integrare la propria alimentazione con la caccia di specie animali legate all’ambiente forestale (anche di piccola taglia), la pesca, la raccolta di molluschi e prodotti spontanei del bosco.

Da un punto di vista tecnologico, si affinano i metodi di scheggiatura della selce per la produzione di strumenti destinati al confezionamento di armi da caccia o arnesi da lavoro: in particolare vengono prodotte forme geometriche microlitiche chiamate “armature” (in parte già note ed occasionali nel corso dell’Epigravettiano finale) che, incastrate in serie ed incollate con bitume su supporti di legno od osso andavano a costituire ottimi strumenti per la caccia a distanza.

Il sistema insediativo inizia ad essere determinato da una precisa strategia di sfruttamento del territorio e non dipende più dalla casualità degli spostamenti di una popolazione nomade. La distribuzione degli abitati, molto più ampia di quella

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paleolitica, viene solitamente interpretata come espressione di un notevole aumento demografico reso possibile dal favorevole cambiamento climatico e dall’incremento delle risorse alimentari.

Questo insieme di cambiamenti costituiscono quindi il sostrato sul quale attecchiscono le ulteriori innovazioni che accompagnano il processo di Neolitizzazione.

Per quanto riguarda l’Italia, la sequenza culturale mesolitica è stata ricavata in base ai ritrovamenti effettuati nella conca di Trento in Val d’Adige (Broglio e Kozlowski, 1983) e presso il sito di Isola Santa lungo la Valle della Turrite Secca (Garfagnana, Lucca) (Kozlowski et al., 2003) che ne hanno consentito la periodizzazione, suddivisa in due insiemi culturali: il Sauveterriano e il Castelnoviano. Nel Centro-Sud si riscontrano invece maggiori difficoltà dovute alla scarsa documentazione ad oggi disponibile, ad eccezione dei siti sauveterriani di Grotta Marisa e Grotta delle Mura e dei siti castelnoviani di Latronico 3 e Riparo Rinaldi (Astuti et al. 2005, Calattini 1998, Dini et al., 2008).

Lungo la Valle del Serchio (Cipriani et al. 2001), due siti, Isola Santa e Riparo Fredian, e probabilmente un terzo, Piazzana (inedito), mostrano la successione Epigravettiano finale – Sauveterriano (Martini e Tozzi, 1996). Le date attualmente disponibili sembrano tuttavia indicare uno iato di circa 500 anni tra la fine delle frequentazioni epigravettiane e l'inizio del popolamento mesolitico. Non sappiamo se questo è un fatto del tutto casuale, legato a una documentazione ancora insufficiente, oppure se si tratta di reale abbandono della valle e delle circostanti aree montane in seguito al peggioramento climatico nel Dryas III. In ogni caso la presenza di gruppi sauveterriani è documentata a partire da circa 9400 anni BP. Con l'inizio dell'Olocene i ghiacciai residui si sciolgono totalmente; le conche glaciali vengono occupate da laghetti sulle cui rive sostano i gruppi mesolitici, che frequentano anche il crinale e i valichi appenninici. Il fenomeno è ancora limitato nel Preboreale e nel Boreale, ma si sviluppa notevolmente alla fine del Boreale e agli inizi dell'Atlantico. I carboni degli insediamenti di alta quota indicano localmente l'esistenza di un bosco rado di laburno, acero e frassino, mentre a mezza costa sia sugli Appennini che sulle Apuane si sviluppa Capitolo 2 – Introduzione ————————————————————————————————————

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un bosco misto di conifere e latifoglie (Castelletti 1983; Castelletti et al., 1994, 2000). Nell’Olocene il cervo diviene probabilmente il principale oggetto di caccia, come è indiziato dalla flessione dello stambecco nello strato 4 del Riparo Fredian.

Il sistema d'insediamento è articolato in pochi campi base e in numerosi piccoli bivacchi, spesso di difficile attribuzione cronologica e culturale. Durante il Sauveterriano i campi base sono ancora prevalentemente sui fondovalle e a quote intermedie (Isola Santa, Piazzana), e solo il Bagioletto Alto, attribuibile al Sauveterriano finale, si trova a quota elevata, mentre con il Castelnoviano anche i campi base si spostano ad alta quota (Lama Lite, Passo della Comunella, Le Coste). Si tratta comunque di siti stagionali frequentati esclusivamente durante il periodo estivo. Per il sito di Lama Lite (orizzonte mesolitico) è disponibile la data di 6620 ± 80 BP: R – 1394, elemento importante che testimonia anche una certa continuità cronologica con le prime presenze neolitiche dell’area appenninica.

Lama Lite si trova su un pianoro all’altezza di 1764 metri s.l.m., lungo la dorsale che unisce la catena appenninica principale alla parallela catena del Monte Cusna, la cima più elevata della Provincia di Reggio Emilia. Lo scavo condotto nel 1976 ha interessato una superficie di circa 12 mq ed ha evidenziato nel riempimento di una modesta incisione il residuo di un deposito antropico mesolitico al cui tetto si è sviluppato durante l’Atlantico un suolo, sepolto da colluvi nel Subboreale.

L’industria litica comprende oltre 2200 manufatti non ritoccati, 229 microbulini e incavi adiacenti a frattura, 137 strumenti composti (per circa la metà trapezi rettangoli e scaleni a piquant trièdre); vi sono inoltre troncature, lame ritoccate, denticolati e rari grattatoi, e strumenti a dorso e dorso e troncatura; l’industria è fortemente laminare e fabbricata solo in una piccola parte in selce locale. (Castelletti et al., 1976, 1994; Biagi et al., 1981; Notini 1983).

Una marcata differenza nella distribuzione degli insediamenti sembra caratterizzare le Apuane e l'Appennino per motivi attualmente non ipotizzabili. Nelle Apuane tutti gli insediamenti sono concentrati solo sul fondovalle della Turrite Secca, affluente di destra del Serchio; mancano completamente gli insediamenti in quota e nelle valli adiacenti, per quanto siano state anch'esse oggetto di prospezioni. Sull'Appennino gli insediamenti Capitolo 2 – Introduzione ————————————————————————————————————

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sono molto diffusi dai fondovalle fino al crinale e si estendono a nord-ovest verso l'Appennino ligure (Biagi e Maggi 1983).

In seguito, il Neolitico rappresenta una nuova e decisiva fase nello sviluppo culturale dell’uomo, durante la quale si assiste al passaggio dalla sua condizione di cacciatore/raccoglitore a quella di vero e proprio produttore di cibo per mezzo dell’introduzione della domesticazione di piante e animali.

Assolutamente innovativo è il rapporto che l’uomo riesce ad instaurare con l’ambiente circostante: infatti esso mette in moto, per la prima volta, un meccanismo di “selezione artificiale”, intervenendo cioè nella riproduzione degli esseri viventi per “favorire”, nell’ambito della stessa specie, quegli animali e quelle piante che più di altri presentano caratteristiche utili per gli scopi preposti.

Il fenomeno ha origine nel Vicino Oriente in un periodo compreso tra il 9000 e il 6000 a.C., dove le risorse naturalmente presenti nel territorio, con un meccanismo non ancora del tutto chiarito, consentirono la nascita di queste nuove attività: l’area era infatti ricca di alcune specie animali (pecora, capra selvatica, cinghiale, uro) e vegetali (orzo, farro, frumento, legumi) facilmente addomesticabili da parte dell’uomo. In Europa, nonostante non siano da escludere episodi isolati di coltivazione di vegetali e di addomesticamento animale, è assai improbabile che, sfruttando solo le risorse indigene, si sia giunti autonomamente ad un’economia produttiva, evidentemente introdotta dal Vicino Oriente.

Lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento porta con sé conseguenze ancora più rilevanti: si assiste ad una progressiva sedentarizzazione delle forme di insediamento, poiché non è più necessario che i gruppi umani si spostino alla ricerca continua delle fonti di sostentamento (anche se gli insediamenti venivano ciclicamente abbandonati e rioccupati per permettere ai campi di riposare e rigenerarsi) e si verifica il passaggio ad un’economia di produzione che consente non solo il reperimento dei mezzi di sussistenza necessari al gruppo, ma anche l’accumulo di eccedenze (surplus) che condurrà poi alle prime forme di commercio/scambio.

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Dal punto di vista tecnologico vengono introdotti nuovi strumenti come accette e asce in pietra levigata (indispensabili per i nuovi tipi di attività quali il disboscamento, la messa a coltura dei terreni), attrezzi per la macina delle sementi o falcetti per la mietitura; cominciano ad essere prodotti contenitori in ceramica per la conservazione delle derrate o la cottura dei cibi (la tecnica non era sconosciuta anche ai cacciatori-raccoglitori nomadi del Paleolitico, ma veniva applicata in misura estremamente ridotta, probabilmente a causa della pesantezza dei recipienti ceramici rispetto a quelli in cuoio o giunco intrecciato, più facili da trasportare); col tempo si sviluppa inoltre la filatura, attestata dalle fuseruole, e la tessitura al telaio.

Nel panorama italiano, il processo di acculturazione nei riguardi dei precedenti gruppi paleolitici si presenta indubbiamente come un fenomeno complesso, ancora oggi conosciuto solo nelle sue linee generali, che si sviluppa in numerose culture e aspetti regionali con tempi e modalità propri. In questo senso gioca un ruolo determinante l’attestazione della ceramica, elemento distintivo per la ricostruzione delle dinamiche di propagazione del “pacchetto neolitico”.

La particolare conformazione geografica dell’Italia peninsulare, divisa in due dalla dorsale appenninica, ha infatti contribuito allo sviluppo di fenomeni distinti nell’ambito del Neolitico e al formarsi di aree di influenze e rapporti diversi tra i due versanti (Grifoni Cremonesi 1996a).

Tra i 7000 e i 6500 anni BP, dal sud della penisola, i primi agricoltori neolitici raggiungono la Toscana seguendo una via di penetrazione transmarina che, attraverso le tappe intermedie costituite dalle isole Pontine a sud e da quelle dell’Arcipelago Toscano più a nord, collegava la costa tirrenica dell’Italia centro-settentrionale con le grandi isole del Mar Tirreno, permettendo così la diffusione dei gruppi culturali dell’aspetto medio-tirrenico della ceramica impressa (o cardiale), altrimenti detto “aspetto Basi-Pienza” o “ceramica a linee dentellate”.

Questa diffusione nell’area comprende - attraverso una fitta rete di relazioni, sia transmarine che terrestri - oltre alla Toscana e le sue isole, anche la Corsica, la Sardegna, il Lazio centro-settentrionale e l’arco ligure-provenzale ed è, nelle sue linee generali, già da tempo abbastanza nota e documentata da numerosi ritrovamenti, sia

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all’aperto che in grotta (Grifoni Cremonesi 1987; Fugazzola Delpino 1987; Anzidei 1987). Tuttavia molti di essi sono rappresentati solo da qualche frammento ceramico tipicamente decorato a conchiglia recuperato in superficie e non forniscono serie stratigrafiche complete, motivo per cui restano ancora oscuri molti aspetti delle prime fasi neolitiche di questo territorio.

In particolare, in Toscana, pochi frammenti di ceramica a linee dentellate provengono dalla base della stratigrafia del Riparo La Romita di Asciano presso Pisa (Peroni 1962-63; Grifoni Cremonesi 1996c; Grifoni Cremonesi et al., 2007) e poi da Coltano (Bagnoli e Panicucci, 1986), da Stagno (Sammartino 1984), da Castagneto Carducci (Sammartino 1988; 2003; 2007), da San Vincenzo (Fedeli 2000a; 2000b) e da Piombino (Fedeli 1980-81), tutti rinvenimenti di superficie posti lungo la costa tra Pisa e Grosseto. Più internamente, in territorio senese sono stati individuati i siti di Grotta Lattaia (Grifoni Cremonesi 1969), Grotta dell’Orso di Sarteano (Grifoni 1967; Grifoni Cremonesi 1996b) e il notevole insediamento all’aperto di Pienza (Calvi Rezia 1972; 1973; Calvi Rezia e Sarti, 2002).

Nell’entroterra grossetano, invece, sono stati trovati frammenti di impressa nella zona di Manciano (Negroni Catacchio 1987).

Più consistenti, poiché provenienti da veri e propri insediamenti, sono i dati forniti dalla Toscana centro-meridionale e dall’alto Lazio con i siti all’aperto di San Pietrino di Rota (Fugazzola Delpino et al. 2000; Fugazzola Delpino e Pessina, 2002), Tufarelle (Fugazzola Delpino 1982), il villaggio palafitticolo de La Marmotta (Fugazzola Delpino et al. 1993), e con i resti in grotta di Settecannelle, presso Ischia di Castro (Ucelli Gnesutta e Mallegni, 1988; Ucelli Gnesutta e Bertagnini, 1993; Ucelli Gnesutta 2000a; 2000b; 2002a; 2002b).

Nelle isole dell’Arcipelago Toscano la ceramica impressa è nota soprattutto a Pianosa, dove sono stati indagati i siti presso la Grotta di Cala Giovanna Piano (Grifoni 1966; Colombo e Grifoni Cremonesi, 2007), l’Isolotto della Scola (Ducci et al. 2000; Ducci e Perazzi 1998; 2002b) e il sito di Cala Giovanna Piano (Bonato et al. 2000a; Colombo e Tozzi, 2007; Caponi e Radi, 2007) e sull’isola del Giglio (Brandaglia 1985; 1991; 2000; 2002).

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Le aree interne della Toscana nord-occidentale, fino a poco tempo fa, sembravano rimaste praticamente estranee alle prime fasi di colonizzazione neolitica. Nel caso della Valle del Serchio, a un grande numero di siti riferibili al Paleolitico e Mesolitico si contrapponevano solo labili tracce di popolazioni del primo Neolitico, quadro ampiamente rivisto in seguito alle indagini svolte negli ultimi anni (Cap. 2.4).

Un problema ancora aperto è quello della fine della cultura a ceramica impressa cardiale e dei rapporti che intercorrono con il nuovo aspetto che la sostituisce, la corrente della ceramica a linee incise, un tempo denominata “cultura Sasso-Fiorano” e “aspetto di Sarteano” (Radmilli 1974).

Questa fase successiva del Neolitico infatti si sviluppa nell’area tosco-laziale in un certo numero di tendenze regionali, accomunate tuttavia dalla stessa tecnica decorativa, l’incisione lineare, e da alcune somiglianze ceramiche.

Attualmente, tali aspetti riconosciuti sono la cultura di Fiorano in Toscana settentrionale, il gruppo di Sarteano (Grifoni 1967) nella Maremma tosco-laziale, quello del Sasso (Radmilli 1952, 1953) nel Lazio e l’“aspetto di Montevenere” (Delpino e Fugazzola Delpino, 1987) nell’area dei laghi vulcanici.

Sono piuttosto frequenti i casi in cui, nel medesimo sito, compaiono ceramiche impresse associate a ceramiche a linee incise (in Toscana Romita di Asciano, Grotta dell’Orso di Sarteano, Grotta Lattaia, Pianosa - Cala Giovanna Piano; nel Lazio Grotta di Settecannelle, San Pietrino di Rota, Tufarelle). Le caratteristiche di questi complessi sono spesso dubbie e rendono difficile stabilire se si tratta di una semplice continuità abitativa tra le prime comunità neolitiche e quelle successive a linee incise, se è il caso di ipotizzare eventuali contatti tra i due gruppi e se la ceramica impressa contribuì in qualche modo alla formazione dei vari aspetti della lineare incisa (Pessina 1998).

Ai fini di questo lavoro si ritiene interessante approfondire la distribuzione dei siti riferibili alla corrente culturale della ceramica a linee incise, attribuibile all’espansione

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di gruppi padani o semplicemente dei suoi elementi ceramici, noti in particolar modo in Toscana settentrionale.

Questi rinvenimenti sono attestati presso San Rossore, a Poggio di Mezzo, sulla costa in prossimità di Pisa (Tozzi 1974; Bagnone 1982); più internamente, sui Monti Pisani presso la Grotta del Leone (Radi 1974; D’Eugenio 1990) e il riparo La Romita di Asciano (Peroni 1962-63; Grifoni Cremonesi et al. 2007) e Grotta all’Onda (Grifoni Cremonesi 1987): essi testimoniano come a nord dell’Arno gli influssi dell’area emiliana abbiano avuto maggior rilevanza rispetto a quelli degli aspetti tosco-laziali. Tuttavia più a sud vi sono le stazioni di Mileto nella piana fiorentina (Sarti et al. 1991) e Casa Querciolaia nel Livornese (Iacopini 2000a, 2000b; Iacopini e Grifoni, 2000). Quest’ultimo sito si presenta particolarmente importante poiché l’attribuzione delle ceramiche alla cultura di Fiorano è confermata dalla presenza di industria litica ricavata in gran parte da “selce alpina” (Par. 4.4) proveniente dalle formazioni venete dei Monti Lessini (Grifoni Cremonesi 2000, Iacopini 2000c).

Scarse raccolte di superficie si hanno a Castagneto Carducci e San Vincenzo.

Gli unici chiarimenti in proposito provengono dalla sicura sequenza stratigrafica dell’abitato di Pienza. Questo sito ha restituito, in circa 6 metri di spessore, la successione impressa cardiale - lineare incisa - dipinta in stile Ripoli la quale, non consente tuttavia di chiarire se la presenza di ceramiche Fiorano rappresentino l’istallazione di una vera e propria comunità padana nella zona senese o semplicemente una lontana influenza (Calvi Rezia, 1972, 1973; Calvi Rezia e Sarti, 2002).

Infine in Toscana nord-occidentale, i siti di Pian di Cerreto e Muraccio, hanno portato alla luce scarsi frammenti ceramici in cattivo stato di conservazione, tra i quali ne compaiono alcuni di impasto più depurato con decorazione a solcature che in alcuni casi richiamano quelle della ceramica fioranoide padana (Cap. 10).

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2.5 IL NEOLITICO IN GARFAGNANA

Da molti anni ormai, sono ampiamente conosciuti i numerosi insediamenti riferibili all’Epigravettiano finale ed al Mesolitico (Sauveterriano e Castelnoviano) (Biagi et al., 1981; Castelletti et al., 1994; Tozzi 1995; Tozzi e Dini 2007), mentre, fino a poco più di un decennio fa, sembrava che il territorio non fosse stato affatto interessato da una frequentazione neolitica, dal momento che attente indagini avevano portato esclusivamente al ritrovamento di pochi frammenti di ceramica tardo-neolitica provenienti dalla Grotta delle Campane e un’accettina in pietra verde da una nicchia in prossimità della Grotta di Castelvenere (Tozzi 1995).

Ma, nel corso degli anni Novanta, il ritrovamento dei siti in località Pian di Cerreto e

Muraccio (Tozzi 1995; Tozzi e Zamagni, 2000) sulle ampie superfici terrazzate tra

Castelnuovo di Garfagnana e Pieve Fosciana ad opera del Dott. Paolo Notini, hanno in parte cambiato il quadro generale.

Distanti l’uno dall’altro circa 2 Km, questi due ritrovamenti sono situati su un’ampia superficie pianeggiante alla sommità di un antico terrazzo fluviale, posto sulla sinistra

orografica del fiume Serchio, a una quota di circa 370 m sul livello del mare (Fig. 3 e 5).

Gli scavi sono stati effettuati dal 1993 al 1999 dal Prof. C.Tozzi e dalla sua equipe del Dipartimento di Scienze Preistoriche dell’Università di Pisa.

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Fig. 3 – Localizzazione dei siti Pian di Cerreto e Muraccio

Al momento si tratta di due siti ascrivibili con sicurezza al Neolitico Antico. La varietà ed abbondanza di reperti che si è potuto studiare hanno permesso di contribuire alla ricostruzione di una delle più importanti tappe del processo di popolamento nell’alta e media valle del Serchio.

Tuttavia, nel corso del 2001, è stato scoperto a circa 1200 metri di quota in località Monte Frignone, nel Parco dell’Orecchiella, un terzo sito neolitico successivamente scavato dal 2004 al 2006, che riporta una datazione radiometrica di 6624 ± 45 BP (5630 – 5480 cal BC). Battezzato Monte Frignone II (Fig. 4) e non molto distante dalle numerose stazioni epigravettiane e mesolitiche presenti nell’area, si presenta come un insediamento di particolare interesse poiché, date le rare presenze neolitiche in Garfagnana, si configura come la prima segnalazione di un sito del genere a quote elevate (Dini et al., 2003), forse con la funzione di stazione/bivacco di caccia, di raccolta di vegetali e di materiali silicei.

Sito di Pian di Cerreto Sito di Muraccio Capitolo 2 – Introduzione ————————————————————————————————————

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Fig. 4 – Il sito di Monte Frignone II al momento dello scavo

Infine, nel 2006 nuove indagini sono state eseguite dal Dott. Paolo Notini sul limite settentrionale del Piano della Pieve in un lotto di terreno destinato ad essere edificato e confinante con la sopra citata area del Muraccio. Anche in questo caso è emersa una sacca di terreno antropico (“pozzetto”) contenente materiali neolitici che, ad un’analisi preliminare, corrisponderebbero al già noto repertorio del vicino sito del Muraccio (distante un centinaio di metri) e a quello di Pian di Cerreto (Notini P. 2006, Art. 3 ). Esso ha restituito la data di 6352 ± 60 BP.

Ma un quadro più esauriente si potrà avere con il completamento degli studi ed il proseguimento delle ricerche in questa zona ancora “ricca di sorprese” ad opera dell’Università, di studiosi e appassionati.

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2.6 IL SITO DI PIAN DI CERRETO

A partire dai primi anni Ottanta, in questa località (Fig. 6), alcune raccolte di superficie hanno permesso di recuperare numerosi manufatti dispersi nella campagna circostante, tra cui alcuni raschiatoi su scheggia Levallois attribuibili al Musteriano, vari grattatoi e strumenti a dorso riferibili all’Epigravettiano finale e alcune cuspidi di freccia dell’Eneolitico-Bronzo (Guidi e Rossi, 1984; Guidi et al., 1985).

Fig. 6 – Localizzazione del sito sulla carta topografica

Nel maggio 1994 è stata infine individuata e scavata dal Dott. Paolo Notini (Figg. 7 e 8) una struttura consistente in una cavità-pozzetto di forma irregolarmente ellittica (coordinate: lat. N 44°08’03”; long. W 2°03’28”), profonda circa 40 cm, riempita di terreno bruno, molto carbonioso e con un fondo pianeggiante rubefatto dall’azione del fuoco (Tozzi 1995).

Sito di Pian di Cerreto

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Fig. 7 – Il sito di Pian di Cerreto

Fig. 8 – La cavità-pozzetto

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In corso di scavo, al di sotto dello strato di terreno agricolo, sono state individuate tre unità stratigrafiche distinte (Fig. 9):

US 1 – sottile orizzonte superficiale di limo marrone-giallastro poco coerente con pochi e minuti pezzi di argilla cotta;

US 2 – vero e proprio riempimento della cavità, di terreno grigio-nerastro;

US 3 – sottile livello di base, discontinuo e con tracce di arrossamento per l’azione del fuoco.

Fig. 9 – Sezione e pianta dello scavo

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Nel dettaglio, il riempimento della struttura si presentava come terreno molto ricco di carboni (Castelletti et al. 2000), scarsi ciottoli fluviali, blocchi in arenaria a spigoli vivi e numerosi manufatti che comprendono: frammenti di ceramica d’impasto, concotto e piccoli pezzi di probabile intonaco, steatite, macine, macinelli, percussori, ciottoli e lastrine in arenaria riportanti tracce d’uso ed infine un’abbondante industria litica sostanzialmente in diaspro e selce locale (Tozzi e Zamagni 2000; Massei 2001).

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2.7 IL SITO DI MURACCIO

Nel corso degli anni Novanta, questo ripiano, situato presso la periferia settentrionale di Pieve Fosciana, ha iniziato a destare interesse archeologico per il ritrovamento di numerosi reperti riferibili a ripetute frequentazioni umane, messi in luce dai consueti lavori agricoli. L’affioramento di industria litica e ceramica molto frammentata (associato a lenti di terreno nerastro di natura antropica), si presentava particolarmente concentrato in un’area di circa 1,5 ha, di forma grossomodo rettangolare, sui terrazzi compresi tra le scarpate del fiume Castiglione e la depressione in cui un affioramento di acque calde forma il Laghetto del Bagno (Fig. 10).

Fig. 10 – Localizzazione del sito del Muraccio

Sito di Muraccio

Capitolo 2 – Introduzione ————————————————————————————————————

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L’indagine archeologica vera e propria ha avuto inizio dal 1995, quando il Dipartimento di Scienze Archeologiche dell’Università di Pisa ha operato una serie di sondaggi, coodinati dal Prof. C. Tozzi, in grado di valutare la complessità della situazione stratigrafica.

I numerosi saggi effettuati (Fig. 13) hanno permesso di stabilire la presenza di una frequentazione neolitica al di sotto di un primo strato relativo all’Età del Bronzo (saggi L e M) mentre i reperti in superficie e quelli relativi soprattutto al saggio N sono risultati prevalentemente attribuibili all’Età del Bronzo medio, in particolare ad una vera e propria emanazione dell’area terramaricola emiliana modenese (Ciampoltrini e Notini, 1995).

Analogamente alla situazione emersa a Pian di Cerreto, i saggi L e M hanno consentito di individuare una struttura (Figg. 11 e 12) irregolarmente circolare di circa 5 metri di diametro, profonda circa 40 cm e con fondo grossomodo pianeggiante, scavata nelle sabbie e nei limi fluviali misti a ciottoli anche di grandi dimensioni (lat. N 44°08’07”; long. W 2°02’20”).

Fig. 11 – La struttura

Capitolo 2 – Introduzione ————————————————————————————————————

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Fig. 12 – Sezione e pianta dello scavo

Capitolo 2 – Introduzione ————————————————————————————————————

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Al di sotto di un primo strato di terreno agricolo (asportato gradualmente a partire dal piano di campagna e contenente numerosi reperti rimossi dalle più o meno recenti arature) il riempimento (Fig. 12), fortemente carbonioso e ricco di materiale archeologico della cavità, è stato articolato sostanzialmente in quattro tagli artificiali (10, 11, 12, 13) suddivisi in due orizzonti differenti fino al terreno giallastro di base.

Evidentemente la situazione stratigrafica si è presentata ben definita nel corso delle operazioni di scavo.

Così il Prof. Tozzi annota sul proprio diario di scavo:

9 maggio 1996

“[..] Nel complesso la cavità rotondeggiante al centro del saggio M sembra essere stata scavata artificialmente, mentre non è chiaro se i grossi ciottoli che emergono alla sua periferia siano stati disposti artificialmente oppure se fanno parte del deposito naturale del terrazzo. Questa seconda ipotesi sembra la più probabile, ma va verificata [..]”

23 maggio1997

“[..] Risulta ora in modo molto più chiaro che si tratta di una fossa artificiale, scavata nel tetto del terrazzo pleistocenico, con una forma ovaleggiante [..]”

L’ammontare dei reperti è risultato costituito da macine e macinelli, molti minuti frammenti di argilla cotta, scarsi frammenti ceramici, steatite e un’abbondante industria litica simile a quella di Pian di Cerreto (Tozzi e Zamagni 2000; Massei 2001).

Per quanto riguarda la litica, in questo lavoro di tesi è stato analizzato solo il materiale proveniente dal saggio M.

Capitolo 2 – Introduzione ————————————————————————————————————

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Fig. 13 – Disposizione dei saggi effettuati in località Muraccio di Pieve Fosciana, riduzione della planimetria scala 1:100

Capitolo 2 – Introduzione ———————————————————————————————————— Saggio M Saggio L Saggio N Saggio P Canaletta

Figura

Fig. 1 – Carta della Garfagnana
Fig. 2 – Carta geologica: porzione dell’area di interesse
Fig. 3 – Localizzazione dei siti Pian di Cerreto e Muraccio
Fig. 4 –  Il sito di Monte Frignone II al momento dello scavo
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