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Omeostasi energetica. 1.1 1 INTRODUZIONE

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1 INTRODUZIONE

1.1 Omeostasi energetica.

Il mantenimento di un peso ottimale e di una costante disponibilità energetica, sono necessità fondamentali che vincolano le probabilità di sopravvivenza di un organismo nel regno animale.

Sebbene la massa corporea sia un parametro influenzato da un gran numero di fattori (fisiologici, culturali, ambientali) estremamente variabili (Fox, 1973 ; Keesey e Hirvonen, 1997), il peso corporeo nell’uomo, si mantiene stabile nell’età adulta, tollerando piccole fluttuazioni entro un range molto ristretto (Weigle, 1994 ; Kopelman, 2000).

Una stabilità così marcata è difficilmente concepibile in assenza di un sistema di controllo fisiologico.

Secondo la teoria del set point, il peso corporeo è un parametro omeostaticamente regolato (Bray, 1991 ; Keesey e Hirvonen, 1997), esiste cioè un valore di massa corporea predefinito che l’organismo mantiene attivamente, opponendosi all’effetto dei fattori che ne determinano una alterazione. Le variazioni di peso corporeo in un organismo adulto, sono principalmente determinate da alterazioni della massa dei tessuti di riserva, ovvero dei depositi energetici, la cui estensione varia in base all’apporto calorico e al dispendio energetico: un aumento del peso dei depositi energetici, equivale quindi ad un incremento della disponibilità energetica dell’organismo. Questa condizione si realizza quando l’apporto calorico eccede la quantità di energia dissipata, si parla in questo caso di un bilancio energetico positivo.

Vice versa un bilancio energetico negativo è caratterizzato da un incremento del dispendio energetico che comporta una riduzione del peso dei tessuti di riserva e conseguente diminuzione della massa corporea. Nei mammiferi, il tessuto di riserva più rappresentato, è costituito dal tessuto adiposo, il contributo maggiore alla variabilità del peso corporeo, proviene quindi dalle alterazioni prodotte a carico della massa grassa. Si può infatti osservare che un bilancio energetico negativo o positivo, si traduce nella variabilità della massa di trigliceridi presenti nel tessuto adiposo (Harris e Martin, 1986). La massa del tessuto adiposo rappresenta quindi una misura diretta della quantità di energia disponibile.

Il volume totale di tessuto adiposo è mantenuto pressoché costante garantendo stabilità del peso corporeo; ad esempio, è noto che ad una lipectomia parziale segue ipertrofia e iperplasia

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compensatorie dei restanti adipociti (Hamilton e Wade, 1988). Secondo la teoria lipostatica (Kennedy, 1953), un sistema omeostatico, utilizza il tessuto adiposo nel regolare bilancio energetico e peso corporeo. Secondo questo modello, un segnale endogeno prodotto in proporzione al volume del tessuto adiposo, ha accesso a strutture di controllo, che valutano l’intensità del segnale afferente in base ad un valore di riferimento e rispondono modulando l’apporto calorico e il dispendio energetico, affinché la massa del tessuto adiposo e di conseguenza, l’intensità del segnale afferente, siano mantenute stabili. Un’ alterazione dell’intensità del segnale, sarebbe quindi sufficiente a determinare uno sbilanciamento dell’equilibrio energetico, alterando il peso corporeo.

La condizione di obesità, può essere quindi considerata come l’ effetto di una de-regolazione dell’omeostasi energetica. Si tratta in verità, di una patologia complessa che presenta una forte componente genetica documentata dalle seguenti osservazioni: 1) sono note patologie umane a base genetica caratterizzate da ipertrofia e iperplasia del tessuto adiposo (sindrome di: Prader-Willi, Bardet, Biedl); 2) studi eseguiti su gemelli monozigotici allevati separatamente e studi eseguiti su famiglie o su popolazioni con un alto livello di consanguineità, indicano un alto coefficiente di ereditarietà per questa patologia; 3) l’indice di massa corporea (BMI = kg di peso corporeo/altezza in metri al quadrato) di un individuo,correla strettamente con la quantità totale di tessuto adiposo (Harris, 1989 ; Drewry

et al., 1989) ed è un carattere ereditabile (Stunkard, 1991). 4) esistono mutanti spontanei di

topo (ob/ob, db/db, fat/fat, tub/tub, Ay/+) nei quali il fenotipo obeso viene ereditato come carattere monogenetico mendeliano semplice (Ingalls et al., 1950 ; Bray e York, 1979 ; Leibel et al., 1990). Lo studio di questi animali ha consentito di chiarire gli aspetti molecolari alla base del sistema di controllo omeostatico del bilancio energetico nei mammiferi.

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Tra i modelli murini di obesità ereditaria, i mutanti ob/ob e db/db, presentano un fenotipo identico, caratterizzato dallo sviluppo estremamente precoce di una grave obesità. Il peso mediamente è triplo rispetto ai wt (wild type), con un incremento di un fattore 5 della massa grassa totale. Le disfunzioni metaboliche tipiche di questo modello, sono simili ai quadri clinici caratteristici di alcune rare patologie ereditarie umane (Friedman, 1991), in particolare si mette in evidenza una incapacità di percepire l’incremento del deposito adiposo, una costante ricerca di cibo, la sostanziale depressione delle attività motorie spontanee e un grave ritardo dello sviluppo del sistema riproduttivo. Alcune delle alterazioni fisiologiche e ormonali in questi mutanti, sono sovrapponibili a quelle osservate in animali privati del cibo per lunghi periodi sebbene l’apporto calorico sia, al contrario, sproporzionatamente elevato.

In esperimenti classici di parabiosi, nei quali il circolo sanguigno di due animali viene collegato, (Coleman, 1973 ; Harris et al., 1987) è stata osservata una sostanziale normalizzazione delle disfunzioni nei mutanti ob/ob parabionti di animali wt o db/db.

D’altra parte non è stata osservata alcuna modificazione dei parabionti db/db nelle stesse condizioni, mentre nella parabiosi tra db/db e wt gli animali “sani” sospendono l’alimentazione spontanea e riducono il volume del tessuto adiposo fino alla sua scomparsa (Coleman, 1973). In base a questi risultati, è stato possibile concludere che il locus ob è responsabile della funzionalità di un fattore circolante capace di segnalare lo stato nutrizionale e che il locus db codifica per un suo recettore. I mutanti ob/ob non sono quindi capaci di produrre tale fattore, mentre i mutanti db/db, presentano un difetto nella sua recezione. I mutanti ob/ob e db/db , vivono in una cronica condizione di percepito affamamento, che li costringe ad accumulare più energia possibile ad ogni pasto e a ridurre il dispendio energetico per funzioni non vitali.

In base a mappatura genetica e a tecniche di “positional cloning”, è stato possibile caratterizzare la natura molecolare del fattore circolante codificato dal gene ob. Il prodotto di questo gene, localizzato sul cromosoma 6 di topo (Zhang et al., 1994), è un peptide secreto di 167 residui con massa molecolare di 16 KDa (Cohen et al., 1996 ; Zhang et al., 1997) denominato leptina dal greco lepthos, magro. La struttura terziaria della leptina, è caratterizzata da un left twisted helical bundle formato da 2 coppie di α-eliche antiparallele stabilizzate da un unico ponte disolfuro tra le porzioni C-terminali delle eliche C e D.

Una struttura di questo tipo, è un tratto caratteristico comune alle citochine di classe 1 a

catena lunga presente anche nella somatotropina (GH) , prolattina (PRL) , eritropoietina

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1997). Le citochine di classe 1 sono considerate una famiglia multigenica, sebbene al suo interno le strutture primarie siano ampiamente variabili. Nell’ambito dei mammiferi, sia la sequenza aminoacidica, che la struttura genica della leptina sono notevolmente conservate (Zhang et al., 1994 ; Masuzaki et al., 1995), con una omologia dell’ 80% tra uomo e topo.

Nell’uomo e nel topo la leptina viene secreta principalmente dagli adipociti del tessuto adiposo bianco (Zhang et al., 1994 ; Maffei et al., 1995 (A); Friedman e Halaas, 1998 ; Ahima e Flier, 2000 (A) ) come peptide di 146 residui; la sequenza segnale delle proteine secrete, presente all’N- terminale della proteina, viene infatti eliminata tramite taglio proteolitico. La leptina circola nel plasma come peptide libero o associato ad altre proteine plasmatiche (Horn

et al., 1996 ; Houseknecht et al. 1996 ; Lammert et al., 2001).

La leptina non è rilevabile nel plasma del mutante obeso C57bl/6j ob/ob (Halaas et al., 1995), in questi animali, infatti, è stata caratterizzata una transizione non senso al codone 105 del gene ob, che causa la produzione di un peptide troncato (Zhang et al., 1994). Il fenotipo gravemente obeso del topo ob/ob, è dunque la conseguenza dell’incapacità di produrre leptina circolante.

Il recettore della leptina è stato isolato simultaneamente dal gruppo di Tartaglia e da quello di Friedman attraverso l’impiego di due tecniche indipendenti:

1) l’utilizzo di una proteina chimerica, leptina-AP (leptina coniugata alla fostatasi alcalina), ha permesso di localizzare, alcuni dei siti di binding per la leptina, nel plesso corioideo e di identificare, tramite uno screening di una genoteca di espressione di cDNA murino da questo distretto, il cDNA del recettore della leptina denominato Ob/R (Tartaglia et

al., 1995).

2) con un approccio analogo a quello seguito per i topi ob/ob, ovvero mappatura genetica, clonaggio posizionale e una tecnica nota come cDNA selection, il gene mutante nei topi db/db corrispondente al recettore della leptina, è stato isolato sul cromosoma 4 di topo (Lee et al., 1996).

Il prodotto del gene db è una proteina con un singolo motivo transmembrana che presenta una stretta omologia con alcuni recettori delle citochine di classe 1 come la componente gp-130 del recettore dell’interleuchina 6, GCSFR (granulocyte colony stimulating factor receptor) e LIFR (leukemia inhibitory factor receptor). Sono note almeno 6 varianti di splicing per il gene db (Lee et al., 1996), tra loro differenti per la porzione intracellulare: di queste solo l’isoforma Ob/Rb è dotata di un tratto citoplasmatco esteso contenente i domini di interazione con gli effettori della cascata di trasduzione del segnale caratteristici del pathway delle citochine di classe 1 (Friedman e Halaas, 1998 ; Ahima e Flier, 2000). L’isoforma Ob/Rb, lega

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con alta affinità la leptina, (Tartaglia et al., 1995) ed in seguito al legame Ob/Rb-leptina, è possibile evidenziare l’attivazione di fattori citoplasmatici come la proteina JAK (Janus kinase) e STAT3 (signal transducer and activator of transcription) (Baumann et al., 1996 ; Bahrenberg et al., 2002).

Nei mutanti obesi C57Bl/Ks db/db , una mutazione puntiforme causa uno splicing anomalo determinando la delezione di un tratto esteso del dominio intracellulare della variante Ob/Rb del recettore della leptina (Chen et al., 1996 ; Lee et al., 1996).

Le isoforme con dominio citoplasmatico breve (Ob/Ra, Ob/Rc, Ob/Rd, Ob/Re), sono prodotte normalmente nei mutanti db/db, ed esistono prove a sostegno del fatto che una minima capacità di trasduzione sia presente anche per queste varianti di Ob/R (Bjorbaek et al., 1997), tuttavia la loro attività appare del tutto inefficace nel supplire al difetto di Ob/Rb in questi mutanti.

Il fenotipo dei mutanti ob/ob e db/db, pur essendo molto complesso, dipende quindi esclusivamente dall’alterazione della funzionalità del sistema leptina-Ob/Rb (Zhang et al., 1994 ; Chen et al., 1996 ; Ahima et al., 1996 ; Montague et al., 1997 ; Clement et al., 1998) come già postulato da Coleman attraverso gli esperimenti di parabiosi.

Le caratteristiche della leptina soddisfano i requisiti perché questo fattore rappresenti un segnale afferente nel sistema di regolazione del peso corporeo e del bilancio energetico, in accordo con la teoria lipostatica.

La leptina , infatti è un ormone circolante nel plasma e presente nel liquido cefalo-rachidiano, in quantità direttamente proporzionali alla massa grassa (Maffei et al., 1995 (B) ; Considine et al., 1996 ; Ostlund et al., 1996) e correla positivamente con i valori di BMI sia nei roditori che nell’uomo (Considine et al., 1996 ; Weigle et al., 1997).

Esiste una chiara relazione diretta fra alterazione del bilancio energetico e la produzione di leptina: un incremento nell’ingresso di energia, determina aumento della massa adiposa e una maggior produzione di leptina, al contrario, la riduzione dell’assunzione di cibo o un aumento del dispendio energetico, causano una riduzione della quantità di trigliceridi del tessuto adiposo e una consensuale diminuzione dei livelli plasmatici di leptina (Frederich et al.,1995).

Inoltre la somministrazione intraperitoneale di leptina ricombinante in topi ob/ob determina un drastico calo del volume del tessuto adiposo, una riduzione dell’iperfagia, incremento dell’attività motoria spontanea, della termogenesi e normalizzazione di molte disfunzioni endocrine (Halaas et al., 1995 ; Pelleymounter et al., 1995 ; Campfield et al., 1995 ; Farooqi et al., 1999 ; ). Gli effetti osservati nel trattamento con leptina risultano dose-dipendenti, sono più incisivi per trattamenti costanti e prolungati, e regrediscono in breve

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tempo dopo la sospensione del trattamento (Halaas e Friedman, 1997). In topi wt soggetti ad un regime alimentare normale, la sommistrazione di leptina determina calo di peso corporeo, sospensione dell’alimentazione volontaria, incremento della termogenesi e dell’attività motoria. Anche nell’uomo, il trattamento con leptina esogena causa dimagrimento e migliora i difetti metabolici nei pazienti con mutazioni nel gene ob (Farooqi e O’Rahilly, 2000).

E’ interessante inoltre osservare che la somministrazione di leptina ad animali privati di cibo per lunghi periodi (bassi livelli di leptina), attenua le modificazioni ormonali indotte dal digiuno (Chan et al., 2003).

Come atteso, la somministrazione di leptina, non ha alcun effetto sul fenotipo dei mutanti

db/db (Campfield et al., 1995 ; Halaas et al., 1995 ; Pelleymounter et al., 1995).

1.3 La leptina nella regolazione centrale del bilancio energetico.

Il ruolo di controllore del bilancio energetico dell’organismo, viene svolto primariamente dal sistema nervoso centrale, in particolare dall’ipotalamo. In questa sede si realizza una integrazione tra diversi segnali centrali e periferici e dall’ipotalamo, prende origine una rete neurale che coinvolge diverse strutture del sistema nervoso centrale, deputate alla regolazione dell’assunzione di cibo e del consumo calorico. Anche la neurosecrezione ipotalamica riveste un ruolo di fodamentale importanza nella modulazione della risposta endocrina alle alterazioni del bilancio energetico. Per queste caratteristiche, l’ipotalamo viene considerato la sede del controllo del set point del peso corporeo (Hoebel, 1971).

Da studi condotti sulle alterazioni indotte da lesioni a carico di aree discrete dell’ipotalamo (Brecher et.al., 1965 ; Lorden e Caudle, 1986), è stato possibile individuare nelle regioni del nucleo arcuato (ARC), ipotalamo dorsomediale (DMH), nucleo paraventricolare (PVN), ipotalamo ventromediale (VMH), nuclei premamillari (PMN)ed area laterale dell’ ipotalamo (LHA), le principali strutture ipotalamiche regolanti il bilancio energetico (Brecher et al., 1965 ; Hetherington, 2002).In queste aree è stata caratterizzata l’espressione di peptidi neurosecreti con effetti oressizzanti o anoressizzanti, costituenti la componente molecolare principale del controllo efferente sull’assunzione di cibo (Hillebrand et al., 2002). Il recettore della leptina Ob/Rb risulta espresso intensamente in queste strutture come in altre aree coinvolte nella regolazione dell’assunzione di cibo e del dispendio energetico (Schwartz et al., 1996 ; Mercer et al., 1996 ; Fei et al., 1997 ; Elmquist et al., 1998 (A) , (B) ).Il nucleo

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arcuato, è l’area di più intensa espressione del recettore Ob/Rb, ed anche in virtù della sua localizzazione anatomica, viene considerato il “bersaglio” principale della leptina nel SNC.

Nel nucleo arcuato si distinguono due popolazioni neurali esprimenti il recettore Ob/Rb, la cui attività è regolata in maniera inversa dalla leptina (Baskin et al., 1999).

Un gruppo è caratterizzato dalla co-espressione dei geni NPY (neuropeptide Y) e AgRP (agouti related peptide), che sono potenti peptidi oressizzanti. L’attività di questa popolazione neurale, determina l’attivazione di un circuito che promuove il senso di fame e i comportamenti di ricerca di cibo; l’azione della leptina su questi neuroni, risulta essere inibitoria sia da un punto di vista dell’attività elettrica, che per quanto riguarda il livello trascrizionale dei geni npy e agrp (Korner et al., 2001 ; Harrold, 2004). È stato inoltre osservato in mutanti ob/ob, deficienti quindi per la leptina, che il numero di sinapsi eccitatorie sui neuroni NPY/AgRP positivi, è superiore a quello osservato per i wt, mentre il numero delle sinapsi inibitorie risulta ridotto (Harrold, 2004), di conseguenza, gli effetti oressizzanti, sono potenziati, in questi animali obesi.

Un’altra popolazione neurale, nel nucleo arcuato dell’ipotalamo, che esprime ad alti livelli il recettore Ob/Rb, è formata da neuroni che trascrivono attivamente i geni pomc (pro-opiomelanocortina) e cart (cocaine anphetamine related transcript): codificanti per potenti peptidi anoressizzanti (Baskin et al., 1999). Dai neuroni positivi per POMC e CART si origina un circuito esteso a diverse aree del sistema nervoso, la cui attivazione determina una risposta caratterizzata dall’aumento della termogenesi e inibizione dell’assunzione di cibo.

L’effetto della leptina su questi neuroni, determina un’ attivazione trascrizionale dei geni

pomc e cart ed una sollecitazione dell’attività elettrica attraverso la promozione di una EPSC

(eccitatory post synaptic current) (Harrold, 2004). Attraverso questa popolazione di neuroni la leptina determina una forte stimolazione di una risposta anoressizzante.

In questo sistema complesso di regolazione dell’omeostasi energetica sono state anche descritte reciproche relazioni sinaptiche GABA-ergiche (inibitorie), tra le popolazioni di neuroni POMC/CART e NPY/AgRP (Hentges et al., 2004).

La somministrazione di leptina ai mutanti ob/ob, causa un intenso riarrangiamento delle connessioni sinaptiche in un breve arco di tempo che precede gli effetti del trattamento sul fenotipo, sintetizzabili in una riduzione dell’apporto di cibo e una drastica diminuzione della massa grassa. Un effetto simile sul rimodellamento delle connessioni sinaptiche, ricorda il fenomeno della plasticità neurale ippocampale che è alla base della relazione tra apprendimento e memoria (Kandel, 2004).È stato ipotizzato che, anche in ambito ipotalamico,

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sia possibile un meccanismo di apprendimento modulato dalla leptina, ritenuto alla base della regolazione del set point del peso corporeo (Harrold et al., 2004).

Oltre al nucleo arcuato dell’ipotalamo, altre strutture del SNC, coinvolte nei processi di regolazione dell’assunzione di cibo e del dispendio energetico, esprimono il recettore Ob/Rb, quali le aree extraipotalamiche: nucleo del tratto solitario (NTS), rafe dorsale (DR), nucleo parabrachiale (PBN), sostanza grigia periacqueduttale (PAG), talamo, strato piramidale della corteccia e cellule del Purkinje del cervelletto (Elmquist et al., 1998 (A) , (B) ; Hubscle et al., 2001 ; Hosoi et al., 2002 ; Bjorbaek e Kahn, 2004). Esiste poi una fitta rete di interazioni tra neuroni di “primo ordine “ che sono bersaglio diretto dell’ormone e neuroni di “secondo ordine” che ricevono afferenze dai primi (van den Top e Spanswick, 2006).

La risposta efferente evocata dalla leptina nel sistema nervoso centrale, consiste principalmente in una azione sui comportamenti alimentari volontari attraverso l’area LHA; una modulazione dell’attività del sistema autonomo tramite l’attività dell’area PVH e una regolazione dell’assetto endocrino attraverso VMH, DMH e PVH. Un aumento dei livelli plasmatici di leptina, determina anche la stimolazione del tono simpatico a cui consegue un incremento della spesa energetica nei processi termogenetici sia nel tessuto adiposo bruno che nel muscolo scheletrico (Bjorbaek e Kahn, 2004).

Inoltre, viene attivata una risposta in parte sovrapponibile a quella indotta da stress, attraverso la stimolazione surrenalica, e il rilascio di catecolamine che ne segue, contribuisce all’incremento del dispendio energetico (Ahima et al., 1996).

Consensualmente, nell’ipotalamo del topo, una diminuzione dei livelli di leptina, determina decremento della produzione di TRH (tireotropine releasing hormone), e di CRH (corticotropine releasing hormone). Ne segue una depressione generalizzata dell’appetito, del metabolismo basale, e dell’asse HPA (asse ipotalamo-ipofisi-surrenale), risposte finalizzate alla limitazione del dispendio energetico.

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PMV corteccia Risposta comportamentale neuroni pregangliari Risposta sistema nervoso autonomo ipofisi Risposta endocrina SPVZ SCN Ritmi circadiani LHA ARC DMH PVH VMH Leptina circolante PMV corteccia Risposta comportamentale neuroni pregangliari Risposta sistema nervoso nomo auto ipofisi Risposta endocrina SPVZ SCN Ritmi circadiani LHA ARC DMH PVH VMH Leptina circolante

Modello neuro-anatomico dell’azione della leptina nel cervello di topo.

VMH=ipotalamo ventromediale, DMH= ipotalamo dorsomediale, ARC=nucleo arcuato, PMV=nucleo ventrale premamillare, LHA=area ipotalamica laterale, PVH=ipotalamo paraventricolare, SPVZ=zona sub-paraventricolare, SCN=nucleo suprachiasmatico modificato da Elmquist et al., 1998

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1.4 La leptina è un ormone pleiotropico.

La leptina è un ormone estremamente pleiotropico e la sua azione non è ristretta nell’ambito della regolazione del bilancio energetico. I topi wild type a digiuno e i mutanti

ob/ob e db/db, che come abbiamo visto, nonostante la aumentata massa adiposa, si

comportano come se fossero in regime di sottoalimentazione, presentano una depressione delle facoltà riproduttive. La sterilità è una risposta fortemente adattativa nel contesto di un carente apporto energetico. La leptina, stimolando la produzione di GnRF (gonadotropine releasing factor) ipotalamica, consente un normale sviluppo degli organi riproduttivi solo in presenza di un adeguato bilancio energetico, che si riflette in un livello plasmatico “normale” dell’ ormone stesso. Anche l’ingresso nella fase puberale, viene promosso da un aumento della quantità di leptina circolante nel topo, in accordo con l’osservazione che la fertilità è un parametro che correla meglio con la quantità di tessuto adiposo che con l’età (Frisch, 1987).

Considerando altri effetti mediati dal SNC, attraverso il sistema nervoso simpatico, la leptina ha effetto sul rimodellamento della matrice ossea e sui processi di ossificazione (Elefteriou, 2005). Inoltre nel topo, l’incremento dei livelli ipotalamici di leptina, determina la stimolazione della secrezione di GHRH (growth hormone releasing hormone) che induce il rilascio di GH (somatotropina), questo causa la ripartizione di una cospicua quantità di energia verso i processi di accrescimento longitudinale.

Oltre al sistema nervoso centrale, il recettore Ob/Rb, è espresso in molti altri tipi cellulari e questo spiega alcuni importanti effetti della leptina che si esplicano tramite una attività diretta dell’ormone su tessuti periferici di cui in seguito si danno alcuni esempi . Il recettore per la leptina è espresso nelle cellule follicolari delle ovaie, endometrio, placenta e nelle cellule di Leydig sia nell’uomo che nei roditori (Zachow e Magoffin, 1997 ; Gonzalez et al., 2000 ; Giovanbattista et al., 2003). Si è osservato che la leptina ha un effetto inibitorio dose dipendente sulla produzione di testosterone da parte delle cellule di Leydig in vitro e sembra essere importante nei processi di spermatogenesi (El-Hefnawy et al., 2000 ; Giovanbattista et

al., 2003); anche sulle cellule del follicolo ovarico la leptina ha un effetto diretto inibitorio

sulla produzione di estrogeni (Kennedy et al., 1997 ; Mantzoros., 2000 (A) ).

Il recettore Ob/Rb è stato caratterizzato nel muscolo scheletrico e negli epatociti: l’azione della leptina in questi distretti è stata messa in relazione ad una stimolazione dell’ossidazione degli acidi grassi e dell’uptake del glucosio insulino-dipendente parallelamente ad una

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inibizione della gluconeogenesi (Kamohara et.al., 1997 ; Yaspelkis et.al.,1999 ; Minokoshi et

al., 2002).In generale, l’effetto diretto della leptina su tessuti periferici, può essere interpretato

come segnale della disponibilità energetica dell’organismo, per funzioni non strettamente vitali.

La leptina segnala il livello di disponibilità energetica anche al sistema immunitario tramite una azione diretta (Fantuzzi e Faggioni, 2000): si è infatti osservato che l’ormone stimola la proliferazione di progenitori mieloidi di topo (Fantuzzi e Faggioni, 2000) e di progenitori ematopoietici primitivi di uomo e di topo (Gainsford e Alexander, 1999), inoltre il livello di espressione del gene db nei linfociti T, è paragonabile a quello ipotalamico (Ghilardi

et al., 1997).Topi ob/ob, db/db o wt a digiuno, presentano gravi alterazioni nella risposta

immunitaria specifica, mediata da cellule T (Mandel e Mhamoud, 1978 ; Chandra, 1980 ; Chandra e Kutty, 1980 ; Faggioni et al., 2000 ; Faggioni et.al.. 2001).

La leptina ha inoltre un iportante effetto inibitorio sulla secrezione di insulina dalle cellule βdel pancreas endocrino, che infatti esprimono il recettore per questo ormone (Kieffer et.al., 1997 ; Lupi et al., 1999 ¸ Seufert, 2004). Un ruolo per la leptina è stato postulato anche nello sviluppo del SNC. Topi mutanti ob/ob mostrano uno sviluppo alterato del cervello, che nel topo adulto mostra un peso inferiore a quello di animali wt.(Udagawa et al., 2006 (A) , (B) ); topi db/db mostrano inoltre una ridotta plasticità sinaptica ippocampale (Li et al., 2002). Nel topo, somministrazioni di leptina nell’ippocampo, facilitano l’insorgere di LTP (long term potentiation) e migliorano le prestazioni nei test di ritenzione mnemonica (Shanley et al., 2001 ; Wayner et al., 2004 ; Farr et al., 2006 ;).È possibile che una elevata concentrazione plasmatica di leptina alteri il livello soglia di stimolazione necessaria per indurre LTP ioppocampale, abbassandola (Harvey et al., 2005).

Altri effetti della leptina sono riconducibili alla sua natura di citochina. La leptina modula, infatti la produzione di altre citochine, quali: TNFα (tumor necrosis factor-α), IL-6 (interleuchina 6), IL-12 (interleuchina-12) nei macrofagi (nei quali incrementa anche l’attività fagocitica), negli adipociti e nelle cellule T (Matarese et al., 2005).La leptina promuove i processi angiogenetici e migliora la permeabilità delle fenestrazioni capillari (Sierra-Honigmann et al., 1998 ; Cao et al., 2001 ; Wolk et al., 2005) sia nel tessuto adiposo, che in altri tessuti, anche nel contesto dello sviluppo fetale (Trayhurn et al., 1999).

Infine la leptina promuove i processi di riparazione tissutale e mostra una attività modulatoria della proliferazione cellulare sul rene, polmoni, ipofisi e mucosa gastrica (Shimon

et al., 1998 ; Frank et al. , 2000 ; Schneider et al., 2001 ; Wolf et al., 2002 ; Kirwin et al. ,

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1.5 Regolazione della produzione di leptina.

La produzione di leptina è soggetta ad un intenso controllo, testimoniato dalla grande variabilità dei livelli plasmatici in diversi contesti fisiologici. La prima parte di questo paragrafo prenderà in considerazione proprio questi aspetti, mentre in seguito verrà fatta una descrizione degli effetti, sulla produzione di leptina, da parte di singoli fattori. Peso corporeo e il BMI, sono parametri che correlano direttamente con la concentrazione plasmatica di leptina, infatti risulta che la quantità di mRNA del gene ob negli adipociti, correla con il volume di trigliceridi accumulati nelle singole cellule (sopratto in animali ben nutriti) (Maffei et al., 1995 (A) ; Lonnqvist et al., 1995 ; Frederich et al., 1995 ; Lonnqvist et al., 1997 ; Lonnqvist

et al., 1999 ; Speakman et al., , 2002).

Nei mutanti ob/ob e db/db ed in animali portatori di lesioni ipotalamiche, la quantità di mRNA della leptina negli adipociti è superiore di un fattore 20 rispetto ad animali wt sani (Frederich et al., 1995 ; Maffei et al., 1995 (B) ).

Lo stato nutrizionale, determina una grande variabilità nella produzione di leptina: il digiuno, infatti, causa una drastica riduzione della sua concentrazione plasmatica e del livello trascrizionale , mentre l’assunzione di cibo ne altera significativamente i livelli con una cinetica più lenta (Saladin et al., 1995 ; Maffei et al., 1995 (A) ; Considine et al., 1996 ; Boden et al., 1996 ; Kolaczynski et al., 1996 ; Grinspoon et al., 1997).

Esiste, nell’uomo e nel topo, un dimorfismo sessuale rispetto alla quantità di ormone prodotto, anche in seguito a normalizzazione in base al peso corporeo e alla quantità di tessuto adiposo (Lonnqvist et al., 1995 ; Wabitsch et al., 1997 ; Elbers et al., ; 1997 ; Blum et al., 1997 ; Licinio et al., 1998).

La produzione di leptina è variabile in relazione al tipo di tessuto adiposo che si prende in considerazione: nell’uomo, il distretto subcutaneo sembra essere il maggior produttore, mentre nel topo la leptina è maggiormente prodotta dai distretti viscerali, come il perigonadale e il perirenale (Maffei et al., 1995 (A) )

Col progredire dell’età, nell’uomo e nel topo, è stato osservato un incremento della produzione di leptina e un parallelo sviluppo di un fenomeno di resistenza (Blum et al., 1997 ; Li et al. , 1998).

È noto in fine, che la produzione di leptina viene incrementata da condizioni di ipossia (Grosfeld et al., 2002 (A) , (B)).

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Oltre a condizioni “croniche” è stato caratterizzato l’effetto di alcuni fattori capaci di alterare in maniera “acuta” la produzione di leptina nel tessuto adiposo.

Tra gli induttori si ricordano:

Insulina (Saladin et al. , 1995 ; Ryan e Elahi, 1996 ; Barr et al., 1997 ; Russell et al., 1998 ; Bradley e Cheatham, 1999 ; Lee et al., 2006).

Glucocorticoidi (Kiess et al.,1996 ; Slieker et al., 1996 ; Kolaczynski et al., 1997 ; Russell et al., 1998 ; Bradley e Cheatham, 1999 ; Williams, 2000).

Endotelina (Xiong et al., 2001). Prolattina (Mukherjea et al., 1999). Alanina, Leucina (Roh et al., 2003). Angiotensina II (Kim et al., 2002).

HIF-1 (fattore inducibile dall’ipossia-1) (Ambrosini et al., 2002).

• Citochine, TNFα, LPS (endotossina) (Grunfeld et al., 1996 ; Sarraf et al., 1997). • UDP-N-acetilglucosammina (Wang et al., 1998).

• Attivatori di C/EBP-antagonisti PPARγ (Devos et al., 1996 ; Kalle e Lazar, 1996 ; Zhang et al., 1996).

• Attivatori dei fattori di trascrizione : SP-1 (specific protein-1), Lp1, c/EBP (CCAAT/enhancer-binding protein alpha) (He et al., 1995 ; Mason et al., 1998 ).

Estrogeni (Casabiell et al. , 1998).

• Agonisti del recettore orphan-GPR41 quali gli SCFAs (acidi grassi a catena corta:C2-C6) (Xiong et al., 2004).

Antagonisti del recettore MC4R (melanocortin 4 receptor) (Hoggard et al., 2004). alcuni inibitori sono:

• Agonisti di MC4R: AgRP (agouti related protein), α-MSH (alpha melanocyte stimulating hormone) (Hoggard et al., 2004).

• Attivatori di PPAR-γ (alcuni farmaci antidiabetici appartenenti alla famiglia dei Tiazolidendioni) (Devos et al., 1996 ; Kallen e Lazar, 1996 ; Zhang et al., 1996).

Adenosina, cAMP (Slieker et al., 1996 ; Szudelski et al., 2005).

• Agonisti β3-AR (Mantzoros et al. , 1996 ; Li et al., 1997 ; Scriba et al., 2000). • Attività/tono del sistema nervoso autonomo simpatico (Li et al., 1997).

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Tra questi, l’insulina e i glucocorticoidi rivestono un interesse particolare, essendo fattori endogeni che intervengono direttamente nella modulazione della risposta fisiologica alle variazioni del bilancio energetico. Inoltre esiste un effetto reciproco, poiché la leptina è coinvolta nella regolazione della produzione surrenale di glucocorticoidi per la sua azione stimolatoria dell’asse HPA, ed è interessata nella modulazione della secrezione di insulina (vedi sopra). In base alla concentrazione plasmatica, i glucocorticoidi determinano effetti opposti sulla regolazione del peso corporeo: livelli elevati aumentano il catabolismo, mentre livelli bassi sono necessari nella stimolazione di processi anabolici (Devenport et al., 1989). Un incremento dei livelli plasmatici di glucocorticoidi, determina un significativo aumento dell’espressione della leptina con un cinetica rapida e ben documentata sia in vivo che in vitro (Larsson e Ahren, 1996 ; Miell et al.,1996 ; Hardie et al.,1996 ; Slieker et al., 1996 ; kolaczinski et al., 1997 ; Dagogo-Jack et al., 1997 ; Papaspyrou-Rao et al., 1997 ; Russell et

al., 1998 ; Bradley e Cheatham, 1999 ; Williams et al., 2000). L’effetto induttivo del

dexametasone, sembra agire a diversi livelli nei processi di produzione della leptina (De Vos

et al., 1996 ; De Vos et al., 1998 ; Halleux et al., 1998 ; Ahima e Flier, 2000 (A) (B) ;

Masuzaki et al., 2001). La quantità di leptina rilasciata nel mezzo di coltura di adipociti

ex-vivo, cresce sotto l’induzione di dexametasone già dopo 2 ore di trattamento (Bradley e

Cheatham, 1999), senza alterare il livello trascrizionale. Trattamenti prolungati con dexametasone, invece, inducono l’aumento dei livelli di mRNA e di proteina secreta in adipociti in vitro (Slieker et al, 1996 ; Halleux et al, 1998). L’effetto del dexametasone risulta infatti inibito da actinomicina-D (inibitore trascrizionale) solo per trattamenti superiori alle 7ore (De Vos et al., 1998 ; Bradley e Cheatham, 1999).

L’inibizione della traduzione con cicloesimmide (CHX), non interferisce con l’aumento della quantità di leptina rilasciata nel mezzo dopo trattamenti di breve durata (<3 ore) (Bradley e Cheatham, 1999), mentre abolisce l’effetto induttivo del dexametasone nei trattamenti superiori alle 5 ore, pur non impedendo l’aumento dei livelli di mRNA.

Il trattamento con dexametasone sembra quindi determinare un incremento della secrezione di leptina pre-formata, per trattamenti di breve durata, mentre determina un aumento della neosintesi in seguito ad una esposizione prolungata. Esiste comunque una variabilità della risposta degli adipociti al trattamento con dexametasone in base alla provenienza anatomica delle cellule prelevate e allo stato nutrizionale. L’espressione dei recettori per i glucocorticoidi varia infatti tra adipociti dal deposito viscerale e quelli da

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deposito subcutaneo, e fra adipociti provenienti da individui obesi e magri (Miller et al.,1987), essendo più marcata nei primi (Dagogo-Jack et al., 1997).

L’effetto della insulina è di vastissima portata sulla regolazione a breve termine del bilancio energetico e questo ormone è implicato in alcuni aspetti della regolazione a lungo termine (Schwartz et al., 1992 ; Wynne et al., 2005). L’effetto dell’insulina sulla produzione di leptina risulta alquanto controverso. Alcuni autori mettono in evidenza l’assenza di un effetto significativo o la presenza di un debole effetto induttivo a seguito del trattamento acuto (2-8 H) di adipociti in vitro (MacDougald et al., 1995 ; Slieker et al., 1996 ; Vidal et al., 1996 : Kolaczynski et al., 1996 ; Pratley et al., 1996 ; Rentsch e Chiesi, 1996 ; Kolaczynski et al., 1997 ; Dagogo-Jack et al., 1997). In alcuni casi viene descritto un effetto induttivo solo per trattamenti di lunga durata (> 72 H) o con dosi fortemente suprafisiologiche (Utriainen et al., 1996).In studi più recenti, d’altra parte, si parla di un effetto induttivo acuto del trattamento insulinico (Igel et al., 1996 ; Ryan e Elahi, 1996 ; Barr et al., 1997 ; Russell et al., 1998 ; Bradley e Cheatham, 1999 ; Lee e Fried, 2006 ; Lee et al., 2006 ; Lee et al., 2007). Le discrepanze osservate , possono essere dovute a differenze nei protocolli di coltura di adipociti: in particolare sembra che l’aggiunta di siero riduca significativamente la risposta degli adipociti all’insulina (Cammisotto et al., 2005). Parte della variabilità della risposta al trattamento con insulina, deriva anche dalla diversa sensibilità degli adipociti a questo ormone, variabile in base all’età, provenienza anatomica del tessuto adiposo e stato nutrizionale (Lee e Fried, 2006). È stato proposto che l’effetto dell’insulina sia dovuto ad un generico aumento della traduzione, osservazione supportata dall’evidenza che l’insulina determina l’attivazione del fattore di iniziazione eIF2 (eukaryotic initiation factor 2) (Proud, 2006) o che sia responsabile dell’aumento del rapporto ATP/cAMP intracellulere anche a seguito della stimolazione dell’utilizzazione di glucosio negli adipociti (Schmitz et al., 1997 ; Saad et al., 1998 ; Szkudelski, 2006),

Come i glucocorticoidi, l’insulina regola diversi aspetti della produzione di leptina (Lee e Fried, 2006), anche nel contesto di un livello glicemico costante (Boden et al., 1997 ; Kolaczynski et al., 1996). In trattamenti di breve e media durata (2-9 ore), non è stato riportato alcun incremento del messaggero della leptina, sembra quindi che l’insulina agisca su processi post-trascrizionali (Bradley e Cheatham, 1999). L’actinomicina-D, non ha infatti alcun effetto sull’azione dell’insulina per trattamenti acuti (Russell et al. , 1998 ; Bradley e Cheatham, 1999). Un incremento della traduzione del gene ob si manifesta soltanto dopo trattamenti prolungati (48-72 ore). Per brevi trattamenti con insulina (3 ore) la cicloesimmide (inibitore della sintesi proteica) non ostacola l’incremento della produzione di leptina (Bradley

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e Cheatham ,1999 ; Roh et al., 2003), sembra perciò che, in quest’ambito, l’insulina promuova soltanto la secrezione di leptina preformata. Tuttavia, se il trattamento viene prolungato (7-9 ore), la cicloesimmide diventa un inibitore della produzione di leptina (Levy e Stevens, 2001), indicando la stimolazione della neosintesi dell’ormone da parte dell’insulina (Lee et al., 2006). Negli adipociti provenienti da animali a digiuno, sembra che la leptina venga secreta in quantità minime e in modo costitutivo: l’insulina in questo caso ha un effetto molto debole sia in trattamenti brevi che prolungati (Barr et al., 1997 ; Bradley e Cheatham, 1999). Negli adipociti ottenuti da animali nutriti normalmente, invece, è possibile indurre un rapido aumento del rilascio di leptina nel mezzo di coltura (Roh et al., 2000).

È stato ipotizzato che la produzione di leptina presenti una componente stabile, caratterizzata da una secrezione costitutiva di una minima quantità di ormone dipendente dal livello trascrizionale e una componente rapidamente inducibile, dipendente dall’utilizzo di un deposito intracellulare di proteina (Mora e Pessin, 2002). Ci sono risultati sperimentali che indicano che la leptina in animali nutriti viene immagazzinata in vescicole secretorie a bassa densità (Barr et al., 1997 ; Roh et al. , 2000 ; Bornstein et al. , 2000), ma un incremento della loro secrezione indotto da insulina non è mai stato descritto. E’ noto però che in assenza di insulina la maggior parte della leptina neoformata, subisce processi di degradazione nei quali sono interessati sia i proteosomi che i lisosomi (Bornstein et al., 2000 ; Lee et al., 2006). L’insulina sembra quindi avere un ruolo anche sul controllo del turn-over della leptina, rallentandone la velocità di degradazione (Lee et al., 2006).

Si riscontra inoltre, una interazione sinergica tra effetto di insulina e dexametasone nell’induzione della produzione di leptina, almeno per trattamenti prolungati: in particolare, la somministrazione di dexametasone ad adipociti trattati con insulina aumenta notevolmente la quantità di leptina liberata nel terreno di coltura (Russell et al., 1998). Evidenze di un effetto sinergico di questi due fattori, derivano anche dal fatto che individui obesi presentino, generalmente, livelli di leptina elevati in un contesto ormonale frequentemente caratterizzato da iperinsulinemia ed elevato turnover di cortisolo

Qui di seguito si parlerà più in dettaglio della regolazione della trascrizione del gene ob, sulla base di quelli che sono i putativi elementi nella regione LCR (locus control region), in grado di interagire con i vari fattori. In questo contesto verranno particolarmente messe in evidenza le relazioni tra i vari meccanismi di regolazione e la induzione da parte di insulina e dexametasone.

E’ stato dimostrato che una regione di 217 pb a monte del sito di inizio della trascrizione del gene ob, è necessaria per dirigere un trascrizione adipocita-specifica (Miller et al., 1996).

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Tramite l’utilizzo di vettori di espressione, alll’ interno di questa regione, è stato possibile identificare una regione promotore minima, di 109 pb (Gong et al., 1996) entro la quale sono stati caratterizzati alcuni elementi cis-regolatori .

Un elemento in cis localizzato in posizione -87 denominato LP1, lega un fattore di trascrizione (FT) specifico del tessuto adiposo ma ancora sconosciuto. Una mutazione in questa regione determina un lieve calo nei livelli di espressione del gene ob nella linea 3T3-L1 di fibroblasti differenziati terminalmente in adipociti o in adipociti ex-vivo (Mason et al. , 1998). Nel promotore della leptina è presente un elemento di binding per il fattore di trascrizione adipocitario aP2, che interviene nel differenziamento dei pre-adipociti. Per i fattori trascrizionali LP1, aP2, non è nota una interazione con insulina o dexametasone (Hollenberg et al., 1997) che possa supportare un loro effetto trascrizionale nei confronti del gene ob.

Anche la proteina SP1 determina la transattivazione del gene ob interagendo, nel promotore, con una sequenza consensus ricca in G-C , ma il contributo all’induzione della trascrizione attraverso questo fattore è minimo (de la Brousse et al., 1996).

Il promotore della leptina contiene un elemento CRE (c-AMP response element) (Gong et

al., 1996).che può giustificare l’ effetto inibitore osservato per il cAMP intracellulare sulla

trascrizione di leptina (Giacobino, 1996 ; Ttrayhurn et al., 1998).È stato comunque dimostrato che l’effetto dell’insulina sulla produzione di leptina persiste anche in presenza di forskolina e Br-cAMP (rispettivamente: attivatore della adenilil ciclasi e analogo non idrolizzabile del cAMP) (Ttrayhurn et al., 1999), indicando che non è attraverso la regolazione dei livelli di cAMP che l’insulina ha effetto sulla produzione di leptina.

A monte di una sequenza TATA-like , si trovano tre elementi consensus per C/EBP (CAAT/enhancer binding protein), ma solo uno di essi risulta funzionante (Hwang et al., 1996).Le proteine della famiglia C/EBP sono fattori di trascrizione implicati nel differenziamento terminale dei pre-adipociti, e molti geni adipocita-specifici sono sotto il controllo trascrizionale di questo fattore (Lane et al., 1999). La trascrizione del gene ob diminuisce di 23 volte se viene deleto l’elemento consensus per C/EBP, indicando che il promotore del gene per la leptina è un bersaglio di questo fattore (He et al., 1995). Modelli di interazione tra glucocorticoidi o insulina con C/EBP-α , sebbene teoricamente possibili, possono essere esclusi per diversi motivi tra i quali:

1) una cinetica non conforme alle osservazioni in merito ad una induzione veloce della produzione di leptina (Devos et al., 1998).

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2) mancanza di effetti inibitori della sovraespressione di C/EBP-α sull’azione di dexametasone o insulina (Devos et al., 1998).

3) una mutazione di C/EBP-α nel dominio di binding al DNA, non altera l’induzione di leptina da parte di dexametasone né di insulina (Devos et al., 1998).

Un fattore trascrizionale con un potente effetto sulla produzione di geni adipocita-specifici è PPARγ (peroxisome proliferator-activated receptor). C/EBP e PPARγ sono implicati in un meccanismo di antagonismo funzionale (Tontonoz et al., 1994 ; Zhang et al. , 1996 : Kallen e Lazar, 1996 ; Hollenberg et al., 1997). Sebbene esista nel 5’ del gene per la leptina, un sito consensus per il legame di PPARγ, la trascrizione di leptina non risulta essere attivata da questo fattore.Al contrario, ligandi di PPARγ determinano una down-regolazione del gene ob. Tra gli induttori di PPARγ sono noti i farmaci antidiabetici appartenenti alla classe dei tiazolidendioni (Devos et al., 1996 ; Kallen e Lazar, 1996) e l’insulina stessa, attraverso l’attivazione di SREBP-2 (sterol regulatory element binding protein) (Kallen e Lazar, 1996). Questo effetto dell’insulina produrrebbe una diminuzione della trascrizione della leptina, che è stata osservata però molto raramente ed in presenza di siero (Considine et al., 1996).

Nel promotore della leptina è presente un elemento GRE (glucocorticoid response element), ma la regolazione della trascrizione della leptina attraverso questo elemento, non sembra seguire un meccanismo canonico (Devos et al., 1998). È stato proposto che l’effetto trascrizionale dei glucocorticoidi dipenda dall’attivazione di un putativo fattore di trascrizione attivo sul gene ob (Devos et al. , 1998). Alternativamente, il recettore per i glucocorticoidi, GR, potrebbe agire come co-fattore trascrizionale con STAT-5 in un meccanismo che non richiede il binding sulla sequenza GRE (Devos et al., 1998).

Un modello teorico alternativo, basato sull’analisi di binding in regioni lontane del promotore della leptina, prevede l’esistenza di un repressore trascrizionale del gene ob, non ancora caratterizzato, che verrebbe inibito dall’azione del dexametasone (Devos et al., 1998).

In sintesi, nessuno dei dati sopra riportati spiega in maniera esaustiva l’attivazione trascrizionale del gene ob da parte di insulina e dexametasone. In ogni caso, un effetto diretto sull’attività trascrizionale del gene ob, qualora presente, non è sufficiente a spiegare l’attività induttiva, almeno per questi due fattori, particolarmente nel caso di trattamenti di media durata (4-10H). Il controllo dei processi di secrezione, si adatta bene invece all’induzione osservata per trattamenti brevi (<3H), mentre l’effetto trascrizionale verrebbe chiamato in causa soltanto per periodi di esposizioni prolungati (48-72 H). È quindi plausibile il coinvolgimento di altri sistemi di controllo,verosimilmente di sistemi post trascrizionali, nella regolazione della produzione della leptina.

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1.6 Sistemi di regolazione post trascrizionale.

La regolazione del livello di espressione di una proteina in cellule eucariote, è principalmente svolta nel distretto nucleare dai sistemi di controllo trascrizionale. Ciononostante, la regolazione a livello traduzionale, è un meccanismo largamente impiegato nella modulazione dell’espressione genica in una vasta gamma di processi biologici.

Gran parte dei sistemi di controllo traduzionali finora noti operano nei termini di una inibizione dei messaggeri. Gli mRNA sarebbero quindi trascrizionalmente competenti di

default, il che non implica che tutti i messaggeri siano contemporaneamente interessati nella

traduzione. Possono essere distinte due categorie di meccanismi regolatori della traduzione: una generale, riguardante i processi traduzionali in toto, ed una particolare, selettiva di specifici messaggeri.

La regolazione della disponibilità e dell’attività dei fattori di iniziazione della traduzione, costituisce un importante punto di controllo generale della traduzione. L’assemblaggio del complesso di pre-iniziazione è l’evento che vincola maggiormente la traducibilità di un trascritto. Si tratta di un processo finemente regolato che prevede la partecipazione di più di 25 complessi polipeptidici (Pestova et al., 2001 ; Pestova e Hellen, 2001) e che dipende strettamente dal riconoscimento della struttura di capping al 5’; l’assemblaggio del complesso determina l’instaurarsi di condizioni permissive al “landing” della subunità ribosomiale 40S e ne favorisce lo “scanning” in direzione 5’→3’ lungo il messaggero (Pestova e Hellen, 2001).

Le condizioni nutrizionali o l’effetto di alcuni ormoni quali, ad esempio, l’insulina, determinano una modulazione generica della disponibilità dei fattori componenti il complesso di pre-iniziazione (Pause et al. 1994 ; Dever et al 1999 ; Gingras et al. 1999 ; Dever et al., 2002).

Esistono elementi cis-regolatori presenti in regioni non tradotte (UTR) di alcuni trascritti, che sono responsabili di un’accurata regolazione messaggero-specifica dell’emivita e della traducibilità. Questi elementi sono classificabili in diverse categorie in base alla sequenza consensus, alla loro posizione all’interno del trascritto e all’interazione con fattori attivi in

trans.

Elementi al 5’ UTR generalmente interagiscono con complessi multiproteici che modulano l’accesso del ribosoma al 5’-cap o la sua capacità di scanning. La regolazione traduzionale deriva dall’inducibilità di questi complessi Ne sono esempi la regolazione

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traduzionale della ferritina (Muckenthaler et al., 1998) o quella di c-Myc (Creancier et al., 2001).

Il turn-over degli mRNA è un altro fattore modulabile di importanza cruciale nella regolazione port-trascrizionale dell’espressione genica. Alterazioni dell’emivita di un messaggero, si riflettono infatti sul suo tasso di traduzione, determinando un effetto direttamente sulla quantità di proteina prodotta. Lo studio dell’espressione di alcuni proto-oncogeni e di molte citochine, ha messo in evidenza la presenza nei 3’ UTR dei messaggeri di questi fattori, di elementi cis-regolatori conservati (Kruys et al., 1987 ; Kruys et al., 1989 ; Pryhuber et al. 1994 ; Amara et al., 1996 (A) , (B) ; Levy et al. 1996 ; Amara et al., 1999 ; Kontoyiannis et al. , 1999 ; Paste et al., 2003 ; Suswam et al., 2005 ; Khabar, 2005 ; Wang et

al. 2006). Questi elementi denominati AREs (A-U rich elements) (Kruys et al., 1989) sono

stati caratterizzati per il loro effetto sui processi di regolazione della stabilità dei trascritti e della loro traducibilità (Bakheet et al., 2001 ; Bakheet et al., 2006) attraverso l’interazione con specifiche ARE-BP (ARE-binding proteins). La presenza di elementi AREs è più probabile in trascritti dotati di regioni 3’UTR estese, mentre messaggeri che presentano una corta regione non tradotta al 3’, difficilmente sono caratterizzati da questi sistemi di regolazione (Bakheet et al., 2001). Gli mRNA dotati di questi elementi sono soggetti ad una regolazione della loro stabilità, localizzazione sub-cellulare e traducibilità, (Myer et al., 1997 ; Antic et al., 1999 ; Chen et al., 2001 ; Chabanon et al., 2005) che determinano una accurata regolazione della produzione proteica.

Esistono 3 categorie di ARE che differiscono nel numero di ripetizioni e nella sequenza di un core formato generalmente dal pentamero consensus: AUUUA (Zhang et al., 2002). Spesso sono presenti più copie di una stessa sequenza o più elementi ARE tra loro diversi su uno stresso trascritto (Zhang et al., 2002).- Le sequenze AREs sono molto eterogenee tra loro (Chen et al., 2006), sia dal punto di vista della sequenza consensus che per quanto riguarda la loro funzione. (Bakheet et al., 2001). Inoltre, una stessa sequenza ARE può determinare effetti diversi in trascritti diversi come risultato di un effetto combinatorio causato dalla presenza di AREs multiple sullo stesso trascritto.(Zhang et al., 2002). Anche le ARE-BP presentano una vasta eterogeneità di struttura e funzione: alcune di esse come il complesso AUF-1 (A-U binding factor-1), sono maggiori determinanti dell’instabilità dei trascritti (Zhang et al., 1993 ; Wilson et al. , 2001 ; Paschoud et al., 2006)., mentre altre, come le ELAV-like (embrionic lethal abnormal vision, in Drosophila, omologo del complesso HuR nei mammiferi) se presenti, determinano un incremento dell’emivita del messaggero (Jain et al., 1997 ; Quattrone

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(Antic et al., 1999). Generalmente ARE di classe 2 formate da combinazioni di copie multiple del pentamenro AUUUA o del nonamero UUAUUUAUU, determinano una destabilizzazione del trascritto dipendente dalla de-adenilazione (Chen et al., 2001) Le AREs di classe 1, caratterizzate dalla presenza di un singolo pentamero AUUUA in prossimità di una regione ricca in uridine, hanno spesso una funzione di controllo sul tasso di traduzione (Anderson et al., 2004 ; Bakheet et al., 2006 ;).

In alcune citochine, come per TNF-α, ARE-BP specifiche per le AREs contenute nei 3’ UTR dei trascritti, agiscono come elementi multifunzionali: destabilizzanti e repressori traduzionali modulabili, come TIA-1 (T-cell intracellular antigen-1), TTP (tristetraprolina), TIAR (T-cell intracellular antigen related protein) (Neininger et al., 2002 ; Zhang et al., 2002 ; Anderson e Kedersha, 2002).

1.7 Sistemi di regolazione traduzionale poliadenilazione dipendenti.

Alcune ARE-BP interagiscono con la coda di poliadenilazione (Chen e Shyu, 1995) questa struttura aggiunta in fase di maturazione nucleare agli mRNA, è uno dei fattori determinanti l’emivita di un trascritto, essendo presenti, nel citoplasma, complessi esonucleasici operanti in direzione 3’-5’, tra i quali il complesso PARN (polyadenylate specific ribonuclease). Il “decay” degli mRNA è infatti generalmente preceduto dalla rimozione del cap in 5’ e/o dall’accorciamento della coda di poliadenilazione (Coller e Parker, 2004 ; Yamashita et al., 2005).

La lunghezza della coda di adenosine al 3’ dei messaggeri è un parametro molto variabile, e in alcuni casi modulabile; generalmente una coda lunga determina una sorta di protezione dall’attività esonucleasica , aumentando il tempo necessario agli esosomi per avere accesso alla regione codificante.(Carpousis et al., 1999 ; Kim e Richter, 2006) Tutti i messaggeri esportati dal nucleo presentano una coda di poliadenilazione di breve lunghezza (50-250 adenosine) (Zhao et al., 1999), ma alcuni subiscono una drastica modificazione della sua estensione (aggiunta di 500-1000 adenosine), nel distretto citoplasmatico in precise condizioni (Stebbins-Boaz e Richter, 1997 ; Richter, 1999 ; Racki e Richter, 2006 ; Kim e Richter, 2006). E’ stato infatti descritto un sistema di controllo traduzionale che consente una rapida attivazione della traduzione poliadenilazione citoplasmatica dipendente (Richter, 1999 ; Richter, 2001). I messaggeri interessati al processo di poliadenilazione citoplasmatica, vengono immagazzinati in precisi distretti cellulari e mantenuti in una condizione di

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repressione traduzionale, come trascritti “dormienti” fintanto che determinati segnali non inneschino l’allungamento della coda di poliadenilazione (Wickens e Anderson, 1997). L’attivazione traduzionale che ne segue, si riflette in un rapido incremento della sintesi proteica che in questo modo non richiede l’utilizzo di sistemi di regolazione trascrizionale che necessiterebbero di tempi più lunghi. La poliadenilazione citoplasmatica è stata infatti caratterizzata in contesti in cui è necessario un rigoroso controllo temporale o spaziale della produzione proteica, o un incremento molto rapido dei livelli proteici come nell’oogenesi in

Xenopus, dove il trascritto della ciclica b1 ed altri mRNA materni, restano silenti finché non

viene stimolata la maturazione dell’oocita (Stebbins-Boaz e Richter, 1997 ; Richter, 2001 ; Sarkissian et al., 2004). Nella determinazione dell’asse antero-posteriore dell’embrione di

Drosophila, è implicato un meccanismo analogo nel controllo dell’espressione dei messaggeri

di alcuni morfogeni (Juge et al., 2002). Nel sistema nervoso adulto di topo, la produzione di CaM K II (calcium-calmodulin dependent kinase II) è controllata a livello traduzionale attraverso la lunghezza della coda di poliadenilazione (Wu et al., 1998 ; Richter e Lorenz, 2002): ciò conferma la funzionalità di questo sistema di regolazione anche in tessuti terminalmente differenziati.

In generale tutti quelli menzionati, sono sistemi cellulari estremamanente polarizzati, funzionalmente e morfologicamente, ed i messaggeri interessati alla poliadenilazione citoplasmatica, sono caratterizzati da una precisa localizzazione subcellulare (Richter, 2001) e da una estesa regione 3’UTR che ospiti necessariamente, nella sua porzione terminale, due particolari elementi ARE. Uno di questi è l’esanucleotide AAUAAA, noto come elemento CPS/PAE (cleavage polyadenylation signal/polyadenylation element). Questo elemento è molto diffuso negli mRNA, essendo necessario nel processo nucleare di cleavage o taglio e addizione della coda corta (standard, <250 nt) di poliadenilazione sul pre-mRNA (Zhao et al., 1999). L’altro, denominato CPE (cytoplasmic polyadenylation element), si trova generalmente a breve distanza, al 5’ del primo ed è costituito da una sequenza ricca di uridine con un consensus :UUUUUAU (Richter e Thurkauf, 2001 ; Piccioni et al., 2005 ; de Moor et al., 2005). Questo elemento se presente in concomitanza con il CPS/PAE, conferisce, al trascritto in cui è presente, la capacità di subire una poliadenilazione citoplasmatica. (Richter e Thurkauf, 2001 ; Piccioni et al., 2005). Sebbene alcuni mRNA dormienti, contengano più copie di questo elemento, sembra che il processo di poliadenilazione citoplasmatica richieda un solo elemento CPE entro 20-30 nt dal CPS/PAE (Mendez e Richter, 2001 ; Cao e Richter, 2002 ; Tay et al., 2003). La distanza tra questi elementi ed eventuali elementi cis-regolatori

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fiancheggianti, sembrano essere fattori responsabili della regolazione del timing di inizio del processo di poliadenilazione.(Richter, 2001 ; Richter e Thurkauf, 2001).

L’elemento CPE, viene riconosciuto dalla proteina CPEB, contenente un dominio zinc finger e un RRM (RNA recognition motif) altamente conservati (Hake et al., 1998). L’innesco dell’allungamento della coda di adenosine, richiede l’attivazione della proteina CPEB tramite fosforilazione del residuo serina 174, catalizzata da una chinasi della famiglia Eg2 (Aurora A, in Xenopus) (Sarkissian et al., 2004). Questo evento determina un incremento dell’affinità di CPEB per la proteina CPSF (cleavage and polyadenylation element specificity factor), che, solo se attivata dal legame con CPEB, riconosce come sito di binding sul trascritto, l’elemento CPS/PAE (Mendez e Richter, 2001). La formazione del complesso ribonucleoproteico: messaggero-CPEB-CPSF, è il passaggio limitante per l’inizio del processo di poliadenilazione citoplasmatica (Mendez e Richter, 2001 ; Kim e Richter, 2006).

Una volta assemblato il complesso CPSF-CPEB, viene reclutata sul 3’ del messaggero, la PAP (poly-A polimerase) citoplasmatica, che catalizza l’allungamento della coda di poliadenilazione con un meccanismo del tutto simile a quello nucleare (Zhao et al., 1999 ; Kim e Richter, 2006). L’allungamento è generalmente molto cospicuo, determinando un incremento anche di diverse centinaia di residui di adenosina (Kim e Richter, 2006).

La coda di poliadenilazione è un target delle proteine PABP (poly-A binding proteins) che hanno molteplici effetti sul “destino” di un messaggero (Mangus et al., 2003). Una estesa coda di poliadenilazione consente il legame (con carattere cooperativo) di molte unità di PABP citoplasmatiche, queste hanno la proprietà di reclutare il fattore di iniziazione eIF4G, ne consegue una torsione del messaggero in un anello chiuso agli estremi 5’ e 3’. Tale evento è stato messo in relazione con una notevole facilitazione della traduzione e del processo di riciclo del ribosoma (Mendez e Richter, 2001). Sembra inoltre che le PAP siano interessate nella facilitazione della formazione di una struttura di 5’ cap-I o 5’ cap-II, eventi che conferiscono una migliore competenza traduzionale al trascritto (Mangus et al., 2003).

Se il processo di poliadenilazione citoplasmatica non viene attivato, i trascritti contenenti CPE e CPS/PAE, sono mantenuti in una condizione caratterizzata da una rigida inibizione traduzionale. Rimanendo spesso immagazzinati in comparti sub-cellulari protetti dall’azione esonucleasica (Richter, 1999), sono considerati “dormienti”: la loro attivazione traduzionale, è infatti subordinata all’attivazione del processo di poliadenilazione citoplasmatica. La proteina CPEB sembra direttamente interessata anche nel mantenimento di questi trascritti nella fase di “dormienza” (Richter, 1999). Fintanto che l’allungamento della coda di adenosine non viene innescato, CPEB rimane nella forma de-fosforilata: questo non altera la sua capacità di

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binding dell’elemento CPE, ma riduce drasticamente la sua affinità per CPSF (Kim e Richter, 2006).

Nella forma defosforilata, CPEB lega un membro della famiglia delle eIF4G-BP (eucariotic initiation factor 4G-binding protein, in Xenopus: Maskin). Questi fattori contengono un dominio di legame per eIF4G, omologo a quello presente nel fattore di iniziazione eIF4E ed agiscono da competitori con eIF4E, per il fattore eIF4G. Dal momento che quest’ultimo è richiesto nella formazione del complesso di pre-iniziazione, determinano una inibizione della traduzione (Mendez e Richter, 2001). L’attivazione della chinasi Eg2, responsabile della fosforilazione di CPEB, è l’evento che discrimina tra la funzione repressiva e quella stimolante la traduzione di CPEB (Mendez e Richter, 2001). Il segnale che determina l’attivazione di Eg2 , varia in sistemi cellulari diversi essendo generalmente di natura extracellulare (Huang et al., 2002 ; Sarkissian et al., 2004).

Nel processo di oogenesi dello Xenopus, il trascritto della ciclica b1, del gene c-mos, e di altri mRNA di origine materna, subiscono poliadenilazione citoplasmatica a innescata dal progesterone. E’ intressante notare come anche l’insulina in questo modello, costituisca un efficace induttore della poliadenilazione citoplasmatica (Sarkissian et al., 2004).

eIF4E-

Trascritto dormiente

-Corta coda di poliddenilazione

Traduzione attivata

-Allungamento della coda di poliadenilazione

Rappresentazione delle relazioni tra regioni cis regolatorie nel 3’UTR e fattori proteici agenti in trans, nella regolazione della traducibilità dei trascritti, poliadenilazione citoplasmatica dipendente

PAE CPE

CPE PAE

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1.8 Scopo del presente studio.

Alcune caratteristiche del messaggero della leptina fanno ipotizzare che esso sia soggetto ad una regolazione post-trascrizionale. Il messaggero della leptina, infatti, è dotato di una regione 3’UTR molto estesa, che mostra la presenza di alcuni elementi ARE di classe 2 implicati nella stabilizzazione dei trascritti. Inoltre, è necessario considerare la possibilità che sistemi di regolazione post-trascrizionale siano interessati nella produzione di leptina, dal momento che la sola regolazione trascrizionale o la modulazione della secrezione, non descrivono adeguatamente alcuni aspetti dell’induzione, in particolare rispetto al trattamento con insulina o dexametasone. Lo scopo del presente lavoro, è stato quello di studiare la funzionalità di un sistema di regolazione traduzionale poliadenilazione citoplasmatica dipendente nella produzione di leptina nel tessuto adiposo bianco (WAT) di topo, anche nel contesto dell’induzione con insulina e dexametasone.

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Alcuni induttori della neo-sintesi di leptina, non hanno effetto sul livello trascrizionale

del gene ob

Presenza degli elementi ARE: CPE e CPS/PAE in

cis al 3’UTR del messaggero della leptina

Stato di

poliadenilazione dell’mRNA della leptina, non rilevabile

nelle 3T3 L1

differenziate Possibili meccanismi

post trascrizionali

Il gene della proteina

CPEB è trascritto e tradotto

negli adipociti WAT

L’mRNA della leptina presenta una

coda di poliadenilazione di lunghezza variabile Lunghezza della coda di poliadenilazione leptina dell’ mRNA della

nei mutanti db/db, simile a quella dei

wt Allestimento colture primarie adipociti da WAT Trattamento con insulina Trattamento con dexametasone Controllo traduzionale generalizzato Neosintesi inducibile in presenza di

inibitori trascrizionali della sintesi di

leptina (Roh et al.,2003 ;

Lee et al., 2006) (Roh et al.,2003)

Regolazione

post-trascrizionale messaggero-specifica

della sintesi di lepti a n (Lee et al., 2007)

Poliadenilazione citoplasmatica

controlla la produzione di leptina

Correlazione marginalmente significativa tra induzione della sintesi di leptina e allungamemnto della coda di poliadenilazione, nel

trattamento insulinico

Schema rappresentante la procedura sperimentale seguita nella realizzazione del presente lavoro. Sono indicate, in nero : alcune considerazioni a priori, in rosso : le ipotesi alla

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