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Nicola Siciliani de Cumis

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Academic year: 2022

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Nicola Siciliani de Cumis

EFFETTO MAKARENKO

IL CARCERE E IL LAVORO INTELLETTUALE

Appunti per una lezione nella Casa Caridi di Catanzaro/Siano 1° Maggio 2017

Sociologia critica come antipedagogia

Le seguenti note si riferiscono ad una delle numerose espressioni culturali del Laboratorio di scrittura e lettura in funzione dal giugno 2015 in un’importante istituzione carceraria italiana, pur tra le molte difficoltà esplicitamente aperta all’innovazione ai sensi delle leggi esistenti, delle rifor- me in agenda: la Casa circondariale “Ugo Caridi” di Siano (Catanzaro), diretta da Angela Paravati.

Un’espressione culturale e un momento didattico distribuito in più giorni del primo semestre del 2017 e inscritto in un ambito di azioni formative, educative e autoeducative, coerenti con il dettato dell’articolo 27 della Costituzione della Repubblica Italiana1 e in conformità alla cultura e all’espe- rienza professionale di chi scrive. Cultura e esperienze professionali, che nel caso specifico presu- mono un’esplicita consonanza scientifica e didattica con la lezione di Antonio Labriola, Antonio Gramsci, Anton Semënovič Makarenko (e di Muhammad Yunus); con taluni classici della Sociolo- gia, della Psicologia e della Pedagogia (Karl Marx, Max Weber, John Dewey, Émile Durkheim, Lev Semënevič Vygotskij, Umberto Zanotti Bianco, Don Lorenzo Milani ecc.); con testi recenti e meno recenti di Giovanni Mastroianni, Franco Ferrarotti, Aldo Masullo, Maria Serena Veggetti; con le re- lazioni e “raccomandazioni” del Garante nazionale delle persone detenute e comunque prive della libertà personale Mauro Palma2 e, sul terreno del proprio magistero spirituale, di Papa Francesco;

con le autorevoli uscite giornalistiche, saggistiche e narrative di Claudio Magris; con la corroboran- te attività cinematografica di Gianni Amelio; con una notevole messe di articoli della quotidianità e, tra cronaca e storia, di testi dimenticati di alcuni sociologi meridionalisti dell’Otto-Novecento (Fau- sto Squillace, Pasquale Rossi), in contraddittorio con “i” Cesare Lombroso del tempo e – fatte salve le differenze – variamente accostabili alla superiore umanità messa in scena nel Poema pedagogico di Makarenko3, all’esperienza psico-pedagogico-educativa della Psicologia pedagogica e della Teo- ria delle emozioni di Vygotskij4 e a quanto si viene a suo modo operando nell’Associazione Italiana Makarenko (Roma), nell’Associazione Makarenkiana Russa (Mosca) e nell’Associazione Makaren- kiana Internazionale (Mosca-Roma)5.

Momenti euristici di co-ricerca, insomma, in cui si è tentato e si tenta di produrre una specifica, articolata cultura dell’inclusione e una non utopica, ma volontaristica e tuttavia realistica, solida- rietà6; e nei quali l’Istituzione carceraria è attivamente coinvolta a più livelli, avendo in particolare firmato un protocollo d’intesa con la Facoltà di Sociologia dell’Università Magna Graecia di Catan- zaro per l’effettivo funzionamento dei rapporti scientifici e didattici tra gli universitari detenuti iscritti a Sociologia e i docenti dell’Ateneo calabrese impegnati nello svolgimento dei corsi di lezio- ne e nel fornire il migliore supporto tecnico possibile durante la preparazione degli esami. E ciò,

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fino al punto di prevedere specifici corsi di lezione di Sociologia (quello, per incominciare, del Prof.

Charlie Bernao), che si svolgerà prossimamente nelle aule della Casa circondariale “Ugo Caridi” e verrà quindi contestualmente trasmesso nelle aule della Facoltà di Sociologia a Catanzaro).

Il Laboratorio di scrittura e lettura della Casa Caridi

Ebbene, in un siffatto contesto, chi scrive – responsabile del su citato Laboratorio di scrittura e lettura, in stretta collaborazione con la professoressa e archeologa Giorgia Gargano e della dottores- sa e studiosa di diritto costituzionale Ilaria Tirinato – ha contribuito e continua a contribuire ad una serie di iniziative scientifico-educative e di ricerca sociologica partecipata, strettamente funzionali, da un lato, alle attività del suddetto Laboratorio e, dall’altro lato, alla preparazione degli esami e delle tesi di laurea degli studenti impegnati nello svolgimento degli esami di Sociologia e di Peda- gogia. Ed è ciò che a suo modo si evince dalla relazione annuale dello scrivente, formalmente dovu- ta, quindi finalizzata al rinnovo del proprio volontariato, e qui di seguito riprodotta:

Al Direttore della Casa circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro Dott.sa Angela Paravati OGGETTO: Rinnovo dell’incarico annuale di Assistente volontario (ex art. 78, Legge 26 lu- glio 1975), al Prof. Nicola Siciliani de Cumis, rilasciato in data 7 luglio 2016 e quindi con sca- denza il 7 luglio 2017.

Il sottoscritto prof. Nicola Siciliani de Cumis, nato a Catanzaro il 2 luglio 1943 e residente a Roma in via di Tor Fiorenza, 41, cap. 00199, porge rispettosa domanda, affinché gli sia rinnovato l’incarico annuale di Assistente volontario (ex art. 78, Legge 26 luglio 1975), rilasciato in data 7 lu- glio 2016 e quindi con scadenza il 7 luglio 2017. Un incarico volontario di insegnamento e di ap- prendimento (da parte sia degli studenti, sia del docente), in un Laboratorio di scrittura e lettura dal sottoscritto coordinato e sperimentalmente destinato a varie categorie di utenti, all’interno e all’esterno del Carcere.

Di qui, in ordine all’assistentato volontario in oggetto e alle relative attività didattiche svolte, la seguente, prevista relazione annuale.

1. Quanto alla periodicità dell’accesso in Istituto, il sottoscritto conferma nella presente rela- zione di essersi attenuto in linea di massima, salvo qualche eccezione determinata dalla residenza a Roma o da esigenze personali, festività o altre circostanze d’ordine sociale, ad una periodicità di ac- cesso quindicinale, con permanenza a Catanzaro dal pomeriggio di venerdì alla mattina del martedì successivo, comprendendo le mezze giornate del sabato e della domenica. Orari 9-12 oppure 10-12 al mattino; e 15-18 al pomeriggio. Nell’arco degli ultimi sette mesi e negli stessi giorni di perma- nenza a Catanzaro, poi, si è aggiunto al suddetto orario un servizio didattico dalle 13 alle 14,30 (con variazioni riduttive il sabato, fino alle 14; ovvero talvolta fino alle 15 il venerdì e il martedì). Si pre- cisa tuttavia il fatto che, per motivi di salute (in vista di una operazione alla valvola aortica nel mese di settembre 2017), il sottoscritto ha potuto e potrà operare per il Laboratorio solo a distanza, con la fattiva collaborazione, oltre che della Direzione della Dottoressa Angela Paravati, degli Uffici di Se- greteria (Signor Giuseppe Panaia e collaboratori), dell’Area Educativa (Dottoressa Letizia De Luca), della Polizia Penitenziaria (Commissario Comandante Aldo Scalzo e Signori Ispettori e Agenti), delle Dottoresse Ilaria Tirinato e Giorgia Gargano (nella specificità delle loro competenze e funzioni).

2. Il numero dei detenuti con cui il sottoscritto ha intrattenuto rapporti didattici nell’ultimo anno (dopo un precedente volontariato della durata di un altro anno, in virtù dell’art. 17), si è così relativamente assestato: n. 8 ospiti dell’Istituto in AS1, con assenze periodiche o continuative di tre

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studenti, ma con frequenti, intermittenti presenze di altri studenti della sezione e, talora, di alcuni agenti; da 15 a 20 studenti di AS3, tra crescenti assiduità, periodiche assenze e inaspettate nuove partecipazioni; n. 15 studenti di R O, nel corso di un certo numero di compresenze del sottoscritto con il collega di Educazione artistica, Prof. Carlo Polia, in occasione delle attività relative alla deco- razione di un tunnel, mediante una serie di opere figurative predisposte dagli studenti per essere tra- sferite su pannelli mobili da fissarsi alle pareti del tunnel, ovvero per essere esposte in altri luoghi interni o esterni al carcere. Quanto alle assenze periodiche o continuative degli studenti, chi scrive tiene a precisare di avere sempre incoraggiato il libero comportamento degli studenti, sul presuppo- sto irrinunciabile che, svolgendosi le attività formative da lui proposte in un luogo di fortissime re- strizioni delle libertà personali, le ore del Laboratorio di scrittura e lettura dovessero assumere la ca- ratteristica di un luogo di massima relativa libertà di scelta. E che la “pedagogia” proposta potesse avere piuttosto il carattere dell’antipedagogia, del libero gioco delle opzioni dialogiche, del diver- tissement euristico e della ricerca libera e disinteressata.

3. Di qui la scelta, da parte dell’insegnante, di forme di insegnamento prevalentemente “infor- mali” e non “frontali”, ma di tipo interlocutorio, seminariali, laboratoriali, collettive e al tempo stes- so individualizzate. Forme tecnicamente fondate sulla ricerca delle motivazioni degli studenti, del profondo interesse e quindi sulla sperimentazione degli strumenti più idonei a “liberare” gli interes- sati dagli inevitabili complessi personali e collettivi derivati dalla loro attuale condizione di “ristret- ti”. E ciò allo scopo di individuare, sollecitare, attivare il potenziale di intelligenza critica, la forza della propria esclusiva ed irripetibile progettualità umana, in virtù di un obiettivo di inclusione nella società civile e di costruzione della cosiddetta “altra possibilità” totalmente opposta a quella che ha condotto in carcere. In questo senso, parte costitutiva degli interventi tecnici in Aula, sono risultati tutti gli interventi virtualmente proiettati verso l’esterno: verso altri luoghi della Casa Caridi, la bi- blioteca, il teatro, il laboratorio di ceramica e gli altri laboratori, il campo sportivo, gli spazi agrico- li. E, su un altro piano, la Chiesa. Tutti luoghi certo interni all’istituzione carcere, ma che se vissuti nelle forme libere consentite dalla legge e dai regolamenti, possono risultare propedeutici ad una vita individuale e sociale “altra” e “migliore”, ad un possibile ingresso nel mondo del lavoro, a am- biti di scrittura e lettura liberi e autogratificanti. Compresi quelli direttamente e indirettamente col- legabili alle dimensioni auto-educative dell’educazione, ad una carriera studentesca e post studente- sca scolastica, universitaria e post-universitaria.

4. Tutti gli operatori del carcere e nel carcere (amministrativi, di polizia penitenziaria, dei ser- vizi d’ogni tipo), in virtù della prospettiva e delle strategie operative adottate dalla Direzione della Casa circondariale “Ugo Caridi”, hanno collaborato con il sottoscritto in modo sempre ottimale (alle condizioni date). Perfino l’insieme delle non celate turbe culturali, dei condizionamenti sociali, dei blocchi psicologici e comportamentali, dei tradizionali pregiudizi del “senso comune”, delle inter- pretazioni riduttive del ruolo, nel corso dell’ultimo anno (che è seguito ad un precedente anno di vo- lontariato del sottoscritto in qualità dell’articolo 17), non sono mai risultate controproducenti per il lavoro dell’assistente art. ex 78. Chi scrive si è fatto pertanto l’opinione che perfino i momenti criti- ci puntualmente rilevati, se giustamente trattati, sono potuti tradursi in una risorsa conoscitiva e in- terattiva individuale e sociale, più che semplicemente occasionale, organica all’attuazione della ri- forma, prevista dai Tavoli coordinati da Glauco Giostra e alle “raccomandazioni” di Mauro Palma, Garante dei diritti delle persone detenute e comunque private della libertà personale.

5. In questo quadro, tutte le risorse interne e esterne messe a disposizione dalla Direzione della Casa Caridi e le altre che attualmente e potenzialmente vi ruotano o aleggiano attorno, sono risultate funzionali alla bisogna. Chi scrive, da due anni a questa parte (e soprattutto nell’ultimo anno ogget- to della presente relazione), ha sempre messo in positiva, costruttiva relazione di inclusione sociale e umana il lavoro di volontario svolto nel carcere di Siano, ovvero parallelamente, nella Casa cir- condariale di Regina Coeli di Roma, con le svariate altre attività culturali pubbliche, cittadine, na- zionali e internazionali che lo hanno riguardato. Al riguardo, sia consentito di rinviare, oltre che alle numerose occasioni di diretta collaborazione con la Dottoressa Paravati, ai numerosi interventi a stampa, a sua firma o a firma di altro autore, ospitati da giornali e riviste, al corposo volume in cor-

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so di stampa presso l’Editore Guida di Napoli, Una scienza in carne e ossa. Makarenko nella Casa Caridi e altre storie di ordinaria inclusione 2015-2016. Un volume realizzato con l’apporto diretto degli studenti del Laboratorio di scrittura e lettura. E con un prolungamento prolettico, di carattere storico-metodologico, in un altro volume in preparazione per le stampe, che ha per titolo Buongior- no Università. Dal “diario di bordo” di un “referente d’Area”. Questionario 2010-2017. Prefazio- ne Claudio Conte… Un libro che si occupa dei presupposti scientifici, didattici e politico-culturali, in senso specificamente accademico, del lavoro svolto negli anni successivi nella Casa Circondaria- le “Ugo Caridi” di Catanzaro; e del valore prospettico, alla luce della esperienza nei carceri di Ca- tanzaro “Ugo Caridi” e Roma “Regina Coeli”, del circolo virtuoso università-carcere/carcere-uni- versità.

6. Quanto alle problematiche attualmente presenti e alle conseguenti proposte per il futuro, esse si possono facilmente evincere da quanto detto fin qui. Tuttavia, ad avviso dello scrivente, la più rilevante di dette problematiche, e la più impellente, è questa qui: se da un lato le attività istitu- zionalmente scolastiche e quelle universitarie presenti nella Casa Caridi risultano l’asse portante di tutta la vita culturale visibile e tangibile del carcere, ben altre bisognerebbe forse avviarne ed effet- tuarne ai livelli più reconditi e meno evidenti. Certamente, la Direzione del carcere e l’Area educati- va hanno svolto e continuano a svolgere in una siffatta prospettiva tantissime iniziative dentro e fuori l’ambito carcerario, ma il senso complessivo che si ricava e che non può non incidere restritti- vamente sull’azione riformatrice avviata con successo dalla Direzione della Dottoressa Paravati, è il sostanziale stato di isolamento dell’Istituzione dalle altre Istanze politiche, amministrative, sociali e civili cittadine, regionali, nazionali e internazionali che dovrebbero essere interessate a che i proces- si di riforma avviati nelle intenzioni del legislatore vadano a buon fine. Perché, in altri termini, la domanda più urgente cui rispondere e corrispondere positivamente, in ultima analisi, è la seguente:

come estendere e rendere pratico a tutte le componenti umane viventi e operanti nel carcere quanto affermato negli articoli 2,3, 27, 33 e 34 della Costituzione della Repubblica Italiana? Non v’ha dub- bio, infatti, che il lavoro e i risultati di ciascun assistente volontario con competenze educative in un determinato ambito, con i propri mezzi, scopi e limiti d’azione determinati, non può che essere con- dizionato dal contesto culturale e etico-civico generale, dal clima socio-giuridico e efficacemente ri- formativo dell’intero andamento della vita carceraria, e non solo carceraria, nel suo insieme. Ragion per cui il problema da risolvere è, nel medesimo tempo, tecnico-educativo e pratico-politico. Se non si affronta la questione a questo livello, tutti gli altri livelli della riforma penitenziaria in atto fini- scono irrimediabilmente col soffrirne.

In fede, distintamente Prof. Nicola Siciliani de Cumis Roma, maggio 2017

Un libro di sociologia, un questionario

Questo l’ordine delle idee e l’ambito delle scritture e letture laboratoriali, entro cui – dopo aver fatto esperienza nella Casa Caridi, nel corso del biennio 2015-2016, di numerose opere di Franco Ferrarotti7 – viene proposta agli studenti del Laboratorio di scrittura e lettura l’analisi di Gli spa- ghettanti dello spirito, Chieti, Solfanelli, 2017, pp. 96. Un libro che, come un po’ tutti i volumi del sociologo richiamati nella Premessa del libro recensito a mo’ di antecedenti prossimi e meno prossi- mi del proprio punto di vista8 si configura come una sorta di catalizzatore auto-bibliografico ed esemplificazione critico-metodologica di una “storia di vita”, già dalla copertina con il celebre di- pinto a olio su tela di Vincent van Gogh, La ronda dei carcerati, realizzato nel 1890 (80X64 cm) e conservato nel Museo Puškin di Mosca, in sinergia con il titolo dell’opera, Gli spaghettanti dello spirito, ripreso dal Thomas Mann delle Osservazioni di un impolitico.

Questa pertanto la scaletta ragionata delle “questioni”, predisposta per la presentazione del libro di Ferrarotti nel Laboratorio di scrittura e lettura, prevista per il 1° Maggio 2017, ma rinviata ad al- tra data a causa di incombenze determinate da alcune impellenti esigenze didattiche, legate alla col-

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laborazione tecnica con alcuni studenti per la preparazione degli esami di Sociologia e di Pedagogia fissati per il 7 giugno successivo. Dunque:

1. “‘Que diable allait-il faire dans cette galère?’: la galera di un libro irrimediabilmente invec- chiato di un Mann così diverso dal solito”. Così Cesare Cases, nel 19679... Ed è noto che il soggetto dell’opera di Vincent Van Gogh, La ronda dei carcerati (tratto da un’incisione di Gustave Doré), che ora campeggia nella copertina di Gli spaghettanti dello spirito, sia di sei mesi precedente la morte di van Gogh, avvenuta in manicomio, come sembra quasi del tutto certo per sua mano, il 29 luglio 1890. Come mai questa scelta comunicativa tanto estrema da parte di Ferrarotti e dell’Edito- re? E fa ugualmente riflettere il fatto che l’espressione “gli eterni spaghettanti dello spirito” ripresa nel titolo del libro di Ferrarotti, risalga ad una discussa espressione di Thomas Mann e rinvii proprio a quelle Considerazioni di un impolitico del 1914, che se da un lato evocano l’umana e umanizzante tempesta interiore del Mann artista nella Germania della Grande Guerra, da un altro lato inducono ad associare il libro manniano proprio a una sorta di condizione “carceraria” non occasionale né ca- suale. Perfino il suicidio di Van Gogh risulta in qualche modo evocativo di un suicidio, quello di Cesare Pavese, molto presente e incisivo nella vita di Ferrarotti… La pratica dell’uccidersi, così in- tollerabilmente frequente nelle carceri italiane (già 23 suicidi in questo 2017!), può lasciare indiffe- renti? C’è una responsabilità degli intellettuali italiani “eterni spaghettanti dello spirito”, nel non esporsi nella battaglia contro l’ergastolo, e l’ergastolo ostativo in specie, in ottemperanza degli arti- coli 27, 33 e 34 della Costituzione della Repubblica Italiana? Come intendere la cosiddetta “riedu- cazione del condannato”, per umanità non disattendibile e per libertà della scienza (e di didattica), anche dentro il carcere? Che fare in presenza della specifica necessità di intervenire in carcere come fuori del carcere (in funzione preventiva) sulle disabilità culturali derivanti dai condizionamenti so- ciali e dalle restrizioni della libertà personale, invocando i relativi ambiti di garanzia e di vigilanza costituzionale?

2. “Io non mi sono mai dato da fare per la ‘bellezza’. La ‘bellezza’ per me è sempre stata roba da italiani e spaghettanti dello spirito; roba senza nulla di tedesco, in fondo, e più propriamente cosa e gusto per la sfera dell’arte borghese. In questa sfera l’etica è preminente sull’estetica, e più esatta- mente in essa si verificano una mescolanza, un bilanciamento dei due concetti per cui al brutto si dedica onore, amore e sollecitudine. Il brutto, infatti, la malattia, il decadimento, altro non sono che l’elemento morale, per cui non mi sono mai sentito ‘esteta’, nel vero senso della parola, bensì sem- pre moralista” (T. Mann, op. cit., p. 123). E la citazione rinvia direttamente alla spiegazione di Fer- rarotti del perché del titolo, Gli spaghettanti dello spirito (in questo libro, alle pp. 25-26): “Gli ‘eter- ni spaghettanti dello spirito’ è una frase che tolgo a prestito dal libro Le considerazioni di un impoli- tico di Thomas Mann, un testo che risale alla Prima Guerra mondiale […] La definizione di Thomas Mann è utile per fare comprendere i legami, ma anche le radicali differenze, che corrono fra intellet- tuali e letterati”. Per cui viene da chiedersi: quanto di problematico si può cogliere in Ferrarotti, nel- la dimensione autobiografica della pacificazione e al tempo stesso del conflitto fra i due volti cri- tico-sociologico e letterario della medesima “medaglia” Ferrarotti? Il brutto, il dolore, il male, il

“carcerario”, che l’estetismo dell’autore e la letterarietà dell’opera cacciano dalla porta, non rientra- no con tutti gli onori dalla finestra dell’intellettualità (in quanto appartiene a tutti gli uomini, in quanto intellettuali)? In altri termini, ancora con riferimento alla linea “carcerocentrica” (vangog- ghiana, manniana) e alla luce della “morale” (ferrarottiana) di Gli spaghettanti dello spirito (nel ca- pitolo su Il compito dell’intellettuale oggi), cosa c’entra il carcere con la denuncia da parte di Ferra- rotti della gran confusione che oggi si fa tra “mezzi” e “fini”? Come vede Ferrarotti la relazione tra gli scopi costitutivamente costituzionali dell’educazione in carcere come identico diritto di tutti i detenuti cittadini italiani, compresi gli stranieri, e la quasi totale assenza di strumenti idonei alla sua realizzazione? È possibile invocare per tutti, in carcere, i diritti all’istruzione, alla libertà di ricerca e

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di didattica, a scuola e nell’università, nonostante le sanzioni della legge e le conseguenti restrizioni carcerarie?

3. Gli spaghettanti dello spirito si dipana pertanto nei suoi diciassette capitoli, che trattano via via dell’odierno “compito dell’intellettuale” e della sua “ambiguità essenziale”; e dibattono del con- fronto, per analogia e differenza, tra intellettuali “passivi” e intellettuali “organici”; di “sociologia critica” e di questioni sulla supposta “neutralità” di scienza; del “divorzio” tra stato e cittadini e del- le “assenze” della società; di “edonismo irridente e tragico” del sociale e della “società senza margi- ni, distratta e crudele”; delle ragioni della “passività” dell’intellettuale italiano e dello “stoicismo”

di Max Weber; della “concezione levitica” dell’intellettuale e del “lusso della coerenza e dell’auto- nomia di giudizio”; della “sindrome mafiosa”, dell’esiziale assenza di scopo e dei mezzi di cui vivo- no gli intellettuali; del “conformismo come modo di vita e di sopravvivenza” e della “tecnica come valore strumentale”… Ebbene, dal punto di vista di Ferrarotti, come uscire da questa impasse? Ci sono indicazioni “positive” che si possono trarre da Gli spaghettanto dello spirito? Quali i limiti e quali le possibilità di una progettualità e di una potenzialità formativa (educativa e autoeducativa), contemporaneamente fondata, da un lato, sulla libertà di espressione dell’intellettuale e, da un altro lato, dal condizionamento etico del dovere intervenire tecnicamente e politicamente nelle “cose”

della società? Come escludersi, in quanto intellettuali, dai processi di inclusione intellettuale in atto negli “altri” con cui ci si relaziona? Non è, in questo senso, la reclusione degli esseri umani in car- cere un osservatorio privilegiato delle contraddizioni di tutt’intera la società italiana, europea, pla- netaria del nostro tempo? Con quali mezzi e per quali motivi intervenire euristicamente e didattica- mente per modificare i termini della situazione culturale del contesto, che blocca le carceri italiane al proprio esiziale livello di premodernità?

4. Numerosissimi, in questo ordine di idee e di interrogativi, gli stimoli provenienti da Gli spa- ghettanti dello spirito per una interferenza realistica e non utopica nelle problematiche carcerarie rappresentate. Basti pensare al quadro concettuale d’insieme, che regge l’ordito sociologico in que- stione. Un ordito sociologico, fortemente intriso di letteratura, che in un suggestivo e proficuo giro di idee, fa pensare alla crescente curvatura narrativa, in senso evidentemente letterario, dell’opera di Ferrarotti. E proprio nella direzione “poematica” del ragionamento condotto all’inizio di questo se- colo-millennio da uno scrittore-saggista di professione come Claudio Magris: “Forse mai come nel- la nostra epoca la letteratura ha reclamato e svolto una funzione conoscitiva: nel periodo tra la fine secolo e gli anni Trenta – la grande stagione culturale del Novecento, la frontiera tuttora più avanza- ta raggiunta dalla letteratura – scrittori quali Musil, Joyce, Proust, Kafka, Svevo, Mann, Broch, Faulkner e altri hanno chiesto alla narrativa quella conoscenza del mondo che proprio l’enorme svi- luppo delle scienze non permetteva di affidare a queste ultime, perché esse, con la loro estrema spe- cializzazione che rendeva ognuna inaccessibile ai cultori di tutte le altre e ancora di più all’uomo medio, avevano frantumato ogni senso dell’unità del mondo. Solo un romanzo che assumesse su di sé quelle problematiche scientifiche, mostrando come gli uomini vivessero e vivano quella trasfor- mazione, poteva e può cogliere il senso della realtà e della sua dissoluzione, mimata ma anche colta a fondo e dominata nelle stesse forme sperimentali del narrare, nella disgregazione e ricreazione delle strutture narrative”10. Ebbene, si chiede: se tutto questo come sembra ha un fondamento stori- co e etico-politico lapalissiano, non può essere accaduto e può accadere, che dalla saggistica (nel caso specifico che qui interessa dalla conoscenza sociologica) si liberino effervescenze letterarie, poetiche, poematiche nel senso rappresentato per esempio nel sociologicissimo Poema pedagogico di Makarenko? È in tal senso un caso che sia stato proprio Ferrarotti, con altri sociologi e educatori- scrittori (per es. un Marco Rossi Doria), a tenere a battesimo la nuova edizione del 2009 del grande romanzo del narratore e educatore ucraino11?

No, non è certamente un caso. E, per rendercene conto, basta leggere ciò che lo stesso Ferrarotti scrive di Makarenko e del Poema pedagogico nella chiave del romanzo di formazione e come un aperto ambito di ricerca e un vero e proprio Laboratorio di scrittura e lettura: di scrittura, dal punto

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di vista del Makarenko autore; e di lettura, dal punto di vista di chi se ne fa coinvolto recensore.

Spiega infatti Ferrarotti in una pagina, che per la sua immediatezza, perspicuità e propedeuticità eu- ristica sembra opportuno rileggere per intero:

“Le considerazioni pedagogiche di Makarenko, mai puramente dottrinarie bensì filtrate attraver- so corpose esperienze di vita, si presentano come racconti, rapporti di ricerca, brani di conversazioni dirette, con una immediatezza che lascia al lettore, come sua responsabilità primaria, i necessari ap- profondimenti. Questo punto cruciale, che interpreta e riporta il pensiero di Makarenko ad una pro- spettiva meta-individuale e nello stesso tempo non passivamente desoggettivizzata, tanto da far cadere i timori di subalternità a carico di una massa amorfa evocati dall’Ordre du discourse di Michel Fou- cault, merita attenta considerazione poiché è alla base e giustifica l’originalità dell’impostazione ma- karenkiana. Come è stato persuasivamente osservato, ‘nel Poema pedagogico […] il collettivo non accompagna mai l’azione come un semplice corso né si configura come una massa amorfa. Al contra- rio, è una comunità con una precisa fisionomia […] con un determinato ‘stile’, e deve la sua ricca strutturazione interna proprio alle personalità vive che la compongono. Per di più, superato il tradizio- nale intreccio individuale, l’evoluzione del collettivo non è legata a una singola personalità esemplare, ma viene sperimentata nella massa stessa, in relazione con la vita dei membri che la compongono”12. Nel Poema pedagogico non vi è dunque soltanto la pura e semplice enunciazione della dottrina, non si danno unicamente i secchi paragrafi di un insegnamento a una via, dall’alto verso il basso, da chi sa a chi non sa, secondo un paradigma autoritario che considera ancora la cultura come un capitale privato invece che una risorsa collettiva e un patrimonio intersoggettivo.

C’è il racconto. Il processo educativo viene dipanandosi nella sua complessa trama come un ro- manzo giallo. Nella Colonia di cui è responsabile Makarenko gli ex-detenuti non fuggono, non mancano all’appello. Le condizioni materiali di vita sono estremamente dure, difficili, talvolta di una pesantezza quasi insopportabile. Ma i ‘colonisti’ non fuggono. Perché? Che cosa li trattiene?

Una comunità ritrovata? Un senso di vita che era andato perduto? ‘Veniva spontaneo chiedersi – scrive Makarenko – perché i ragazzi continuassero a vivere in quelle nostre condizioni di povertà e di lavoro abbastanza pesante senza sentire il bisogno di fuggire. La risposta andava ovviamente cer- cata al di là della pura pedagogia’13. Al di là della pura pedagogia, sottolinea Makarenko. Nessun elitarismo, in lui, ma nello stesso tempo nessuna idealizzazione di un beato stato di natura alla Rousseau. Nessuna concessione, più o meno paternalistica, al mito del ‘buon selvaggio’. Al contra- rio, una dura, realistica constatazione della situazione oggettiva.

‘L’arrivo di nuovi membri – nota asciuttamente Makarenko – scosse fortemente il nostro insta- bile collettivo e di nuovo diventammo qualcosa di molto simile a un “covo di ladri”’ (ibidem). E più avanti: ‘Prichod’ko era un vero bandito. La catastrofe avvenuta nel mio ufficio e gli stessi danni che ne aveva riportato non gli avevano fatto la minima impressione. Anche in seguito arrecò alla colonia parecchi dispiaceri’ (ivi, p. 125). Ancora una volta la ‘pura pedagogia’ non sembrava sufficiente per comprendere anche il punto di vista di questi ‘ragazzi di vita’. Occorreva andare oltre, cercare a fondo nelle pieghe dell’esperienza quotidiana. ‘Le mie conversazioni e quelle degli altri educatori sul tema del contadino e del suo lavoro – osserva Makarenko, per una volta in tono piuttosto scon- solato – […] non venivano mai accolte dai ragazzi come parole di persone più informate e più esperte di loro. Dal punto di vista dei colonisti noi capivamo poco o nulla di queste cose; ai loro oc- chi noi apparivamo come dei cittadini intellettualoidi, incapaci di capire appieno la profonda me- schinità dei contadini’ (ibidem).

Qui, ma con particolare rigore commentando il suicidio di Čobot, uno dei colonisti, Makarenko approfondisce il problema dell’identità perduta o mal riuscita. E nello stesso tempo, riconosce an- che i limiti della sua azione di educatore. La descrizione del fatto è agghiacciante e secca come il resoconto di un perito settore: ‘Čobot si impiccò la notte del tre maggio. Mi venne a svegliare il re- parto di guardia e, udendo battere alla mia finestra, compresi di che si trattava. Vicino alla stalla, alla luce delle lampade, i ragazzi cercavano di rianimare Čobot appena staccato dal cappio. Dopo

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molti sforzi dei ragazzi e di Ekaterina Grigor’evna egli ricominciò a respirare, ma non riprese più i sensi e a sera morì. I medici chiamati dalla città ci spiegarono che salvare Čobot era impossibile:

egli si era impiccato al balcone della stalla. Stando su questo balcone si era legato il cappio al collo, dopo di che si era buttato nel vuoto, ledendosi le vertebre cervicali’ (ivi, p. 335).

In altra sede14 ho già osservato che il caso-limite non esclude i casi della normalità. Un mondo dominato dalla tecnica non è forse un mondo legato a ritmi scanditi con precisione violenta, la cui trasgressione evoca sanzioni precise e commisurate alla sua gravità? È già stato osservato: il nostro potrebbe essere definito come il tempo del limite di resistenza del congegno. Le macchine per giun- gere prima e ridurre le distanze hanno portato gli uomini a non giungere mai. C’è un presente che non si può raggiungere. È il punto di intersezione fra l’urgenza per risparmiare tempo e l’urgenza che, bruciando i margini, annulla anche il tempo.

Ma ecco un paradosso che Chesterton, nel Ritorno di Don Chisciotte, ha colto molto bene e che di colpo fa cadere nella insignificanza la famosa disputa fra i tecnofili e gli anti-macchinisti: le mac- chine sono divenute così inumane che appaiono naturali, remote e indifferenti come la natura. Que- sto morto sistema è stato costruito su così vasta scala che non si sa dove andrà a parare né come.

Ecco il paradosso! Le cose sono diventate incalcolabili per essere calcolate. Gli uomini sono legati a degli ordigni così giganteschi che essi non sanno su chi andrà a cadere il colpo. L’incubo di Don Chisciotte viene ad essere giustificato. I mulini sono giganti”.

In conclusione. C’è o non c’è, in tale ottica formativa, interdisciplinare, una sorta di “effetto Maka- renko” che si riverbera ora, proprio su questo manniano Gli spaghettanti dello spirito e su quanti al- tri testi makarenkiano-ferrarottiani abbiano potuto fare da antipasto, da contorno o da antipasto al lauto pasto a base di… spaghetti?

Per un primo, possibile allestimento di una risposta alla precedente domanda, si annotano per in- tano, in un provvisorio, elementare promemoria, i seguenti ingredienti concettuali “portanti” della costruzione sociologica e letteraria d’insieme. E questo, tanto nell’ottica di una rilettura del Poema pedagogico, quanto nell’ipotesi dell’elaborazione di una recensione di Gli spaghettanti dello spirito (testo e contesti):

a. Non separatezza, né di classe né di casta, dell’intellettuale sia nel suo elettivo luogo di la- voro, sia nel multiforme consesso sociale (quale che sia).

b. Storica ambiguità dell’intellettuale di professione, tra eroismo e viltà.

c. Potenzialità dell’essere intellettuali criticamente e autocriticamente attivi tutti, uomini e donne di questo mondo: perché tutte le donne e tutti gli uomini viventi sono, anche se non lo sanno (e magari aborriscono di esserlo) intellettuali.

d. Condizionamenti negativi, individuali e sociali, del lavoro intellettuale, ad opera del web e delle indubbiamente pur utilissime tecnologie informatiche.

e. Essenzialità del rapporto interumano diretto, interattivo, co-euristico, compartecipativo, in carne e ossa, “vis-à-vis”.

f. Involontarietà della relazione di co-ricerca e di co-didattica: il testo che ti cresce dentro come “scrittura” (attiva), ancor prima che come “lettura” (mai passiva, e invece altrettanto attiva).

g. Volontarietà (divertita, divertente) della presa di distanza polemica dalla cultura intesa come “sofferenza” o “divertimento”, “tragica” o “buffonesca trovata”.

h. Scelta (individuazione, costruzione, invenzione) del lavoro intellettuale di professione come una sorta di naturalizzazione dell’“estensione interiore”, della “mediazione critica dei media”, incanto e disincanto dell’“approfondimento” (tra specializzazione e senso co- mune).

(9)

i. Prima professione di fede: il “Credo” di una religiosità irreligiosa, di un “Dio” che dubita di se stesso-

j. L’intellettuale come disinteressato testimone degli interessi altrui, come “mercante” di un

“non-mercato”, come un Socrate “perditempo di genio” e un ineffabile flâneur.

k. L’intellettuale come sacerdote della celebrazione del nesso dei “mezzi” con i “fini”. Come notaio delle infinite, possibili transazioni tra chi sa e chi non sa, tra l’ignoranza del dotto e la sapienza dell’indotto.

l. L’intellettuale come strenuo, costante difensore dell’uomo e del suo prodotto.

m. L’intellettuale come maieutica del ludiforme, in quanto prova comprovata dell’intrinseca potenzialità generativa del ludico, che viene trasformandosi in laboratorio. Quindi in lavo- ro intellettuale ulteriore, non solo individuale ma anche sociale. E questo, sia in senso sog- gettivo (individualmente auto-promozionale), sia in senso oggettivo (socialmente etero- promozionale). Il tutto, come consapevole e libera espressione del lavoro del singolo, che sappia dialogicamente e intenda collaborativamente immaginare, stimolare, inventare, condividere, trasmettere, produrre situazioni euristiche (ludiformi) non esclusive e invece apertamente inclusive.

n. Di qui, la denuncia di Ferrarotti del lavoro intellettuale che acquisti le forme accumulative di un “capitale privato”. E quindi, da un lato, l’insistita polemica contro una cultura intesa come produzione e consumazione di un “divertimento” fine a se stesso, che vellica danno- samente la sola superfice dell’intelligenza umana; e tuttavia, da un altro lato, l’altrettanto insistita improcrastinabile esigenza di perseguire lo scopo del “democratizzare” la laborio- sità intellettuale e il lavoro culturale (anche e a maggior ragione nelle sue valenze intercul- turali e trans-culturali).

o. Ed è ciò che comporta riflessione e senso della distinzione tra “valori finali” e “valori strumentali”: e nondimeno ricerca di soluzioni dell’impasse sul terreno dell’indagine e della sperimentazione di nuove forme di attività intellettuali, protese verso una sorta di di- mensione critica del procedurale, verso la “mediazione dei media” (che attualmente “non mediano”), verso un uso “di massa”, ma “non impazzito”, della tecnica e delle tecnologie.

Verso una concreta attivazione, interiorizzazione e socializzazione del senso critico e delle interazioni umane. Verso un giusto ed estensibile uso del “gaudio” dei Greci.

p. E dunque, verso una diversa non sconsiderata considerazione della memoria e della storia, verso l’idea radicata di forme diffuse di una storiografia individualizzata, puntualmente e criticamente mirata sulla vita della singola persona. Verso i microcosmi delle “storie di vita”, come parte organica di un nuovo e più consapevole cosmo umano.

q. Le “storie di vita” (di qualsiasi uomo, a suo modo “un” intellettuale) come disoccultamen- to del paradosso, dei “paradossi” degli intellettuali di professione. Come riconoscimento dell’“alterità” degli altri nelle stesse loro capacità virtuali di intellettuali idonei ad aiutare a scoprirle. Ma quanto è e sarà possibile ottenere in questo senso, dai medesimi intellet- tuali di professione? Dall’homo homini lupus finalmente capace di ipotizzarsi e di speri- mentarsi homo homini magister?

r. Quanto vale in tale ottica “la comunicazione che non comunica”? Che cosa controbattere di avvincente e di convincente alla “autoreferzialità”, che “ha essiccato” e che essicca la società. Come ri-regolarsi, se “i ruoli traballano” e “le idee si confondono”?

s. Eppure, nel conflitto aperto “tra tradizionalisti e non tradizionalisti”, quali “semi di futu- ro” intravedere da fare germogliare “in positivo”? Quale il posto della “partecipazione”, nella scienza della società come nella democrazia, per forme sempre più accettabili di so- cietà e più compiute di democrazia?

t. Quale il ruolo dei giornali nell’attuale congiuntura di “vecchio” e di “nuovo”? Quale il nesso della cronaca con la storia, e viceversa? Quale la funzione del libro?

(10)

u. Che significato assume pertanto, alla luce di queste domande, il nuovo titolo di Gli spa- ghettanti dello spirito dato da Ferrarotti al suo ultimo libro, rispetto all’antica formulazio- ne dell’espressione, che si ritrova nelle Considerazioni di un impolitico di Mann?

v. Che valore proprio e nuovo assume l’idea di “chiasso interiore”, come condizione di scep- si e “scossa” della torpedine di socratica memoria? Come gestire provvisoriamente il

“vuoto” in assenza del “pieno”, la pienezza del desiderio in presenza delle vuotaggini del- la vita effettuale?

w. Ricette, oltre le ambiguità dell’esistente, non ce ne sono. Agli intellettuali non resta che tentare di andare al di là degli schemi della loro “passività” (subalternità) al potere e della loro “organicità” (connivenza) con il potere. Non resta che essere consapevoli della im- possibile neutralità, delle colpevoli assenze della società “senza margini”, “distratta” e

“crudele”; e dell’evidente “divorzio” fra lo Stato e i cittadini.

x. Occorre quindi continuare a scrutare nelle ragioni storiche e politiche del trionfante “edo- nismo irridente e tragico” delle masse, nelle “passività” dei letterati, nello “stoicismo” de- gli “impolitici” (non “anti-politici”), tuttavia politici. Etici e politici, alla Max Weber e alla Thomas Mann (fatte salve le rispettive differenze).

y. Occorre non perdere di vista la bilateralità e la dialogicità dei rapporti interumani in carne ed ossa. E, senza offuscare il progetto del cambiamento, seminare, coltivare e far fruttare le interazioni e le transazioni possibili, nel “lusso della coerenza” e in “autonomia di giu- dizio”.

z. Occorre progettare e sperimentare nei limiti del possibile vie nuove; e, nonostante gli schiaccianti e incalzanti condizionamenti statali (burocratici), sociali e interindividuali (non-mediati e immediatamente smodati), tentare di mettere a segno risultati in via di ipo- tesi, se non pretenziosamente esemplari almeno in qualche modo significativi. Risultati di confine, quale che sia il campo dell’azione di ciascun “intellettuale”, tra il genetico-fonda- tivo, il formativo e l’educativo. Risultati “unici” e tuttavia, mutatis mutandis, possibilmen- te replicabili. Mai seriali, mai standardizzabili, ma traducibili nelle non identiche ma ana- loghe situazioni – per usare un termine caro a Ferrarotti, un termine già caro al carissimo

“greco” Nicola Abbagnano. E a Eugenio Garin.

NOTE

1) Nei seguenti termini: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

2) Cfr. Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Relazione al Parlamento 2017, Roma, Marchesi Grafiche Editoriali, 2017.

3) Cfr. A. S. Makarenko, Pedagogičeskaja poema, 1933-1935, ediz. it. a cura di N. Siciliani de Cumis.

Con la collaborazione di F. Craba, A. Hupalo, E. Konovalenko, O. Leskova, E. Mattia, B. Paternò, A. Ry- bčenko, M. Ugarova e degli studenti dei corsi di Pedagogia generale I nell’Università di Roma “La Sapien- za” 1992-2009, Roma, l’albatros, 2009 nell’Università di Roma “La Sapienza” 1992-2009. Nuova edizione on line 2013, scaricabile dalla sezione Makarenko del sito internet www.archividifamiglia-sapienza.benicul- tuali.it, pp. 455-468).

4) Cfr. L. S. Vygotskij, Teoria delle emozioni, edizione integrale a cura di M. Campo, Prefazione di M. S.

Veggetti, Roma, l’albatros, 2015.

5) Cfr. quindi N. Siciliani de Cumis, Una scienza il carne e ossa. Makarenko nella Casa Caridi e altre storie di ordinaria inclusione 2015-2016, Napoli, Guida, 2017; e, prima, una notevole messe di articoli sulle riviste “La critica sociologica”, “Slavia”, “I problemi della pedagogia”, “Ricerche pedagogiche”, “l’alba - tros”; alcuni interventi giornalistici su “Il quotidiano del Sud”, “Corriere della Calabria” on line, “Calabria

(11)

on web”, sul sito dell’Archivio di Stato di Asti www.archividifamiglia.beniculturali.it e sulla pagina face- book della Biblioteca Vallicelliana di Roma, ecc.).

6) Cfr. sul tema S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Roma-Bari/Roma, Laterza-la Repubblica, 2017, in particolare il quinto capitolo, Una questione di principio, pp. 39-47, che ha il suo centro giuridico sul problema del “volontariato” (perfettamente adattabile in specie al volontariato nelle carceri).

…..7 In particolare, nella preparazione di questa lezione su Gli spaghettanti dello spirito, anche in funzione dell’assistenza agli studenti iscritti alla Facoltà di Sociologia come un momento essenziale dell’attività del Laboratorio di scrittura e lettura, ci si è potuti giovare, tra l’altro, dei seguenti volumi di Ferrarotti (dono del - lo stesso autore): Il senso della sociologia, Chieti, Solfanelli, 2008; Perché la sociologia? Incontro con Franco Ferrarotti, a cura di A. Melotti e L. M. Solivetti, Milano-Roma, Mondadori-La Sapienza, 2009; Un popolo di frenetici, informatissimi idioti, Chieti, Solfanelli, 2012; Scienza e coscienza, Bologna, CED, 2013;

Un anno qualunque. Pensieri, persone, circostanze 1965, Napoli, Guida, 2015; Elogio del piromane appas- sionato, Bologna, EDB, 2015; Futurismo come prefascismo, Chieti, Solfanelli, 2016; I miei anni con Adria- no Olivetti, Chieti, Solfanelli, 2016; Osservazioni sul lavoro intellettuale, Chieti, Solfanelli, 2016; La cono- scenza partecipata, Chieti, Solfanelli, 2016.)

…..8) Cfr. F. Ferrarotti, Gli spaghettanti dello spirito, cit., pp. 5-6.

9)Così Cesare Cases, citato nella Postfazione di Marianello Marianelli, curatore dell’edizione italiana di Considerazioni di un impolitico con Marlis Ingenmey, Milano, Adelphi, 1997, p. 589.

10)C. Magris, Utopia e disincanto, Milano, Garzanti, 2001, p. 25.

11)Cfr. A. S. Makarenko, op. cit.

…..12) Cfr. G. Consoli, Romanzo e rivoluzione. Il Poema pedagogico di A. S. Makarenko come nuovo paradig- ma del racconto. Con una nota di N. Siciliani de Cumis, Pisa, ETS, 2007, p. 84).

…..13) Ivi, p. 45; corsivo di Ferrarotti.

…..14) Si veda “La critica sociologica”, 164, inverno 2007.

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