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E l’Ocse ci dice che di tagli si muore. Ma va?

di Cesare Fassari

15 GEN - Ma come sta messa la sanità italiana? Se la domanda la rivolgessimo al nostro interno, nella comunità nazionale di esperti, politici, amministratori, le risposte, lo sappiamo, sarebbero le più diverse. Come dimostrano del resto molti studi e ricerche del passato recente e prossimo. Risposte spesso non del tutto disinteressate perché magari ispirate da questo o quel centro studi, a sua volta più o meno vicino a quel “blocco” determinato di interessi.

Ma se la domanda fosse rivolta a qualcuno che vive e lavora al di fuori dei nostri confini? Cosa risponderebbe? E sarebbe forse più sereno e disinteressato nei giudizi?

Forse, alla base della decisione del ministero della Salute di affidare all’Ocse una “review”

sistematica sulle condizioni e soprattutto sulla qualità della nostra sanità, c’erano anche questi interrogativi insieme, pensiamo, alla speranza di avere un rapporto schietto, senza veli, né zuccherini di sorta.

La decisione risale al 2012, ministro Renato Balduzzi, quando si decise per l’appunto di affidare all’Ocse la stesura di una “Revisione sulla qualità dell’assistenza sanitaria in Italia”, che è stata poi condotta con la collaborazione di Agenas e della Direzione generale della Programmazione Sanitaria, nell’ambito del progetto CCM 2012.

Per capire come stanno le cose, l’Ocse e gli altri soggetti incaricati della review hanno attraversato la penisola da Nord a Sud intervistando e contattando una moltitudine di esperti e referenti e mettendo poi in “griglia” questi report con gli indicatori che l’Ocse raccoglie ed elabora periodicamente dai Paesi membri.

Alla fine la prima bozza del testo ha avuto a sua volta una revisione da parte di un Panel nazionale di esperti individuato tra i Dirigenti delle Direzioni Generali della Programmazione Sanitaria, della Prevenzione, delle Professioni Sanitarie e delle Risorse Umane, dei Rapporti Internazionali e in AGENAS.

Questa è la storia. Ma alla fine come veniamo fuori da questa inchiesta internazionale? Secondo l’OCSE, l’Italia si trova ad affrontare due sfide principali.La prima è garantire che gli sforzi in atto per contenere la spesa in campo sanitario non vadano a intaccare la qualità quale principio fondamentale di governance. la seconda è quella di sostenere le Regioni e Province Autonome che hanno una infrastruttura più debole, affinché possano erogare servizi di qualità pari alle regioni con le performance migliori.

In generale, dicono gli esperti Ocse, “E’ necessario un approccio più solido e ambizioso al monitoraggio della qualità e al miglioramento a livello di sistema”. E quello che li preoccupa di più, e dovrebbe preoccupare anche noi, è che, dicono, “il miglioramento della qualità e la riorganizzazione del sistema hanno assunto un ruolo secondario quando la crisi economica ha iniziato a colpire”. E ancora, “il risanamento delle finanze è divenuto priorità assoluta, nonostante i bisogni in fatto di salute evolvano rapidamente”.

I paradossi della storia. Abbiamo visto che questa ricerca fu commissionata nel 2012, anno di piena attuazione della politica di massimo rigore economico che si ricordi con il combinato disposto delle finanziarie Tremonti/Monti che hanno portato a un taglio di circa 30 miliardi al Ssn.

Leggere oggi, tre anni dopo, dai ricercatori da noi stessi chiamati a verificare come vanno le cose, che i tagli hanno prevalso sulla logica della qualità e che il risanamento economico è diventato priorità assoluta rispetto a tutto il resto, lascia quanto meno un po’ interdetti. E forse non serviva scomodare l’Ocse per capirlo.

Ma in ogni caso è bene così. Sentirselo dire da qualcuno di fuori è sempre meglio e più efficace.

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