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OSSERVAZIONI ALLA BOZZA DEL DECRETO ATTUATIVO DELLA LEGGE DELEGA PER L’EMANAZIONE DEL CODICE ANTIMAFIA E DELLE MISURE DI PREVENZIONE. - Judicium

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OSSERVAZIONI ALLA BOZZA DEL DECRETO ATTUATIVO DELLA LEGGE DELEGA PER L’EMANAZIONE DEL CODICE ANTIMAFIA E

DELLE MISURE DI PREVENZIONE.

E le contese sulla confisca non finiscono qui

1. I punti critici della precedente legislazione.- 2. La risoluzione del decreto attuativo.- 3. Le questioni restano aperte

1. I Punti critici della precedente legislazione

Furono evidenziate (“La Confisca dei beni appartenenti ad organizzazioni criminali: lo Stato, il creditore ipotecario e il terzo avente causa dal prevenuto in una giostra di contese” su www.judicium.it) le anomalie applicative che poneva la tematica della confisca dei beni eseguita in virtù della legge 31 maggio 1965 n.

575 recante disposizioni contro la mafia, osservando che il quadro di riferimento non era significativamente mutato nonostante le numerose integrazioni normative, fino agli ultimi decreti legge del febbraio e del novembre del 2010 e all’ultimo arresto della Suprema Corte dell’ottobre 2010: legislatore e giudice non erano riusciti a fissare ancora un punto di arrivo ai dubbi interpretativi che continuavano a volteggiare a spirale nelle aule giudiziarie dal primo grado sino alla Suprema Corte.

Il nostro punto di osservazione, si precisa, si pone nella circostanza particolare, ma foriera di soluzioni contraddittorie, della sopravvenienza del provvedimento di confisca in una procedura di pignoramento in corso.

La presenza di tale circostanza poneva al giudice il fondamentale problema della proseguibilità o meno della procedura esecutiva sul bene confiscato.

Lo schema problematico era il seguente:

1. si trattava di individuare il rapporto di prevalenza tra il provvedimento di confisca, per effetto del quale il bene è acquisito allo Stato, e il diritto reale di garanzia del creditore ipotecario, procedente o intervenuto nella procedura esecutiva;

2. si doveva verificare l’incidenza del terzo proprietario, quando cioè la misura della confisca colpisce, non più il prevenuto nel procedimento penale che sia pure lo stesso debitore esecutato nel pignoramento, bensì, l’avente causa del prevenuto, nuovo proprietario e debitore sottoposto al pignoramento; vale a dire, un soggetto

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del tutto estraneo al rapporto tra il malavitoso e lo Stato che abbia ragione di bloccare ogni successiva circolazione del bene, foss’anche per mezzo di un’aggiudicatario;

3. si doveva accertare quale giudice fosse competente ad occuparsi delle suddette questioni, cioè se il giudice penale in sede di incidente di esecuzione o il giudice civile in sede di opposizione all’esecuzione.

Successivamente, con la legge 7 marzo 1996 n. 109 vennero introdotti gli articoli 2-nonies e seguenti della legge 31 maggio 1965 n. 575, che aggiunsero le norme sulla destinazione dei beni confiscati, contemplandone la devoluzione allo Stato e la successiva destinazione mediante provvedimento del direttore centrale del demanio del Ministero delle Finanze, oggi, a seguito della nuovissimo intervento legislativo, con il D.L. 4 febbraio 2010 n. 4, come convertito dall’art. 1, comma 1, Legge 31 marzo 2010 n. 50, che ha istituito l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, il provvedimento è emesso con delibera del Consiglio direttivo dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati a cui, la Cancelleria dell’Ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento di confisca deve dare comunicazione (contemporanea comunicazione è prevista per l’Agenzia del demanio competente per territorio in relazione al luogo dove si trovano i beni).

Ricapitolando, la ratio del legislatore era, ed è, la sottrazione dei beni accumulati dalle associazioni criminali per restituirli alla collettività allo scopo di ottenere una vera e propria riconversione della ricchezza a finalità sociali.

Questa, in sostanza la primaria ragione del conflitto esigenze statuali- tutela dei diritti ipotecari: volendosi efficacemente colpire il bene “all’origine mafioso”, con l’affermazione del principio della prevalenza delle ragioni repressive di politica criminale sul successivo titolare di ogni diritto, di proprietà o di garanzia, al fine proprio di rendere il bene inutilizzabile nel circuito commerciale ed unicamente fruibile a fini socialmente utili, per così ottenere una concreta riaffermazione positiva dell’autorità dello Stato.

Tuttavia, il primario principio della certezza dei diritti imponeva la salvaguardia dei soggetti estranei alla logica criminale che si sono resi acquirenti di diritti reali (proprietà o ipoteca) sul bene appartenuto al soggetto sottoposto a procedimento di prevenzione penale; diritti regolati da una specifica impalcatura civilistica con

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profili pubblicistici rilevabili nelle finalità proprie del regime delle trascrizioni che mirano a rendere noti alla collettività la sussistenza di vincoli: l’ordinamento sancisce, in sostanza, l’intangibilità del diritto legittimamente acquistato in base al regime formale e sostanziale del diritto civile, diritto opponibile sulla base delle norme dettate in materia di trascrizione e di iscrizione ipotecaria. Si tratta di un meccanismo che cristallizza la certezza dei diritti immobiliari relativamente all’esistenza di gravami sul bene e che non prevedono l’onere a carico dell’acquirente, che i latini avrebbero chiamato “diabolico”, di svolgere accertamenti intesi a verificare la provenienza non delittuosa del bene.

In realtà nella legge 575/65 risultavano in qualche modo contemplate le posizioni dei terzi acquirenti (della proprietà o del diritto di garanzia ipotecario), prevedendo la possibilità per costoro di intervenire nel procedimento penale per svolgere le loro deduzioni, ma la disciplina, nonostante le diverse innovazioni normative, non conteneva un organico regime di coordinamento tra gli interessi dello Stato-comunità ad acquisire il bene tramite la confisca e la tutela delle posizioni dei terzi, e nemmeno tra il procedimento di prevenzione penale e la procedura esecutiva in corso, in guisa che il giudice non poteva individuare una soluzione univoca dei conflitti più sopra tracciati.

Infatti non si erano rivelati utili suggeritori nemmeno i più chiari interventi normativi per effetto del d.l. del 23 maggio 2008 n. 92 che ha arricchito l’art. 2- ter della legge 575/65:

- inserendo, nel 10° comma di detto articolo, il divieto di procedere alla confisca sui beni che siano stati legittimamente acquisiti dai terzi in buona fede, con lo spostamento, in questo caso, della confisca sul denaro o su altri beni di valore equivalente;

- contemplando, nel 13° comma dello stesso art. 2-ter, l’accertamento, da parte del giudice che dispone la confisca, della interposizione fittizia dei beni che non risultino intestati al prevenuto; vale a dire, il giudice deve accertare che i beni siano stati artatamente intestati e trasferiti ad altri soggetti, e in caso di accertamento positivo, deve con sentenza dichiarare la nullità degli atti dispositivi così compiuti.

Ma a carico di quale soggetto è posto l’onere della prova della buona fede? E, ancora, cosa accade se il terzo non è stato chiamato a partecipare nel procedimento penale: deve ricorrere di nuovo al giudice penale, in sede di

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incidente di esecuzione oppure, essendosi esaurita la competenza, che si esprime nell’esercizio della funzione penale, deve ricorrere al giudice civile che ha la naturale cognizione delle questioni proprietarie?

2. La risoluzione del decreto attuativo.

Il Consiglio dei Ministri ha approvato definitivamente in data 3.8.2011 il codice antimafia e delle misura di prevenzione delegato con la legge 13 agosto 2010 n. 136, non ancora pubblicato sulla G.U.

Per quanto è utile in questa sede occorre sinteticamente segnalare che emerge un’unica certezza per il giudice della procedura esecutiva: l’art. 65 del decreto attuativo introduce il chiaro principio della improcedibilità dell’esecuzione e della improseguibilità dell’azione esecutiva iniziata per effetto già del provvedimento di sequestro.

A mente di detta norma il giudice dell’esecuzione dovrà rendere la dichiarazione in conformità alla fase processuale in cui verte il pignoramento ed i beni sono attratti alla sfera di gestione dell’amministratore giudiziario indicato nella nuova legge. La procedura esecutiva, dunque, verserà in uno stato di quiescenza sino alla conclusione del procedimento penale di prevenzione, al cui esito si verificheranno le seguenti fattispecie processuali:

- 1. l’estinzione della procedura esecutiva per mancata riassunzione nel termine di un anno, indicato nel 2° comma dell’art. 65, dalla definitiva revoca del sequestro o della confisca;

- 2. l’estinzione, ope legis, della stessa procedura nel caso in cui la confisca diviene definitiva;

- 3. La reviviscenza dell’esecuzione nel caso di riassunzione nei termini per le ipotesi di revoca definitiva del sequestro o della confisca.

A quanto pare il giudice dell’esecuzione risulta del tutto estromesso dalle problematiche che hanno trovato soluzioni conflittuali in giurisprudenza, poiché già dalla lettura della norma ora citata esso giudice dovrebbe declinare ogni competenza.

Eppure: siamo certi che egli non debba o non possa esaminare le doglianze rappresentate dal terzo proprietario e dal terzo creditore titolare di diritti reali di garanzia, “parti” nella procedura esecutiva, con opposizione all’esecuzione o, addirittura, con opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento che dichiara l’improseguibilità o l’estinzione dell’esecuzione?

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Questa è la tematica che resta aperta per i magistrati che operano nelle procedure di esecuzione immobiliare allorchè il terzo medesimo deduca di essere stato pretermesso dalle tutele apprestate nella nuova legge, vale a dire mediante la sua chiamata nel giudizio di prevenzione penale nel termine perentorio indicato dagli articoli 33 e 65, 3° co. Codice Antimafia.

Invero, nonostante la questione sia stata resa nota al legislatore in fieri costui non ha provveduto ad indicare le conseguenze della mancata chiamata dei terzi in causa che ha impedito, in conseguenza, al terzo stesso formalmente titolare di svolgere le sue deduzioni.

Pertanto, e per completezza, e nei limiti di una esposizione sommaria, si segnalano le seguenti ipotesi.

A- Sul fronte del conflitto tra la misura della confisca e il diritto di proprietà del terzo estraneo al procedimento penale a carico del dante causa si può evidenziare schematicamente quanto segue.

1- Presupposto della disponibilità in capo al prevenuto.

Allorchè il bene è già stato trasferito dal prevenuto in data anteriore alla misura di prevenzione patrimoniale, prima, dunque, del sequestro, risulta confermato il principio secondo cui il bene deve essere nella disponibilità, anche se indiretta del prevenuto (proprio perché il presupposto del sequestro e della confisca è la sproporzione del valore economico del bene rispetto alla capacità reddituale).

Art. 8: la norma sancisce che il bene deve “risultare” nella titolarità del condannato, ovvero, deve essere nella sua “disponibilità a qualsiasi titolo”, ovvero (comma 2), nei casi ivi indicati il bene deve essere nella “disponibilità anche per interposta persona”.

Art. 26: con espresso riferimento all’ipotesi della misura di prevenzione patrimoniale (TITOLO II) si ribadisce che i beni devono essere nella “disponibilità” dei soggetti destinatari della misura (ex art. 14)

Art. 30: anche nel previo procedimento di sequestro il presupposto è la disponibilità

“diretta o indiretta”: il principio è ribadito per l’adozione della misura della confisca nell’art. 34, il soggetto, cioè, deve risultare titolare o avere la disponibilità del bene.

Emerge chiaro che la titolarità e la disponibilità devono essere obiettivamente rilevabili per avocare nel procedimento di confisca i beni intestati a terzi e, quindi, dovrebbero essere preliminarmente accertati.

2- Modalità di tutela del proprietario

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La nuova legge lascia intravedere una soddisfacente tutela del terzo proprietario che è chiamato a difendersi nel procedimento.

Art. 33: il comma 3 sancisce il diritto alla restituzione se non ricorre l’ipotesi dell’art. 38. Qui bisogna segnalare che si tratta di un refuso non corretto sulla base della prima bozza del decreto attuativo: il riferimento normativo deve essere inteso all’attuale art. 36 il cui contenuto era quello dell’allora art. 38 ora dedicato alle ipotesi di revocazione.

Dunque il giudice disporrà la restituzione:

- se non sussiste la presunzione di interposizione fittizia;

- se, in mancanza di presunzione, non sia stata provata la detta interposizione

Art. 36: Il giudice con il decreto (e non più con sentenza come originariamente previsto) che dispone la confisca deve dichiarare la nullità degli atti di disposizione con cui i beni vengono fittiziamente intestati o trasferiti a terzi.

E l’art. 35 pone chiaramente il limite della confiscabilità escludendola in ogni caso in cui il bene sia trasferito legittimamente al terzo in buona fede prima dell’esecuzione del sequestro.

E’ chiaro che qui si ripropone, ove sia investito il giudice dell’esecuzione, il problema, non risolto dell’onere della prova, poiché, in linea con quanto precedentemente segnalato nell’opera citata, deve ribadirsi che la prova, fuori dalle ipotesi di presunzione di interposizione fittizia non può essere a carico del terzo titolare.

Art. 56: A differenza di quanto indicato nella legge delega, il legislatore esecutivo ha ben tenuto conto delle esigenze di tutela del terzo proprietario:

non si richiama più un ” indennizzo “ ma un vero e proprio diritto per equivalente, suscettibile di rivalutazione secondo il tasso d’inflazione annua (si era segnalato, infatti, che la previsione dell’indennizzo per effetto dell’estinzione del diritto del terzo a fronte della confisca definitiva, introduceva il principio del diritto di proprietà come diritto affievolito, che restava sensibile agli effetti della confisca anche per causa non imputabile al terzo acquirente).

B- Sul fronte del conflitto tra la misura della confisca e i titolari di diritti reali di garanzia aventi data certa anteriore al sequestro basta segnalare sinteticamente che dagli articoli 62 e seguenti emerge una chiara prevalenza della confisca sui diritti reali dei terzi, sotto il profilo dell’escussione della garanzia che resta in ogni caso preclusa.

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Invero in dette previsioni risulta l’accoglimento pieno dello spirito della delega, di far salva la tutela del creditore in buona fede ma ciò sempre attraverso una sorta di meccanismo liquidatorio delle ragioni creditorie, prevedendo altresì un procedimento di liquidazione e di graduazione dei crediti che avviene nell’ambito del giudizio di prevenzione penale dinanzi al giudice delegato sulla scorta di una configurazione tipologica che ricalca lo schema dell’ammissione al passivo fallimentare (artt. 67 e ss. Codice antimafia).

C- Le Ipotesi di fallimento

Infine, in caso di dichiarazione successiva di fallimento i beni assoggettati a sequestro o confisca sono esclusi dalla massa attiva fallimentare (art. 73, 4° co.

Codice antimafia); in caso di sequestro successivo alla dichiarazione di fallimento i beni colpiti dalla misura cautelare sono separati dalla massa attiva e consegnati all’amministratore giudiziario (art. 74 Codice antimafia).

3. Le questioni aperte

Bisogna segnalare che il legislatore non è riuscito a tener fedele coerenza alle tutele introdotte, non avendo codificato (e, dunque, lasciando alle future diatribe giurisprudenziali):

- quando il bene deve intendersi nella disponibilità indiretta del soggetto destinatario della misura;

- il corretto regime dell’onere della prova sulla buona fede dei terzi titolari sui beni confiscati;

- le conseguenze del mancato rispetto della disposizione che contempla la chiamata nel procedimento di prevenzione dei terzi titolari dei diritti reali;

- la ipotesi di una conseguente tutela residuale in sede civile, anche dinanzi al giudice dell’esecuzione, in sede di opposizione introdotta ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c..

Massimiliana Battagliese

Riferimenti

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