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GIUSEPPE TRISORIO LIUZZI
IL RICORSO IN CASSAZIONE
LE NOVITA’ INTRODOTTE DAL D.L. 83/2012
SOMMARIO:1. Premessa. – 2. I precedenti interventi normativi. – 3. Il d.l. 22 giugno 2012, n. 83 e l’iter parlamentare. – 4. Il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado a seguito dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c. – 5. L’impugnazione avverso l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c. – 6. L’accoglimento del ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado. – 7. La c.d. doppia conforme. – 8. La modifica del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. – 9. Il ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie. – 10. Considerazioni conclusive.
1. Premessa. – E’ fuori discussione che il processo civile in Italia sia contrassegnato da eccessiva durata e che questo dato riguardi non solo il processo dinanzi ai giudici di merito, ma anche quello dinanzi alla Corte di Cassazione. Nella “Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2012” il Primo Presidente della Corte di Cassazione, dott. Ernesto Lupo, ha evidenziato come, nonostante una diminuzione della pendenza complessiva dei giudizi civili anche nel periodo 30 giugno 2011 / 30 giugno 2012 (del 4,5%; i procedimenti sono passati da 5.640.130 a 5.388.544 in conseguenza di una rilevante diminuzione delle sopravvenienze: meno 3,7%), si sia comunque assistito ad un aumento dei tempi medi di definizione dei processi. Anche se la situazione più critica riguarda le corti d’appello, nelle quali la durata media è aumentata da 1.033 giorni a 1.051 (+ 1,7%
sempre nel periodo 30 giugno 2011 / 30 giugno 2012), è indubbio che pure per i giudizi pendenti dinanzi alla Corte di Cassazione la durata media sia alta. Nonostante il “decollo dell’attività della Sesta sezione” (il numero dei provvedimenti pubblicati è passato dai 4.354 del 2011 agli 8.546 del 2012; l’incidenza della sua attività su quella complessiva della Corte è passata dal 14,1% al 35,8%), in Cassazione i ricorsi vengono decisi in media in 34,1 mesi (dato 2012; nel 2011 il dato medio era di 36,7 mesi) con un picco di 49,7 mesi per i ricorsi in materia di diritti reali.
Concentrando l’attenzione sulla Cassazione, è affermazione ricorrente che una delle ragioni di tale stato di cose (se non proprio la principale ragione) è l’enorme numero dei ricorsi, del tutto anomalo rispetto alle corti di legittimità di tutti gli altri Stati europei. Al 31 dicembre 2012 i procedimenti pendenti in Cassazione, per quel che concerne il settore civile, sono 99.792 (al 31 dicembre 2011 erano 95.593, con un aumento del 4,4%)1.
Alla luce di questi dati, la strada percorsa negli ultimi provvedimenti legislativi è stata di intervenire sulle sopravvenienze, non solo nel primo e nel secondo grado di giudizio, ma anche in Cassazione, nella convinzione che in tal modo si riducono i tempi necessari per la definizione delle cause.
Ora se è indubbio che una giustizia efficiente è quella che consente al cittadino di avere una risposta alla sua domanda di tutela nel più breve tempo possibile, è altresì indubbio che la durata del processo non rappresenta l’unica prerogativa costituzionale da perseguire a tutti i costi, dal momento che esistono altri diritti, anch’essi fondamentali e costituzionalmente protetti, quali ad esempio il diritto di azione e di difesa. Sicché ogni intervento deve cercare di realizzare un giusto equilibrio tra queste due esigenze.
D’altra parte neppure è detto che la strada che il legislatore persegue, ossia quella di limitare il ricorso alle impugnazioni, come se fossero di per sé un lusso, sia la migliore, atteso che non è certo poi che la decisione di primo grado sia quella “giusta”2.
1 Va a questo proposito considerato che se vi è stata una riduzione, sia pure non significativa, dei nuovi ricorsi nel 2012, passati da 30.889 del 2011 a 29.128 del 2012, vi è stata altresì una contrazione dei procedimenti definiti, che sono passati da 32.949 del 2011 a 25.012 del 2012.
2 C. CONSOLO, Lusso o necessità nelle impugnazioni delle sentenze?, in www. judicium.it.
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Ad ogni buon conto diversi interventi legislativi concernenti il giudizio di cassazione si sono succeduti in questi ultimi anni, segno che gli obiettivi di contenere le sopravvenienze e di ridurre i tempi del processo non sono stati in effetti raggiunti. E così ricordiamo
(a) la legge delega n. 80 del 2005 ed il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40;
(b) la l. 18 giugno 2009, n. 69;
(c) la l. 12 novembre 2011, n. 183;
(d) il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134.
La ragione del mancato raggiungimento degli obiettivi fissati va ricercata nelle modalità, del tutto criticabili, seguite dal legislatore per riformare la disciplina esistente. Del tutto inefficaci sono infatti gli interventi parziali, a macchia di leopardo. Non si può intervenire senza un profondo ripensamento dell’intera struttura del processo e in particolare del sistema delle impugnazioni.
2. I precedenti interventi normativi. – Prima di esaminare le modifiche introdotte dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, è opportuno ricordare, sia pure sinteticamente, i precedenti interventi normativi.
2.1. - Con la legge delega n. 80 del 2005 il legislatore aveva fra gli altri principi fissato quello di
«disciplinare il processo di cassazione in funzione nomofilattica», funzione che ha acquistato sempre più importanza sia per la complessità dell’ordinamento interno sia per le relazioni esistenti con gli ordinamenti sovranazionali e stranieri, e che proprio l’alto numero dei ricorsi mette a rischio3.
Il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, attuando i principi fissati nella legge delega n. 80/2005, ha, fra l’altro,
(a) ampliato i casi di appellabilità delle sentenze di primo grado (sia pure non nel senso sperato dalla dottrina);
(b) introdotto un nuovo articolo, l’art. 366-bis, nel quale si stabiliva che «nei casi previsti dall’articolo 360, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Nel caso previsto dall’articolo 360, primo comma, numero 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisone»;
(c) riscritto il n. 5 dell’art. 360, prevedendo il ricorso «per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» e non più «per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio»4.
2.2. - Con la legge 18 giugno 2009, n. 69 il legislatore è nuovamente intervento sul giudizio di cassazione riformando norme già modificate tre anni prima. In particolare ha rivisto il filtro, eliminando quello introdotto con l’art. 366-bis, che la giurisprudenza della Cassazione ha applicato in modo eccessivamente rigoroso, e ne ha introdotto un altro, peraltro oggetto di non poche discussioni.
In una prima versione il nuovo filtro, disciplinato nell’art. 360-bis, prevedeva quattro requisiti di ammissibilità: «1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo difforme da precedenti decisioni della Corte; 2) quando il ricorso ha per oggetto una questione nuova o una questione sulla quale la Corte ritiene di pronunciarsi per confermare o mutare il proprio
3 Sulla legge delega V. A.PROTO PISANI, Novità nel giudizio civile di cassazione, in Foro it., 2005, V, 252; A. TEDOLDI, La delega sul procedimento di cassazione, in Riv. dir. proc., 2005, 925.
4 V. Sul d.lgs. 40 del 2006 v., fra gli altri, F. CIPRIANI (a cura di), La riforma del giudizio di cassazione, in Le nuove leggi civ. comm., 2008, 459; G. MONTELEONE, Il nuovo volto della Cassazione civile, in Riv. dir. proc., 2006, 943; B. SASSANI, Il nuovo giudizio di cassazione, in Riv. dir. proc., 2006, 217.
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orientamento ovvero quando esistono contrastanti orientamenti nella giurisprudenza della Corte; 3) quando appare fondata la censura relativa a violazioni dei principi regolatori del giusto processo; 4) quando ricorrono i presupposti per una pronuncia ai sensi dell’articolo 363».
Inoltre, nel corso del dibattito alla Camera, era stato introdotto un emendamento che disponeva che «non è dichiarato ammissibile il ricorso presentato ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5), avverso la sentenza di appello che ha confermato quella di primo grado».
Nella versione definitiva, approvata dal Parlamento, è “tornato” ad essere di inammissibilità e sono stati modificati i requisiti. L’attuale art. 360-bis dispone che «il ricorso è inammissibile : 1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa; 2) quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo»5.
2.3. - Nel tentativo di ridurre il contenzioso civile pendente dinanzi alla Corte di Cassazione (e alle corti d’appello) il legislatore con la l. 12 novembre 2011, n. 183 ha pensato bene di dettare una disposizione in virtù della quale, nei procedimenti civili pendenti ed aventi ad oggetto ricorsi avverso le pronunce pubblicate prima della data di entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n.
69 (e in quelli pendenti davanti alle corti di appello da oltre due anni prima della data di entrata in vigore della legge n. 183 del 2011), le parti o anche una sola di esse, con istanza sottoscritta personalmente dalla parte che ha sottoscritto il mandato, dovevano dichiarare la persistenza dell’interesse alla trattazione della impugnazione entro il termine perentorio di sei mesi dalla ricezione dell’avviso da parte della cancelleria. In caso contrario l’impugnazione doveva intendersi rinunciata.
Tale disposizione, che da un lato aggravava il lavoro delle cancellerie e dall’altro non poteva avere effetti deflativi atteso che ben difficilmente le parti avrebbero dimenticato di presentare l’istanza, soprattutto dopo avere atteso anni per avere la fissazione dell’udienza di discussione, è stata abrogata poco dopo dalla l. 17 febbraio 2012 n. 10, che ha convertito in legge, con modificazioni, il d.l. 22 dicembre 2011, n. 212, recante disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile.
3. – Il d.l. 22 giugno 2012 n. 83 e l’iter parlamentare. – Con il d.l. 22 giugno 2012 n. 83 il legislatore è nuovamente intervenuto sulle impugnazioni. Nel capo VII, titolato «Ulteriori misure per la giustizia civile», all’art 54, rubricato “Appello”, il legislatore ha dettato disposizioni che, a ben vedere, non hanno riguardato solo l’appello [ossia l’art. 348-bis6, l’art. 348-ter, 1° e 2° comma7, l’art. 436-bis8, l’art. 447-bis9], ma anche l’impugnazione per cassazione, a dimostrazione di una poca attenzione, se non proprio di pressappochismo, del nostro legislatore nella stesura delle norme.
5 Su questi requisiti v., fra gli altri e per tutti, C. CONSOLO, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze dopo la legge n. 69 del 2009, Padova, 2009, 513 ss.; G. REALI, Commento all’art. 360-bis, in La riforma del c.p.c. a cura di F. Cipriani, S.
Menchini e M. De Cristofaro, in Le nuove leggi civ. comm, 2010, 947 ss. V. inoltre, da ultimo, A. CARRATTA, Il giudizio di cassazione nell’esperienza del “filtro” e nelle recenti riforme legislative, in Giur. it., 2013, 241.
6 Art. 348-bis (Inammissibilità all’appello): «Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell'appello, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta.
Il primo comma non si applica quando:
a) l’appello è proposto relativamente a una delle cause di cui all'articolo 70, primo comma;
b) l’appello è proposto a norma dell'articolo 702-quater».
7 Art. 348-ter (Pronuncia sull’inammissibilità dell’appello): «All'udienza di cui all'articolo 350 il giudice, prima di procedere alla trattazione, dichiara inammissibile l'appello, a norma dell'articolo 348-bis, primo comma, con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi. Il giudice provvede sulle spese a norma dell'articolo 91.
L'ordinanza di inammissibilità è pronunciata solo quando sia per l'impugnazione principale che per quella incidentale di cui all'articolo 333 ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell'articolo 348-bis. In mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza. …».
8 Art. 436-bis (Inammissibilità dell'appello e pronuncia): «All'udienza di discussione si applicano gli articoli 348-bis e 348-ter».
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3. 1. - Per quel che concerne il ricorso per cassazione il decreto legge - prevede nell’art. 348-ter,
che «quando è pronunciata l'inammissibilità (dell’appello), contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell'articolo 360, ricorso per cassazione nei limiti dei motivi specifici esposti con l'atto di appello. In tal caso il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell'ordinanza che dichiara l'inammissibilità. Si applica l'articolo 327, in quanto compatibile» (3°
comma);
che «quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) dell'articolo 360» (4° comma);
che «la disposizione di cui al quarto comma si applica, fuori dei casi di cui all'articolo 348-bis, secondo comma, lettera a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello che conferma la decisione di primo grado» (5° comma);
- apporta all’art. 360, 1° comma, la seguente modificazione: il numero 5) è sostituito dal seguente: «5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti»;
- aggiunge all’art. 383 il seguente comma: «Nelle ipotesi di cui all'articolo 348-ter, commi terzo e quarto, la Corte, se accoglie il ricorso per motivi diversi da quelli indicati dall'articolo 382, rinvia la causa al giudice che avrebbe dovuto pronunciare sull'appello e si applicano le disposizioni del libro secondo, titolo terzo, capo terzo, sezione terza».
Per la disciplina transitoria, poi, stabilisce che le disposizioni concernenti sia l’appello sia il ricorso per cassazione in caso di appello dichiarato inammissibile si applicano ai giudizi introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto; mentre la disposizione che modifica il n. 5 dell’art. 360, 1° comma, c.p.c. si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge.
Si legge nella Relazione al decreto legge che la nuova disposizione «è volta a migliorare l’efficienza delle impugnazioni sia di merito che di legittimità, che allo stato violano pressoché sistematicamente i tempi di ragionevole durata del processo, causando la maggioranza dei conseguenti indennizzi disciplinati dalla legge n. 89 del 2011, con conseguente incidenza diretta sulla finanza pubblica».
3.2. - All’indomani dell’emanazione del decreto legge vi è stato un acceso dibattito che ha visto sottoposto a forte critica questo intervento legislativo. Non solo gli studiosi che sono intervenuti hanno preso una posizione nettamente critica10, ribadita in un comunicato del Direttivo dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile del 29 giugno 2012, ma anche il Consiglio Nazionale forense con parere del 5 luglio 2012 e l’Osservatorio sulla Giustizia civile di
9 All'articolo 447-bis, primo comma, è apportata la seguente modificazione: le parole «e secondo comma, 430, 433, 434, 435, 436, 437, 438, 439, 440, 441,» sono sostituite dalle seguenti «e secondo comma, 430, 433, 434, 435, 436, 436-bis, 437, 438, 439, 440, 441,».
10 Tra gli altri v. G. VERDE, Processo civile: con un nuovo “filtro” in appello garanzie e tradizione giuridica segnano il passo, in Guida al diritto, 2012, 30, 6; G. MONTELEONE, Il processo civile in mano al governo dei tecnici, in www. judicium.it; C. FERRI, Filtro in appello: passa lo svuotamento di fatto e si perpetua la tradizionale ipocrisia italiana, in Guida al diritto, 2012, 32, 10 che parla di
«misure draconiane»; C. CONSOLO, Lusso o necessità nelle impugnazioni, cit.; M. BOVE, Processo civile: con il nuovo filtro in appello un legislatore “smemorato” rischia l’autogol, in Guida al diritto , 2012, 29, 6; R. CAPONI, Un correttivo equilibrato al nuovo filtro in appello contro l’ambiguità della «ragionevole probabilità», in Guida al diritto, 2012, 31, 12; ID., Rispetto all’obiettivo della “crescita del paese” gli interventi sul processo civile sono adeguati?, ibid., 33-34, 9; M. De CRISTOFARO, Appello e cassazione alla prova dell’ennesima “riforma urgente”: quando i rimedi peggiorano il male (considerazioni di prima lettura del d.l. n. 83/2012), in www. judicium.it; G.IMPAGNATIELLO, Crescita del Paese e funzionalità delle impugnazioni civili, note a prima lettura del d.l. 83/2012, in www. judicium.it; M. FORNACIARI, Ancora una riforma dell’art. 3601 n. 5 cpc: basta, per favore, basta!, in www. judicum.it; G. FINOCCHIARO, Modifiche del rito viziate dall’incostituzionalità, in Guida al diritto, 2012, 29, 65.
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Firenze hanno contestato fortemente le novità legislative. Il Consiglio Superiore della Magistratura invece ha reso un parere favorevole in data 5 luglio 2012 soprattutto per quel che concerne le modifiche relative alla cassazione, pur rilevando che «gli effetti positivi della prospettata riforma non potrebbero che essere tangibili prima di 10/12 anni, in quanto solo allora potranno verificarsi i benefici di una riduzione delle sopravvenienze dopo lo smaltimento delle cause giacenti in attesa della decisione».
Peraltro da più parti si è osservato che la scelta di utilizzare il decreto legge non era condivisibile, sia perché la materia richiedeva una attenzione maggiore e tempi più ponderati, sia perché non ricorreva nella specie l’urgenza che legittima il ricorso allo strumento del decreto legge, come era provato dalla previsione di rinviare l’entrata in vigore delle norme riformate ad un momento successivo alla legge di conversione.
Sta di fatto che nonostante queste voci contrarie il Parlamento ha approvato il disegno di legge di conversione, per di più apportando delle modifiche ulteriormente restrittive per quel che concerne l’appello11. Relativamente al ricorso per cassazione, è stato modificato il 3° coma dell’art. 348-ter nel senso che è stata eliminata la previsione «nei limiti dei motivi specifici esposti con l’atto di appello». Il 3° comma, quindi, oggi, dispone che «quando è pronunciata l'inammissibilità (dell’appello), contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell'articolo 360, ricorso per cassazione nei limiti dei motivi specifici esposti con l'atto di appello. In tal caso il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell'ordinanza che dichiara l'inammissibilità. Si applica l'articolo 327, in quanto compatibile».
3.3. - Sembra importante ricordare un altro momento nel dibattito parlamentare, momento che in un sistema parlamentare corretto porterebbe ad alcune conseguenze ben precise, ma che in Italia è ben possibile che non produca effetti di sorta e cada nel dimenticatoio: in data 25 luglio 2012 la Camera dei Deputati ha approvato un ordine del giorno presentato dall’On.le Manlio Contento nel quale, dopo avere criticato il filtro in appello e le limitazione introdotte al ricorso per Cassazione12,
11 V. le modifiche introdotte per quel che concerne l’appello all’art. 342 (forma dell’appello), all’art. 345 (con l’eliminazione dell’ammissibilità delle prove rilevanti), all’art. 434 (appello nel processo del lavoro) e all’art. 702-quater c.p.c. (ammissibilità delle prove non più rilevanti ma indispensabili).
12 Sembra opportuno riportare alcuni passaggi dell’ordine del giorno sempre riferiti all’impugnazione per cassazione:
«La Camera, premesso che … [in caso di inammissibilità dell’appello] la riforma consente il ricorso per Cassazione contro il provvedimento di primo grado nel mentre, qualora l'inammissibilità sia fondata «sulle stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata» il ricorso per Cassazione può essere proposto per i soli motivi diversi da quelli previsti dal n.
5) dell'articolo 360 del Codice di rito e cioè non per motivi attinenti alla motivazione, circostanza che si estende anche ai casi analoghi di decisione nel merito dell'appello; sottolineato come la modifica introdotta interessi anche il numero 5) dell'articolo 360 del codice processuale, il quale consentirà, da qui in avanti, di censurare la motivazione di un provvedimento, attraverso il ricorso per Cassazione, solo «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» eliminando, in tal modo, la possibilità di denunciarne il vizio di omissione, insufficienza e contraddittorietà «circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio»; atteso che tali modifiche, per quanto riguarda il regime delle impugnazioni, sono suscettibili di stravolgere l'impianto processualistico dal momento che esse: 1) affidano ad una ordinanza di inammissibilità una decisione sostanzialmente di merito perché idonea a raggiungere l'effetto di respingere l'impugnazione; 2) contravvengono all'obbligo di motivazione previsto, per provvedimenti di analogo contenuto, dal combinato disposto degli articoli 132 e 118, disposizioni di attuazione, del Codice trasformando una sentenza in un'ordinanza succintamente motivata allo scopo di attenuarne il profilo, appunto, motivazionale; 3) prescrivono l'obbligo di ricorso per Cassazione avverso il provvedimento di primo grado e nulla esplicitano nei confronti dell'ordinanza di inammissibilità che, quindi, potrebbe risultare esclusa dal giudizio di legittimità; 4) sottraggono anche la motivazione del provvedimento di primo grado ad vaglio del giudice di legittimità attraverso una limitazione dei poteri di impugnazione nel caso in cui le ragioni esposte nell'ordinanza di inammissibilità si riferiscano alle stesse questioni di fatto del primo grado; 5) estendono i limiti della ricorribilità per Cassazione anche ai casi in cui il giudizio di appello sia deciso con sentenza che fonda la motivazione sulle stesse questioni di fatto del precedente grado di giudizio; ritenuto che oltre allo stravolgimento del diritto processuale tali modifiche e, soprattutto, quelle che limitano il sindacato sulla motivazione dei provvedimenti con effetto decisorio o che paiono sottrarre al sindacato di legittimità l'ordinanza con cui il giudice d'appello dichiara l'inammissibilità dell'impugnazione rischiano di collidere con la Costituzione e, in particolare, con l'obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali previsto dall'articolo 111, obbligo correlato al principio di legalità di cui all'articolo 102, comma 2, oltre che con la previsione costituzionale della possibilità di ricorrere in Cassazione per motivi di legittimità, sempre contemplata dall'articolo 111, e, infine, anche con il diritto di azione e di difesa assicurati dall'articolo 24; rilevato come anche il regime a cui è assoggettata la pronuncia
«doppia conforme» appaia in contrasto col principio di ragionevolezza solo che si pensi ad una motivazione affetta da
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ha impegnato il Governo «ad effettuare una profonda verifica delle nuove disposizioni alla luce dei principi di rango costituzionale che ispirano gli istituti processuali oggetto delle medesime ed eventualmente ad assumere o favorire ogni iniziativa che sia idonea ad eliminare o correggere il contenuto delle stesse anche con riferimento alle perplessità denunciate nelle premesse».
4. Il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado a seguito dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c. – Ciò posto si possono ora passare ad esaminare più specificamente le novità introdotte nel 2012, iniziando dalla disposizione contenuta nel 3° e nel 4° comma dell’art. 348-ter, disposizione che è strettamente collegata con la dichiarazione di inammissibilità dell’appello.
Il legislatore ha stabilito che nel caso in cui il giudice di secondo grado dichiari con ordinanza l’inammissibilità dell’impugnazione, allorquando questa «non ha una ragionevole probabilità di essere accolta»13, il provvedimento di primo grado può essere oggetto di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c. entro sessanta giorni dalla comunicazione o dalla notificazione, se anteriore, dell’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità. In mancanza di comunicazione o notificazione troverà applicazione l’art. 327 c.p.c., ossia il termine di sei mesi decorrenti dalla pubblicazione dell’ordinanza suddetta.
Questa previsione pone in luce una contraddizione nell’intervento legislativo. Infatti se da un lato l’obiettivo dichiarato è di limitare il ricorso in cassazione, intervenendo sull’art. 360, 1° comma n. 5 (la modifica, si legge nella Relazione al decreto legge, è «mirata … a evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione non strettamente necessitati dai precetti costituzionali»), dall’altro però il legislatore amplia il numero dei provvedimenti ricorribili in cassazione, dal momento che anche il provvedimento di primo grado potrà essere oggetto di impugnazione per cassazione, con la conseguenza che il numero dei ricorsi inevitabilmente aumenterà. Ed in dottrina si è subito sottolineato che questa riforma finirà per aggravare i ruoli della Suprema Corte.
Infatti, un avvocato, se di fronte ad una sentenza resa in grado di appello ben motivata che lo ha visto soccombente è disposto a non proseguire nella via giudiziaria, ben difficilmente accetterà un’ordinanza di inammissibilità.
L’art. 348-ter, 3° e 4° comma, pone alcuni interrogativi.
4.1 - In primo luogo la norma discorre di «provvedimento di primo grado». In verità sembra che questo provvedimento non potrà che essere la sentenza, in considerazione sia del fatto che l’appello ex art. 339 c.p.c. si propone avverso le sentenze e sia della constatazione che l’appello avverso l’ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. non può essere dichiarato inammissibile ex art. 348-bis.
4.2. - In secondo luogo, la pronuncia di inammissibilità comporta che la sentenza di primo grado sia ricorribile per cassazione in base a tutti i motivi indicati nel primo comma dell’art. 360: «1) per motivi attinenti alla giurisdizione; 2) per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza; 3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro; 4) per nullità della sentenza o del procedimento;
5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
contraddittorietà e confermata anche in secondo grado di fronte alla quale sarebbe sostanzialmente preclusa la denuncia di ogni vizio;
ribadito, infine, il necessario rispetto del principio di proporzionalità fra l'applicazione di rigide regole formali e i sacrifici imposti alla parte secondo le regole ricavabili dall'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali secondo l'interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo».
13 Nel senso che l’ordinanza che dichiara l’inammissibilità ex art. 348-bis/ter è un provvedimento d merito, dal momento che non concerne la mancanza di un elemento formale o un vizio formale, v., fra gli altri, G. VERDE, Diritto di difesa e nuova disciplina delle impugnazioni, in www. judicium.it, § 2; G. COSTANTINO, Le riforme dell’appello civile e l’introduzione del “filtro”, in www.Treccani.it, § 3; G. SCARSELLI, Sul nuovo filtro per proporre appello, in Foro it., 2012, V, 287; G. IMPAGNATIELLO, Il «filtro»
di ammissibilità dell’appello, ibid., 296; T. GALLETTO, “Doppio filtro” in appello, “doppia conforme” e danni collaterali, in Judicium, § 3.
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Rinviando ad un momento successivo le riflessioni sul nuovo n. 5, la domanda che sorge inevitabile è se il soccombente possa proporre l’impugnazione per cassazione sulla base dei ricordati motivi, a prescindere da quelli esposti nell’atto di appello, oppure se il ricorso per cassazione sia limitato (o quanto meno condizionato) dai motivi esposti nell’appello.
A questo proposito va considerato che la legge di conversione ha eliminato l’espressione «nei limiti dei motivi specifici esposti con l’atto di appello», una eliminazione alla quale tuttavia non pare potersi attribuire un ruolo nell’interrogativo predetto, dal momento che ben potrebbe trovare la sua ragion d’essere nella riforma dell’art. 342 c.p.c. ed in particolare nella cancellazione dell’espressione «motivi specifici dell’impugnazione» .
Ciò posto, non sembra che l’ordinanza di inammissibilità (rectius la sua comunicazione o notificazione) riapra del tutto i termini, nel senso che il soccombente non incontri alcun limite dalla proposizione dell’appello. Più precisamente.
Se con l’atto di appello, poi dichiarato inammissibile, il soccombente non ha impugnato la sentenza di primo grado per violazione delle norme sulla giurisdizione o sulla competenza, pare doversi escludere che egli possa proporre ricorso per cassazione adducendo quali motivi la violazione delle norme sulla giurisdizione o sulla competenza. Infatti, in base ai principi generali vi è stata acquiescenza parziale da parte del soccombente alle parti della sentenza di primo grado non impugnate, con la conseguenza che per quella parte la sentenza è passata in giudicato.
Lo stesso discorso va fatto per tutti i capi di sentenza autonomi non oggetto di appello:
prendiamo l’ipotesi disciplinata dall’art. 104 c.p.c.: contro la stessa parte vengono proposte due domande non connesse tra loro, nel rispetto dell’art. 10, 2° comma, c.p.c. La sentenza di primo grado accoglie entrambe le domande e condanna il convenuto; il soccombente propone appello solo relativamente ad una domanda e non anche all’altra; l’ordinanza di inammissibilità non può consentire al soccombente di proporre ricorso per cassazione impugnando tutti e due i capi di sentenza, compresa la domanda non oggetto di appello.
Se però la sentenza non contempla più capi e viene proposto appello, può il soccombente nel ricorso per cassazione dedurre la violazione di una norma non considerata nell’atto di appello o un differente motivo di nullità della sentenza o del procedimento non fatto valere con i motivi di appello?
In questo caso la risposta dovrebbe essere positiva, dal momento che la proposizione dell’appello ha impedito alla sentenza di passare in giudicato, sicché non si è formata alcuna preclusione.
L’ordinanza di inammissibilità, rectius la sua comunicazione o notificazione, ha aperto i termini per proporre il ricorso per cassazione avverso la sentenza o le parti della sentenza impugnata in appello14.
4.3. - Il 4° comma poi contempla una limitazione alla possibilità di proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado: infatti, qualora il giudice di appello, alla luce di una delibazione sommaria, ritenga che l’appello «non ha una ragionevole probabilità di essere accolto»
sulla base delle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a fondamento della decisione impugnata, allora il ricorso per cassazione non può essere proposto ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5.
Si tratta di una limitazione difficilmente comprensibile, che trova la sua ragion d’essere nella volontà del legislatore di limitare i ricorsi per cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360, sul presupposto che vi è un abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione e che tali ricorsi siano da impedire15.
14 Sul punto v. in senso parzialmente difforme G. COSTANTINO, Il nuovo giudizio di cassazione dopo la legge n. 134 del 2012, Relazione tenuta a Roma l’8 novembre 2012 per il Consiglio Superiore della Magistratura, per il quale «il ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado … prescinde totalmente dai motivi di appello».
15 Previsione che secondo A. CARRATTA, Il giudizio di cassazione, cit., 241 si pone in contrasto con il dettato costituzionale.
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Ora, perché tale limitazione possa operare è necessario, da un lato, che l’ordinanza di inammissibilità indichi, in modo chiaro, le ragioni, inerenti alle questioni di fatto, che sono alla base della valutazione della ragionevole probabilità di non accoglimento dell’appello e, dall’altro, che tali ragioni siano le stesse che sono state poste a fondamento della decisione di primo grado.
Il rischio è che il giudice di appello, dovendo compiere una valutazione sommaria anche in ordine alle questioni fatto (ragionevole probabilità), motivi l’ordinanza di inammissibilità «anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi». Con la conseguenza che potrebbe anche discutersi circa l’identità delle ragioni inerenti alle questioni di fatto.
Onde evitare questo problema l’ordinanza che dichiara l’inammissibilità deve contente una motivazione congrua, nella quale le ragioni inerenti alle questioni di fatto siano esposte in modo chiaro, sì da potere verificare se siano identiche a quelle poste a fondamento della sentenza di rigetto.
Ma cosa succede se tanto la motivazione della sentenza di primo grado - ossia le ragioni inerenti alle questioni di fatto - quanto quella dell’ordinanza di inammissibilità sono sì identiche, ma illogiche, incoerenti e contraddittorie?
In questo caso, adducendo, come si vedrà in seguito, la violazione di legge (artt. 132 e 360, n. 3 o n. 4, c.p.c.), il soccombente potrà ricorrere davanti alla Suprema Corte.
Questa disposizione comunque ha alla sua base lo stesso presupposto di quella contenuta nel 5°
comma dello stesso art. 348-ter, ossia una ricostruzione dei fatti conforme da parte dei giudici di primo e secondo grado, ragion per cui ulteriori riflessioni saranno meglio esposte allorché si esaminerà il 5° comma.
5. L’impugnazione avverso l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c. – Nulla prevede il legislatore in ordine all’ordinanza di inammissibilità ed alla sua impugnabilità.
Contempla solo che essa sia succintamente motivata e contenga la pronuncia sulle spese.
Nella Relazione al decreto legge si afferma che la previsione dell’impugnazione per cassazione della decisione di primo grado, in caso di inammissibilità dell’appello, «assorbe ogni tutela costituzionalmente necessaria», atteso che «rimane impregiudicato il potere della Suprema corte, alla quale sia denunciata la decisione di prime cure, di rilevare, quando ritenuto inerente alle garanzie assicurate dall’art. 111 Cost., nullità inerenti al procedimento di appello».
E’ un’affermazione che francamente si presenta del tutto errata.
Se il soccombente che si è visto dichiarare inammissibile l’appello con ordinanza ex art. 348-bis propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado non potrà che dedurre motivi attinenti alla sentenza di primo grado, non anche eventuali nullità inerenti al procedimento di appello. Per potere conseguire una pronuncia su tali nullità l’unica possibilità è di impugnare il provvedimento che pone termine al procedimento di appello, ossia l’ordinanza di inammissibilità.
Deve escludersi che la Corte di cassazione, adita a seguito di ricorso avverso la sola sentenza di primo grado, possa esaminare nullità concernenti il procedimento di appello.
Ed allora non è assolutamente esatto dire che la previsione dell’impugnazione per cassazione della decisione di primo grado, in caso di inammissibilità dell’appello, «assorbe ogni tutela costituzionalmente necessaria» e che l’ordinanza dichiarativa di inammissibilità non è impugnabile in cassazione.
D’altra parte il problema non si pone solo in caso di nullità.
Come si è detto, ai sensi del 1° comma dell’art. 348-ter, il giudice di appello, quando dichiara inammissibile l’impugnazione, «provvede sulle spese a norma dell’articolo 91». Orbene il provvedimento sulle spese ha natura decisoria e come tale deve poter essere oggetto di controllo.
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Trattandosi di provvedimento reso in grado di appello il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 cost. non può essere negato16.
Né sembra possibile negare il ricorso affermando che la tutela della parte è assicurata pur sempre dalla Cassazione, nel senso che la Suprema Corte statuisce sulle spese di lite anche dei gradi precedenti, compreso l’appello17, oppure che la cassazione della sentenza di primo grado comporta anche la caducazione della pronuncia sulle spese resa dal fiducie di appello18. Infatti in tal modo non si considera la posizione di colui che vuole solo contestare la condanna alle spese di lite disposta in modo assolutamente arbitrario ed in violazione dei c.d. parametri fissati dal d.m. 20 luglio 2012, n. 140.
Ma cosa succede se nel corso del procedimento di appello si verificano delle nullità del procedimento? Ad esempio una violazione del contraddittorio, perché l’ordinanza di inammissibilità viene resa senza sentire tutte le parti. Oppure l’ordinanza è del tutto sfornita di motivazione, manca anche la succinta motivazione. O ancora l’ordinanza di inammissibilità è resa in un giudizio nel quale è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero oppure in un giudizio che in primo grado si è svolto secondo le forme del rito sommario di cognizione o è resa dal solo istruttore e non dal collegio. O ancora l’ordinanza ha dichiarato inammissibile l’appello principale, mentre viene disposta la trattazione dell’appello incidentale.
In tutti questi casi l’ordinanza è viziata da nullità e non potrà in alcun modo negarsi l’autonoma impugnazione in cassazione19.
Ecco allora che l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348-ter deve ritenersi impugnabile in cassazione ex art. 111, 7° comma, cost. e art. 360, ult. comma, c.p.c., sia per quel che concerne il capo sulle spese sia in caso di nullità del procedimento o dell’ordinanza per violazione di legge.
Diverso aspetto è se la parte soccombente possa proporre un unico ricorso in cassazione per impugnare sia la sentenza di primo grado sia l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348- bis.
Ad avviso di Cass., sez. I, 2 maggio 2007, n. 10134, «nell'ordinamento processualcivilistico non è previsto, invero, che con un unico atto possano essere impugnati più sentenze o provvedimenti emessi in forma diversa, ma con effetti decisori su un conflitto di diritti soggettivi suscettibili di acquistare efficacia definita, tranne che nei casi nei quali le sentenze o le altre decisioni siano tutte pronunciate fra le medesime parti e nell'ambito di un unico procedimento, ancorché in diverse fasi o gradi come nei casi di sentenza non definitiva, oggetto di riserva di impugnazione, e di successiva sentenza definitiva; di sentenza revocanda e sentenza conclusiva del giudizio di revocazione, allorché le due impugnazioni siano rivolte contro capi identici o almeno connessi delle due pronunzie; di sentenze di grado diverso pronunciate nella medesima causa, che investano l'una il merito e l'altra una questione pregiudiziale. Di contro, è inammissibile sia il ricorso per cassazione proposto contestualmente e con un unico atto contro decisioni diverse, pronunciate dal giudice di merito all'esito di procedimenti formalmente e sostanzialmente distinti, ancorché intercorsi fra le stesse parti, e comportanti la soluzione di questioni in tutto o in parte coincidenti, sia l'applicabilità in sede di legittimità, ai fini di una eventuale riunione, del disposto dell'art. 274 c.p.c., che comporta invece valutazioni di merito ed esercizio di poteri discrezionali propri ed esclusivi del giudice del
16 V. nello stesso senso v. G. COSTANTINO, Le riforme dell’appello civile, cit., § 3.2; ID., Il nuovo giudizio di cassazione, cit., 9; C.
FERRI, Filtro in appello, cit., 12; G. IMPAGNATIELLO, Il «filtro» di ammissibilità dell’appello, cit., 298; T. GALLETTO, “Doppio filtro”
in appello, cit., § 3. Contra v. C. CONSOLO, Nuovi ed indesiderabili esercizi, cit., 1137 per il quale l’ordinanza «non statuisce su diritti di consistenza di diritto sostanziale».
17 C. CONSOLO, Nuovi ed indesiderabili esercizi, cit., 1137
18 I. PAGNI, Gli spazi per le impugnazioni dopo la riforma estiva, in Foro it., 2012, V, 303.
19 Così anche G. COSTANTINO, Le riforme dell’appello civile, cit., § 3.2, il quale afferma che l’ordinanza de qua «è, indubbiamente, un provvedimento decisorio, perché incide su diritti, primi fra tutti il diritto all’impugnazione della sentenza di primo grado, ed è definitivo, perché chiude il processo di appello e non è revocabile o modificabile».
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merito (cfr. Cass. 5472/1994, 6626/1995, 805/1997, 12562/1998, 69/2002, 13831/2002, 14823/2006)»20.
Alla luce di questa giurisprudenza un unico ricorso per cassazione appare ammissibile21. Infatti si tratta di pronunce, sia pure rese una in forma di sentenza e l’altra in forma di ordinanza, pronunciate fra le stesse parti e nella stessa controversia, una in primo grado e l’altra in appello, investendo una il merito della causa e l’altra una questione di ammissibilità. Peraltro, nel caso di specie, ragioni di economia processuale giustificano l’unico ricorso per cassazione.
In caso di ricorso per cassazione proposto avverso entrambi i provvedimenti, la Corte di Cassazione deve esaminare dapprima il ricorso avverso l’ordinanza e poi, in caso di rigetto, quello proposto avverso la sentenza.
Qualora la Corte dovesse accogliere il ricorso avverso l’ordinanza, la stessa Corte dovrà rimettere le parti dinanzi al giudice di appello perché venga celebrato il giudizio di appello, che dovrà seguire le forme di quel giudizio22.
Ma probabilmente avverso l’ordinanza di inammissibilità potrebbe proporsi un’altra impugnazione.
Se il giudice di secondo grado, nel dichiarare inammissibile l’appello ai sensi dell’art. 348-bis, ha ritenuto inesistente un fatto la cui verità è positivamente stabilita o l’esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, fatto che non ha costituito un punto controverso, è possibile la revocazione dell’ordinanza ex art. 395 c.p.c.?
E’ vero che il 1° comma dell’art. 395 discorre di «sentenza pronunciata in grado di appello o in unico grado», ma è anche vero che la Corte costituzionale ha ammesso la revocazione anche avverso le ordinanze di convalida di sfratto o licenza per finita locazione, per morosità emessi in assenza o per mancata opposizione dell’intimato, di morosità per dolo di una delle parti.
Inoltre il vizio revocatorio non potrebbe essere oggetto di ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado.
Alla luce di queste riflessioni per non lasciare la parte priva di tutela, dovrebbe ammettersi la revocazione avverso l’ordinanza di inammissibilità per errore di fatto23.
In questo caso potremmo avere sia la revocazione sia l’impugnazione per cassazione. Potrebbe applicarsi l’art. 398 c.p.c. e, dunque, concludere nel senso che i due giudizi vanno avanti ognuno per la sua strada, salva la possibilità che il giudice della revocazione sospenda il giudizio di cassazione.
6. L’accoglimento del ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado. – Strettamente collegata alle disposizioni ora esaminate e contenute nei commi 3° e 4° dell’art. 348-ter è la previsione inserita nell’art. 383, ultimo comma: «… la Corte, se accoglie il ricorso per motivi diversi da quelli indicati nell’articolo 382, rinvia la causa al giudice che avrebbe dovuto pronunciare sull’appello e si applicano le disposizioni» dettate per il giudizio di rinvio (ossia quelle del libro secondo, titolo terzo, capo terzo, sezione terza).
Anche in questo caso non si comprende la ragione per la quale, visto che il processo di appello non si è celebrato, in caso di accoglimento del ricorso e di annullamento della sentenza di primo grado, non si debba celebrare il giudizio secondo le regole proprie del giudizio di appello e si debbano invece seguire le regole del giudizio di rinvio.
20 Nello stesso senso v. Cass. 23-10-2008, n. 25627, in Giur. it., 2009, 906; 27-6-2006, n. 14823; 3-9-2004, n. 17835; 10-6-1998, n.
5744. In dottrina v. G. CALIFANO, Sull’impugnazione proposta contestualmente avverso distinte sentenze, in Foro it., 1999, I, 2985;
RONCO, Da Roscellino all’uso delle forbici: appunti sull’(in)ammissibilità dell’impugnazione «uno actu» di una pluralità di sentenze, in Giur. it., I, 1, 1994, 93.
21 Così v. anche G. COSTANTINO, Le riforme dell’appello civile, cit., § 3.2.
22 G. COSTANTINO, Le riforme dell’appello civile, cit., § 3.2.
23 Così anche G. SCARSELLI, Sul nuovo filtro, cit., 291.
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In ogni caso l’accoglimento del ricorso in cassazione avverso la sentenza di primo grado comporta, ai sensi dell’art. 336, 2° comma, c.p.c. la caducazione dell’ordinanza che ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello, compresa la pronuncia sulle spese24.
L’art. 348-ter fa riferimento al solo 382 c.p.c. Ne deriva che la Cassazione, accogliendo il ricorso, a seconda del motivo proposto,
(a) deve statuire sulla giurisdizione e rinviare al giudice ritenuto fornito di giurisdizione;
(b) deve stabilire che il giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato e ogni altro giudice difettano di giurisdizione e cassare senza rinvio;
(c) deve statuire sulla competenza e rinviare al giudice ritenuto competente;
(d) deve cassare senza rinvio se ritiene che la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito.
Non viene richiamato anche l’art. 384, 2° comma, c.p.c., ossia la possibilità che la Cassazione decida la causa nel merito, qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto.
Sta di fatto, tuttavia, che una siffatta possibilità non può essere esclusa e che vi sono ragioni di economia processuale che militano a favore di questa lettura. Ovviamente il presupposto è che non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto25.
7. La cd. doppia conforme. – Il 5° comma dell’art. 348-ter prevede che la disposizione contenuta nel 4° comma, che esclude la possibilità di ricorrere per cassazione adducendo il motivo di cui al n.
5 dell’art. 360, 1° comma, si applichi «anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado». In questo caso viene escluso ogni possibile controllo della Cassazione sulla motivazione.
Con questa norma il legislatore recupera una previsione che nel 2009 era stata proposta nel corso dei lavori parlamentari relativamente agli interventi sul processo civile, previsione che “passata”
alla Camera era stata poi “bloccata” al Senato. Evidentemente il nostro legislatore è rimasto affascinato da tale fattispecie, più nota come “doppia conforme”, sì da riproporla alla prima occasione, al fine di limitare ulteriormente il ricorso per cassazione in base al motivo di cui al n. 5 dell’art. 360.
La disposizione in esame prevede che allorché «la sentenza d’appello … conferma la decisione di primo grado» non si possa ricorrere in cassazione per il motivo di cui al n. 5 ma solo per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c.
Ma cosa significa «che conferma»? La previsione di legge ricorre solo quando la sentenza di appello conferma quella di primo grado non solo nel dispositivo ma anche nella motivazione in fatto, respingendo così i motivi dell’appello (secondo quanto oggi stabilito nell’art. 342, 1° comma), oppure anche quando la conferma riguarda solo il dispositivo, prospettando il giudice di secondo grado una differente motivazione di fatto rispetto a quella formulata in primo grado?
Nonostante la poca chiarezza del dato positivo, la previsione normativa dovrebbe ricorrere solo quando la «conferma» concerne sia il dispositivo sia la ricostruzione del fatto26; se invece il giudice di secondo grado ricostruisce il fatto in modo differente da quello formulato in primo grado, pur non mutando il dispositivo, la limitazione non può operare.
Ciò posto la novità introdotta dal legislatore lascia oltremodo perplessi27. Alla luce dell’attuale art. 111 cost. e, quindi, della garanzia costituzionale ivi contenuta, non sembra possibile escludere
24 T. GALLETTO, “Doppio filtro” in appello, cit., § 3.
25 Così G. COSTANTINO, Le riforme dell’appello civile, cit., § 3.2.
26 V. C. CONSOLO, Nuovi ed indesiderabili esercizi, cit., 1141; M. BOVE, Giudizio di fatto e sindacato della Corte di Cassazione:
riflessioni sul “nuovo” art. 360, n. 5, c.p.c., in Il giusto processo civ., 2012, 678.
27 V. a tale riguardo le critiche di G. VERDE, Diritto di difesa e nuova disciplina delle impugnazioni, in www. judicium.it, § 10; C.
CONSOLO, Nuovi e indesiderabili esercizi, cit., 1141; M.DE CRISTOFARO, Appello e cassazione alla prova dell’ennesima “riforma urgente”: quando i rimedi peggiorano il male (considerazioni di prima lettura del d.l. n. 83/2012), in www. judicum, § 1.1; T.
GALLETTO, “Doppio filtro” in appello, cit., § 5.
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ogni sindacato sulla motivazione della sentenza sol perché la ricostruzione del fatto in primo grado è stata confermata in grado di appello.
Ma a ben vedere la previsione che in caso di doppia conforme non è possibile ricorrere in Cassazione per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 nell’odierno contesto si presenta in evidente contraddizione con lo stesso n. 5 dell’art. 360, a meno di non volere affermare, in chiara violazione dell’art. 111 cost., che l’omessa motivazione in secondo grado non è suscettibile di essere oggetto di ricorso in cassazione se in primo grado vi è stata identica omissione28.
Infatti oggi, a seguito della riforma del 2012, il motivo di ricorso in cassazione di cui al n. 5 dell’art. 360 contempla solo l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Sicché delle due l’una: (a) o si afferma che la norma si riferisce alle ipotesi di motivazione comunque esistente nelle sentenze di primo e di secondo grado, ed allora il riferimento all’art. 360 n. 5 è del tutto improprio ma si riconosce che il ricorso per cassazione per motivazione non omessa, ma illogica o contraddittoria è ammissibile, ad eccezione delle ipotesi in cui la ricostruzione del fatto è identica nelle due decisioni; (b) oppure si afferma che la norma riguarda le ipotesi di motivazione omessa nelle sentenze di primo e di secondo grado, con identico risultato, ed allora la previsione è incostituzionale in violazione dell’art. 11 cost.
A ben vedere la spiegazione della c.d. doppia conforme si rinviene nella precedente versione del n. 5 dell’art. 360, allorquando il vizio poteva essere dato anche dalla motivazione contraddittoria o insufficiente e si volevano impedire ricorsi in cassazione avverso sentenze contrassegnate da motivazione ritenuta illogica o contraddittoria o anche insufficiente.
8. La modifica del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. – L’ultimo aspetto da esaminare, ma forse quello più rilevante, concerne il n. 5 del 1° comma dell’art. 360, una previsione che, introdotta con il codice del 1940, è stata modificata più volte dal legislatore. Tale norma si applica alle sentenze pubblicate a partire dall’11 settembre 2012.
Può essere utile ricordare brevemente l’origine di questa disposizione.
Nel codice di rito del 1865 l’art. 517 tra i motivi di ricorso per cassazione non contemplava espressamente il vizio di motivazione29. Prevedeva al n. 2 la nullità della sentenza a norma dell’art.
361, il quale a sua volta prevedeva la nullità della sentenza nel caso di omissione del requisito dei motivi in fatto e in diritto (n. 6 dell’art. 360)30.
Pur tuttavia, la Suprema Corte, dalla nullità della sentenza per mancanza della motivazione, pur ribadendo la incensurabilità in cassazione dell’«apprezzamento del giudice del merito che incide su circostanze di fatto», aveva finito per ammettere i ricorsi per cassazione nei quali venivano dedotti vizi di insufficienza della motivazione31.
Durante i lavori preparatori del codice di rito del 1940, come si legge nella Relazione al Re, «si era manifestata un’autorevole tendenza a eliminare del tutto dal giudizio di cassazione quel motivo
28 V. le analoghe considerazioni di A. CARRATTA, Il giudizio di cassazione, cit., 245.
29 Stabiliva l’art. 517, 1° comma, c.p.c. che «la sentenza pronunziata in grado d’appello può essere impugnata col ricorso per cassazione: 1° se le forme prescritte sotto pena di nullità sieno state ommesse o violate nel corso del giudizio, sempre che la nullità non sia stata sanata espressamente o tacitamente; 2° se sia nulla a norma dell’articolo 361; 3° se contenga violazione o falsa applicazione della legge; 4° se abbia pronunziato su cosa non domandata; 5° se abbia aggiudicato più di quello ch’era domandato; 6°
se abbia ommesso di pronunziare sopra alcuno dei capi della domanda stati dedotti per conclusione speciale, salvo la disposizione dell’articolo 370, capoverso ultimo; 7° se contenga disposizioni contraddittorie; 8° se sia contraria ad altra sentenza precedente pronunziata tra le stesse parti, sul medesimo oggetto, e passata in giudicato, sempre che abbia pronunziato sull’eccezione di cosa giudicata»
30 Art. 361: «La senza è nulla …2° se siasi ommesso alcuno dei requisiti indicati nei numeri … 6 … dell’articolo 360 ..»; art. 360:
«La sentenza deve contenere … 6° i motivi in fatto e in diritto».
31 Come è noto tale indirizzo giurisprudenziale mentre venne criticato da P. CALAMANDREI, La cassazione civile, II, Milano - Torino – Roma, 1920, 371 il quale evidenziò che «l’abuso dei ricorsi e dei conseguenti annullamenti per vizio di motivazione allontana in misura sempre più impressionante la Cassazione dal suo scopo istituzionale», fu approvato da altri autorevoli studiosi (G.
CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile, Napoli, 1912, 1032; F. CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, Padova, 1938, II, 652 s.).
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di difetto di motivazione …», ma poi «si è preferito conservarlo ristretto e precisato nella nuova formula, che lo ammette non nella quasi illimitata ampiezza alla quale la pratica era arrivata nell’adattamento delle norme del codice del 1865, ma nei limiti precisi di un omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio del quale le parti avevano discusso»32.
E così nel codice del 1940 si previde al n. 5 il motivo «per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
A seguito dell’entrata in vigore della nostra Carta costituzionale (che all’art. 111 veniva a sancire la centralità della motivazione nei provvedimenti giudiziali), la novella del 1950 (legge 14 luglio 1950, n. 581, art. 422) modificò il n. 5 nei seguenti termini: «per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio». In questo modo si chiariva in modo indubbio il potere della cassazione di sindacare la motivazione del provvedimento impugnato non solo sotto il profilo della omissione, ma anche della congruità, della logicità e della non contraddittorietà.
Nel 2006, nel dichiarato tentativo di limitare per quanto possibile il ricorso alla cassazione, il legislatore con il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 modificò il n. 5 nel testo che fino ad ora conoscevamo:
«per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio».
Una modifica che a detta di gran parte degli studiosi non ha tuttavia inciso sulla sostanza, dal momento che la sostituzione del sostantivo «punto» con «fatto» non ha comportato particolari novità: il vizio logico censurabile in cassazione, infatti, concerne sempre una questione di fatto33
Con l’odierna riforma, si torna indietro nel tempo, perché l’attuale testo riprende, pressoché fedelmente, quello originario: «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
Una modifica che il legislatore del 2012 giustifica sulla base dell’esigenza di «evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, supportando la generale funzione nomofilattica propria della Suprema corte di cassazione quale giudice dello ius costitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris».
Tale giustificazione non convince, soprattutto se si considera che sia prima del codice del 1940 sia successivamente la Corte di Cassazione nell’opera di controllo della motivazione si è sempre limitata a verificare la correttezza del ragionamento del giudice di merito, la coerenza logico- formale delle sue argomentazioni, senza entrare nel merito della ricostruzione dei fatti operata da quel giudice, senza sostituire il proprio apprezzamento a quello del giudice di merito. Controllo della motivazione dei provvedimenti giudiziali che, peraltro, non sembra essere un aspetto marginale, ma integra, come ben è stato rilevato, «una componente di importanza fondamentale»
dell’esercizio della giurisdizione34. «Il controllo di logicità della motivazione … appartiene al cuore delle funzioni di controllo di legittimità affidate ad una Corte Suprema»35. Coloro che, se mai, ne abusano sono gli avvocati, i quali, nel tentativo di vedere riformata la sentenza di appello, chiedono alla Cassazione un nuovo giudizio sul fatto.
Ma quali conseguenze comporta la modifica ora ricordata? E’ effettivamente possibile dire che non sarà possibile ricorrere in cassazione deducendo quale motivo una motivazione contraddittoria, illogica o anche solo insufficiente? Con la conseguenza che l’unico motivo è quello dell’omesso
32 V. a tale proposito G. IMPAGNATIELLO, Pessime nuove in tema di appello e ricorso in cassazione, in Il giusto proc. civ., 2012.
33 V. per tutti C. CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2006, 200; M. TARUFFO, Una riforma della Cassazione civile?, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2007, 780; M. BOVE, Lineamenti di diritto processuale civile2, Torino, 2006, 334; R.
POLI, Il giudizio di cassazione dopo la riforma, in Riv. dir. proc., 2007, 12.
34 Così M. FORNACIARI, Ancora una riforma dell’art. 3601 n. 5 cpc, cit., 2.
35 R. CAPONI, La modifica dell’art. 360, 1° comma, n. 5 c.p.c., in www. judicium.it, § 3.