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Discrimen » Le cause dell’errore giudiziario: condizionamenti di potere e pressioni mediatiche

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Academic year: 2022

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L

E CAUSE DELL

ERRORE GIUDIZIARIO

:

CONDIZIONAMENTI DI POTERE E PRESSIONI MEDIATICHE

Enrico Mario Ambrosetti

Il giorno 13 febbraio 1898 veniva pubblicato sul giornale socialista “L'Aurore”

l'editoriale dal titolo “J'Accuse” del giornalista e scrittore francese Émile Zola in for- ma di lettera aperta al Presidente della Repubblica francese Félix Faure con lo scopo di denunciare pubblicamente il caso Dreyfus.

La vicenda è talmente nota che non vale la pena di riassumerla neppure nei suoi termini essenziali. È invece opportuno leggere le battute iniziali e poi quelle conclusive dell’appello di Zola.

“Signor Presidente, permettetemi, grato, per la benevola accoglienza che un giorno mi avete fatto, di preoccuparmi per la Vostra giusta gloria e dirvi che la Vostra stella, se felice fino ad ora, è minacciata dalla più offensiva ed inqualificabile delle macchie. Avete conquistato i cuori, Voi siete uscito sano e salvo da grosse calunnie. Apparite raggiante nell'apoteosi di questa festa patriottica che l'alleanza russa ha rappresentato per la Francia e Vi preparate a presiedere al trionfo solenne della nostra esposizione universale, che coronerà il no- stro grande secolo di lavoro, di libertà e di verità.

Ma quale macchia di fango sul Vostro nome, stavo per dire sul Vostro regno – soltan- to quell'abominevole affare Dreyfus! Per ordine di un Consiglio di Guerra è stato scagionato Esterhazy, ignorando la verità e qualsiasi giustizia. È finita, la Francia ha sulla guancia questa macchia, la storia scriverà che sotto la Vostra Presidenza è stato possibile commettere questo crimine sociale. E poiché è stato osato, oserò anche io”.

È il testo dell’intervento alla tavola rotonda “Errore giudiziario e ingiusta detenzione”, tenuto in oc- casione dell’Inaugurazione dell’anno giudiziario del penalista, svoltasi a Padova il 15 febbraio 2019.

19.2.2019

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Enrico Mario Ambrosetti

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Se questo è l’esordio cosi incisivo dell’editoriale di Zola altrettanto forti sono le conclusioni.

“Ma questa lettera è lunga signor presidente, ed è tempo di concludere.

Accuso il Luogotenente Colonnello du Paty de Clam di essere stato l'operaio diabolico dell'errore giudiziario, in incoscienza, io lo voglio credere, e di aver in se- guito difeso la sua opera nociva, da tre anni, con le macchinazioni più irragionevoli e più colpevoli (omissis).

Formulando queste accuse, non ignoro che mi metto sotto il tiro degli articoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 29 luglio 1881, che punisce le offese di diffama- zione. Ed è volontariamente che mi espongo. Quanto alla gente che accuso, non li conosco, non li ho mai visti, non ho contro di loro né rancore né odio. Sono per me solo entità, spiriti di malcostume sociale. E l'atto che io compio non è che un mezzo rivoluzionario per accelerare l'esplosione della verità e della giustizia. Ho soltanto una passione, quella della luce, in nome dell'umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità. La mia protesta infiammata non è che il grido della mia anima. Che si osi dunque portarmi in assise e che l'indagine abbia luogo al più presto. Io aspetto.

Vogliate gradire, signor Presidente, l'assicurazione del mio profondo rispetto”.

A distanza di più di un secolo questa resta la più celebre e drammatica storia di un errore giudiziario. Ed è non solo per questo che ho voluto prendere le mosse da questa vicenda per parlare brevemente del tema della nostra tavola rotonda.

Proprio l’Affaire Dreyfus è paradigmatico di come sia improprio qualificare mol- ti casi come errori giudiziari. In questa nota e controversa vicenda l’ingiusta condanna del capitano Dreyfus nasce non tanto da una errata decisione dell’Autorità Giudiziaria, quanto dalla volontà del potere politico di “trovare un colpevole” per le condotte di tradimento riferibili un altro ufficiale dello stato maggiore francese (Esterhazy).

In altre parole, molto spesso quelli che sono stati definiti errori giudiziari sono stati, in realtà, casi in cui il potere politico ha usato la sua forza attraverso gli organi giudiziari per colpire chi appariva un nemico. E a conferma di quanto vado ora af- fermando va ricordato che Zola fu subito inquisito e successivamente condannato – sia in primo che in secondo grado – a un anno di carcere e tremila franchi di am- menda per vilipendio delle forze armate. Solamente nel dicembre del 1900, Zola ot- tenne l'amnistia per i fatti relativi all’“affaire". Ed è ancora più significativo che il de- finitivo proscioglimento del capitano Dreyfus giunse alcuni anni dopo la morte del grande scrittore francese e cioè solamente il 12 luglio 1906 quando la Cour de Cassa- tion revocò la sentenza di condanna.

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Le cause dell’errore giudiziario: condizionamenti di potere e pressioni mediatiche

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Questo è un punto di partenza necessario per affrontare il tema oggetto del mio intervento. Peraltro – va subito soggiunto –, in un ordinamento democratico qual è quello italiano possiamo ritenere che questa genesi dei c.d. errori giudiziari sia ormai venuta meno o abbia caratteristiche di eccezionalità.

Il vero problema oggi è che il fattore genetico dell’errore giudiziario si è velo- cemente trasformato dal condizionamento di un potere politico (che vuole attribuire la responsabilità ad un innocente che ha l’unica colpa di non essere allineato all’ideologia dominante) alla pressante esigenza mediatica di ricerca di un colpevole ad ogni costo.

Non è questo un fenomeno tipico solamente della nostra età contemporanea in cui il mondo mediatico ha assunto un ruolo fondamentale nel veicolare le notizie e le idee. Rivolgendoci a quelli che oggi definiamo i “secoli bui” è sufficiente richiama- re uno dei temi più controversi nella storia degli ebrei d’Europa, da sempre cavallo di battaglia dell’antisemitismo: l’accusa, rivolta per secoli agli ebrei, di rapire e uccidere bambini cristiani per utilizzarne il sangue nei riti della Pasqua. Sul tema alcuni anni fa venne pubblicato un libro dal titolo “Pasque di sangue”, il cui autore è Ariel Toaff.

Al di là delle polemiche che suscitò nelle comunità ebraiche questo saggio storico, quello che mi preme segnalarvi è che in molte vicende che videro coinvolti ebrei ac- cusati di omicidi rituali – le c.d. “Pasque di sangue” – il fattore scatenante è sempre la pressione della popolazione che aveva immediatamente individuato in un soggetto

“diverso” l’autore del crimine. I processi all’epoca celebrati oggi ci appaiono casi ma- croscopici di errori giudiziari. Certo è che anche allora il destino di quei processi era da subito segnato dalla pressione mediatica. Al tempo era una folla urlante che cir- condava il palazzo di giustizia, oggi è uno dei tanti strumenti di comunicazione che costantemente pervadono la nostra vita.

Il tema non è sicuramente nuovo. Già da tempo la dottrina penalistica ha se- gnalato le ricadute negative che derivano dal c.d. processo mediatico. Come ha re- centemente sottolineato Vittorio Manes in un contributo apparso in “Diritto penale contemporaneo”, a causa del processo mediatico si pone un conflitto, difficilmente superabile, tra diritti contrapposti: il diritto di cronaca giudiziaria, da un lato e, dall’altro, i diversi diritti che fanno capo a chi lo subisce (vita privata, riservatezza, presunzione di innocenza), oltre a più generali istanza di imparzialità del giudizio. È solamente a quest’ultimo profilo che intendo rivolgere l’attenzione. Ad un osservato- re attento ed equilibrato non può essere sfuggito che la pressione mediatica oggi può assurgere a fattore determinante di errori giudiziari. Quando si celebra un processo,

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che – secondo i mass-media – ha già un colpevole, vi è un sicuro effetto condizio- nante anche per il giudice più immune da ogni influenza esterna alla sua sfera di giudizio. E per converso oggi assistiamo a un nuovo preoccupante fenomeno: impu- tati condannati con sentenze definitive, che vengono successivamente “assolti” a fu- ror di popolo nelle trasmissioni televisive che propongono una nuova forma di pro- cesso fatto di interviste a presunti testimoni mai uditi o di documenti dal valore dubbio. In questo caso si giunge al paradossale risultato che processi svolti nel pieno rispetto delle regole processuali vengono additati come esempi di errore giudiziario, aprendo la strada a istanze di revisione assolutamente infondate.

In ultima analisi, secondo le regole di questo nuovo processo sono i mass-media a preventivamente individuare i responsabili del crimine. All’Autorità Giudiziaria spetta solo il compito di mettere – nel più breve tempo possibile – un timbro legale a quello che è già stato deciso nei talk-show televisivi o su facebook e/o altri social.

A ciò si aggiunga – ed è questo un ulteriore gravissimo fenomeno – che ove l’Autorità Giudiziaria abbia l’ardire di pronunciare una sentenza in contrasto con quello che è già stato il verdetto dei mass-media, immediatamente parte una campa- gna – ancora una volta mediatica – volta a delineare il giudice come un nemico della verità e della volontà popolare.

E allora vogliamo illuderci che in questa situazione non aumenteranno i casi di errore giudiziario? Siamo di fronte ad un vero e proprio cortocircuito. Mi resta sem- pre nel cuore un caso particolarmente doloroso: la storia di quel padre che venne in- giustamente accusato di violenza carnale nei confronti della sua piccola bambina, in realtà affetta da un gravissimo tumore agli organi genitali. A prescindere dalle “col- pe” dei medici legali e dei magistrati che si erano occupati della prima fase delle in- dagini, non è possibile ricordare senza un senso di sgomento le prime pagine dei giornali che commentavano le turpi condotte del padre snaturato.

Errore che causa risalto mediatico si aggiunge a pressione mediatica che de- termina errore.

Dobbiamo prendere atto di tutto ciò per evitare che, venuti meno errori giudi- ziari frutto di condizionamento del potere politico, si apra una nuova triste pagina di errori giudiziari frutto di inaccettabili pressioni mediatiche.

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