• Non ci sono risultati.

Discrimen » L’esercizio di un’attività non autorizzata. Profili penali

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Discrimen » L’esercizio di un’attività non autorizzata. Profili penali"

Copied!
286
0
0

Testo completo

(1)
(2)

Collana diretta da

Giovanni Fiandaca - Enzo Musco - Tullio Padovani - Francesco Palazzo

18

(3)

sue prevedibili prospettive di sviluppo? Ipertrofia e diritto penale minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza utilitaristica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico-criminale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, personalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alternative che l’attuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela- tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale” che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei principi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interro- garsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere saggi e studi che, nella consa-

pevolezza di fondo di questa necessaria ricerca di nuove identità

del diritto penale, si propongano percorsi realistici di analisi,

aperti anche ad approcci interdisciplinari.

(4)

L’ESERCIZIO DI UN’ATTIVITÀ NON AUTORIZATA

PROFILI PENALI

G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO

(5)

http://www.giappichelli.it

ISBN 88-348-3342-2

Composizione: Compograf – Torino Stampa: Stampatre s.r.l. – Torino

Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/

fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4 della legge 22 aprile 1941, n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000.

Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02-80.95.06, e-mail: aidro@iol.it

(6)
(7)

1 2

11

21

28 32

35

36 43

50

59 CAPITOLOI

LE FATTISPECIE POLARIZZATE SULL’INOSSERVANZA DEL MOMENTO AUTORIZZATIVO E LE PROBLEMATICHE

CHE VI SI RICOLLEGANO

1. Introduzione

2. Indicazioni di metodo

3. I profili di costituzionalità realmente posti dalle fattispecie incen- trate sull’inosservanza del momento autorizzativo, quando la loro ratio essendi sia quella di colpire le c.d. condotte seriali

3.1. Il rapporto fra reati di pericolo astratto e reati colposi entro i suoi orizzonti dogmatici e i suoi riscontri nella prassi: il «ca- so» dell’art. 348 c.p.

4. La necessaria depenalizzazione di questa tipologia di illeciti nel caso in cui essi si rivolgano esclusivamente alla prevenzione di condotte seriali

5. Brevi cenni sull’ordine della trattazione

CAPITOLOII

L’AUTORIZZAZIONE COME ELEMENTO NEGATIVO DEL FATTO O COME CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE: REALE

RILEVANZA DI QUESTA DISTINZIONE

1. Premessa

2. La distinzione fra autorizzazioni operanti come elemento negati- vo del fatto e autorizzazioni fungenti come cause di giustificazio- ne alla luce delle indicazioni desumibili dall’ordinamento positivo tedesco

3. Lo scarso significato della distinzione in base alle nostre regole codicistiche vigenti

4. La rivalutazione della distinzione sulla scorta delle indicazioni de- sumibili dalla Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 5 febbraio 1986. Critica

5. Il reale elemento di diversificazione tra le differenti fattispecie in- criminatici di una condotta abusiva: il carattere vincolato ovvero discrezionale dell’autorizzazione amministrativa richiamata

pag.

(8)

62

67

69 75

89 91

97

107 110 CAPITOLOIII

LE FATTISPECIE CHE RINVIANO AD AUTORIZZAZIONI VINCOLATE

Sezione I

IL RAPPORTO T0RA QUESTE FATTISPECIE E LE NORME PENALI IN BIANCO

1. La riconduzione delle fattispecie polarizzate sull’inosservanza di un’autorizzazione vincolata nel genus delle norme penali in bianco.

Delineazione dei precisi confini di quest’ultima categoria di norme 2. La concessione edilizia come autorizzazione vincolata (già prima

della sua trasformazione in permesso di costruire ex art. 10 T.U.

Edilizia)

3. L’ipotesi di cui all’art. 20, primo comma, lett. b), legge n. 47/1985 (oggi art. 42, primo comma, lett. b), T.U. Edilizia) come norma pe- nale in bianco. Il ruolo della sanatoria «a regime», contemplato dall’art. 13, legge n. 47/1985, nella ridefinizione dell’oggetto di tu- tela della norma

4. Segue: ancòra sulla natura della sanatoria prevista dall’art. 13, leg- ge n. 47/1985, e sul requisito della doppia conformità

5. Il reato di cui all’art. 20, primo comma, lett. b), legge n. 47/1985 come reato di pericolo astratto. L’ipotesi contemplata dall’art. 13, legge n. 47/1985 come mezzo per provarne l’inesistenza in concre- to (ed ex ante)

6. La ricostruzione dell’art. 348 c.p. in termini di norma parzialmen- te in bianco

7. Effetti delle modificazioni della disciplina che stabilisce le condizio- ni per il rilascio dell’autorizzazione rispetto alle condotte carenti dell’autorizzazione realizzate in precedenza. Le differenti conse- guenze derivanti dall’interpretazione della clausola «abusivamente»

in guisa di elemento normativo, ovvero di rinvio ad una normativa extrapenale integrativa del precetto, secondo lo schema della norma penale in bianco. Le diverse esigenze politico-criminali in conflitto

Sezione II

LA CONDOTTA CARENTE DI AUTORIZZAZIONE, MA CONFORME AI REQUISITI PER IL SUO RILASCIO

8. La rilevanza dell’«autorizzabilità» (Genehmigungsfähigkeit) delle condotte carenti di autorizzazione, ma conformi ai requisiti richiesti per il suo rilascio, nel quadro delle fattispecie incentrate sulla realiz- zazione di una condotta in mancanza dell’autorizzazione vincolata richiesta: lo stato delle opinioni nel dibattito della letteratura tedesca 9. La distinzione fra i differenti scopi delle autorizzazioni richiamate

pag.

(9)

111

112 115 117

121

122 127

131

134 136

140

144

147

150 10. I reati di pericolo astratto come ipotesi riconducibili al paradigma

del tentativo colposo nell’esperienza tedesca

11. Segue: le chiavi di lettura unilaterali della disciplina dettata dal § 23 StGB sul tentativo inidoneo offerto dalla nostra letteratura e l’esigenza di comprenderne l’autentica ratio

12. I rapporti fra l’autentico significato della punibilità del tentativo inidoneo e i reati di pericolo astratto nel sistema tedesco

13. La non trasponibilità delle conclusioni ivi raggiunte nell’ordina- mento italiano

CAPITOLOIV

IL RINVIO AD AUTORIZZAZIONI DISCREZIONALI

1. Caratteristiche generali delle fattispecie incriminatrici delle con- dotte tenute in assenza di un’autorizzazione discrezionale 2. La ragion d’essere dell’obbligo di richiedere l’autorizzazione in

queste fattispecie: la valutazione (tecnica) preventiva da parte dell’autorità di controllo. Tipologia di casi riportabili nel quadro di queste figure di reato

3. La loro collocazione nell’area della c.d. ‘libertà condizionata’, do- minata dal dirigismo statuale. Critica a questa interpretazione 4. La struttura delle fattispecie in oggetto e i Pflichtdelikte: breve

excursus sulla categoria dei Pflichtdelikte nella letteratura tede- sca

5. L’irriducibilità a Pflichtdelikte delle ipotesi incentrate sull’inosser- vanza dell’obbligo di procurarsi una preventiva autorizzazione di carattere discrezionale

6. La netta distinzione tradizionale fra azione ed omissione e l’esi- genza di un suo ripensamento critico

7. L’inquadramento dogmatico delle fattispecie polarizzate sul man- cato assolvimento dell’obbligo di procurarsi un’autorizzazione di- screzionale: cenni alla figura dell’Unterlassung durch Begehung nel l’esperienza d’oltralpe

8. Segue: la possibilità di riportare le fattispecie in parola a un mo- dello di omissione mediante commissione diversamente pensato e la sua funzione

9. Il problema della Genehmigungsfähigkeit rispetto alle figure ruo- tanti attorno all’inadempimento dell’obbligo di procurarsi un’au- torizzazione discrezionale

10. I vincoli creantisi a carico della P.A. per effetto di un proprio com- portamento, rectius di una prassi, precedente anche in presenza di un’autorizzazione a carattere discrezionale: casi e riscontri nella nostra esperienza

pag.

(10)

156

159 162

165

167 171

175 179 184 CAPITOLOV

L’IMPUTAZIONE SOGGETTIVA DELLE FATTISPECIE FONDATE SULL’INOSSERVANZA DEL MOMENTO AUTORIZZATIVO. IL PROBLEMA DELLE AUTORIZZAZIONI INDEBITAMENTE OTTENUTE E (DEL)LA LORO RILEVANZA

Sezione I

L’ELEMENTO SOGGETTIVO NECESSARIO AL PERFEZIONARSI DELLE FATTISPECIE FONDATE SULL’INOSSERVANZA

DEL MOMENTO AUTORIZZATIVO

1. L’elemento soggettivo richiesto per il perfezionarsi dei reati in- centrati sulla mancanza della prescritta autorizzazione: struttura della fattispecie e spazi di operatività della Schuldtheorie. Un caso paradigmatico: l’art. 348 c.p. in relazione alle professioni sanitarie 2. La scelta del modello delittuoso ovvero contravvenzionale, ai fini dell’imputazione soggettiva dei reati in parola, sulla base dei crite- ri enunciati – ad altri fini – dalla Circolare 5 febbraio 1986 3. Segue: alcune precisazioni

Sezione II

L’INCIDENZA DELLE AUTORIZZAZIONI INDEBITAMENTE OTTENUTE. IL PARALLELO CON LE SOLUZIONI ADOTTATE IN ALTRI ORDINAMENTI

4. Il problema (della rilevanza penale) delle autorizzazioni indebita- mente ottenute: l’istituto della disapplicazione e il suo contrasto con princìpi fondanti del nostro diritto penale

5. Uno sguardo verso le soluzioni elaborate in altre esperienze con riferimento all’autorizzazione illegittimamente ottenuta. La situa- zione in Germania: la teoria della Verwaltungsaktakzessorietät ed i suoi limiti

6. La tesi della Verwaltungsrechtsakzessorietät e talune perplessità che vi si ricollegano

7. La soluzione offerta dal diritto positivo, limitatamente alle incri- minazioni codicistiche a tutela dell’ambiente, a mezzo del § 330d, Nr. 5, StGB. I nodi rimasti irrisolti

8. Le possibilità di risolvere i casi contemplati nel § 330d, Nr. 5, StGB facendo ricorso a norme e princìpi del nostro ordinamento 9. Segue: le applicazioni nella prassi e la replica ad alcune critiche

infondate

pag.

(11)

191 192 196 199 202

206

208

211 215 219 226

232

234

238 240 243 247 CAPITOLOVI

PROSPETTIVE DI RIFORMA

1. Il futuro delle incriminazioni polarizzate sull’inosservanza del momento autorizzativo e gli auspici verso una riduzione dell’area del penalmente rilevante: cenni generali

2. La concezione del diritto penale minimo di L. Ferrajoli e le sue implicazioni sul tema (oggetto) di questo lavoro

2 bis. L’impostazione di A. Baratta e i suoi riflessi in questa sede 3. Il bene giuridico nella sua accezione «personalistica», quale li-

mite all’intervento del diritto penale nel pensiero di W. Hassemer 4. Critica

5. L’idea che il bene giuridico tutelato goda sempre di un consenso sociale consolidato e la sua smentita sul terreno degli interessi diffusi

6. I problemi legati alla tutela penale degli interessi diffusi: la con- figurazione dei reati che ne segnano l’offesa in termini contrav- venzionali

7. L’oggetto e le tecniche di tutela delle fattispecie contravvenzio- nali incentrate sull’assenza dell’autorizzazione fra tutela di fun- zioni e ricorso allo schema del pericolo astratto

8. Il modello ‘fattuale’ delle contravvenzioni

9. La loro ineffettività e l’utilizzazione di strumenti atti a degradar- le ad illeciti amministrativi

10. Verso la prospettazione di un modello scalare tra illecito ammi- nistrativo e illecito penale. Linee essenziali

11. Collocazione, nella prospettiva indicata, delle fattispecie imper- niate sul momento autorizzativo fra codice penale e legislazione penale complementare

12. La proteiforme compagine delle fattispecie imperniate sull’inos- servanza del momento autorizzativo nella legislazione comple- mentare vigente: le discrasie sotto il profilo del trattamento san- zionatorio riservato alle condotte tenute in mancanza dell’auto- rizzazione ed a quelle realizzate in difformità dalle condizioni stabilite nel provvedimento autorizzativo

13. La ricerca di possibili supporti argomentativi atti a giustificare tale rimarcata diversificazione di trattamento: l’impossibilità di rinvenirne

14. Segue: alcune indicazioni per superare una diversità di tratta- mento irragionevole

15. Prospettive de lege ferenda per una riforma dell’arsenale sanzio- natorio disponibile per queste fattispecie

16. Le sollecitazioni provenienti dai lavori della c.d. Commissione Nordio: rilievi critici

pag.

(12)

255 259 263

267 CONCLUSIONI

1. Le fattispecie imperniate sull’inosservanza del momento autoriz- zativo verso l’abbandono dell’area contravvenzionale e la trasmi- grazione nella sfera dei delitti. La tipologia delle sanzioni

2. La scelta delle sanzioni e i suoi riflessi sul rapporto fra queste fat- tispecie e il principio di offensività nella sua versione «forte»

3. Le sanzioni per le condotte abusive non inquadrabili nel contesto di un’attività di impresa

BIBLIOGRAFIA

pag.

(13)

LE FATTISPECIE POLARIZZATE SULL’INOSSERVANZA DEL MOMENTO AUTORIZZATIVO

E LE PROBLEMATICHE CHE VI SI RICOLLEGANO

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Indicazioni di metodo. – 3. I profili di costi- tuzionalità realmente posti dalle fattispecie incentrate sull’inosservanza del momento autorizzativo, quando la loro ratio essendi sia quella di colpire le c.d. condotte seriali. – 3.1. Il rapporto fra reati di pericolo astratto e reati colposi entro i suoi orizzonti dogmatici e i suoi riscontri nella prassi: il «ca- so» dell’art. 348 c.p. – 4. La necessaria depenalizzazione di questa tipologia di illeciti nel caso in cui essi si rivolgano esclusivamente alla prevenzione di condotte seriali. – 5. Brevi cenni sull’ordine della trattazione.

1. Introduzione

Le fattispecie incriminatrici di condotte poste in essere in assenza della prescritta autorizzazione amministrativa, ovvero in contrasto con le prescrizioni contenute nel relativo atto, segnano il crocevia di molteplici questioni di teoria generale del reato. Il ricorso al loro im- piego, infatti, non può non involgere tematiche di più ampio respiro. Il rapporto di accessorietà del diritto penale rispetto alla normativa ex- trapenale – in questo caso, il diritto amministrativo – di riferimento; la possibilità di intendere questo rinvìo alla disciplina amministrativisti- ca, contenuto nel precetto penale, in termini di elemento normativo della fattispecie ovvero di norma penale (totalmente o parzialmente) in bianco; i riflessi che questa scelta comporta in ordine all’individua- zione di un nucleo propriamente penalistico (del precetto) delle fatti- specie in oggetto; le conseguenze che da questa medesima opzione si irradiano sulla successione della normativa amministrativa richiama- ta e sui suoi risvolti sul terreno penalistico; la identificazione del bene giuridico protetto da queste ipotesi e la loro correlativa ricostruzione sub specie di reati di pericolo ovvero di danno, sono soltanto alcuni, prescindendo dai problemi di imputazione soggettiva cui esse danno luogo, dei nodi cruciali, attorno ai quali gravita la discussione evocata da queste figure.

(14)

1Cfr. DONINI, Il delitto contravvenzionale. ‘Culpa iuris’ e oggetto del dolo nei reati a condotta neutra, Milano, 1993, 245.

2Il quadro globale che ne risulta risente in parte degli effetti della depenalizza- zione operata per il tramite del D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507. In àmbito codici- stico, questa ha toccato le ipotesi previste dagli artt. 663 e 705 c.p. Per la legislazio- ne complementare, l’intervento normativo de quo ha investito la fattispecie con- templata dall’art. 221, R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 (Testo Unico delle leggi sanita- rie).

3Per una prima elencazione delle fattispecie costruite secondo questo modello, cfr. BAJNO, La tutela penale del governo del territorio, Padova, 1980, 35 ss. Un più ag- giornato e completo quadro delle incriminazioni che ne ricalcano lo schema può rinvenirsi in DONINI, Il delitto contravvenzionale, cit., 239 e 245 s.

D’altra parte, il bisogno di interrogarsi su questi e sugli altri punti, emergenti dalla trattazione delle ipotesi in esame, nasce dalla consta- tazione dell’incremento che queste fattispecie, modellate sull’archetipo della figura delittuosa contemplata dall’art. 348 c.p.1e delle rimanenti figure contravvenzionali incentrate sull’esercizio abusivo di un’atti- vità2, conoscono nella legislazione complementare vigente3.

L’approfondimento della struttura di queste incriminazioni consen- tirà certo di disvelarne caratteristiche atte a ripercuotersi su temi cen- trali della teoria del reato, quale la stessa distinzione tra azione ed omissione in sede di determinazione della loro condotta tipica. Ma non potrà trascurare i profili di eventuale illegittimità costituzionale, che – come si vedrà – sembrano inficiare talune species del genus co- stituito dalle fattispecie imperniate sul mancato rispetto del momento autorizzativo. Ciò che imporrà, necessariamente, di vagliare la percor- ribilità di tecniche di tutela degli interessi, ad esse sottesi, diverse dal diritto penale. Più in generale, si può dire in sostanza che il còmpito della presente ricerca non potrà esaurirsi in una mera ricognizione dell’esistente, integrata dai percorsi ermeneutici (che si reputano) di volta in volta più idonei a salvaguardarne la compatibilità con i princì- pi costituzionali. Ci si dovrà, piuttosto, interrogare, nelle ipotesi – tut- taltro che infrequenti, come si potrà verificare – nelle quali questo ri- sultato non abbia pienamente a realizzarsi, su quale strutturazione debbano presentare le figure in esame per potersi legittimamente mantenere nell’area del penalmente rilevante.

2. Indicazioni di metodo

Sotto il profilo metodologico, giova sin s’ora indicare quale via non si percorrerà in sede di disamina della problematica, anche di rilievo costituzionale, sollevata da queste fattispecie.

(15)

4Cfr. BRICOLA, voce Teoria generale del reato, in Noviss. Dig. It., Vol. XIX, Tori- no, 1973, 7-93, ora riprodotta in BRICOLA, Scritti di diritto penale, a cura di S. CANE-

STRARIe AL. MELCHIONDA, Milano 1997, 541 ss., in particolare 564 ss. e 772 ss. Le ci- tazioni di questa voce verranno sempre tratte, nel corso del presente lavoro, da que- sta raccolta degli scritti.

5Cfr. BRICOLA, Teoria generale del reato, cit., 568.

6Sostanzialmente conforme M. ROMANO, Commentario sistematico del codice pe- nale. I. Art. 1-84, II ed., Milano, 1995, 280 s.

Ora, per quanto sorprendente ciò possa sembrare, le incriminazio- ni incentrate sul mancato rispetto del momento autorizzativo non ci paiono prestarsi ad essere esaminate nella prospettiva della loro osser- vanza o meno del principio di necessaria offensività dell’illecito penale.

Le prestazioni euristiche che (il ricorso a) questo criterio può fornire sono tanto minori, quanto più variegati e tra loro assai distanti sono i modi di intenderlo. Ciò che, a sua volta, è (anche) il riflesso della di- sinvolta proliferazione del necessario termine di relazione che il riven- dicato carattere offensivo del reato postula. Si allude in tal senso alla crescita incontrollata – che la legislazione complementare fa emergere e che parte della dottrina non manca di legittimare a pieno titolo – dei beni giuridici che godono del predicato della offendibilità da parte del comportamento incriminato.

Per tale via, il principio di offensività finisce con il vedere rinnega- ta proprio quella vocazione a circoscrivere la sfera dei beni tutelati, che la sua primigenia fondazione costituzionale puntava a valorizza- re4. Si devono qui dare, comunque, per note le obbiezioni di coerenza interna e di razionalità politico-criminale alle quali la configurazione del reato in termini di lesione di beni di rilevanza costituzionale si è esposta.

Da una parte, l’estensione della tutela penale ai beni privi di rile- vanza costituzionale, ma pur sempre legati a quelli costituzionalmen- te di tale rilevanza da «un rapporto di presupposizione necessaria»5, gettava le basi per un progressivo disancoramento della tutela dai beni costituzionali stessi e per la sua anticipazione a stadi anche molto lon- tani dalla lesione ovvero dalla messa in pericolo di questi ultimi6.

Dall’altra, una recezione intransigente dell’esigenza che soltanto i beni contemplati dalla Costituzione fruissero di tutela penale, avrebbe inevitabilmente condotto ad una tavola dei valori penalmente protetti necessariamente statica ed impermeabile ai bisogni di essere penal- mente salvaguardati, promananti da beni ancòra sconosciuti al Costi- tuente del ’48 e non riconducibili mediante artificio ermeneutico alcu- no alla griglia di quelli «presupposti» dai valori espressamente ricono- sciuti dalla carta costituzionale.

Né, certo, un giudizio più rassicurante intorno alla portata e all’ef-

(16)

7Cfr. Cass., Sez. III, 12 marzo 1998, in Cass. pen., 1999, n. 1676, 3209, con no- ta di PALLADINO, Principio di offensività: verso un’estensione della sua portata?

8In questo senso, invece, C. FIORE, Il reato impossibile, Napoli, 1959, 22 ss.; M.

GALLO, voce Dolo (dir. pen.), in Enc. dir., Vol. XIII, Milano, 1964, 786 s.; NEPPIMO-

DONA, Il reato impossibile, Milano, 1965, 199 ss.; ID., voce Reato impossibile, in No- viss. Dig. It., Vol. XIV, Torino, 1967, in particolare 980, 986 ss.; BRICOLA, Teoria ge- nerale del reato, cit., 768 ss.; F. MANTOVANI, Diritto penale, Pt. g., IV ed., Padova, 2001, 202 ss. Riguardo a quest’ultimo Autore, va notato che più cauto era il giudi- zio sulla valenza dell’art. 49, cpv., c.p., nel senso indicato nel testo, in F. MANTOVA-

NI, Il principio di offensività nello schema di delega legislativa per un nuovo codice pe- nale, in AA.VV., Prospettive di riforma del codice penale e valori costituzionali, Mila- no, 1996, 104.

9Cfr. M. ROMANO, Commentario sistematico. I, cit., 484.

10Lo stretto collegamento intercorrente fra tentativo e reato impossibile risulta ben evidenziato dalla stessa collocazione topografica della norma sul reato (rectius, delitto) impossibile nell’art. 43 dell’Articolato del Progetto di riforma del codice pe- nale. Parte Generale, nel testo approvatone il 12 settembre 2000 dalla Commissio- ne ministeriale incaricata di procedere ai lavori per la riforma del codice penale. Il terzo comma del predetto art. 43, dedicato al delitto tentato, stabilisce infatti che

«la punibilità per delitto tentato è esclusa quando, per l’inidoneità della condotta o per l’inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile la consumazione del delitto». Il testo dell’Articolato è reperibile in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 661 ss.

ficienza del principio di offensività può dirsi garantito dal riferimento alla norma che, al livello della legislazione ordinaria, ne codifichereb- be l’operatività: l’art. 49, cpv., c.p. Certo, è indubbio che il tramite del- la norma sul reato impossibile abbia offerto alla giurisprudenza costi- tuzionale e soprattutto a quella ordinaria – anche di recente e proprio con riferimento alla tematica che qui interessa7– il destro per asser- zioni circa l’atteggiarsi del principio de quo a canone interpretativo in- defettibile in sede di applicazione delle norme penali.

Nondimeno, proprio la ricostruzione storica della voluntas legis sot- tostante all’introduzione del capoverso dell’art. 49 c.p. orienta verso una sua lettura affatto diversa da quella che vi ravvisa l’enucleazione del canone generale alla cui stregua il reato presuppone un fatto tipico, in quanto conforme alla descrizione di una fattispecie incriminatrice;

e, altresì, concretamente offensivo dell’interesse da questa protetto8. Uno sguardo reale agli effettivi intenti del legislatore del ’30 fa piutto- sto emergere come la norma mirasse a fissare una soluzione di com- promesso fra istanze oggettivistiche e soggettivistiche in ordine alla questione della punibilità o meno del tentativo inidoneo; laddove il punto di conciliazione veniva espresso con la dichiarazione di non as- soggettabilità a pena del suo autore, facendosi comunque salva la pos- sibilità di applicare a suo carico una misura di sicurezza (cfr. art. 49, quarto comma, c.p.)9-10.

D’altro canto, l’approccio al tema della necessaria lesività del reato,

(17)

11Sul problema cfr. BRICOLA, Teoria generale del reato, cit., 756-757.

12Alludiamo ai lavori della Commissione ministeriale per la riforma del codice penale, istituita con D.M. 1 ottobre 1998 e presieduta dal Prof. Carlo Federico Gros- so, la Relazione conclusiva della quale è rinvenibile in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 600 ss., alla quale si rinvia per le citazioni successive.

che connota la c.d. concezione realistica del reato radicantesi sull’art.

49, cpv., c.p., non si muove nella stessa prospettiva di pensiero carat- terizzante la fondazione costituzionale del principio di offensività.

Questa si muove in un’ottica, che fa della costruzione del reato in gui- sa di un’offesa ad un bene costituzionalmente protetto – ovvero, anche se privo di rilevanza costituzionale, di un bene costituente l’indispen- sabile presupposto per la tutela di un bene costituzionalmente protet- to – un vincolo di carattere costituzionale destinato, in una prospettiva di riforma, a condizionare le scelte del legislatore ordinario. Quella, in- vece, punta a fare del principio di offensività, rinvenutone l’aggancio a livello di legge ordinaria nell’art. 49, cpv., c.p., un criterio di interpre- tazione del diritto vigente, tendente a subordinare l’integrazione del reato non già alla sola verifica della conformità del singolo fatto con- creto alla fattispecie incriminatrice legalmente descritta; ma anche al- la (constatazione della) sua effettiva idoneità a ledere l’interesse tute- lato. Ciò che involge il delicato problema di come possa addivenirsi al- la determinazione di quest’ultimo senza fare ricorso a tutti gli elemen- ti della fattispecie; ché, in detta evenienza, il fatto offensivo dell’inte- resse per tale via individuato sarebbe giocoforza anche tipico, con ciò non dandosi più la possibilità dell’assunta scissione fra tipicità ed of- fensività11.

Del tutto evidenti sono le differenze di aspirazione, che stanno alla base di questi due diversi modi intendere il principio di offensività. Da una parte, si punta ad un globale ripensamento della definizione del reato, ancorato alla Costituzione ed identificato nei soli termini di fat- to aggressivo di un bene costituzionalmente protetto. Dall’altra, vi è in- vece la pretesa di utilizzare la norma di cui all’art. 49, cpv., c.p., nel contesto del diritto penale vigente, quale strumento capace di discer- nere i fatti formalmente rientranti nel tipo e altresì offensivi dell’inte- resse tutelato, da quelli soltanto conformi alla fattispecie legale; con l’effetto, per questi ultimi, di escluderne la punibilità ex art. 49, cpv., c.p..

Ciò detto, non ci si può esimere da una prima valutazione, in ordi- ne all’impiego del canone della necessaria offensività dell’illecito pena- le, da parte di una recente ed impegnata iniziativa diretta alla riforma del codice12.

In questa sede, ci si è orientati verso una esplicita enunciazione del princìpio in forza del quale ogni reato deve indefettibilmente consiste-

(18)

13Cfr. Relazione della Commissione ministeriale per la riforma del codice penale, cit., sub nota precedente, 602.

14Si rinvia, con riferimento ai fautori di questa interpretazione del princìpio di offensività, agli Autori citati sub nota 8.

15Per la ricostruzione in questi termini della recezione del princìpio di offensi- vità da parte dello schema di legge-delega presentato dalla Commissione Pagliaro, cfr. Relazione, 4; e, amplius, PALAZZO, Meriti e limiti dell’offensività come principio di ricodificazione, in AA.VV., Prospettive di riforma, cit., 86 s.

16Cfr., ancòra, PALAZZO, Meriti e limiti dell’offensività, cit., 86-87.

re in un’offesa del bene giuridico protetto dalla relativa norma incri- minatrice, in ciò indirizzandocisi verso un intendimento del principio di offensività nella seconda delle accezioni dianzi prospettate. Ci si è avviati, insomma, non verso una considerazione della sua efficacia de lege ferenda, ma piuttosto verso un suo impiego in chiave interpretati- va del diritto vigente.

All’interno dell’opzione così effettuata in prima battuta, si sono poi delineate, senza prendere peraltro posizione a favore dell’una o dell’al- tra, le due varianti nelle quali essa è suscettibile di articolarsi. Da una parte, si è dato conto delle impostazioni, quale quella mettente capo all’art. 49, cpv., c.p., alla cui stregua l’offesa al bene tutelato si pone in funzione integrativa rispetto alla tipicità del fatto agli effetti della sua rilevanza penale13-14. Dall’altra, si è pure fatto cenno alla ben diversa concezione del princìpio di offensività lumeggiata dallo Schema di leg- ge delega per la riforma del codice penale, presieduta da Antonio Pa- gliaro, nel quadro della quale l’offesa «deve svolgere invece un ruolo ermeneuticoº ... per l’accertamento del significato e della portata della fattispecie», esulando da essa qualsiasi funzione aggiuntiva in ordine a tale accertamento15. In questa seconda variante, quindi, il bene tutela- to dalla singola norma incriminatrice e la sua effettiva offesa da parte del singolo fatto varrebbero a colmare lo iato determinantesi in forza dello scarto, che inevitabilmente si instaura fra la previsione astratta della fattispecie ed il concreto fatto che può esservi sussunto. Quest’ul- timo, infatti, malgrado la sua tipicità, potrebbe pur sempre presentare caratteri atti ad evidenziarne l’inoffensività in concreto, proprio assu- mendo a parametro il bene tutelato dalla relativa ipotesi incriminatri- ce16.

Ora, che una recezione del principio di offensività nella prima delle varianti appena schizzate – ed al di là di ulteriori riserve su quest’ulti- mo che esporremo infra – sia contenuta in un progetto di riforma del codice penale, è un dato che non poteva non sorprendere.

Stupiva, in particolare, che un testo, che si iscriveva in un disegno di ricodificazione globale non solo della parte generale ma anche di quella speciale del codice penale, si potesse aprire con una norma de-

(19)

17Cfr. Relazione della Commissione ministeriale, cit., 602.

18Un’osservazione di analogo segno, riferita alla possibilità di intendere l’art.

4.1 dello Schema di delega legislativa predisposta dalla Commissione Pagliaro nei termini di una canonizzazione della lettura del princìpio di offensività «in funzio- ne integrativo-correttiva» proprio rispetto alle norme poste dal legislatore in sede di riforma, era stata formulata, con riferimento a quella disposizione, da PALAZZO, Meriti e limiti dell’offensività, cit., 86.

19Sulle discrepanze fra i princìpi costituzionali in materia penale, ergo fra le condizioni di validità del diritto, ed il loro concreto recepimento nella legislazione ordinaria, vale a dire la situazione del diritto vigente, cfr. FERRAJOLI, Diritto e ragio- ne. Teoria del garantismo penale, IV ed., Bari, 1997, 724 ss.

stinata ad operare precisamente... laddove l’intervento riformatore avesse fallito i propri obiettivi. In effetti, questa specifica variante del principio di offensività, la quale – come gli stessi autori della Relazio- ne qui richiamata mostravano di riconoscere17– è quella che più coe- rentemente si colloca nel solco dell’elaborazione dottrinale e giuri- sprudenziale germinata sull’art. 49, cpv., c.p., con il fissare l’àmbito della sua operatività nelle ipotesi in cui, malgrado la conformità del fatto allo schema della norma incriminatrice, nel fatto stesso non pos- sano ravvisarsi i segni dell’offesa all’interesse protetto dalla relativa norma, finiva con il presupporre (come) inevasi proprio quei còmpiti che i riformatori si erano assegnati. Tra questi ultimi – lo si legge nel- la Relazione de qua – vi è quello di procedere alla descrizione di «fatti costituenti reato costruiti in modo da assicurare… la punibilità di con- dotte offensive dell’interesse protetto». In questo contesto, contempla- re accanto a questo intento la possibilità di non punire quei fatti che, malgrado la loro conformità alla descrizione legale, non risultino of- fensivi del bene tutelato, aveva tutto il sapore di una profezia che si au- toavvera, tanto da far dubitare della serietà di tale intento18. Per inci- dens, l’unica via per escludere che l’adesione alla prima variante del principio di offensività, di cui si è detto, potesse avere il significato, ri- spetto alla Commissione incaricata della riforma del codice, di una pa- lese precostituzione di un alibi a fronte dei propri possibili fallimenti futuri, è quella di ritenere che l’inclusione dell’offesa al bene protetto fra gli elementi costitutivi del reato avesse piuttosto il sapore di una realistica presa d’atto dei limiti della propria azione. In sostanza, l’in- serimento di una clausola generale avente l’effetto di escludere la pu- nibilità di chi, pur realizzando un fatto tipico ai sensi di una determi- nata fattispecie incriminatrice, non offenda l’interesse protetto, si sa- rebbe potuta giustificare in ragione della divaricazione, da sempre esi- stente ed ineliminabile, tra i princìpi generali del diritto penale, inter- pretativamente enucleabili dal testo costituzionale19, nel cui novero rientrerebbe appunto (anche) il princìpio di offensività, da una parte;

ed una legislazione ordinaria che a tali princìpi non si allinea, confe-

(20)

20Sui fondamenti del princìpio di offensività cfr. FERRAJOLI, Diritto e ragione, cit., 467 ss. Il mancato rispetto di questo principio da parte della legislazione ordi- naria è evidenziato dallo stesso Autore, ivi, in particolare 739.

21Sull’art. 4.1 dello schema del Disegno di legge delega per un nuovo codice ita- liano, presentato dalla Commissione Pagliaro, si rinvia ai riferimenti indicati sub nota 14.

22Sulla collocazione dell’articolato del Progetto preliminare di riforma del codice penale. Parte Generale, rinviamo alle indicazioni riportate antea, sub nota 10.

23Cfr. la Relazione sull’articolato, in Progetto preliminare di riforma del codice pe- nale. Parte Generale, reperibile in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 581 ss.

24Sulle modalità per reperire la quale rinviamo a quanto riportato sub nota 12.

25Cfr. Relazione, citata alla nota precedente, 602.

zionando anche norme sprovviste (dell’elemento) dell’offesa al bene tutelato, dall’altra20. Di talché, in forza della predetta clausola, potreb- be appunto escludersi la responsabilità di chi abbia posto in essere un fatto sussumibile nella cornice della figura di reato or ora ipotizzata, senza tuttavia offendere l’interesse protetto.

Il punto di approdo dei lavori della Commissione, vale a dire l’arti- colato che ne ha tradotto gli intenti, segna, peraltro, un «ritorno» a quella valorizzazione dell’offensività come criterio di interpretazione della norma, che già era stata fatta propria da altre iniziative di rifor- ma21. All’art. 2, secondo comma, vi si legge, infatti, sotto la rubrica

«Applicazione della legge penale», che «le norme incriminatrici non si applicano ai fatti che non determinano una offesa del bene giuridi- co»22. Il significato di questa disposizione è quindi chiarito dalla Rela- zione sull’articolato; vi si legge, in particolare, che la regola dettata (sott.: quella dell’irrilevanza penale dei fatti non offensivi del bene pro- tetto) deve essere collocata «entro i confini della interpretazione», rite- nendosi per tale via «di superare le eccessive tensioni con il principio di legalità, che una collocazione diversa avrebbe rischiato di determi- nare»23. Il che consente di accostare la soluzione prescelta alle posi- zioni di quanti, stando alle indicazioni desumibili dal testo della Rela- zione originaria della Commissione24, avevano ritenuto che l’offesa potesse e dovesse operare, come criterio di selezione dei fatti punibili, all’interno dei limiti segnati dalla tipicità del fatto e non al loro esterno, in posizione aggiuntiva25. Con la conseguenza che l’accoglimento del principio di offensività non avrebbe reagito in alcun modo – contro quanto, invece, sostenevano i fautori della concezione costitutiva dell’offesa – sulla struttura dei reati di pericolo astratto, questa non po- tendo essere arricchita della presenza di un pericolo concreto che al suo interno non era previsto.

Ineccepibile nella sua coerenza con le premesse, la recezione del principio di offensività in questa portata «minima», suggerisce ed im-

(21)

26Così, testualmente, Cass., Sez. VI, 18 marzo 1998, n. 3396, Calisse ed altri (la vicenda in questione concerneva un’ipotesi di lottizzazione abusiva di cui all’art.

20, lett. c), legge n. 47/1985, ma questo nulla muta circa il suo significato nell’indi- viduazione del bene protetto nelle fattispecie che interessano).

Orientate nello stesso senso, vale a dire in quello che ravvisa nella tutela so- stanziale dell’assetto del territorio in conformità della normazione urbanistica il bene giuridico sottostante all’art. 20, lett. b), legge n. 47/1985, Cass., Sez. III, 12 maggio 1995, in Cass. pen., 1997, m. 1782, 3143, con nota di MICHELI, Giudice pe- nale e concessione edilizia illegittima: la definitiva affermazione della portata sostan- ziale del «sindacato» sull’atto amministrativo; Cass., Sez. III, 5 giugno 1998, n. 6671, Losito ed altri.

Nella nostra letteratura, decisamente propenso a dare questa lettura del bene giuridico tutelato dalla fattispecie in esame si mostra PETRONE, Introduzione, in PE-

TRONE, Attività amministrativa e controllo penale. Scritti, Milano, 2000, 30 s.; ID., La costruzione edilizia con concessione illegittima, ivi, 456 s.

27Cfr. BAJNO, La tutela penale del governo del territorio, cit., 16 ss.; COCCO, L’at- to amministrativo invalido elemento delle fattispecie penali, Cagliari, 1996, 368 s., 393 s.; MARINI, Urbanistica (reati in materia di), in Dig. disc. pen., Vol. XV, 1999, 96.

pone all’interprete di non rifugiarsi più sotto l’ombrello protettivo del- la sua auspicata realizzazione, per trovare le risposte adeguate agli in- terrogativi che la tematica dei reati di pericolo astratto propone. In particolare, non è richiamandocisi alla sua attuazione che si potrà ot- tenere risposta alla vexata quaestio (della rilevanza) della inesistenza in concreto del pericolo tipizzato dalla norma (su ciò, cfr., infra, sub Cap. III).

A qualunque delle due varianti del princìpio di offensività così deli- neate si aderisca, resta comunque fermo il dato che le sue prestazioni ermeneutiche, rispettivamente in chiave integrativo – costitutiva ovve- ro ricostruttivo – interpretativa del reato, sono pur sempre legate alla previa individuazione del bene giuridico, nella cui offesa il reato si so- stanzia.

Ma è proprio su questo terreno che, per ciò che attiene alle fattispe- cie imperniate sul mancato rispetto del momento autorizzativo, l’uti- lità del ricorso a questo princìpio – operi esso in funzione costitutiva ovvero interpretativa – si rivela privo di qualsivoglia valenza selettiva in ordine ai comportamenti penalmente rilevanti. Invero, quale fun- zione di cernita tra fatti (da ritenersi) muniti o meno di rilievo penale può riconoscersi ad un criterio facente leva sull’offesa al bene protetto, in materia di lavori eseguiti in assenza di concessione edilizia (art. 20, lett. b), legge 28 febbraio 1985, n. 47), quando esso bene si può identi- ficare tanto nell’interesse sostanziale «alla protezione del territorio in conformità alla normativa urbanistica»26; quanto in quello (al primo) strumentale alla garanzia della gestione esclusiva del territorio da par- te dell’autorità comunale27?

(22)

28Cfr. ancòra DONINI, Il delitto contravvenzionale, cit., sub nota 1.

29Cfr., per tutti, ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte speciale, Vol. II, XI ed., Milano, 1995, 377; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte speciale, Vol. I, II ed., Bologna, 1997, 316, (laddove l’interesse di cui si parla nel testo viene piuttosto qua- lificato in termini di ratio della norma in parola); M. ROMANO, I delitti contro la pub- blica amministrazione. I delitti dei privati. Le qualifiche soggettive pubblicistiche.

Artt. 336-360 cod. pen. Commentario sistematico, Milano, 1999, 135 s.; SEMINARA, in CRESPI-STELLA-ZUCCALÀ, Commentario breve al codice penale, III ed., Padova, 1999, 904.

30In questa direzione si muove PALAZZO, Meriti e limiti dell’offensività, cit., 87-88.

Riaffermare il postulato che il fatto di reato deve essere offensivo dell’interesse tutelato non getta, in questo caso, lume alcuno per ri- spondere alla domanda se lavori eseguiti in mancanza di concessione, ma pur sempre effettivamente conformi alla normativa vigente, inte- grino o meno l’ipotesi contravvenzionale descritta dall’art. 20, lett. b), legge n. 47/1985. Un’indicazione al riguardo potrà trarsi soltanto da una previa determinazione dell’interesse realmente protetto dalla nor- ma de qua. Ciò cui si potrà addivenire, peraltro, solo dopo un’accurata disamina centrata sulla struttura di questa fattispecie e sul ruolo che al suo interno gioca la normativa extrapenale concernente il rilascio del- la concessione, che vi è richiamata.

Nè può essere privo di interesse notare come da una più precisa (ri)determinazione del bene giuridico, che vi è sottostante, non possa andare esente neppure quella che delle fattispecie incentrate sull’eser- cizio di un’attività in mancanza della prescritta autorizzazione ha sem- pre rappresentato l’archetipo codicistico: quella di cui all’art. 348 c.p.28. Vero che è dominante l’orientamento che ne ravvisa l’oggettività giuridica nell’interesse amministrativo acché determinate professioni siano esercitate soltanto da coloro che sono provvisti delle relative abi- litazioni29, non può neppure essere sottaciuto il dato che taluni orien- tamenti della prassi applicativa lasciano filtrare, nei modi che si ve- dranno, un’effettiva rilevanza ultima degli interessi (finali), alla salva- guardia dei quali tali provvedimenti abilitativi ed i procedimenti che li precedono risultano concretamente diretti.

A fronte del margine di incertezza che al principio di offensività de- riva dalla difficoltà di una precisa individuazione del proprio termine di relazione, id est il bene giuridico che il singolo reato offende(rebbe), è stato proposto di mutare il parametro di riferimento da utilizzare per dare una collocazione ed insieme una soluzione sistematica ai casi di concreta inoffensività di un fatto pur riportabile entro il paradigma di una data norma incriminatrice. Si è per tale via suggerito di valorizza- re, anziché il bene giuridico protetto, il tòpos dello scopo della nor- ma30, onde avvalersi delle indicazioni da esso desumibili per discerne-

(23)

re i fatti che vi sono correttamente riportabili da quelli che, malgrado la loro tipicità, in ragione della loro concreta inoffensività ne sono estranei.

Senonché, non sembra che un accorgimento di questo genere valga a dipanare i nodi evocati da condotte che possono essere ritenute o meno meritevoli di pena, a seconda del bene giuridico che si assume a (canone di) riferimento. Le stesse condotte continueranno a sollevare inevitabili incertezze pure rifacendosi allo scopo della norma, perché anche in nome di questo si potranno legittimamente sostenere solu- zioni diametralmente opposte. Così, per ritornare all’esempio dei lavo- ri eseguiti in assenza di concessione edilizia ex art. 20, lett. b), legge n.

47/1985, non sembrano insorgere difficoltà eccessive nel rinvenire lo scopo di detta norma, alternativamente, nell’esigenza di tutelare la conformità del territorio alla normativa urbanistica; ovvero nel mono- polio dell’autorità comunale nel governo del territorio. Ne segue che anche questo criterio è inidoneo a fornire chiavi di soluzione rispetto al caso problematico dei lavori eseguiti in assenza della regolare con- cessione, ma in presenza di tutti i requisiti perché venisse rilasciata. A ciò deve aggiungersi, sempre in rapporto alla problematica delle con- dotte tenute in assenza della richiesta autorizzazione amministrativa, che il riferimento allo scopo della norma sembra sconsigliabile perché plurivoco, esso prestandosi – come si vedrà – nelle autorizzazioni di- screzionali a designare tanto lo scopo dell’obbligo di procurarsi l’auto- rizzazione; quanto quello della norma che incrimina l’esercizio dell’at- tività non autorizzata: scopi che – anticipiamo – non sempre si identi- ficano.

3. I profili di costituzionalità realmente posti dalle fattispecie incen- trate sull’inosservanza del momento autorizzativo, quando la loro ratio essendi sia quella di colpire le c.d. condotte seriali

Ad involgere profili di dubbia costituzionalità delle fattispecie in- centrate sull’inosservanza del momento autorizzativo paiono essere ta- lora fattori non collegati alla loro specifica struttura, quanto, piutto- sto, al loro terreno d’impiego. Al riguardo, val la pena di ricordare che uno dei principali campi di applicazione delle figure de quibus si rin- viene nella normativa in materia di inquinamento, si abbia riferimen- to ora a quello delle acque (cfr. art. 21, primo comma, legge 10 maggio 1976, n. 319 e, ora, dopo la sua abrogazione, art. 59, D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152), ora a quello atmosferico (cfr. artt. 24, primo e quarto comma, e 25, primo, secondo, quinto e sesto comma, D.P.R. 24 mag- gio 1988, n. 203).

Ora, la materia della tutela dell’ambiente ha da sempre sollecitato

(24)

31Cfr., sul punto, per tutti MARINUCCI-DOLCINI, Corso di diritto penale. 1. Le nor- me penali: fonti e limiti di applicabilità. Il reato: nozione, struttura e sistematica, III ed., Milano, 2001, 568.

32Cfr. MARINUCCI-DOLCINI, Corso di diritto penale, cit., ibidem.

33Per la legittimazione del ricorso allo schema del pericolo astratto a fronte del- le situazioni descritte nel testo cfr. FIANDACA, La tipizzazione del pericolo, in Beni e tecniche della tutela penale, a cura del CRS, Milano, 1987, 60-61; GRASSO, L’antici- pazione della tutela penale: i reati di pericolo e i reati di attentato, in Riv. it. dir. proc.

pen., 1986, 710; nonché, ancòra, MARINUCCI-DOLCINI, Corso di diritto penale, cit., ibi- dem.

34Sul punto, cfr. FIANDACA, Note sui reati di pericolo, in Il Tommaso Natale, 1977,

la tematizzazione dello scarto esistente fra le ipotesi incriminatrici contemplatevi e la effettiva realizzazione del principio di offensività del reato, per via della nota inidoneità delle singole condotte tipizzate in quelle fattispecie a ledere ovvero a porre concretamente in pericolo i beni ambientali31, che vi si assumono salvaguardati. Di qui l’esigenza di ricorrere allo schema delle fattispecie di pericolo astratto e, soprat- tutto, l’approfondimento della problematica connessa alle aggressioni a beni giuridici provenienti da condotte seriali32.

Il Leitmotiv, decisamente ricorrente nella nostra letteratura, addot- to a giustificazione del ricorso a questa tecnica di incriminazione, vie- ne visto nell’essere tali condotte certo incommensurabilmente distanti dalla determinazione di un pericolo per i beni ambientali; ma nell’es- sere, nondimeno, immanente alle stesse una soglia di pericolosità in- trinseca, fondantesi sulla regola di esperienza che ad esse andrà a som- marsi una pluralità di condotte dello stesso segno – id est, difformi dal- la normativa in materia di inquinamento perché, nella fattispecie che interessa, spovviste di autorizzazione – riferibili ad altri soggetti33, a priori non determinabili. Il che, a sua volta, darà luogo a quella situa- zione di pericolo per il bene ambientale di volta in volta suscettibile di venire in considerazione, per la prevenzione della quale si potrà legit- timare anche l’incriminazione della prima condotta, cui le altre verosi- milmente si salderanno.

Come si vede, alla base dell’opzione a favore delle fattispecie di pe- ricolo astratto vi sono in subiecta materia, così come del resto si verifi- ca per la stragrande maggioranza dei casi in cui si registra l’impiego di questa tecnica di incriminazione, le difficoltà probatorie connesse all’individuazione di un nesso causale tra la singola condotta e la le- sione di un bene collettivo, come quello ambientale, da una parte. E l’esigenza di non lasciare sfornito detto bene di un’efficiente tutela pe- nale, in grado di anticipare – prevenendolo – lo stadio della lesione di tale bene, a fronte di comportamenti ai quali si correla un sospetto di pericolosità, dall’altra34. Sotto entrambi i profili si tratta, come detto,

(25)

184 ss.; CANESTRARI, voce Reato di pericolo, in Enc. giur. Treccani, Vol. XXVI, Roma, 1991, 7; MARINUCCI-DOLCINI, Corso di diritto penale, cit., 420 s.; M. ROMANO, Com- mentario sistematico. I, cit., 320.

35Ampi riferimenti possono cogliersene in CANESTRARI, Reato di pericolo, cit., ibidem.

Su questa tendenza alla rivalutazione dei reati di pericolo astratto, si può vede- re anche il quadro completo delineatone, agli inizi degli anni ’80, da MAZZACUVA, Il disvalore di evento nell’illecito penale. L’illecito commissivo doloso e colposo, Milano, 1983, 51 ss.

di argomentazioni tutt’altro che nuove e/o sorprendenti, perché su di esse ha potuto far leva la c.d. «riscoperta» dei reati di pericolo astrat- to, in nome delle ineludibili esigenze che vi sottostanno, a partire (dal dibattito dottrinale sviluppatosi) dalla seconda metà degli anni ’70 ad oggi35.

Ciò che vi è di peculiare, nelle fattispecie incriminatrici di condotte seriali, non è allora la naturale sconoscenza dei fattori atti a convertire la generale pericolosità di una tipologia di condotte in un vero e pro- prio pericolo per i beni (in questo caso) ambientali; quanto, piuttosto, la regola di esperienza addotta, onde motivare il giudizio di pericolo- sità sulla singola condotta. Precisando meglio i termini della questio- ne, il vero tratto distintivo delle ipotesi in esame risiede nell’oggetto della regola di esperienza che vi sottosta e fonda la pericolosità della singola condotta discostantesi dalla normativa a tutela dell’ambiente (nel caso che interessa, perchè mancante della necessaria autorizza- zione): trattasi della ripetizione della stessa condotta inosservante da parte di (una pluralità di) altri soggetti. In altre parole, ciò che giustifi- ca l’affermazione di una responsabilità penale a carico dell’autore di una condotta inosservante – in quanto difforme dalle prescrizioni, ad es., in materia di inquinamento delle acque – ma di per sè solo generi- camente pericolosa, è il fatto di assumere che, in base ad una regola di esperienza, ad essa faranno sèguito altre condotte dello stesso segno – ergo, inosservanti – di terzi. Solo per il tramite di questa presunzione si conferiscono alla condotta del primo agente i connotati del fatto pe- nalmente rilevante. Breve: il vero fondamento della responsabilità del soggetto, che per primo non si uniforma a questo tipo di precetto, ri- siede nelle possibili sue violazioni future da parte di terzi.

Non ci vuol molto, a questo punto, per comprendere come, a nostro avviso, i veri dubbi di incostituzionalità che investono le fattispecie de quibus – non parliamo, val la pena di ribadirlo, di tutte le ipotesi im- perniate sul mancato rispetto del momento autorizzativo, ma solo di quelle afferenti all’àmbito della normativa anti-inquinamento – non si annidino nella vexata quaestio della loro uniformità al principio di of- fensività, sempre che se ne ammetta l’intervenuta costituzionalizzazio- ne; e neppure in quella del termine di relazione che esso postula, vale

(26)

36Cfr., per tutti, M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale. I, cit., 320.

37Ciò seguendo la contrapposizione tra le diverse figure contravvenzionali, che ne determina la riconducibilità all’uno o all’altro dei poli di cui si dà conto nel te- sto, tracciata – anche sulla scorta delle indicazioni ricavabili dalla circolare della Presidenza del Consiglio 5 febbraio 1986 (sulla quale si rinvia a quanto esporremo nel capitolo che segue) – da PADOVANI, voce Delitti e contravvenzioni, in Dig. disc.

pen., 1989, 329 ss.

a dire il bene giuridico che si assume offeso od offendibile. Risulta, in- vece, di tutta evidenza come i motivi alla base delle perplessità circa la conformità alla Costituzione delle figure in oggetto impingano preci- samente il princìpio della personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27, primo comma, Cost.

A scanso di equivoci, va preliminarmente chiarito che questo tipo di interrogativo non nasce affatto dall’impossibilità di ravvisare un lega- me causale fra la singola condotta, in sè e per sè riguardata, e l’evento di pericolo che da ultimo abbia a determinarsi. Non può invero revo- carsi in discussione l’utilità del ricorso a modelli di incriminazione ri- tagliati sullo schema del pericolo astratto proprio per superare la spro- porzione, spesso dipendente da carenze di conoscenza scientifica, (corrente) tra la singola condotta genericamente pericolosa e l’evento di pericolo ultimo dalla prima originantesi. Ciò che esclude ab origine la possibilità di stabilire un legame di derivazione causale di questo da quella36.

Le vere ragioni che inducono a dubitare della conformità a Costitu- zione di questi modelli di incriminazione risiedono piuttosto – come già si è detto – nella loro compatibilità con il princìpio di colpevolezza;

melius, con l’esigenza, emergente dalle sentenze 364/88 e 1085/88 del- la Corte Costituzionale, che l’imputazione di un reato al suo autore poggi, quanto meno, sulla sussistenza della colpa in capo a quest’ulti- mo.

La stessa struttura contravvenzionale delle ipotesi che qui interes- sano – lo ripetiamo: ci si limita alle fattispecie costruite sul mancato ri- spetto del momento autorizzativo in materia di inquinamento – ne conferma la valenza prettamente preventivo – cautelare e, con ciò, la necessità di individuare un dovere di diligenza che (vi) si possa assu- mere violato all’atto della realizzazione della fattispecie. A ciò si po- trebbe peraltro obiettare che le figure contravvenzionali in oggetto non rientrano propriamente fra quelle riconducibili entro il polo preventi- vo – cautelare, dovendosi all’opposto classificare tra quelle sostanzian- tisi in trasgressioni all’attività di governo di determinati settori della vi- ta rimessi dal legislatore alle determinazioni della Pubblica Ammini- strazione37. Nel contesto di tali settori dovrebbe appunto farsi rientra-

(27)

38Per una segnalazione dei casi di contravvenzioni codicistiche non riportabili entro l’una o l’altra delle categorie sopra riportate, cfr. PADOVANI, Delitti e contrav- venzioni, cit., 331.

re la materia dell’ambiente e della sua tutela dall’inquinamento, il go- verno della quale sarebbe appunto affidato alle autorità competenti (anche) al rilascio delle relative autorizzazioni, alle quali viene rimes- sa l’effettuazione degli accertamenti tecnici che esse presuppongono.

Senonché, non sembra che la sola circostanza che il precetto preventi- vo – cautelare sia confezionato tout court dalla legge, ovvero sia me- diato attraverso l’interposizione (dei dettami) di un’autorità più o me- no connotata in senso tecnico cui la prima rimanda, valga davvero a giustificare una trattazione separata dei due gruppi di casi, sino ad identificare in essi i due poli attorno ai quali si può precipuamente38 raggruppare l’intero universo contravvenzionale. La contrapposizione si stempera, in effetti, ove si consideri che lo strumento di governo a mezzo del quale le autorità competenti gestiscono il conflitto di beni ed interessi sottostanti alla materia dell’ambiente, id est il rilascio del- le autorizzazioni richieste, è anch’esso connotato da una finalità pre- ventivo – cautelare. Si tratta, da un lato, di preservare i beni ambienta- li dai pericoli, ai quali un esercizio delle attività che li coinvolgono, in assenza di qualsivoglia controllo, finirebbe inevitabilmente con l’esporli; e, dall’altro, di predisporre all’uopo cautele, di cui soltanto un’adeguata conoscenza tecnica dei fattori di pericolo, che vi sono im- manenti, e un’equilibrata ponderazione di tutti i controinteressi che vi risultano implicati, può garantire l’efficienza. In sostanza, si può dun- que concludere nel senso che, pur variando gli organi deputati ad esprimere queste valutazioni di carattere preventivo – cautelare, tanto nelle ipotesi in cui provengano dal legislatore medesimo, quanto in quelle in cui promanino dalle diverse autorità dianzi menzionate, esse conferiscono alla globalità delle contravvenzioni in discorso un carat- tere fondamentalmente unitario.

Preso atto della funzione preventivo – cautelare esplicata dalle con- travvenzioni incentrate sul mancato rispetto del momento autorizzati- vo in genere, torniamo ora ad occuparci delle specifiche connotazioni che assumono le relative ipotesi in materia di inquinamento. E rian- diamo, allora, a soffermarci sul loro scopo: quello di interdire com- portamenti in sé solo genericamente pericolosi, ma atti a generare una situazione di pericolo per i beni (sott.: ambientali) protetti per il fatto che ad essi si associa una loro ripetizione da parte di terzi. Si com- prende allora che il pericolo che dette contravvenzioni mirano a de- bellare è, precisamente, quello associato alla reiterazione della con- dotta penalmente illecita ad opera di terzi. Breve: è la realizzazione, da parte di una pluralità indeterminata di futuri autori, dello stesso com-

(28)

39Così PAGLIARO, Imputazione obiettiva dell’evento, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 782.

40Cfr. FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Pt. g., IV ed., Bologna, 2001, 513.

portamento illecito posto contingentemente in essere dal singolo agen- te. Dal che traluce immediatamente una loro caratterizzazione assai pregnante: esse sono funzionali alla prevenzione degli effetti di com- portamenti illeciti altrui. Al proposito, è appena il caso di segnalare che figure contravvenzionali ispirate da questa finalità non sono sco- nosciute alla nostra legislazione vigente; basti pensare alla fattispecie di omessa custodia di armi, contemplata dall’art. 20 bis, legge 18 apri- le 1975, n. 110. In casi come questi, peraltro, sono le stesse indicazioni ricavabili dal testo della norma ad erudire sulle ragioni sottostanti alla scelta legislativa di costruire una contravvenzione, orientata alla pre- venzione di possibili fatti illeciti posti in essere da terzi. Nel caso ri- guardato dall’art. 20 bis, legge n. 110/1975, è segnatamente l’inidoneità dei soggetti ivi menzionati a maneggiare armi, munizioni ed esplosivi ciò che fonda un obbligo di custodia rispetto a strumenti che, se utiliz- zati da dette persone, potrebbero dar luogo alla realizzazione di fatti materiali di reato ad opera delle medesime. Se questa è la ratio ispira- trice di tali specifiche disposizioni, ciò non toglie che, non ricorrendo- ne la presenza, la regola generale sia quella dell’inesistenza, in capo al singolo, di un obbligo diretto ad impedire che le condotte da lui poste in essere e/o gli oggetti da lui impiegati possano fungere da supporto a condotte penalmente rilevanti di terzi. Detto diversamente, il singolo risulterà sgravato di un obbligo di gestire i comportamenti ricadenti nella propria sfera di competenza, in modo tale da evitare che questi vengano convertiti in (altrettanti) fattori per l’esecuzione di reati da parte, appunto, di terzi. Ciò equivale alla riproposizione del (contenu- to essenziale) del principio di affidamento, il quale, inteso nella sua massima e generale accezione, importa che «l’avere reso possibile ad altri – fuori dei casi di concorso doloso o colposo – la realizzazione di un reato non comporta responsabilità alcuna per il soggetto»39.

Ci prefiguriamo sin d’ora una possibile obiezione rispetto all’uso di questa argomentazione, al fine di invalidare la (legittimità della) rego- la cautelare sottostante all’incriminazione delle condotte seriali e, con ciò stesso, la sua armonizzabilità con quella piena valorizzazione del principio della responsabilità personale che proprio il ricorso al prin- cipio di affidamento si considera atto a garantire40.

Si potrà eccepire, in effetti, che colui a favore del quale dovrebbe nel caso de quo operare il principio di affidamento, ossìa l’autore del primo scarico non autorizzato, è un soggetto che per definizione non può richiamarvisi. Il Vertrauensgrundsatz non risulta invero applicabi- le a favore del soggetto che agisce in modo antidoveroso (id est, in mo-

Riferimenti

Documenti correlati

Ciò detto, tale nuova norma punisce ogni tipo di inadempimento (anche parziale) di obblighi di natura patrimoniale disposti in sede giudiziale a favore del

E come mai, se è tutto così chiaro, il tema della legittimità o meno della retroattività sfavorevole delle norme “processuali”, soprattutto di quelle che incidono su

La soluzione di porre sullo stesso piano, in termini di responsabilità penale per l’attività autorizzata, atti amministrativi estintivi del reato ed atti amministrativi

Libertà di autodeterminazione terapeutica e disposizioni anticipate di trattamento 283 L’articolo 3 è dedicato alle modalità di espressione o rifiuto del consenso per i soggetti

Si creerebbe, quindi, una sorta di “spazio libero” in cui la scelta del medico si giocherebbe esclusivamente sul piano etico della propria coscienza e avrebbe, in ogni caso, come

di persuasione nei confronti del paziente, non ideologico né paternalistico, bensì volto a ricostruire un equilibrio fra tutela della salute e consapevole

 Anche la definizione/progettazione dell’architettura può essere guidata dagli scenari – come vedremo, sia da scenari funzionali che da scenari di qualità.  quali sono

I relatori si sono confrontati su diversi argomenti, nella cornice della connessione tra evoluzione tecnologica e semplificazione; in particolare, gli