RACCONTI DI VITA: a cura di Alice D’Este
DESCRIZIONE DELLA CITTA’
ovvero
“TRACCE DEL NON VISTO”
Stridore di freni. Il treno rallenta, si ferma. Pochi passi verso l’uscita. Zaino sulla schiena ed
una giornata alle spalle. Stanchezza. Cammino
veloce nella calca di persone che affollano la stazione, passo dopo passo . Scalpiccio di piedi. Lentamente esco
davvero con un’infinita tristezza…forse, anche se fosse stato così, nessuno se ne sarebbe accorto.
Mi allontano, scivolo nel cono d’ombra delle luci spente e alle mie spalle sfuggono le immagini di treni in arrivo e in partenza, incroci di vite alternarsi di attimi, di coincidenze lungo linee parallele destinate a non incontrarsi mai.
Lascio dietro di me un mondo fatto di voci, vite… l’improvviso odore di pioggia, di sudore, di cibo mi costringono ad affondare gli artigli nella realtà, risate: vicino ad un gruppo di giovani turisti euforici slego la mia bicicletta e con Jeff Buckley nelle orecchie inizio il ritorno a casa. Odissea psicologica.
Luci arancioni. Lampioni. Impatto visivo. Nel muto caos di persone che attraversano la strada, infantili espressioni d’attesa, ma non è più la frenesia del mattino. Stanca tranquillità. Aria fredda. Il cielo è scuro, qualche leggera nuvola bianca scorre sopra di me mentre
pedalo. Blu e nero.
Rosso. Stop. Il semaforo. Pochi attimi sospesi nella realtà che scorre, mi colpisce appena l’idea della realtà, infinitesimale incontro di coincidenze e subito riparto. Lascio alla mia destra il bus. Arancione. Infernale rumore inconciliabile con la perfezione silente della sera che accade nirvanica nel suo esistere . Giro a sinistra. Via Dante. Pista ciclabile. Mi appare il colore dei mattoni delle case immerso nel colore
della
notte. Mescolio. Degrado. Povertà.
Escopro i riflessi di vita. Le luci delle case proiettate nelle pozzanghere. L’immagine si trasforma, assume
una consistenza poetica.
La bici è vecchia. Cigola un po’ ma la musica nelle orecchie mi impedisce di sentirne il
rumore. I vecchi pezzi metallici bagnati da piogge di molti
inverni e asciugati dal sole di molte giornate estive
. Immagini in sequenza: ruggisce il blu dell’insegna del parcheggio alla mia destra intonandosi perfettamente
allanotte che attraverso; la sede della CGIL a sinistra, chiusa e, di fronte, l’edificio a specchio.
Controllo nel riflesso i segni della stanchezza di un giorno, della felicità di un fugace momento . Mi scopro esattamente come mi
sarei immaginata . Attraverso.
Simbolo di pista ciclabile illuminato, poche le macchine che passano perpendicolarmente nella strada che l’attraversa
. Fari. Coppie simmetriche di fari scorrono rare nella strada che imbocco contromano. Lo spazio è largo. Passo agevolmente.
Impossessarsi del bagaglio di un’esistenza senza mai sfiorarla.
Mi immetto in Via Cappuccina, supero alla mia destra delle persone alla fermata dell’autobus e un negozio di giocattoli che mi lega alla mia infanzia. Passato che riaffiora. Guardo dentro e fra i giochi rivedo
me stessa quindici anni fa, bambola in mano e occhi lucenti nello stupore della curiosità. Un mondo da conoscere. Illusioni, fantasia, irrealtà.
Lontani quanto è possibile dalla realtà di dolore dilaniante e poi si cresce . Piedi per terra, testa sulle spalle e sogni,
sogni
maledettamente vivi e difficili da realizzare ma pur sempre sogni.
Edè quello che mi basta.
Passa un uomo con un impermeabile bianco che riluce nel nero della notte e parla da solo tenendo in mano una piantina fiorita. Sembra irreale, ologrammico, è l’immagine kunderiana della bellezza e allo stesso tempo una manifestazione di dolore pungente…dolore.
Ma non sono da meno i quattro professionisti affermati seduti nel bar che supero alla mia destra.
Fieramente composti nei loro vestiti eleganti e nelle
lorosciarpe di seta ma terribilmente corrosi nel loro io più intimo ridotto unicamente all’attività lavorativa, minimizzato calpestato forse. È riduttivo, patetico. Lavoro e…
?!?Nulla.
Costeggio il centro commerciale “Le Barche” e raggiungo velocemente Viale Garibaldi: un km di pedalata dritta verso casa.. nelle luci riflesse sull’asfalto. Nelle ombre degli alberi sulla strada. Nel verde. Nel buio.
Rosso. Stop. Secondo semaforo. Al di la delle strisce vedo la bimba con gli occhi più azzurri del mondo. Stringe la mano al suo babbo e sorride. Poco distante scompaiono nel buio due
dark che si stringono la mano. Umanità a confronto.
Non vedo la differenza. Ora. Manifestazioni d’amore comparabili e compatibili.
Verde al semaforo. Respirando l’aria umida della sera pedalo velocemente mentre il mio respiro condensa ed esce dalla sciarpa col tipico fumo. Ricordi di camini e case in lontananza.
Odore di freddo. D’inverno.
Supero Via Oberdan ed entro in Via Del Rigo. Di nuovo luce dei lampioni. Poi basta. Ormai sono quasi a casa. Buio. Intorno a me il vuoto, il deserto per un attimo e poi
di nuovo solo luci
di case mentre spunta la prima stella. Blu. Il cielo. Luci di case. Prospettive di vita vissuta e futura ma stavolta è la mia. Casa mia. Scivolo leggera sull’asfalto, entro nel quartiere, case marroncine
Poi me ne vado chiudendomi la porta alle spalle e dimenticando un guanto azzurro nel cestino della bici.
alice_deste2004@yahoo.it