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Epifanio Ferdinando Centum Historiae, seu Observationes Storia LXXX. Caso Ottantesimo. Perdita di memoria.

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Res non naturales

Res narturales

Res praeter naturam

Epifanio Ferdinando Centum Historiae, seu Observationes … Storia LXXX. Caso Ottantesimo. Perdita di memoria.

1612, mese di aprile.

Donato Antonio Simeone, mesagnese di trentotto anni, caldo nel fegato e freddo nel capo, senza alcuna causa estrinseca precedente, eccettuati taluni turbamenti d’animo, cominciò egli stesso ad accorgersi che stava perdendo molto della capacità di memorizzare: non ricordava facilmente le cose che udiva e non si ricordava di quelle che aveva già udito, sia in passato che recentemente; anzi molte volte usciva dalla propria farmacia - era infatti uno speziale - diretto a casa per qualche motivo, ma giungendovi non se ne ricordava.

La malattia ormai andava sempre peggiorando per quanto riguarda la memoria, il ragionamento invece restava molto valido. Nel capo era presente una frigidità “in atto”. Ma, praticate svariate cure, cominciò a stare meglio.

Questa è la breve storia dell’affezione patologica.

Su di essa, come al solito, diciamo qualcosa sulle res non naturales, naturales e praeter naturam.

Riguardo alle “cose non naturali”, questa malattia iniziò in una stagione fredda e secca, cioè in Autunno, era infatti già il sesto mese dacché soffriva di questo difetto nel memorizzare, l’affezione in inverno peggiorò e quanto più si faceva sentire il freddo tanto più aumentava la smemoratezza.

Quanto alle “cose naturali”, questo giovane era caldo nel fegato: aveva infatti le vene larghe, soffriva più volte all’anno di prurito al corpo e di eresipela alle mani e al viso;

era magro, e per questo il fegato tendeva piuttosto al caldo e secco. Ma nel capo era presente un temperamento opposto: infatti per prima cosa aveva la testa grande, e fredda al tatto, non soffriva di sputi e di secrezioni mucose nasali, né era particolarmente sonnacchioso; era in età matura, quando di solito si genera l’umore melanconico e soprattutto sopraggiungono molte preoccupazioni, che rendono secco il corpo.

Da questo derivò che, cospirando queste cause “naturali” insieme a quelle “non naturali”, incappasse nel danno, ossia nella diminuzione, della memoria.

Riguardo alle “cose preternaturali”, è chiarissimo che questa persona soffre di perdita di memoria, o totale, o parziale; ma quando saremo in grado di riconoscere il difetto della memoria, se ignoriamo in che modo si esplica la memoria naturale [fisiologica] e in che cosa consiste la perfezione della sua funzione? Bisogna perciò soffermarsi brevemente sulla memoria naturale. Sulla memoria naturale abbiamo detto, per differenziarla dalla memoria artificiale, che sicuramente è una vera arte, e molti la conseguirono e per essa eccelsero (Plinio, “lib. 7 cap. 24”), come Simone di Ceo o Melico, e Metrodoro Scefio, Cicerone nella Nuova Retorica, Quintiliano, Seneca, Francesco Petrarca, Ramon Lullo, Arnaldo da Villanova, Michele Savonarola, ed altri scrittori moderni; e che si attiva nel far ricordare diversi personaggi, immagini, luoghi, circostanze e scritture sacre (ierogliphycis); ma poiché per apprenderla bene si impiega molto tempo, ed essa presuppone comunque una valida memoria naturale, la giudichiamo inconsistente e non necessaria (superfluam).

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Veniamo alla memoria naturale, della quale, tralasciatane la natura, diciamo soltanto con Galeno, 2. Ars Medica, 17, che la sua buona qualità e la sua perfezione dipendono da una immutabile e costante materia del cervello, così che ad essa sia proporzionato il grado di “umidità”, o di “morbidezza”, per rendere facile la ricezione, ma anche il grado di “secchezza”, o di “durezza”, affinché sia reso agevole il ritenere e conservare le raffigurazioni percepite.

A questo proposito Aristotele, lib. De memoria et reminisc., dice che i giovani hanno una valida memoria, ma i vecchi, e i bambini no, proprio per mancanza delle suddette condizioni. Questo però va inteso di per sé perché, “per accidente”, i vecchi, i bambini ed i religiosi possono ben ricordare: i vecchi perché sono meno molestati da turbamenti dell’animo e vivono in grande tranquillità, per cui i loro sensi non vengono affaticati; i fanciulli per la grande sensibilità e per il veloce impadronirsi delle idee nuove [archetipi], dovendo, secondo Aristotele, “30 par. prob. 4”, apprendere per la prima volta ogni cosa; la loro “anima sensibile” infatti è come una pagina non scritta o una tabula rasa, su cui non è raffigurato nulla; i religiosi, per la quiete dell’anima e per l’assenza di preoccupazioni. Perciò [Aristotele] disse, 7 Phys. 10, che stando riposati e tranquilli, l’anima diviene cosciente*. Ma prima ancora di procedere ulteriormente bisogna sciogliere alcuni curiosi problemi. Primo: perché ricordiamo meglio di mattina, e non durante il giorno? Secondo: perché la maggior parte di coloro che eccellono per memoria non si distinguono per talento? Terzo: perché coloro che hanno grandi le parti superiori, vale a dire la testa, come era nel nostro paziente, non sono forti nella memoria? Quarto: perché si dice che la memoria è fallace e debole? Quinto:

perché ci sono alcune popolazioni che non hanno salda memoria? Sesto: perché nel Teeteto la memoria viene chiamata da Platone Madre delle Muse? Settimo: nei pesci esiste la memoria?

Ma su queste cose, alla prima di tali domande, Aristotele, “30 par. prob. 4”, risponde che ricordiamo meglio al mattino, perché subito dopo il sonno siamo privi di qualsiasi informazione; procedendo il giorno, la memoria viene rallentata poiché abbiamo già percepito molte cose; e questo non lo osserviamo soltanto nella memoria, ma anche in altre funzioni principali.

Alla seconda risponde Aristotele, Libello de memor. et reminisc., che quelli dotati di memoria valida sono alquanto duri, hanno cioè un cervello sodo e secco, invece si richiede materia tenue e sottile per la bontà dell’ingegno e dell’intelletto.

Non neghiamo comunque che la Natura, o Dio Ottimo Massimo, abbiano creato molti che eccellono in entrambe le potenzialità; infatti nella parte posteriore del cervello può predominare la secchezza, nella parte mediana la materia sottile, ma ciò accade più raramente; infatti il più delle volte coloro che hanno buona memoria non hanno molta scienza e, sacrificando ed affidando alla memoria molte informazioni, perdono tempo invece di pensare.

Alla terza, forse perché al grande sviluppo delle parti, si accompagna il più delle volte, anzi sempre, l’umidità, in essi la memoria si dissolve, ed osserviamo questo soprattutto nei nani, cioè negli individui più bassi.

Alla quarta, poiché moltissime cause (sexcentae) possono far vacillare la memoria, essa viene chiamata fallace, labile, fragile e fugace, esposta com’è a circostanze e malattie varie, a pesanti preoccupazioni, al sonno profondo, ai moti dell’animo,

*

Septem problemata adducuntur

(3)

De laesa memoria

Essentia

all’ubriachezza, agli ictus, all’età, alla indigestione, alla sazietà, a molteplici altre situazioni di sofferenza; e per tale motivo, o perché l’aspetto delle cose non viene impresso fortemente, o perché proviene da una sola zona dell’organo, la memoria viene così a vacillare, e soprattutto la depredano gli anni.

Alla quinta, la memoria è chiamata per questo motivo Madre delle Muse da Platone in Crizia, o Atlantico, poiché senza di essa non c’è vera sapienza e conoscenza, e per questo giustamente Plutarco, nel libro De Educatione, l’aveva chiamata dispensa di provviste delle discipline [del sapere], e Plinio la proclamò bene estremamente necessario per la vita.

Alla Sesta, a causa della clemenza, o del favore dell’aria o per la sua inclemenza, in natura accadono molte stranezze; così i Traci, secondo Aristotele, sono in grado appena di contare fino a quattro, ed i Tebani sono tardi di ingegno, al contrario degli Ateniesi.

Alla settima, in tutti gli animali creati esiste la memoria; secondo Aristotele infatti, lib. De memor. et reminisc e 4 De hist. animal. cap. 4, molti animali sognano, come noi abbiamo detto, trattando Le insonnie nei nostri Teoremi, e nei pesci perciò esiste la memoria, il che molto chiaramente affermò anche Plinio, “lib. 9, cap. 8” e “lib. 10, cap. 70”. Questo è sufficiente sulla memoria naturale.

Passiamo ora alla patologia della memoria.

Nel nostro caso, pertanto, vi è lesione della memoria, ma diminuita, non tolta, come accade in molti; e noi negli anni passati abbiamo curato una signora la cui memoria era del tutto mancante (anche nella Peste di Tucidide si verificò quella totale smemoratezza); neanche noi parliamo di memoria lesa per natura, per quanto alcuni sono smemorati fin dalla nascita, ma parliamo della memoria resa difettosa dalla malattia e nel nostro caso era diminuita.

Se poi la memoria sia alterata, come afferma il solo Mercuriale, o come in modo contrario affermano tutti gli Autori, al momento tralascio tutto ciò, essendo più incline all’opinione comune; quando infatti si parla di memoria alterata, ciò può riferirsi piuttosto ad alterazione dell’immaginazione, come forse era il caso riportato da Aristotele in Metheor., de Antypheronte.

Ma in che cosa consiste la lesione della memoria? Consiste in una grave lesione di funzione nella parte principale posteriore del cervello, dipendente da una discrasia in eccesso. Il genere quindi è della funzione principale fortemente lesa, ma qui bisogna precisare che nel nostro caso si trattava della lesione, cioè di una diminuzione della memoria, perché non esisteva alcun danno nel ragionamento, pur potendo [tali funzioni] essere danneggiate dalla medesima causa, secondo 3. De loc. affec. cap. 5, ma in sedi differenti (una infatti può essere lesa, continuando l’altra ad essere sana) della zona posteriore, che è la parte interessata, chiamata occipite; quando infatti vogliamo ricordare qualche cosa, subito quasi per istinto naturale, ci grattiamo l’occipite, come per eccitare e far fuoriuscire, in seguito al quel grattamento, la potenza quasi sopita del ricordare.

La solidità poi di questa parte, cioè dell’osso, sembra dimostrare la stessa cosa, infatti il simile si accompagna bene al simile, e anche la sede diviene protettiva per ciò che vi è posto dentro.

In terzo luogo, lesa questa parte, viene subito lesa la memoria. Infine con Galeno sempre, ma soprattutto nel libro De placi., con Ippocrate e Platone, vengono applicati

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Genus symptom atis

Morbus quem insequit ur

Causae

Differen -tiae

Signa

(per qualsivoglia discrasia in eccesso) i rimedi dell’esperienza quotidiana su questa parte, e non su un’altra, perché qui si presenta la causa efficiente; sicché da ciò appare evidente che la lesione della memoria è un disturbo nel genere delle funzioni principali* danneggiate. La causa a cui consegue la malattia è la discrasia in eccesso, come diremo.

E infatti Galeno, 2. Aph. 20 e 51, e 3. De symp. caus. cap. 1, diceva che ogni discrasia in eccesso deprime l’attività della capacità propria, poiché qualunque eccesso distrugge la composizione dell’essere vivente. In particolare è in eccesso la “discrasia fredda”, e perciò secondo Gal., 3. De loc. affec e De symp. caus. cap. 7, in questa malattia bisogna riscaldare, e in specialmente nel nostro caso, veniva infatti percepita nel capo una frigidità in “atto”.

Talora tuttavia a questa discrasia fredda si congiunge e predomina l’umidità e può diventare così causa di lesione della memoria, come venne ritenuto da Platone, Avicenna ed Averroè.

Talaltra alla “frigidità” si associa la “secchezza”, come è avvenuto nel nostro caso;

qualche volta è la “discrasia calda e secca” la causa del danno nella memoria, o della distruzione della stessa, disperdendo “calore naturale” e “umido radicale”, come nella Peste di Tucidide ed in qualche altro genere di febbri cachettizzanti. Tuttavia, il più delle volte, la memoria viene lesa in “primo luogo” da una causa fredda, in “secondo”

da una causa fredda ed umida, in “terzo luogo” da una causa fredda e secca, ed infine, più di rado, da una causa calda e secca. Queste discrasie tuttavia possono verificarsi in modo più o meno grave.

Le cause sono molteplici, e vengono da noi tralasciate, nel nostro caso sono quelle interne; fu soprattutto l’umore melanconico e non quello pituitoso, e questo umore il più delle volte è causa di danno nella memoria, secondo Ippocrate, lib. De morbo sacro. Questo umore infatti è freddo ed umido e indebolisce la potenza e la robustezza della memoria, infiacchisce, sprofonda, cancella ed elimina le immagini impresse, come appare chiaro nei vecchi e nei bambini. Le cause esterne nel nostro caso furono di scarso rilievo, tranne alcune continue preoccupazioni riguardanti il patrimonio familiare.

Riguardo alle differenze per la “forma”: in una la memoria lesa è sicuramente diminuita, in un’altra è tolta; in una è con lesione del ragionamento, in un’altra senza;

in una è per discrasia semplice, in un’altra da discrasia per “confluenza” di materia flemmatica o melanconica; in una è recente, nell’altra di vecchia data. Nel nostro caso la memoria è diminuita, non tolta, non era presente danno nel ragionamento, era da discrasia fredda e secca, con umidità e non era di vecchia data; aveva infatti cominciato a soffrire di questi disturbi da cinque o sei mesi.

Riguardo ai sintomi, essi erano quelli propri del genere, sono stati descritti in questa Storia e resi noti dal paziente, per cui non è necessario ripeterli. I segni delle differenze sono finora chiari, la memoria infatti è diminuita, perché non ricorda perfettamente, quindi la memoria non è abolita, e finora conserva il ragionare; che fosse da discrasia fredda e secca veniva manifestato per prima cosa dalla frigidità “in atto” del capo, dalla mancanza di secrezioni (excrementorum) attraverso la bocca e le narici, e inoltre non era sonnolento; e che insieme a tale discrasia fosse presente un umore piuttosto melanconico, si rilevava dalla pesantezza di testa, dalle

*

(5)

Prognos

Indicati- ones

Curatio diaeta

Chirur- gia

preoccupazioni passate e presenti, dall’età e dal colorito grigiastro (subnigro). Le restanti cose sono in verità evidenti.

Quanto alla Prognosi ho detto che il male non era da sottovalutare, infatti una

“inconsueta dimenticanza” genera una infermità futura, 2. Ars. med. 44; ed Ezio ed Avicenna scendono più nei particolari, quando spiegano di poter prevedere il danno della memoria, o la paralisi, o l’apoplessia e talora la morte, motivo per cui la malattia era da curare quanto prima, seguendo le specifiche indicazioni.

Riguardo alle Indicazioni la discrasia fredda era da riscaldare, quella secca da inumidire, l’umore peccante da evacuare, il cervello da rinforzare, ma per prima cosa bisognava evacuare tutto il corpo e poi passare al capo, secondo ciò che Galeno, precisamente Meth. 4, seguendo il pensiero di Platone in Charmide, all’inizio [del discorso] sulla temperanza: non si può purgare gli occhi se non viene purgato il capo, né il capo se non viene purgato tutto il corpo … dunque, eccetera. Ma assolviamo a tutte le cose suddette con quei tre strumenti, tante volte decantati: la Dieta, la Chirurgia e la Farmacia.

Riguardo alla Dieta sarò breve, abbiamo infatti parlato a lungo nella Storia del danno della memoria e dell’intelletto; e dunque veniva scelta l’aria calda, che veniva procurata secondo arte, e temperata nei soggetti ricettivi (passivis); infatti l’aria temperata è feconda di ingegno e di memoria, secondo Ippocrate, lib. De aere loc. et aq., ed Aristotele, 14 par. Probl., e nel nostro, se si tendeva un pochino all’umido, non era sconveniente, essendo in predominio l’umore nero; ma nel caso in cui l’umore pituitoso cresca verso il caldo, ed è opportuno che declini al secco, si eviti l’aria ventosa, notturna, densa, nebbiosa, eccetera; si evitino i raggi di luna, la dimora sia in altura, luminosa e non umile. Eserciti moderatamente il corpo prima di mangiare, e non dopo, come è spesso solito fare con suo massimo danno. I cibi siano di ottimo nutrimento, come le carni, delle quali abbiamo detto in altra parte.

Siano conditi con salvia, sambuco, maggiorana, cannella, cariofilla, pepe e croco; si evitino le verdure fredde, l’aceto, il latte, le focaccine, gli animali marini, i legumi, i frutti acerbi ed i cibi melanconici e flatuosi come l’aglio, la cipolla, le rape, i porri, le castagne e le noci; assuma uova da bere, con grani di incenso, che più di ogni cosa giovano alla memoria; eviti qualsiasi eccesso alimentare, l’indigestione, e l’eccessiva pienezza. Il vino venga bevuto nel modo descritto in altre precedenti Storie. Dorma con moderazione, ed eviti il sonno di giorno, abbia l’alvo ben funzionante. Si tenga lontano per quanto possibile dalle perturbazioni d’animo, infatti le eccessive preoccupazioni, gli studi, l’ansia, eccetera, intaccano la memoria. Sia sobrio nei piaceri sessuali; e questo in breve sulla Dieta.

Quanto alla Chirurgia non fu eseguita la flebotomia; si facevano frizioni continue e pettinature sul capo; in questa affezione sono favorevoli le cauterizzazioni alle braccia, e qualora vi sia umidità in eccesso, raccomando moltissimo le ustioni in testa, vicino alle suture.

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Pharma- cia

Pillulae

Apozema

Nota pro memoria

Riguardo alla Farmacia venne, già subito, preparato molto accuratamente il corpo con sciroppo di stecade, di bettonica e di miele rosato, con decotto di queste stesse erbe, e [il corpo] venne purgato in questo modo:

R. pillole aggregative di agarico, e pillole alefangine, ana, scrupoli 2; con catartico rosato fare sette pillole, da prendere nell’ostia.

Ad ore alterne assunse questo decotto [apozema] caldo:

R. sciroppo di Sant’Agostino, once 3; sciroppo di 9 infusi di rose rosse, once 2; acqua calibeata, quanto basta; mescola.

Ne trasse giovamento; dopo di che furono effettuati molti rimedi, quali sternutatori, masticatori, polveri sopra la testa, tavolette, conditi e conserve, sostanze da odorare, lozioni del capo, ed altri, dei quali abbiamo scritto in altra Storia, e poiché non devono essere infruttuosamente ripetuti, ad essa rimandiamo il lettore.

Per un maggior sapere, e per amore degli studiosi, aggiungiamo ora alcune cose che servono soprattutto come promemoria, in particolare ai medici, ai religiosi, e ad altri studiosi; diceva infatti il nostro Galeno, De rat. vic. in morb. acutis, 36, che un medico dotato di grande memoria è molto valido, e perciò Antigene scrisse, secondo Galeno, 3. De loc. affec. cap. 3, un intero libretto sul ripristino della memoria lesa; poiché senza memoria infatti nessuno è in grado di ottenere una compiuta capacità di valutazione, poiché giudicare correttamente quali cose debbano essere fatte, è compito della capacità di scegliere, e a questo molto contribuisce il ricordo delle cose passate (praeteritorum) e l’esperienza che, secondo Aristotele, 1. Metaphisica, è il complesso di molti ricordi: perciò la sapienza viene chiamata figlia della memoria e dell’esperienza, per cui bisogna concentrare l’attenzione soprattutto su di essa.

E per concludere, brevemente diciamo che la memoria può essere molto accresciuta e conservata con l’esercizio, cioè ricordando; infatti l’esercizio (arte) perfeziona la capacità naturale, ma è lungo, noioso, e perciò vano; richiede infatti di perseverare, e non consente di avanzare nella conoscenza, inoltre è causa di una grandissima perdita di tempo. Su ciò scrissero molte cose Pietro Ravenna, Ermanno, Buschio, fra’ Cosimo Roselli, Giovan Battista Porta, ed altri.

In verità, messo da parte questo inutile esercizio, la memoria viene in modo particolare accresciuta e conservata, e questa è la strada più agevole e sicura, con l’esercitazione e la continua riflessione, secondo Aristotele, lib, De mem. et reminisc, soprattutto se ogni giorno mandiamo qualcosa a memoria, o tenendola separata, o collegata al discorso, come affermò Tullio in Academ. Quaestion, Celio, “lib. 10 cap.

16” e Solino e non si può escogitare niente di meglio di questo, poiché sicuramente, infallibilmente e senza danno, esso accresce e conserva la memoria, che può essere anche accresciuta e conservata con i medicinali, da assumere però con saggezza (cum grano salis): le giovano specialmente i rimedi descritti in precedenza. Fra tutti gli altri la Confezione anacardina si confà specialmente alle nature umide e flemmatiche, durante la stagione fredda dell’anno; se viene assunta in modo differente può uccidere, e per questo dev’essere presa con moderazione. E questo basti.

Traduzione curata da A. Elio Distante e Maria Luisa Portulano-Scoditti.

(Diritti Riservati) Mesagne, giugno 2003.

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