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l’Ecole nationale de lamagistrature

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Parere sullo schema di regolamento interministeriale concernente “Istituzione ed organizzazione delle scuole di specializzazione per le professioni legali”.

(Parere del 18 novembre 1999)

La normativa primaria di riferimento.

a) I commi 113 e 114 dell’art.17 della L.15.5.1997 n. 127.

La previsione legislativa della scuola di specializzazione delle professioni legali è contenuta nell’art.17, commi 113 e 114, della L.15.5.1997 n.127, nota sotto il nome di Bassanini bis, recante “Misure urgenti per lo snellimento

dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”

La disposizione contenuta nel comma 113 ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi per modificare la disciplina del concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria, dettando come criteri guida la semplificazione delle modalità di svolgimento del concorso e l’introduzione graduale, come condizione per l’ammissione al concorso, dell’obbligo di conseguire un diploma biennale esclusivamente presso scuole di specializzazione istituite nelle università, sedi della facoltà di giurisprudenza.

Nel comma 114 la legge delega, invece, al concerto dei Ministri della Giustizia e dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica l’emanazione di due decreti per definire, l’uno, la valenza del diploma ai fini del compimento della pratica richiesta per l’accesso alle professioni di avvocato e di notaio e, l’altro, i criteri per la istituzione ed organizzazione delle scuole di specializzazione.

Va subito precisato che nell’impianto normativo della legge la nozione di “scuola di specializzazione” chiaramente non è assunta nel significato, impiegato ad esempio per le scuole successive alla laurea in medicina, di corso postuniversitario volto all’approfondimento scientifico di un singolo settore, ma nel senso di scuole miranti a completare la preparazione universitaria in funzione esclusiva degli sbocchi professionali della magistratura, della avvocatura e del notariato.

I commi 113 e 114 non erano contenuti nel disegno di legge originario e sono stati inseriti a seguito di un emendamento presentato alla Camera dei deputati ed accolto dal Governo, che vi ha posto anche la questione di fiducia.

Le ragioni che hanno portato alla loro introduzione ed approvazione vanno certamente ricercate nel dibattito, particolarmente vivo negli ultimi anni, che, muovendo da alcune considerazioni unanimamente condivise circa l’insufficienza del sistema selettivo attuale per l’accesso alla magistratura, ha portato alla formulazione di proposte concrete e suggerimenti sul tema della formazione degli aspiranti magistrati. Il richiamo a tale scambio di idee e proposte, che ha visto la partecipazione dello stesso C.S.M., di alcuni dei suoi componenti, di magistrati, professori universitari, avvocati e studiosi del diritto, rende, almeno in parte, ragione della circostanza che la istituzione delle Scuole di specializzazione post-universitaria sia stata prevista nel testo normativo sopra indicato e, in particolare, all’interno della disposizione dedicata alla semplificazione delle modalità di svolgimento del concorso per uditore giudiziario, configurando le future Scuole di specializzazione come strumento preselettivo per gli aspiranti magistrati.

Per tale motivo è utile ripercorrere, sia pure per linee generali, i temi e le analisi di tale riflessione, che, come si è detto, muoveva proprio dalla constatata insufficienza ed inidoneità dell’attuale sistema. Gli inconvenienti e le discrasie maggiori sono state individuate, in particolare, nella inidoneità, almeno sotto tale prospettiva, della preparazione universitaria di base, nel superaffollamento della partecipazione al concorso, nella farraginosità e complessità dei lavori della Commissione esaminatrice e nella stessa impreparazione dimostrata da un’ampia schiera degli aspiranti.

A fronte di tale situazione, che dilata i tempi di attuazione della procedura concorsuale dando luogo ad un grave scollamento temporale tra l’individuazione dei posti vacanti e la loro copertura e non sembra garantire appieno i suoi risultati, sono state profilate come possibili soluzioni due opzioni di fondo, tra loro in alternativa, l’una risalente al modello francese e l’altra a quello tedesco.

La prima è fondata sull’idea di una formazione post-universitaria finalizzata specificamente alla preparazione dell’attività del magistrato e prevede pertanto una scuola di formazione - in Francia l’Ecole nationale de la

magistrature - che conforma le proprie caratteristiche in tema di accesso e di programmi all’esercizio futuro delle funzioni giurisdizionali.

La seconda è incentrata, invece, sul progetto di creare una specializzazione allargata e non orientata esclusivamente all’esercizio della professione del magistrato, quindi comune agli operatori di giustizia, magistrati, avvocati e notai.

Per quanto il modello francese sia stato utilizzato in Italia per la formazione dei dirigenti della pubblica Amministrazione attraverso l’istituzione della Scuola superiore della Pubblica Amministrazione, la scelta del legislatore del 1997 è caduta inequivocabilmente sul modello tedesco, prevedendosi una formazione post- universitaria comune ed omogenea per le diverse professioni legali.

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Tale scelta di fondo ha comportato due importanti corollari, che hanno ricevuto immediata sottolineatura nella formulazione delle disposizioni in commento: il primo consiste nella netta collocazione del periodo di formazione post-universitario in una fase extraconcorsuale, quale antecedente esterno allo svolgimento della procedura concorsuale in senso proprio, il secondo è relativo alla individuazione del soggetto cui demandare in concreto l’organizzazione e la gestione delle Scuole, indicato nelle Università, sedi della facoltà di giurisprudenza, quale destinatarie per così dire naturali della formazione scientifica.

Deve osservarsi che l’opzione accolta ha ricevuto un pressoché unanime consenso, sembrando ai più che l’ulteriore specializzazione orientata verso una determinata professione ben potesse maturare e formarsi in un periodo successivo all’interno della stessa che costituisse un valore, in un periodo di contrasti e contrapposizioni, una formazione comune tra i diversi operatori del diritto. L’innovazione legislativa, valorizzando il ruolo e l’autonomia delle Università, costituisce una significativa e positiva evoluzione rispetto ai lavori della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, che nel licenziare, nel novembre del 1997, le proprie proposte di revisione costituzionale, ha previsto nell’art.128 della nuova costituzione tra le competenze del Ministro della giustizia quella di promuovere

“la comune formazione propedeutica all’esercizio delle professioni giudiziarie e forensi”.

Quanto al comma 114, esso fornisce ulteriore specificazione ed articolazione al comma precedente e si compone a sua volta di due parti.

Nella prima viene precisato che il diploma di specializzazione costituisce titolo valutabile ai fini del compimento della pratica legale richiesta per l’accesso alla professione di avvocato e di notaio, demandando ad un decreto interministeriale del Ministro della Giustizia e di quello della Università e Ricerca scientifica e tecnologica l’indicazione delle condizioni necessarie a tal fine. Nella seconda parte la legge, invece, delega ad un decreto

interministeriale nella composizione sopra indicata la definizione dei criteri per la istituzione ed organizzazione delle scuole di specializzazione, precisando che a tal fine vadano sentiti i competenti ordini professionali.

Con riguardo alla prima parte del comma citato, va sottolineato, in primo luogo, che la valenza del diploma di specializzazione ai fini del compimento della pratica legale richiesta per l’esame di abilitazione alla avvocatura non rappresenta affatto una novità, risultando essa già prevista, sia pure senza carattere di generalità. Può citarsi al riguardo l’Istituto forense “E. Redenti”, istituito con r.d. 13.10.1927 e riconosciuto con d.m. 7.2.1998, che nel suo statuto conferisce alla frequenza con profitto, debitamente certificata, il valore di un anno di pratica forense.

In secondo luogo meritano rilievo le critiche sollevate da più parti circa la soluzione in qualche modo di

compromesso adottata dalla legge a proposito della rilevanza del diploma di specializzazione per l’esercizio delle professioni legali libere, essendosi, invece, rappresentata l’opportunità che il primo debba andare a costituire, sia pure gradualmente, la condizione necessaria per l’accesso a queste ultime, in modo non dissimile, ma equivalente a quanto previsto dal comma 113 per l’ammissione al concorso per la magistratura ordinaria.

Con riferimento invece al decreto interministeriale relativo alla istituzione ed organizzazione della Scuola, il comma 114 indica, come si è visto, tra i soggetti che debbono essere consultati ai fini della sua redazione ed approvazione i soli ordini professionali competenti. Tale disposizione va di fatto però integrata alla luce del D.Lgs. 17.11.1997 n.

398, emanato in attuazione della delega contenuta nel comma 113, che nell’art.16, comma 8, dispone che il predetto decreto sia emanato “sentito il Consiglio superiore della magistratura”.

Merita aggiungere che ai fini della preparazione di questo decreto interministeriale i Ministri della Giustizia e della Università hanno istituito una Commissione, presieduta in un primo tempo dal sottosegretario Tognon, poi dal sottosegretario Guerzoni, e coordinata dal prof. Roversi Monaco, in cui sono stati rappresentati il C.S.M., gli ordini professionali degli avvocati e dei notai, i Ministeri della giustizia e dell’università nonché le facoltà di giurisprudenza.

b) Il D.Lgs. 17 novembre 1997 n. 398.

La delega contenuta nel comma 113 della L. 15 maggio 1997 n.127 ha trovato attuazione nell’emanazione del D.Lgs. 17 novembre 1997 n. 398 che, nell’art.16, si occupa delle scuole di specializzazione delle professioni legali, dopo aver dettato nei primi 15 articoli la nuova disciplina del concorso per uditore giudiziario. La legge facendo richiamo, innanzitutto, all’autonomia didattica degli istituti universitari riconosciuta dall’art. 17 comma 95 L. 15 maggio 1997 n. 127, al terzo comma dell’art. 16 precisava che le scuole sono istituite presso le Università, anche sulla base di accordi e convenzioni tra le stesse.

La ratio era ed è quella di avviare, sulla base di modelli didattici omogenei, la formazione comune dei laureati in giurisprudenza mediante l’approfondimento teorico, integrato da esperienze pratiche, finalizzato all’assunzione dell’impiego di magistrato ordinario ovvero all’esercizio delle professioni di avvocato o notaio (art. 16 cit. 2 comma), formazione resa possibile dalla previsione del numero chiuso dei laureati da ammettere alle Scuole e, di conseguenza, ai concorsi.

Nell’ambito del citato D.Lgs,. riguardano il tema in argomento gli artt. 1, 2, 6 e 17 che, modificando, rispettivamente, l’art. 123 e 124 R.D. 30.1.1941 n.12, disciplinano i sistemi di accesso al concorso in magistratura tanto nel periodo di transizione che successivamente. L’art. 1, 2° comma, lett. A) prevede un duplice sistema di accesso al concorso di uditore giudiziario, uno basato sul conseguimento del diploma di specializzazione e l’altro fondato sul superamento della prova di pre-selezione informatica.

L’art. 2, 5° comma ribadisce tale impostazione, prevedendo alla lett. D) che sono esonerati dalla prova preliminare e

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ammessi alla prova scritta coloro che hanno conseguito il diploma di specializzazione per le professioni legali, benché iscritti al corso di laurea in giurisprudenza prima dell’anno accademico 1998-1999.

L’art. 6 del citato D. Lgs. Stabilisce i criteri di ammissione al concorso di coloro che sono in possesso del diploma di specializzazione, nonostante la rubrica possa indurre a far ritenere che gli ammessi siano unicamente i diplomati della scuola.

L’art. 17 (norme transitorie e finali) prevede, pur nell’ambito di una progressiva riduzione del numero dei candidati da ammettere con pre-selezione informatica, la contemporanea presenza “a regime” di una duplice possibilità di accesso al concorso per uditore giudiziario.

Una diversa interpretazione del complesso di queste disposizioni non potrebbe sottrarsi a gravi sospetti sul piano della legittimità costituzionale con particolare riguardo agli artt. 3, 34, 51, 106 Costituzione.

Sempre l’art. 6 del D.Lgs. in esame impegna poi i Ministri competenti ad assicurare “l’uniforme distribuzione sul territorio nazionale delle scuole” e di prevedere adeguati sostegni economici agli iscritti capaci, meritevoli e privi di mezzi.

La disciplina generale sulle scuole di specializzazione è contenuta, invece, come si è rilevato, nell’art.16, che detta al riguardo un insieme di disposizioni afferenti non solo l’istituzione e organizzazione della scuola, ma anche le regole ed i criteri per l’ammissione, le modalità della didattica e la presenza nel consiglio direttivo e nel corpo docente dei rappresentanti delle tre categorie professionali interessate.

Seguendo tale ordine tematico, i punti salienti e qualificanti della normativa in oggetto possono così riassumersi:

a) in conformità con la legge delega ed ancor più chiaramente è ribadito che la scuola di specializzazione ha per obiettivo la formazione comune dei laureati in giurisprudenza in vista della loro assunzione nella magistratura o dell’esercizio della professione di avvocato e notaio. Si conferma, inoltre, che esse vanno istituite presso le università, sedi della facoltà di giurisprudenza, richiamando sul punto la disciplina di settore dettata per il diploma di specializzazione post-universitario, dall’art.4, comma 1, della L. 19.11.1990 n. 341 e prevedendosi la possibilità di accordi o convenzioni tra Università, estesi anche ad altre facoltà con insegnamenti giuridici;

b) si stabiliscono il principio del numero chiuso o programmato per l’accesso alla scuola ed i criteri di massima per la sua determinazione, affidata ad un decreto del Ministro dell’università di concerto con quello della Giustizia. E’

fissata, inoltre, la regola del concorso per titoli ed esami ai fini dell’ammissione alla scuola, precisandosi che le prove di esame debbono avere contenuto identico sul territorio nazionale e debbono svolgersi presso tutte le sedi della scuola, rimandando al decreto interministeriale previsto dal comma 114, seconda parte, la composizione della commissione esaminatrice secondo i parametri generali indicati alla norma stessa, il contenuto della prova ed i criteri oggettivi di valutazione. Già il decreto delegato puntualizza tuttavia al riguardo che la valutazione finale va espressa in sessantesimi e che, nella formazione della graduatoria, deve tenersi conto del punteggio di laurea e del curriculum degli studi universitari, valutati per un massimo di 10 punti, prefigurando in tal modo che la valutazione debba soprattutto basarsi sul risultato della prova di esame;

c) circa la didattica, richiamato l’obiettivo della formazione comune finalizzata alla professione legale, l’articolo in commento sottolinea che le scuole debbono adottare modelli didattici omogenei e che l’approfondimento teorico deve essere integrato da esperienze pratiche, da espletarsi presso sedi giudiziarie, studi professionali e scuole del notariato e con lo specifico apporto di magistrati, avvocati e notai. Viene inoltre previsto che il rilascio del diploma di specializzazione deve essere subordinato alla certificazione della regolare frequenza dei corsi ed al superamento delle verifiche intermedie e delle prove finali di esame;

d) pur ribadendosi il ruolo centrale dell’università e quindi del corpo accademico, è prevista la partecipazione di magistrati, avvocati e notai sia nella direzione della scuola, che nel corpo docente che, infine, nelle commissioni esaminatrici per l’ammissione alla scuola.

L’articolo si chiude con la previsione del parere del Consiglio superiore della Magistratura sullo schema del decreto interministeriale previsto dalla seconda parte del comma 114 e di cui si è già detto.

Le iniziative del C.S.M. in materia.

Le iniziative precedenti alla Legge delega del 15 maggio 1997 n. 127.

Le esigenze, sopra evidenziate, che hanno portato alla istituzione delle Scuole di specializzazione per le professioni legali costituiscono anche la base delle diverse iniziative adottate dal C.S.M. in materia nell’ultimo decennio.

Una delle prime risoluzioni sul punto è rinvenibile nella Relazione annuale sullo stato della giustizia per l’anno 1991 che, dopo aver ricordato un progetto del 1970 che contemplava modifiche al sistema di ingresso nella magistratura, comprendenti, tra l’altro, l’istituzione di un Centro nazionale di studi giuridici presso il Ministero di Grazia e Giustizia, rappresentava a chiare lettere la necessità di una Scuola della Magistratura, con compiti, tra gli altri, di intervenire come strumento di selezione degli aspiranti magistrati e quindi con funzioni formative nella stessa fase di accesso alla magistratura (pagg. 64, 106 e seguenti, 131 e seguente). Occorre dire che le linee argomentative e propositive ivi tracciate risentivano in misura significativa dei risultati della c.d. Commissione ministeriale Mirabelli istituita con d.m. 19.5.1982 che conteneva la proposta di una riforma organica dell’ordinamento giudiziario. Nella relazione conclusiva la Commissione optava sul tema, proponendo l’istituzione di una Scuola della magistratura a cui si accedeva per concorso e destinata quindi a formare i futuri magistrati (pag. 55 e segg.).

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Negli anni successivi è prevalsa tuttavia la convinzione della necessità di divaricare le strade dell’attività di

formazione, distinguendo quella rivolta al momento preconcorsuale da quella destinata invece ai magistrati in servizio, distinguendo nell’ambito di quest’ultima la formazione rivolta agli uditori e quella c.d. permanente.

Nella Relazione annuale sullo stato della giustizia per l’anno 1994, dedicata al reclutamento e formazione professionale dei magistrati, tale dicotomia appare lucidamente esposta, sottolineandosi la necessità ineliminabile che le iniziative riguardanti la formazione preconcorsuale abbiano la loro fonte in norme di legge. Si sottolinea inoltre l’esigenza culturale che la preparazione preconcorsuale rimanga sottratta alle competenze della Scuola della

magistratura e quindi del C.S.M. per venire affidata alle Università.

Ciò precisato è importante notare che nella citata Relazione si rinvengono idee e proposte analoghe, se non identiche, a quelle che poi hanno trovato corpo nella L. n.127 del 1997.

La Relazione, in particolare, proponeva l’istituzione di un corso di specializzazione post-universitario, in analogia a quelli previsti dall’art. 4 della L. 341 del 1990, per l’esercizio della professione di magistrato, il cui diploma avrebbe poi costituito titolo per l’accesso alla magistratura, suggerendo, come la soluzione migliore, quella di unificare tale corso per le professioni di magistrato e di avvocato. Viene inoltre espressa la necessità che esso non si risolva in una preparazione di natura accademica, sia pure elevata, ma si rivolga al ragionamento giuridico concreto, vale a dire alla pratica del giudizio, prevedendo uno studio approfondito del “diritto vivente” e la stesura di atti giudiziari.

Sulla medesima linea progettuale si colloca la delibera del 9.1.1997, che, muovendo dalla constatata insufficienza del sistema concorsuale attuale che regola l’accesso alla magistratura, affronta con compiutezza e lucidità la tematica di fondo relativa alla formazione preconcorsuale.

L’obiettivo conclamato è quello di realizzare uno strumento di formazione comune dei giovani aspiranti alle

professioni legali, non limitate a quella di magistrato o di avvocato, ma estesa anche all’avvocatura dello Stato ed alle magistrature amministrative e, inoltre, alle stesse carriere amministrative di alta specializzazione, al fine di

promuovere una cultura della giurisdizione fondata su valori e principi omogenei e condivisi. Ciò posto, la scelta di fondo sintetizzabile nella alternativa tra il modello francese e quello tedesco, è chiaramente risolta in favore di quest’ultimo, in grado di meglio perseguire l’obiettivo sopraindicato e più aderente dell’altro al principio costituzionale di nomina dei magistrati per concorso, atteso che la devoluzione alla Scuola della magistratura dei compiti di formazione in tale settore sposterebbe la fase selettiva dei candidati dal momento concorsuale a quello dei risultati della partecipazione alla scuola. Per contro viene ribadita l’idea che questa deve svolgere compiti di

formazione per i soli magistrati in servizio.

In data 9.10.1997 e 25.6.1998 il C.S.M. adottava due delibere con cui esprimeva i pareri rispettivamente sullo schema del decreto legislativo predisposto in attuazione della delega contenuta nel comma 113 dell’art. 17 legge 15.5.1997 n.

127 sullo schema del decreto interministeriale contemplato dal successivo comma 114, seconda parte. Nelle citate delibere il C.S.M. ha sottolineato che la riforma presenta caratteri di più radicale novità, e viene posto l’accento sui benefici effetti della riforma in tema di gestione dei concorsi per uditore giudiziario.

CONSIDERAZIONI GENERALI SULL’ATTUALE SCHEMA DI REGOLAMENTO

L’introduzione, come condizione per l’ammissione al concorso per uditore giudiziario, di un titolo di studio superiore alla laurea conseguibile all’esito di un corso biennale presso scuole di specializzazione rappresenta il percorso più idoneo per la ricerca di una risposta efficace e corretta ad una molteplicità di problemi e alla esigenza, da tempo avvertita, della elevazione degli standard di preparazione culturale, di più elevata professionalità dei magistrati in generale e di un maggior controllo in ordine alla sussistenza, in ciascuno di essi, dei requisiti culturali minimi di professionalità richiesti per l’esercizio della funzione giudiziaria. La individuazione di un filtro per la razionalizzazione del numero dei partecipanti al concorso, ossia di uno strumento di pre-selezione idoneo a ridurre il numero dei partecipanti al concorso, risulta obiettivo di essenziale rilievo per diminuire costi e tempi di espletamento dello stesso, senza costituire uno svantaggio sotto il profilo di una più ampia selezione del personale da assumere, perché, oltre un certo numero, il grado di cultura e di preparazione comincia ad attestarsi su livelli di insufficienza.

Tuttavia non può non segnalarsi che la frequenza con esito positivo delle scuole di specializzazione post- universitarie non deve, anche nella prospettiva riformata, costituire l’unica via di accesso al concorso in magistratura, tenuto conto anche dei rilievi di seguito illustrati circa la particolare attenzione che deve essere riservata alle problematiche degli studenti non abbienti e degli studenti lavoratori.

Inoltre il mancato organico intervento di riforma normativa del sistema di accesso alle professioni di avvocato e di notaio rischia di snaturare la filosofia complessiva delle scuole che, in prospettiva, potranno essere caratterizzate da una preponderante presenza di aspiranti magistrati, con conseguenti possibili riflessi sulla composizione degli organi direttivi e del corpo docente.

La previsione di un diploma di specializzazione biennale, quale requisito per l’ammissione al concorso, rappresenta una risposta naturale ed in un certo senso obbligata all’esigenza di un acculturamento maggiore rispetto a quella di un normale corso di laurea in giurisprudenza.

Dunque, pur essendo (anche) funzionale all’accesso in magistratura, il corso di specializzazione deve essere

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specificamente mirato ad impartire una preparazione di livello superiore; di qui la collocazione naturale all’interno della istituzione Universitaria.

Questa più ampia visione che il Consiglio intende confermare supera l’angustia della Relazione di accompagnamento al D.L. 398/1997; riconosce l’Università come sede idonea a superare i particolarismi di una preparazione privatizzata; suggerisce curricula e modelli operativi che vanno oltre la scansione delle schede allegate al Regolamento concernente l’Istituzione ed organizzazione delle scuole di specializzazione per la professione legale, sottoposto ora al parere di questo consesso.

Perciò non sembra utile ridurre la delega a due sole direzioni. Eppure, se essa, da un lato, introduce una condizione di ammissione al concorso per uditore giudiziario e, dall’altro, scandisce la semplificazione e l’accelerazione della attuale procedura concorsuale, è altrettanto indiscutibile che l’esperienza degli ultimi anni dimostra che l’ingresso in magistratura rappresenta una forte ambizione per un numero crescente di giovani, sostenuta dal bisogno di una preparazione adeguata al dato concorsuale e selettiva; il fenomeno è interessante ed apprezzabile proprio per l’elevata domanda di professionalità.

Dunque, il primo obiettivo - quella della razionalizzazione del concorso - è parziale rispetto alla modifica di un percorso formativo che abbraccia tutte le professioni forensi e specificamente itinerari di conoscenza comune dei momenti della giurisdizione.

Perciò la Scuola di specializzazione, se supera inconvenienti concorsuali, non si identifica in questo obiettivo, perché mira alla reale formazione professionale dei laureati in giurisprudenza, qualunque settore intendano

sperimentare. Essa, perciò, costituisce un connubio felice tra ricerca ed esperienza, tra interpretazione e prassi, tra livello formativo e livello operativo; una scommessa non solo per le Università, anche se questa resta l’anima portante della nuova realtà.

Desta tuttavia seria preoccupazione la filosofia economica della iniziativa, che evidenzia il rischio di un fallimento irreparabile.

Come è stato detto anche dal CUN, la disomogeneità territoriale e le diverse potenzialità organiche ed

organizzative delle Università costituiscono freno ad un opportuno frazionamento territoriale delle scuole; sulle quali, invece, bisogna puntare anche ai fini di un opportuno innalzamento del livello degli studi universitari.

Invero, la disposizione transitoria del comma 2 dell’art. 9 manifesta l’intenzione di un’ulteriore riforma a costo zero, certamente non praticabile. Ancora una volta - e senza retorica - si perde di vista che legalità, professionalità e responsabilità rappresentano oggi l’essenza della democrazia e che la capacità di gestire i suoi costi - anche se elevati - manifesta la volontà democratica di un Paese.

Valutazione delle singole disposizioni.

Il problema dell’accesso alla professione giudiziaria deve essere visto come un primo importante capitolo della costruzione di un profilo socio-culturale del magistrato. Non può essere isolato dalle tematiche relative alle procedure e ai contenuti del reclutamento e della formazione, ad esse è strettamente connesso, anche se ha la sua autonomia.

In attuazione del principio di “semplificazione del concorso per uditore giudiziario” (R. legislativo 17.11.97, n.

398) si prevede che l’accesso venga effettuato anche attraverso il conseguimento del diploma di specializzazione per le professioni legali (art. 2, c. 5). Tale principio appare particolarmente significativo perché prevede un filtro non esclusivamente “selettivo” ma anche, per la prima volta, formativo.

La novità legislativa va dunque vista nel complesso del processo di ridefinizione delle professioni giuridiche e va valutata positivamente per i profili culturali e organizzativi che comporta. In questa prospettiva il parere del C.S.M. sul decreto interministeriale che regolamenta le Scuole di specializzazione è positivo e si articola nel modo qui esposto.

L'art. 2, comma 2 subordina in sede di prima applicazione e di emanazione del decreto di cui all'art. 2, comma 3,lett.

e) del D.P.R. 27.1.1998 n .25, l'erogazione di risorse finanziarie di sostegno delle scuole alla loro "attivazione contestuale in più atenei" in vista di un'uniforme distribuzione su tutto il territorio nazionale.

Pienamente condivisibile è la finalità di garantire uguali opportunità ai giovani laureati, dotati dei necessari requisiti, di frequentare i corsi in zone prossime ai luoghi di residenza o dimora in ogni parte del Paese. S'impone, a tale proposito, un incisivo intervento di programmazione del sistema universitario ai sensi del citato D.P.R. 25/1998 sia con riguardo all'istituzione, soprattutto nei grandi centri, di ulteriori facoltà di giurisprudenza sia con riferimento all'imprescindibile necessità di assicurare una razionale distribuzione delle scuole e dei relativi posti su tutto il territorio nazionale, per scongiurare la concentrazione di corsi solo presso poche università e disfunzioni derivanti da un'organizzazione sommaria non preceduta da un'attenta sperimentazione.

L'art. 3, che disciplina la programmazione degli accessi, deve essere letto alla luce dell'art. 16, comma 5 del d.lgs. n.

398/1997.Tale norma prevede che il numero dei laureati da ammettere alla scuola è determinato con decreto del Ministro dell'Università e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto con il Ministro della Giustizia, in misura non inferiore al dieci per cento del numero complessivo di tutti i laureati in giurisprudenza nel corso dell'anno

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accademico precedente, tenendo conto, altresì, del numero dei magistrati cessati dal servizio a qualunque titolo nell'anno precedente aumentato del venti per cento del numero di posti resisi vacanti nell'organico dei notai del medesimo periodo, del numero di abilitati alla professione forense nel corso del medesimo periodo e degli altri sbocchi professionali da ripartire per ciascuna scuola e delle condizioni di ricettività delle scuole.

Per l'accesso alle scuole è quindi previsto un concorso a numero chiuso, definito annualmente con un criterio molto complesso, che tiene conto delle esigenze di reclutamento delle tre professioni, del numero dei laureati e delle strutture didattiche disponibili.

Valutazioni ancora provvisorie conducono a ipotizzare una soglia di ammissioni annue dell'ordine del 15-20% dei laureati, ossia complessivamente, su base nazionale, circa 3000-3500 laureati all'anno su un totale di circa 19.000 che si è laureato nel 1998.

Peraltro i principi costituzionali secondo i quali l'ammissione alla magistratura avviene per concorso (art. 106, comma1) rendono necessario evitare che l'ammissione alle scuole di specializzazione sia troppo limitata e che tale previsione, abbinata alla selezione che si svolgerà alla fine del biennio (art. 16,comma 7 d.lgs. 398/1997), porti al concorso per la nomina ad uditore giudiziario un numero troppo ristretto di candidati, così finendo con il costituire la vera selezione dei futuri magistrati.

In tale prospettiva e al fine di dare un più chiaro senso precettivo al disposto dell'art. 16, comma 5 del d.lgs. 398/1997 per quanto riguarda gli elementi su cui deve fondarsi la valutazione finalizzata ad individuare il numero dei laureati da ammettere alle scuole sarebbe stato opportuno non operare un mero rinvio al decreto annuale, bensì specificare gli elementi obiettivi e i parametri della determinazione, tenendo conto del fatto che la vera e propria selezione finale deve - per precetto costituzionale - essere quella operata dal concorso o dall'esame di accesso alle tre professioni e non quella effettuata in sede universitaria.

A questo proposito deve essere ribadito quanto affermato nei precedenti pareri del C.S.M. ovverosia che le scuole sono strumenti di formazione e non strumenti per operare la scelta dei futuri magistrati, avvocati, notai. Pertanto il numero degli studenti che dovrebbero ipoteticamente essere ammessi alle scuole, pari, come si è sopra detto, a 3000- 3500 è un numero troppo basso rispetto alle finalità sopra illustrate che sono da ritenere prevalenti rispetto alle esigenze di contenimento degli accessi per non pregiudicare la qualità dei percorsi formativi.

Basti pensare che, in base alla disciplina riformata del concorso per uditore giudiziario, alle prove scritte del

concorso in magistratura viene ammesso un numero di candidati pari a cinque volte quello dei posti messi a concorso, pari mediamente alle 300 unità. Secondo le proiezioni statistiche sin qui elaborate, di coloro che partecipano alla prima prova solo un terzo porta mediamente a termine tutte e tre le prove scritte.

A titolo meramente esemplificativo si citano i seguenti dati riferiti a concorsi che si sono svolti sulla base della precedente normativa:

- al concorso indetto con D.M. 7.10.1995 si sono iscritti 12.780 candidati; alla prima prova scritta se ne sono presentati 4.198; hanno concluso tutte e tre le prove 2.789 candidati; di questi 377 sono stati ammessi agli orali, ma nel frattempo 64 hanno superato il concorso precedente;

- al concorso indetto con D.M. 16.1.1997 i candidati iscritti sono stati 16.727; di essi si sono presentati alla prima prova 7.430; 2414 candidati hanno consegnato tutte e tre le prove scritte.

Dal 1990 in poi il numero dei candidati che ha concluso le tre prove scritte oscilla mediamente tra i 1.200 e i 2.800.

Alle prove orali viene ammesso una percentuale di candidati compresa tra il 10% e il 30% di coloro che hanno consegnato i tre elaborati scritti. Alla conclusione della procedura di concorso il numero dei candidati che superano sia le prove scritte che quelle orali è spesso inferiore a quello dei posti messi a concorso.

Per tutte queste ragioni è opportuna una certa flessibilità nell’ammissione alle scuole di specializzazione.

Nell’ambito dell’art. 3 sarebbe altresì opportuno disciplinare eventuali meccanismi di subingresso per meglio coordinare l’art. 3 del regolamento con l’art. 123 bis del D.L. 17/11/97 n. 398 che opportunamente delinea un duplice sistema preselettivo, uno basato sul conseguimento del diploma di specializzazione per le professioni legali e l’altro sulla prova preselettiva informatica. In questo contesto, qualora un candidato sostenga parallelamente il concorso per l’accesso alla scuola e le prove preselettive informatiche, potrà accadere che, avendo notizia del superamento con esito positivo della prova di preselezione informatica, decida di non proseguire la frequenza della scuola. Un

eventuale meccanismo di subingresso collocato all’inizio dei corsi organizzati dalla scuola potrebbe consentire di non sottrarre una preziosa opportunità ad altri studenti.

Lacunosa appare la normativa laddove non precisa i criteri ed i parametri in base ai quali i posti disponibili saranno distribuiti tra le varie facoltà, singole o consorziate. E’ da ipotizzare che si debbano applicare criteri di proporzione tra il numero dei posti complessivamente programmati per ciascun anno e il numero degli studenti iscritti alle facoltà di giurisprudenza, singole o consorziate, dove sono istituite le scuole.

Per quanto riguarda la restante formulazione dell'art. 3 merita apprezzamento in particolare la previsione del comma 3, laddove stabilisce che gli studenti capaci, meritevoli e privi di mezzi ricevano adeguati sostegni economici mediante esoneri dalle tasse di iscrizione e dai contributi universitari, nonché mediante la concessione di borse di studio.

In base al combinato disposto degli artt. 3, comma 2, e 34, commi 3 e 4, della Costituzione è necessario scongiurare

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il rischio che la disparità di condizioni economiche abbia conseguenze sull'accesso alle scuole dei meno abbienti e che, quindi, si creino i presupposti per una selezione degli aspiranti alle professioni legali fondata sul censo piuttosto che sul merito. Questa esigenza è avvertita in ogni settore, ma assume una particolare valenza per la funzione

giudiziaria che trova nel principio di uguaglianza uno dei suoi valori guida.

Mutuando da alcune esperienze straniere, oltre alle borse di studio, si potrebbe prevedere, un sistema di prestiti a tasso agevolato da rimborsare al momento dell'ingresso nell'attività produttiva.

La piena attuazione del disposto dell’art. 3 del regolamento è fondamentale, perché, nella prospettiva della legge delegata, sarà privilegiato il sistema di accesso al concorso di uditore attraverso le scuole di specializzazione, mentre assumerà rilievo residuale quello consistente nel superamento delle prove di preselezione informatica. Pertanto, ove non si desse piena attuazione alle disposizioni contenute nell’art. 3, non si consentirebbero uguali opportunità di accesso al concorso di uditore giudiziario a tutti gli studenti, a prescindere dalle loro condizioni economiche sociali, e si creerebbero i presupposti per disuguaglianze di fatto.

L'art. 4 contiene un'articolata disciplina dell'ammissione alla scuola, cui si accede per concorso.

E' previsto un unico bando annuale per un numero di posti determinato annualmente con decreto (art. 3, comma 1) secondo la procedura stabilita dall'art. 16,comma 5 del d.lgs. 398/1997.

In coerenza sistematica con quanto previsto dal citato art. 16 il concorso è indetto con decreto del Ministro dell'Università e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto con il Ministro della Giustizia.

La disciplina del primo comma appare carente e incompleta, in quanto non contiene alcun riferimento ai criteri per la ripartizione tra le varie scuole del numero totale dei laureati da ammettere alle scuole stesse. Si tratta, invero, di un elemento essenziale per l'intero funzionamento del sistema, poiché il numero dei posti disponibili presso ciascuna scuola costituisce, in virtù della contestualità delle prove d'esame, il fattore di compensazione della variabilità dei criteri di valutazione delle prove e dei titoli, che avviene in sede locale presso ciascuna struttura.

Il primo comma dell'art. 4 legittima a partecipare al concorso "coloro i quali si sono laureati in giurisprudenza in data anteriore alla prova di esame".

Sarebbe opportuno fissare un termine certo e predeterminato, antecedente rispetto alla data della prova di esame, anche per ovvie ragioni di prevedibilità e di efficienza.

Fonte di notevoli perplessità è l'intera disciplina dei commi 2, 3, 4, 5, 8 di cui s'impone, per ragioni sistematiche, un'analisi unitaria.

Relativamente alla prova di esame fondata sulla "soluzione a 50 quesiti a risposta multipla, di contenuto identico sul territorio nazionale, su argomenti di diritto civile, diritto penale, diritto amministrativo, diritto processuale civile e procedura penale" si osserva che, pur se indubbiamente i quesiti sono suscettibili di criteri oggettivi di valutazione, sarà indispensabile il ricorso a modalità di organizzazione dei quiz tali da scongiurare impostazioni meramente mnemoniche (significativo in tal senso è il divieto di utilizzare i codici durante la prova sancito dall'art. 4, comma 5) e semplice prontezza di riflessi informatici, piuttosto che la capacità di argomentazione tecnico-giuridica.

La disciplina appare lacunosa anche con riguardo all'organo - una commissione di nove esperti designata con decreto del Ministero dell'Università e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto con il Ministero della Giustizia (art. 4, comma 3) - deputato a predisporre i quesiti, in numero di almeno cinquemila, e ad aggiornarli annualmente.

Non sono, infatti, in alcun modo specificati i criteri di composizione della commissione, le competenze professionali dei suoi membri, contenuti e metodologie della sua attività, parametri, criteri, obiettivi cui la stessa dovrebbe ispirare la sua opera.

Analogamente non sono precisati i criteri per una ripartizione dei quesiti tra le cinque materie indicate al comma 2 dell'art.4, per una loro graduazione , per la valutazione delle risposte anche con riferimento al diverso grado di difficoltà dei quesiti stessi.

Inoltre sarebbe opportuno integrare la normativa circa il momento di apertura dei plichi suggellati in sede locale, apertura che, per ovvie ragioni di trasparenza, dovrebbe avvenire contestualmente all'inizio delle prove di esame, conformemente a quanto previsto nei concorsi di magistrato, avvocato, notaio.

Il disposto dell’art. 4, 4° comma, dovrebbe quindi essere, per le ragioni in precedenza esposte, modificato nel senso che dovrebbe contenere la previsione che i quesiti, scelti lo stesso giorno del concorso, possano essere comunicati in sede locale mediante ricorso a procedure informatiche che meglio potrebbero garantire la contestualità e rapidità delle comunicazioni nella data in cui si svolgono le prove di concorso.

In tema di commissione giudicatrice va rilevato il contrasto tra la norma primaria e quella secondaria. L'art. 16, comma 5 del d.lgs. 398/1997 stabilisce, infatti, che nelle commissioni esaminatrici deve essere assicurata la presenza di magistrati, avvocati, notai, mentre l'art. 4, comma 6, dello schema di regolamento interministeriale nell'attuale stesura - sul punto ampiamente modificata rispetto alla precedente che contemplava la presenza di due professori universitari di ruolo, di un magistrato ordinario, di un avvocato, di un notaio - prevede che la commissione giudicatrice del concorso di ammissione sia composta unicamente da cinque professori universitari di ruolo, designati con decreto

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rettorale, e che il presidente della stessa sia il componente con maggiore anzianità di ruolo ovvero, a parità di anzianità di ruolo, il più anziano d'età.

I rilievi formulati a proposito della commissione dei nove esperti di cui all'art.4, comma 3 hanno un immediato riflesso anche per quanto riguarda la valutazione delle prove di esame e dei titoli, disciplinata dall'art. 4, comma 8.

La votazione viene effettuata in sessantesimi; 50 punti sono riservati per la valutazione della prova di esame, cinque per il curriculum degli studi universitari e cinque per il voto di laurea.

La valutazione del curriculum e del voto di laurea dovranno uniformarsi a criteri non meglio precisati elaborati dalla commissione di esperti di cui all'art. 4, comma 3. E’ sicuramente positiva la circostanza che siano predeterminati a livello nazionale e secondo regole generali i criteri di valutazione.

Ciononostante, la mancata precisazione quantomeno dei parametri sui quali saranno modulate tali regole è fonte di gravi perplessità, laddove si consideri che i piani di studio, i voti di esame e quelli di laurea rispondono a criteri di valutazione quanto mai diversificati sul territorio nazionale.

L'art. 5, premesso che la scuola è struttura didattica dell'università, cui contribuiscono le facoltà e i dipartimenti interessati, stabilisce che il suo funzionamento sarà assicurato dai supporti gestionali, logistici, finanziari e di personale dell'università, eventualmente consorziata con altre.

Le possibilità di successo della riforma dipenderanno proprio dall'attuazione di questa norma e, specificamente, dalle risorse umane e finanziarie che saranno messe a disposizione.

E' impensabile che, pur in una prospettiva di ristrutturazione dei corsi delle facoltà di giurisprudenza e di un'eventuale riduzione del numero degli insegnamenti, l'attuale corpo docente possa garantire energie sufficienti per rendere operative le scuole di specializzazione. E’ noto che il rapporto tra docenti e studenti nelle facoltà di giurisprudenza non è idoneo ad una didattica partecipante. Questo comporta che un'eventuale contrazione dei corsi organizzati dalle singole facoltà potrebbe soltanto assicurare un più corretto svolgimento della didattica all'interno delle facoltà stesse, ma non certo rendere disponibile un congruo numero di docenti per le scuole.

D'altra parte esse richiederanno un impegno notevole sia sotto il profilo scientifico che sotto quello didattico-organizzativo, in quanto si tratterà di studiare ed elaborare un delicato equilibrio tra contenuti di

insegnamento teorico e pratico previsti nell’allegato 1 al regolamento in esame, tra l’articolazione degli insegnamenti oggetto del primo anno e quelli del secondo, tra la struttura del biennio e il precedente quadriennio universitario.

Le scuole prevedono la frequenza obbligatoria e la didattica dovrebbe fare perno, oltre che su lezioni tradizionali, soprattutto su seminari, esercitazioni, simulazione di casi, redazione e correzione di pareri e di atti. Tutto questo comporterà un particolare impegno dei docenti. Di conseguenza è auspicabile un intervento del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica il quale doti le università che istituiranno le scuole di

specializzazione dei mezzi necessari per istituire nuovi docenti per ciascun corso biennale di perfezionamento. A tale proposito, e salvo quanto si osserverà in seguito circa il numero degli iscritti, è da evidenziare che, in base all’art. 6 del regolamento, tendenzialmente i singoli insegnamenti avranno un numero di studenti pari a cento, essendo previsto che si proceda comunque allo sdoppiamento soltanto quando il numero degli iscritti è pari o superiore a cento. Anche sotto questo profilo l’impegno dei docenti nelle scuole di specializzazione sarà particolarmente gravoso e sarà ancor più assorbente se si dovrà anche procedere allo sdoppiamento degli insegnamenti.

L’articolo 5, nei commi successivi, prevede per ciascuna scuola la costituzione di un consiglio direttivo composto da dodici membri, di cui sei professori universitari di discipline giuridiche ed economiche designati dal consiglio della facoltà di giurisprudenza, due magistrati ordinari, due avvocati e due notai scelti dal consiglio della facoltà di giurisprudenza nell’ambito di tre rose di quattro nominativi formulate rispettivamente dal C.S.M., dal Consiglio Nazionale forense e dal Consiglio Nazionale del Notariato. Il Consiglio direttivo è nominato con decreto rettorale e dura in carica quattro anni. Il direttore è eletto dal Consiglio stesso tra i professori ordinari di ruolo.

Per quanto concerne la procedura di designazione delineata nei commi 3 e 4 dell’art. 5, si rappresenta la necessità di un maggiore coinvolgimento del C.S.M. nella individuazione dei magistrati deputati a comporre il consiglio direttivo, prevedendosi che gli stessi siano individuati dal C.S.M. in virtù della completezza di elementi di conoscenza e valutazione a sua disposizione e non dai consigli di facoltà. Sarà poi compito del C.S.M. coordinare tale procedura di selezione con i principi sottesi alla risoluzione sul decentramento approvata dal C.S.M. il 20.10.1999.

Particolare rilievo, ai fini della nomina dei magistrati che andranno a comporre il Consiglio direttivo, assumeranno, oltre alle attività svolte nei diversi settori professionali e alle capacità scientifiche, specifiche esperienze formative maturate anche nell’ambito di precedenti collaborazioni con le università, nonché particolari competenze sui temi di ordinamento giudiziario e di deontologia.

La complessa composizione del Consiglio direttivo è l’espressione dell’intera filosofia sottesa all’istituzione delle scuole di specializzazione: la preparazione all’esercizio delle professioni legali classiche deve essere “comune” in una duplice accezione: identico deve essere il percorso formativo e congiunta deve essere l’organizzazione e la gestione dell’insegnamento da parte delle università, della magistratura, dell’avvocatura, del notariato.

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Il C.S.M. condivide questa filosofia e auspica che resti inalterata, alla conclusione degli ulteriori interventi normativi di raccordo con gli sbocchi professionali di avvocato e di notaio, che dovranno assicurare sistemi di accesso tra loro omogenei.

Sotto il primo profilo le scuole dovrebbero assicurare dopo la laurea una prima, ma significativa formazione comune indispensabile per perseguire una comune cultura della giurisdizione, soprattutto presso magistrati e avvocati, per superare atteggiamenti culturali di autoreferenzialità corporativa, per appianare atteggiamenti di antagonismo tra magistrati e avvocati. Un biennio comune di scuola di specializzazione post-universitaria potrà favorire una più approfondita comune percezione dei valori e dei principi del processo, dei diritti e delle garanzie del cittadino, del ruolo del diritto e della legalità. E’ questa forse l’unica via per favorire e diffondere nelle due categorie l’attitudine a rispettare l’altrui punto di vista e a cogliere la essenziale complementarietà dei ruoli e delle rispettive culture con conseguente reciproco arricchimento attraverso un confronto dialettico e razionale.

Sotto il profilo della gestione, della programmazione e della organizzazione delle attività didattiche, di competenza del consiglio direttivo ai sensi dell’art. 5, comma.6, il contributo pluralistico delle diverse competenze all’interno del consiglio direttivo potrà garantire il perseguimento e l’attuazione dei molteplici obiettivi sottesi alla scelta di

formazione comune dei laureati in giurisprudenza orientati ad impegnarsi nell’attività giurisdizionale, forense, o notarile.

E’ auspicabile che il regolamento chiarisca, in ogni caso in cui fa generico riferimento a docenti universitari, a quali delle specifiche fasce nelle quali oggi si articola la docenza universitaria le varie disposizioni si riferiscono.

Ai sensi dell’art. 6, l’attuazione delle attività didattiche programmate dal consiglio direttivo sarà assicurata da docenti dell’università, in conformità con i princìpi enunciati nell’art. 5 comma. 1, nonché da magistrati ordinari,

amministrativi e contabili, da notai ed avvocati, anche cessati dall’ufficio o dal servizio da non più di cinque anni, a seguito della stipula di contratti di diritto privato di durata annuale.

La norma costituisce il logico sviluppo dei princìpi enunciati nell’art. 5 in precedenza illustrato. Invero la

metodologia didattica che dovrà essere applicata implica la compresenza e la proficua collaborazione tra le diverse competenze professionali, ciascuna delle quali è necessaria per la completa formazione professionale del giurista.

I dati quantitativi, in precedenza analizzati a proposito dell’ipotizzabile numero degli iscritti, induce a ritenere che il corpo docente universitario non sarebbe da solo sufficiente per soddisfare tutti i bisogni formativi, tenuto conto anche del fatto che tra le materie di insegnamento elencate nell’allegato 1 del regolamento sono ricomprese tematiche (deontologia, ordinamento giudiziario) rispetto alle quali gli apporti professionali di magistrati, avvocati, notai possono rivelarsi utili, tenuto conto della necessaria interrelazione di esperienze professionali indispensabili per il raggiungimento dell’obiettivo.

L’esperienza maturata in questi anni anche all’interno della struttura di formazione organizzata dal C.S.M. dimostra che vi sono, all’interno delle diverse categorie professionali, personalità non solo dotate di elevata cultura giuridica, ma provviste di spiccate capacità didattiche e stimolate dalla passione per l’insegnamento e per la formazione dei giovani giuristi. In questa prospettiva il problema della selezione dei docenti delle diverse categorie si rivelerà decisivo per la migliore riuscita della didattica. Qualche perplessità suscita la previsione di una eventuale

collaborazione da parte di soggetti che siano cessati dall’ufficio da non più di cinque anni, avuto riguardo agli attuali limiti di età di pensionamento dei magistrati ordinari e alla gravosità dell’impegno richiesto.

Sarebbe utile prevedere forme di valutazione della didattica, da parte degli allievi, al fine di raccogliere ogni loro utile osservazione, suggerimento, contributo in ordine alle metodologie didattiche e ai contenuti.

Fonte di perplessità è la previsione, contenuta nell’art. 6, co.2, che le classi siano costituite da cento studenti e che lo sdoppiamento del corso con conseguente nomina di più docenti per il medesimo insegnamento possa verificarsi soltanto quando il numero degli iscritti sia pari o superiore a cento.

L’esperienza maturata in questi anni dal C.S.M., in particolar modo nel settore riservato alla formazione degli uditori, consente di affermare che la didattica può essere realmente incisiva e attiva e coinvolgere realmente soltanto nei casi in cui i gruppi di lavoro siano più contenuti in modo da assicurare l’effettiva partecipazione e il contributo di idee di tutti i presenti. Numeri elevati come quelli previsti nell’art. 6 comma. 2 sembrano maggiormente compatibili con una impostazione didattica di tipo tradizionale e non interattiva. Si dovrebbe quindi pensare, soprattutto nelle università in cui sia disponibile un maggior numero di professori per il medesimo insegnamento, ad un diverso rapporto numerico docente-studente allo scopo di perseguire le finalità in precedenza indicate.

In questa ottica sembra opportuna la previsione, contenuta nell’art. 6 comma. 3, di un servizio di “tutorato” affidato, previa stipula di appositi contratti di diritto privato, anche a magistrati ordinari, amministrativi e contabili, ad avvocati e notai. Attraverso questa strada potrebbe essere assicurata un’attività di formazione riservata a gruppi più ristretti e quindi sicuramente più efficace ed incisiva.

L’art. 7, contenuto nel capo terzo del regolamento riservato all’ordinamento didattico, disciplina il piano degli studi delle scuole.

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Il corso post laurea ha durata biennale ed è articolato in un anno comune e nei successivi distinti indirizzi giudiziario- forense e notarile della durata di un ulteriore anno ciascuno.

L’ordinamento didattico è definito mediante l’indicazione dei contenuti minimi qualificanti l’indirizzo comune delle professioni legali e quelli successivi specifici.

In particolare l’indirizzo comune ricomprende le seguenti “aree e connessi settori scientifico-disciplinari”:

approfondimenti teorici e giurisprudenziali e attività pratiche in materia di diritto civile, diritto processuale civile, diritto processuale penale, diritto penale, diritto commerciale, diritto amministrativo, fondamenti del diritto europeo e diritto delle comunità europee, diritto del lavoro e della previdenza sociale, nonché elementi di informatica giuridica, di contabilità di stato e degli enti pubblici, di economia e contabilità industriale.

A sua volta, l’indirizzo giudiziario forense comprende approfondimenti disciplinari e attività pratiche nelle materie oggetto delle prove concorsuali per uditore giudiziario e dell’esame di accesso all’avvocatura secondo la normativa vigente, tenuto conto del percorso formativo e del livello di preparazione degli studenti, nonché nelle altre materie oggetto del primo anno, nel diritto ecclesiastico, nel campo della deontologia giudiziaria e forense, dell’ordinamento giudiziario e forense, della tecnica della comunicazione e dell’argomentazione.

Preliminarmente si osserva che per il settore giudiziario forense sarebbe opportuna una più armonica articolazione didattica nell’ambito dei due anni di corso, soprattutto se si ritiene che la finalità delle scuole di specializzazione sia quella di insegnare al futuro giurista il metodo del ragionamento giuridico, la capacità di argomentare, l’attitudine ad inquadrare dal punto di vista sistematico le singole questioni. L’elencazione delle materie indicate nell’allegato 1) del regolamento, allo stato attuale della disciplina dell’ordinamento didattico, sembra eccessiva, in quanto

sostanzialmente ripercorre quasi tutte le principali materie giuridiche oggetto di insegnamento nei quattro anni di università. Questa sorta di enciclopedismo rischia di vanificare gli obiettivi formativi della scuola in precedenza illustrati. Sarebbe, quindi, opportuna una riduzione delle materie di insegnamento ad un numero minore e più realistico tale da consentire uno studio approfondito sia dal punto di vista teorico sia mediante un’adeguata sperimentazione pratica degli insegnamenti propri delle singole professioni, approfondimento aperto anche alle problematiche poste dall’emergere del diritto speciale. Sarebbe forse ambizioso e fuorviante rispetto agli scopi della formazione ipotizzare, in questa fase, che possano essere considerati come “contenuti minimi qualificanti” dei corsi materie come la contabilità di stato e degli enti pubblici, di economia e contabilità industriale che possono più opportunamente essere trattati in un momento successivo, come ad esempio il periodo di tirocinio dell’uditore giudiziario.

Qualora si volesse mantenere l’elencazione delle materie oggetto di insegnamento, difficilmente comprensibile sarebbe l’esclusione del diritto internazionale e del diritto costituzionale, su cui verte la prova orale del concorso per uditore giudiziario, nonché del diritto tributario e del diritto comparato.

La dettagliata elencazione delle materie tradisce una non condivisibile concezione del ruolo delle scuole che non è quello di una immediata professionalizzazione, strada che a seconda delle preferenze e delle opportunità potrà essere perseguita al termine del biennio. Prima di scegliere la futura professione, il giurista ha bisogno di avere ricevuto una solida preparazione professionalizzante post laurea che gli consenta una rigorosa ricostruzione dei principi e degli istituti giuridici.

Assai rilevante, invece, è il tema dell’educazione deontologica ricompresa nei programmi, in quanto lo studente, oltre a conoscere norme e consuetudini, deve recepire i princìpi di etica professionale che stanno alla base di molti comportamenti solo apparentemente “tecnici” del giurista. Anche da questo punto di vista è importante che i futuri giuristi possano confrontarsi con le regole giuridiche e le scelte etiche di entrambe le professioni, che abbiano avuto modo di approfondirle nel periodo della loro formazione anche al fine di orientare più consapevolmente le loro scelte. Tutto questo esplicherà positivi riflessi anche in tema di giudizio delle attitudini, in quanto solo un’attenta valutazione compiuta in concreto nell’esercizio di attività in tutto simili a quelle del futuro professionista permette allo studente e a chi ne cura la formazione di comprendere ed apprezzare le specifiche inclinazioni. In altri termini, lo scopo delle scuole forensi, attraverso le prove intermedie e il giudizio finale è anche quello di accertare il possesso di caratteristiche che possono suggerire al futuro diplomato un percorso professionale a preferenza di un altro.

La didattica si articola, ai sensi dell’art. 7, commi 5 e 6, in lezioni teoriche ed attività pratiche quali esercitazioni, discussione e simulazione di casi, stages e tirocini, discussione pubblica di temi, atti giudiziari, sentenze e pareri redatti dagli allievi.

Le ore di insegnamento, ripartite nei mesi da ottobre ad aprile, debbono ammontare almeno a 500 l’anno, di cui almeno il 50% dedicato alle attività pratiche, con un limite massimo di 100 ore per stages e tirocini, che possono proseguire anche dopo il mese di aprile e svolgersi anche presso studi professionali, scuole del notariato e sedi giudiziarie. Il passaggio dal primo al secondo anno di corso e l’ammissione all’esame di diploma sono subordinati al giudizio favorevole del consiglio direttivo sulla base della valutazione complessiva dell’esito delle verifiche intermedie relative alle varie attività didattiche espletate. In caso di giudizio sfavorevole, lo studente potrà ripetere l’anno di corso una sola volta (art. 7 comma 3).

A giudizio del C.S.M. e nel pieno rispetto dell’autonomia didattica delle università, dovrà essere riservata una particolare attenzione al contemperamento tra esigenze di formazione teorica e stages e tirocini presso strutture esterne allo scopo di privilegiare, da un lato, lo studio e l’approfondimento teorico attraverso forme di didattica attiva

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e, dall'altro, di stimolare gli studenti ad una concreta verifica degli insegnamenti ricevuti.

La normativa contenuta nell’art. 7 dovrebbe essere integrata prevedendo che lo svolgimento della attività didattica presso uffici giudiziari sia preventivamente concertata non solo con i singoli uffici giudiziari, ma anche con i consigli giudiziari, previa eventuale emanazione di direttive di carattere generale da parte del C.S.M. al fine di assicurare uniformità di impostazione e uguali opportunità agli studenti e di individuare linee di elaborazione culturale che possano essere poi utilmente sfruttate nelle successive tappe della formazione del giurista.

L’art. 8 stabilisce che il diploma di specializzazione è conferito a seguito del superamento di una prova finale consistente in una dissertazione scritta su argomenti interdisciplinari con giudizio espresso in settantesimi. La commissione esaminatrice, nominata dal consiglio direttivo della scuola, è composta da sette membri di cui quattro professori universitari, un magistrato ordinario, un avvocato e un notaio.

La norma appare lacunosa, sia per quanto attiene alle modalità, alle forme, ai tempi di designazione della commissione esaminatrice, alle eventuali incompatibilità tra il ruolo di docente nel corso biennale e quello di esaminatore, sia per quanto riguarda i criteri di scelta degli argomenti interdisciplinari su cui deve vertere la dissertazione e ai parametri della valutazione.

La norma appare ulteriormente imprecisa laddove non specifica il rapporto che a fini valutativi deve intercorrere tra i giudizi positivi delle verifiche intermedie relative alle diverse attività didattiche (art. 7 co. 3) e il risultato finale.

L’art. 9) contiene disposizioni transitorie e finali. Il primo comma costituisce una norma di rinvio, richiamando l’applicazione, in quanto compatibili e per quanto non previsto, delle disposizioni di cui al D.P.R. 10.3.1982 n. 162 e successive modificazioni e integrazioni (norme in materia di riordinamento delle scuole dirette a fini speciali, delle scuole di specializzazione e dei corsi di perfezionamento).

Il secondo comma del medesimo articolo contiene una disciplina transitoria riguardante la prima applicazione del regolamento in attesa della predisposizione dei quesiti da parte dell’apposita commissione di nove esperti ai sensi dell’art. 4, commi 3 e 4. In particolare si stabilisce che, in deroga alle disposizioni di cui al citato articolo 4, commi 3 e 4, la commissione di esperti predisponga tre elaborati costituiti da cinquanta quesiti ciascuno tra i quali è

sorteggiato l’elaborato per la prova di esame.

Si richiamano a questo proposito le considerazioni in precedenza svolte circa la necessità di una predisposizione dei quiz finalizzata a verificare l’effettiva preparazione e capacità dello studente, piuttosto che le sue capacità memoniche e le sue sole attitudini informatiche.

Considerazioni finali

Va ribadito che, pur con i limiti posti in evidenza e pur trattandosi di un primo passaggio verso una più ampia ridefinizione dei meccanismi della formazione del magistrato, lo schema di regolamento presenta degli elementi innovativi. Su essi il giudizio è sicuramente positivo, soprattutto avuto riguardo a tre profili sostanziali.

a. Il primo attiene ad un atteso cambiamento nei meccanismi dell’accesso che si sposterebbe da forme del tutto privatistiche verso una organizzazione pubblica. E’ noto come in questi anni ci sia stato un monopolio di scuole del tutto private tenute il più delle volte da magistrati che hanno realizzato un filtro verso l’accesso tutto strumentale al concorso da affrontare. Del resto questa era stata la preoccupazione cui aveva voluto rispondere la Bassanini. In termini di trasmissione del sapere e di costruzione delle figure professionali del magistrato questo ha prodotto un certo casualismo e un certo spontaneismo. La necessità già da tempo avvertita dal Consiglio Superiore della Magistratura di una solida politica della formazione, e non soltanto di meccanismi di aggiornamento tecnico dei magistrati, rientrava già nei tentativi di rimediare a inconvenienti di tal genere. Questo è ovviamente dipeso dal fatto che dalla laurea in poi non vi è stata alcuna attenzione al profilo culturale e professionale del magistrato e che tutto è stato rimesso ad una preparazione privata e libresca dei candidati al concorso.

Quindi, affidare questa fase della formazione del giurista a strutture pubbliche come le Università ha l’indubbio vantaggio di pensare in uno spazio culturale diverso, se non altro visibile, i temi importanti dell’accesso e della cultura del reclutamento.

b. Il secondo profilo positivo attiene al modello pluralista della formazione tanto dal lato dell’offerta quanto dal lato della domanda. Il pluralismo riguarda non soltanto la presenza di figure diverse di docente inserito nell’attività didattica, studiosi, giudici, notai, avvocati, i quali sono portatori di culture e interessi plurali, ma riguarda anche le diverse figure di discenti (magistrati, avvocati, notai) destinatari dei programmi formativi per l’accesso. Si può realizzare così pluralismo culturale all’interno di un modello di unitarietà della giurisdizione. La stessa compresenza nel corso del primo anno della scuola di studenti che sono destinati a carriere diverse può aiutare a costruire modelli di interazione giudiziaria meno conflittuali. Tutto questo non può avvenire in forme privatistiche di accesso come quelle esistenti, dove i tirocini rivolti alle professioni di avvocato e notaio avvengono nel chiuso e geloso spazio individuale degli studi professionali. E’ peraltro noto quali siano i problemi più volte denunciati della formazione “a

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bottega” degli aspiranti avvocati e notai e quanta conflittualità abbiano sempre registrato.

c. Il terzo profilo ha riguardo allo specifico curriculum didattico e ai profili contenutistici dell’insegnamento impartito nelle scuole di specializzazione, previsti nell’All. 1 (articolo 7, comma 2) del Regolamento Ministeriale in oggetto. Si tratta ovviamente di uno scheletro programmatico generale che ha il vantaggio di rendere uniforme in tutte le università il progetto didattico, ma all’interno del quale modalità, contenuti e articolazioni non possono che essere lasciati all’autonomia delle Scuole e alla libertà di insegnamento dei docenti. Il modello che i due anni previsti viene articolando, pur con qualche perplessità, sembra decisamente innovativo e interessante.

Innanzitutto positivo appare il tentativo di tenere sempre insieme il profilo teorico (forse sarebbe più appropriato parlare di profilo dogmatico-concettuale) che approfondisce la dimensione sistematica e interpretativa (law in books), e quello pratico-applicativo che vede orientare il suo sguardo sul diritto in azione (law in action) come esso prende corpo nei comportamenti giudiziari e nei singoli sottosistemi giuridici. Qui va però fatta una precisazione:

appare mancante nella previsione comune del primo anno una esplicita indicazione di materie costituzionalistiche e, ancor più, una curvatura comparatistica che, come è noto, diventa sempre più rilevante man mano che si erodono gli spazi esclusivi della sovranità statuale e si costruiscono spazi giudiziari sempre più comuni a comunità statuali diverse (il tema delle globalizzazioni e delle uniformizzazioni delle prassi giuridiche investirà sempre di più gli ambiti giudiziari tradizionali).

Un auspicio da formulare è che nella concreta articolazione della didattica ci siano sempre più “ibridazioni

disciplinari” tra materie curriculari diverse. Tali ibridazioni dovrebbero articolare soprattutto seminari applicativi e attività pratiche intorno a temi che coinvolgano preferibilmente aspetti pluridisciplinari; questo aiuterebbe la iniziale formazione a orientarsi in questo sempre più spinto processo di ridefinizione degli ambiti disciplinari interni ed esterni al sistema giuridico che vediamo progressivamente disegnarsi. Le interferenze con l’economia sono, da questo punto di vista, importanti ma forse non tali da giustificare tanta enfasi sulla presenza di insegnamenti come contabilità di Stato e degli enti locali, economia e contabilità industriale. Conoscere i bilanci aziendali può essere un’importante attività di supporto del civilista, o meglio, di chi si occupa del societario, e del penalista, ma non tale da richiedere previsione di insegnamenti istituzionali, soprattutto se si tiene presente l’assenza di previsione di tante altre materie che potrebbero essere rilevanti non soltanto ai fini del concorso, ma soprattutto ai fini della formazione culturale e professionale: si potrebbe pensare alla “teoria generale del diritto” e alla “teoria generale delle norme”, che sono insegnamenti diversi da “filosofia del diritto”, quasi del tutto assenti dai piani di studio della facoltà di giurisprudenza e che studiano i problemi dell’efficacia, della validità, effettività, della legittimità delle norme (e che sono problemi con una forte ricaduta tecnica); ma si potrebbe pensare anche all’introduzione di materie sociologiche che potrebbero aiutare a capire come funzionano sistemi sociali concreti su cui incide l’attività giudiziaria (si pensi alla mafia, alla famiglia, all’emarginazione, alla composizione e cultura dei ceti professionali e molti altri).

Anche per quanto riguarda il secondo anno, mirato alla specializzazione giudiziario-forense, va fatta qualche breve riflessione. Va ribadito il giudizio complessivamente positivo sulla previsione dell’approfondimento tematico disciplinare nelle materie e con le modalità previste nel primo anno e sulla presenza di materie come la deontologia (il termine andrebbe sostituito con “deontica”, ma si tratta di nomi) e l’ordinamento giudiziario troppo spesso assente dalle facoltà di giurisprudenza. Perplessità vanno invece espresse sulle materie indicate in allegato come “tecnica della comunicazione e dell’argomentazione”. Si sa che la tecnica della comunicazione, ormai di moda, ha invaso il lessico, ma una certa depurazione del linguaggio sarebbe necessaria; innanzitutto quello della comunicazione e quello dell’argomentazione non sono piani omogenei. La prima, intesa come tecnica espressiva, o è strumento capace di produrre efficacia persuasiva dei messaggi linguistici rivolti al consenso o è semplice struttura di un meccanismo dialogante (a meno che non si pensi, ma è improbabile, alle forme dell’etica della comunicazione). In ogni caso essa è estranea alla comunicazione giuridica in maniera costitutiva orientata universalisticamente e sempre per definizione lontana da logiche di “consenso”. La seconda, invece, è insieme di pratiche linguistiche che attuano precetti logici rivolti a giustificare assunti o a individuare decisioni corrette. Attiene alla logica, in questo caso, “giuridica” e rientra nella competenza degli attori giuridici che devono motivare ogni loro atto sulla base del ragionamento e non del capriccio decisionale. Per questo non va dissociata da quell’insieme di conoscenze che abbiamo indicato come “teoria generale del diritto” e “teoria generale delle norme” e va invece riconnessa non a tecniche della comunicazione, ma allo studio di quell’insieme di pratiche linguistiche che nella cultura “realistica” va sotto il nome di judicial behavior.

Questa prospettiva sarebbe di un certo interesse nella formazione delle carriere professionali dell’avvocato e del magistrato dove contano, oltre che competenze tecnico-formali, anche comportamenti concreti nell’interazione processuale. Trattandosi di formazione comune alle due figure questa materia, che si potrebbe chiamare “sistemi di argomentazione giuridica” o, più genericamente, “procedimento giudiziario”, sarebbe un concreto strumento di formazione ai compiti comuni della giurisdizione.

Sarebbe altresì opportuna l’introduzione curriculare delle discipline comparatistiche (sia macro che

microsistematiche, queste ultime specialmente in ambito privatistico), la cui mancanza rischia di risolversi in una grave carenza di prospettive culturali e metodologiche ed in un ostacolo all’indispensabile formazione in senso europeo di ogni giurista (sia teorico che pratico) moderno.

Queste valutazioni positive si inquadrano peraltro in un contesto che vede ancora non compiutamente risolto il

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problema della valenza del diploma.

Per gli aspiranti magistrati il diploma della scuola forense costituirà in futuro, dopo il regime transitorio, condizione per presentarsi al concorso per uditore giudiziario.

Per quanto concerne gli aspiranti avvocati l’articolo 17, comma 114, della Legge n. 127 del 1997 si limita a prevedere che il diploma sia semplicemente titolo valutabile ai fini del computo del periodo di pratica. Non è quindi chiaro se la frequenza biennale con esito positivo della scuola di specializzazione dovrà essere integralmente computata ai fini del periodo di pratica, lo sostituirà soltanto in parte o se semplicemente il diploma della scuola forense costituirà il presupposto per il successivo periodo di pratica. Non è neppure allo stato precisato se l’esame (anche riformato) verrà mantenuto per tutti gli aspiranti avvocati o se il diploma rilasciato dalle scuole, eventualmente integrato con l’attestazione positiva di un periodo di pratica, preventivo o successivo, da svolgersi presso uno studio professionale sostituirà l’esame di stato e costituirà, perciò, titolo direttamente abilitante alla professione di avvocato.

Analoghe considerazioni valgono per gli aspiranti notai.

In questa sede si ritiene opportuno accennare a questa problematica, poiché le diverse soluzioni che saranno adottate avranno immediato riflesso sulla frequenza delle scuole da parte dei futuri giuristi e, quindi, sulla effettiva

composizione pluralistica delle stesse, quale momento di effettiva formazione comune di magistrati, avvocati, notai.

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