• Non ci sono risultati.

Sulle spalle di Gigante: Eschilo e Quasimodo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Sulle spalle di Gigante: Eschilo e Quasimodo"

Copied!
7
0
0

Testo completo

(1)

PePPe Gallato*

L’influenza di Eschilo nella poesia di Salvatore Quasimodo è stata già scandagliata da Marcello Gigante nel volume L’ultimo Quasimodo e la poesia greca (1970). In questa attenta disamina della presenza eschilea nei testi quasimodiani mancano però alcuni richiami del poeta al tragediografo.

Allo studio di Gigante vengono dunque integrati qui nuovi riferimenti, alla luce dei quali potranno essere reinterpretati anche i passi individuati dal filologo. Si vedrà allora che per Quasimodo Eschilo non è solo un modello letterario, ma una figura in cui riconoscersi e quasi immedesimarsi.

Aeschylus’ influence on Quasimodo’s poetry has has been thoroughly investigated by Marcello Gigante in his volume L’ultimo Quasimodo e la poesia greca (1970). In Gigante’s careful examination, some of the Quasimodo’s references to Aeschylus are still missing. In this work I integrate the other references to Aeschylus in Quasimodo’s texts, in whose light we can read and re-interpret even the extracts found by Gigante. Aeschylus won’t be just a literary model, but a figure in which Quasimodo recognize and identify himself.

«Eschilo fu il vertice più alto dell’itinerario di Quasimodo traduttore»: così Marcello Gigan- te riassumeva quanto detto nel primo capitolo del suo saggio L’ultimo Quasimodo e la poesia greca1. L’intera sezione è dedicata al tragediografo e non a caso precede quelli dedicati a Omero e ai Lirici, agli autori dell’Antologia Palatina, a Leonida di Taranto: Gigante coglie e mette su- bito in evidenza il ruolo predominante dell’influenza di Eschilo nella poesia di Quasimodo.

Il filologo comincia la sua disamina a partire dal componimento scritto da Quasimodo in visita ad Eleusi (1956), in cui il poeta cita testualmente la sua traduzione dalle Coefore (v. 338 «che c’è di bene, / che c’è privo di male?»)2; passa poi all’immagine del «piede straniero sopra il cuore» dal celebre carme Alle fronde dei salici in Giorno dopo giorno (1947), in cui vede l’influenza di Coefore, vv. 641-645 («il timore di Zeus è calpestato / col piede sulla terra»)3;

* Università degli Studi della Campania ’Luigi Vanvitelli’ - DiLBeC (peppe.gallato@unicampania.it)

1. GiGante 1970, p. 23. Altri contributi del filologo su Quasimodo e l’influenza della cultura greca nella sua poesia sono in GiGante 1989 e GiGante 1996. Per un approfondimento invece sul rapporto che Quasimodo ebbe da spet- tatore (e critico) con il teatro greco si veda Cannatà Fera 2019.

2. Da La terra impareggiabile (1955-1958). Per le citazioni dalle poesie di Quasimodo si fa riferimento a Finzi 1971; per le Coefore Quasimodo 1949. Sul viaggio di Quasimodo in Grecia: GhiCopoulos 2003.

3. Un’immagine simile è già nei Lirici (All’amico d’un tempo, da Archiloco: «e poi mi camminasti sopra il cuore»;

(2)

per arrivare a ipotizzare la spinta che Eschilo deve aver dato alla conversione della poesia di Quasimodo verso l’impegno civile4. Infine conclude sulla citazione del nome di Eschilo in una poesia di ambientazione gelese, che per Gigante si fa «riconosciuta orgogliosa eredità di gran- dezza» (A un poeta nemico: «[...] Là Eschilo esule / misurò versi e passi sconsolati»)5.

Su quanto tracciato dal filologo, si proverà qui ad approfondire alcuni aspetti, aggiungendo nuovi riferimenti6.

Partiamo dalla prefazione alle Coefore7, per la quale è necessaria una constatazione prelimi- nare: Quasimodo scrive pochissime prefazioni alle traduzioni e tutte solo ad opere a lui partico- larmente vicine8. Nel caso specifico delle tragedie9, l’unica a cui il poeta appone una prefazione è proprio quella eschilea. E l’unicum dovrebbe già richiamare la nostra attenzione10. Addentran- doci nel testo, Quasimodo ci dice che Eschilo era sembrato arcaico ai suoi contemporanei

per quella ricerca di sintesi che spinge talvolta il poeta a «segnare» un verso intero con una sola parola composta, per quell’amore alla geometria, alla costruzione di una forma esatta che gli desse l’idea dell’in- corruttibile, dell’eterno [p. 8].

Il sospetto qui è che il poeta-traduttore in realtà stia parlando di sé stesso, o meglio della sua ricerca poetica (vuole avvicinare Eschilo alle sue categorie): quella «ricerca di sintesi» e quella

«geometria alla costruzione di una forma esatta» su cui Quasimodo stesso aveva già modellato la sua poesia11. E ancora:

Ma i contemporanei di Eschilo [...] non potevano amare questo canto che portava sulla scena l’uo- mo «nuovo» ubbidiente alle leggi primitive del sangue, alla tradizione religiosa, ma già pensoso e che già dubita che si possa raggiungere una giustizia pacificatrice con il «jus cruoris» [p. 8].

lorenzini 2004, p. 163).

4. «Quando Quasimodo da poeta della parola divenne poeta civile, non dimenticò la poesia eschilea» così ancora GiGante 1996, p. 432.

5. GiGante 1970, p. 19. La poesia è da Il falso e vero verde (1949-1955). Quasimodo visse da ramingo gli anni d’infanzia (il padre era ferroviere e costretto a spostamenti continui per tutta l’isola) e dal 1907 al 1909 frequentò le scuole elementari proprio a Gela (mauro 2020a, p. XVIII).

6. Non si darà conto in questa sede delle occorrenze di Eschilo in ambito critico o giornalistico (recensioni di spet- tacoli teatrali o articoli), di cui, per completezza, si riporta solo un indice: Quasimodo 1961, pp. 28, 94, 98, 101, 386; Finzi 1977, p. 69.

7. Quasimodo 1949, pp. 7-11.

8. Per quanto riguarda i testi antichi tradotti, Quasimodo appone le prefazioni solo ai Lirici, Virgilio, Eschilo e al Vangelo secondo Giovanni (tutte in Quasimodo 1967, pp. 79-106). Una tetrade certamente non casuale: i Lirici furono un vero e proprio terremoto culturale (lorenzini 2004, pp. 221-275; tatasCiore 2018); Virgilio è un autore che Quasimodo sente talmente vicino da usarlo come pseudonimo nelle lettere alle donne amate (Cumani, Alera- mo; su Virgilio in Quasimodo: tondo 1976, pp. 57-60; sulle traduzioni virgiliane: Galatà 2020); il Vangelo è un momento spirituale fondamentale e fondante del poeta (BarBara 2019; mauro 2020b).

9. Edipo Re (Quasimodo 1947), Coefore, Elettra (Quasimodo 1955), Ecuba (Quasimodo 1963), Eracle (Quasimodo

1966). I primi 168 versi di Medea, incompiuta, sono editi postumi in musolino 1990.

10. Il saggio su Ecuba (Quasimodo 1967, pp. 90-102), non è una prefazione al testo, ma un articolo per la rivista dell’INDA (Quasimodo 1962; la tragedia non era stata tradotta per la lettura ma per la messa in scena a Siracusa).

11. maCrì 1986, pp. 46-49, 192. Non sarà superfluo ricordare che Quasimodo dal 1926 al 1938 è stato geometra al Genio Civile (mauro 2020a, pp. XXII-XXVI); sono poi numerosi i riferimenti alla geometria anche in con- testi biografici («Ritorna allo stesso fuoco di partenza il tuo corpo dentro un’ellisse quando si anima per la danza. […] questa tua geometria io seguivo con attenzione»; lettera a M. Cumani del 14/07/1938, Quasimodo 1973, p. 117).

(3)

L’«uomo nuovo» di Eschilo è lo stesso uomo da «rifare» protagonista della svolta di stampo civile di Quasimodo, di cui si dà una sorta di manifesto in Poesia Contemporanea (1946)12:

[…] l’impegno del poeta è ancora più grave, perché deve «rifare» l’uomo, quest’uomo disperso sulla terra, del quale conosce i più oscuri pensieri, quest’uomo che giustifica il male come una necessità [...] quest’uo- mo che aspetta il perdono evangelico tenendo in tasca le mani sporche di sangue. […] Rifare l’uomo, questo è l’impegno.

Dopo gli anni di barbarie della tremenda guerra appena terminata, la poesia non può più esimersi dalla sua missione salvifica per l’uomo, per creare un uomo nuovo. L’uomo rifatto dalla poesia di Quasimodo è l’uomo «nuovo» di Eschilo: un uomo legato ancora alle leggi del sangue, ma che vacilla e ha bisogno (e desiderio) di una redenzione. Oreste, per Quasimodo, è assolto dal poeta Eschilo di fronte al passo più empio, il matricidio («già pensoso e che già dubita»).

È la poesia che deve salvare l’uomo, perché la poesia è nel divino e «dà la verità»13.

E proprio nel rapporto tra Eschilo, la sua poesia e il divino, Quasimodo fa un ulteriore sforzo di assimilazione del tragediografo alle proprie categorie poetiche, quando, sempre nella prefa- zione, afferma che «Eschilo non può chiarire ai suoi contemporanei il mistero della sua anima precristiana» (p. 10). Leggere Eschilo in seno alla cristianità non fa altro che confermare la volontà di Quasimodo di portare il tragediografo verso la propria dimensione poetica14.

Ancora nella prefazione alle Coefore, Quasimodo si concentra, generosamente e diffusa- mente, su un aspetto della biografia e della fortuna di Eschilo in apparenza secondario:

Nel 499 Eschilo partecipa per la prima volta ai concorsi tragici, ma soltanto dopo quindici anni (484) la sua opera avrà un riconoscimento ufficiale. Lunghi anni di pena [p. 8]. La sua parola non è capita, la densità del suo sentimento sfugge al popolo, il suo stile è avversato [p. 9]. Eschilo è stato poco amato dalla Grecia, la sua sintassi, la sua «arcaicità» ha inasprito i filologi di tutti i tempi, soltanto i poeti potevano rileggerlo e valutarne la grandezza [p. 11].

Le ultime righe possono essere interpretate come un topos apologetico da traduttore15, ma ciò non giustifica del tutto i passi precedenti. In realtà, anche qui, Quasimodo sta rileggendo sé stesso attraverso Eschilo; sente cioè una particolare vicinanza al tragediografo non solo sul piano poetico, ma anche su quello biografico (e vuole metterlo in evidenza). È noto infatti che il siciliano si sentirà osteggiato dai colleghi poeti per tutta la vita, dagli esordi fino a quando la sua fama è già ben affermata16.

12. Quasimodo 1967, p. 24. Cfr. tondo 1970, p. 70 e Granese 2003, p. 95. Tra i due testi c’è anche una vicinanza temporale: il manifesto di poetica è del 1946; la traduzione delle Coefore uscirà nel 1949, ma in una lettera a Val- gimigli del 25/02/1946 Quasimodo dice di averla già compiuta (Benedetto – GreGGi – nuti 2012, p. 106).

13. Quasimodo 1967, p.104.

14. La rilettura di Eschilo in chiave cristiana e te(le)ologica è alimentata dalla vicinanza cronologica con la tradu- zione del Vangelo (1945). Il poeta deve aver sentito in qualche modo i due testi molto vicini se in Traduzioni dai classici (1945) arriva ad affermare che «il problema di Eschilo è soltanto poetico (la sua morale, certo, si risolve implicitamente); stavamo per dire: è un testo sacro» (Quasimodo 1967, p. 112). Di contro, nella prefazione al Vangelo, Quasimodo va anche nella direzione complementare: «la “durata” di Gesù è quella della tragedia greca»

(Quasimodo 1967, p. 106; su questo sincretismo: maCrì 1986, pp 177-178).

15. Così Condello 2005, p 85: «è l’approccio consueto al traduttore: dalla denuncia di un preteso [...] oblio, sino al tema, [...] dellarilettura. Oὐδὲν πρός Αἰσχύλον , naturalmente, né sul piano della ricostruzione storica, né su quello […] di una resa». Il fatto però che non c’entri davvero nulla con Eschilo potrebbe, ancora una volta, indicare altro.

16. Solo alcuni esempi: «Capasso […] cerca di diminuire il mio valore. […] ma quanto tempo passerà ancora perché mi si faccia un po’ di giustizia?» (lettera a Susini, 13/12/1935; musolino 2002, p. 30); «oggi i poeti si muovono fra coltelli» (D’annunzio e noi, 1939; Quasimodo 1967, p. 180); «i nemici cedono al mio nome (lettera

(4)

E la vis polemica nei confronti dei contemporanei non è esternata solo negli scritti privati.

Nel già citato epigramma A un poeta nemico l’invettiva contro un «poeta del nord» serve da pretesto per agganciarsi ad una continuità ideale proprio con Eschilo:

Su la sabbia di Gela colore della paglia mi stendevo fanciullo in riva al mare antico di Grecia con molti sogni nei pugni stretti e nel petto. Là Eschilo esule

misurò versi e passi sconsolati [vv. 1-5].

Una «riconosciuta orgogliosa eredità di lotta e di grandezza» l’aveva definita Gigante, come abbiamo visto. Ma questa grandiosa eredità, ostentata contro la piccolezza del poeta nemico, può arricchirsi di nuove sfumature semantiche se riletta attraverso il filtro delle altre occorrenze eschilee.

V’è dunque da sottolineare, arrivati a questo punto, che in tutta l’opera poetica di Quasi- modo Eschilo è uno dei pochissimi nomi di autori citati, l’unico ripetuto più di una volta: ben tre in tre differenti poesie; quattro se consideriamo anche la citazione paratestuale in esergo a La terra impareggiabile (1955-1958; «Dico che i morti uccidono i vivi», Coefore, v. 886)17. Questo epigramma è allora il primo di un trittico di poesie solo apparentemente distanti tra loro.

E a guardar bene è strutturalmente connesso al secondo componimento di questo trittico ideale, Eleusi, che si conclude con:

Là Eschilo parlava a Ecate lunare:

Che c’è di bene,

che c’è privo di male? [vv. 14-16]

Abbiamo già osservato, con Gigante, che la citazione nel corsivo d’autore è tratta dalla tra- duzione quasimodiana delle parole di Elettra nelle Coefore (v. 338). Ma c’è un ulteriore aspetto a cui prestare attenzione e che ci riporta all’epigramma A un poeta nemico: la ripetizione del sintagma (quasi un’anafora a distanza) in cui compare il nome di Eschilo, incasellato nelle co- ordinate spazio-temporali dalla deissi dell’avverbio «là» immediatamente precedente al nome in entrambe le poesie. Nel primo componimento Eschilo è presentato alla fine della sua vita, a Gela, luogo invece d’infanzia (e quindi d’inizio) di Quasimodo, che si pone quindi in una linea di successione rispetto al greco. Ma la formularità del sintagma ci rimanda alla poesia di Eleusi:

e in questo caso quello di Quasimodo non sembra un semplice saluto in terra greca, se il sicilia- no prima autocita il sintagma formulare, poi usa le sue stesse parole, quelle cioè della sua tradu- zione dalle Coefore, per ricordare il tragediografo. La voce di Eschilo si confonde con quella del poeta-traduttore. La deissi spazio-temporale da una parte e la semi-autocitazione dalle Coefore dall’altra sembrano riportare il poeta stesso nel passato, ad una vita precedente18.

a M. Cumani, 5/08/1939; Quasimodo 1973, p. 141); «poveri fiorentini che avevano tentato perfino di non farmi pubblicare» (lettera a Pugliatti, 21/06/1947; miliGi 1988, p. 82); «dai miei amici non ho raccolto che odi, ire e menzogne» (lettera a Macrì, 24/01/1956; maCrì 1986, p. 379). Note sono anche le polemiche nel mondo letterario italiano all’indomani del Nobel (1959): si veda palumBo 1998, p. 76. Nel «poeta del nord» di A un poeta nemico sarebbe da riconoscervi addirittura Eugenio Montale.

17. Ripresa poi nel discorso per il Nobel: Quasimodo 1967, p. 73.

18. I misteri eleusini non furono immuni da reinterpretazioni in seno all’orfismo (sCarpi 2002, p. 349). Non si può dunque escludere che Quasimodo, accennando ai riti di Eleusi, non abbia voluto ammiccare, in sede poetica, a una tale suggestione. La poesia fa parte del ciclo Dalla Grecia, in cui il tempo mitico/storico e quello contemporaneo dei luoghi visitati sono continuamente giustapposti con effetto straniante (mauro 2020a, p. 558). D’altra parte

(5)

L’identificazione con il tragediografo raggiunge l’acme nell’ultima poesia di questo trittico eschileo, Dalle rive del Balaton (Dare e avere, 1959-1965), assente nella rassegna di Gigante19:

A Balatonfüred un giovane tiglio porta il mio nome. Si allargano a cuore le foglie lungo le rive lontane

dalla patria. Ogni anno il mio amico Szabó (dicevo a lui una notte sul Danubio i versi del greco Diodoro di Sardi su Eschilo che riposa vicino alle bianche acque del siculo Gela per invidia degli uomini di Atene) quando viene l’estate mi ricorda dal suo lago i miei giorni di Ungheria [vv. 1-11].

Cresce il tiglio nei suoi fogli di verde lunario.

[…]un altoparlante improvvisamente vuoto di suoni

dirà il mio nome libero dall’al di là. [vv. 14-21]

Non è certamente casuale che in un contesto in cui Quasimodo parla della sua eredità, quella cioè legata al suo nome e all’immortalità dello stesso («il mio nome libero dall’al di là»), lon- tano dalla sua patria, si richiami in modo esplicito l’esilio di Eschilo a Gela. Il pensiero corre immediatamente all’epigramma A un poeta nemico. Ma, in questa terza poesia, Quasimodo si compiace di assimilare la sua eredità a quella del tragediografo greco non più seguendo una li- nea di successione temporale, bensì giustapponendola, quasi a confondere, ancora una volta, le due figure. Il motivo che fa da collante è quello, appunto, dell’esilio. Quasimodo non è stato mai esiliato, ma si è sempre sentito un esiliato20. Eschilo è in esilio a Gela «per invidia degli uomini d’Atene»21: il poeta insiste sul leitmotiv della prefazione alle Coefore, cioè sulle invidie dei coevi nei confronti del tragediografo. Da qui torniamo quindi, ancora una volta, alle invidie subìte da Quasimodo da parte dei suoi contemporanei. Parlando delle invidie degli ateniesi nei confronti di Eschilo, Quasimodo parla ancora di sé.

Il cerchio sembra allora chiudersi. Gigante aveva già percepito la centralità di Eschilo nella poetica di Quasimodo rispetto agli altri autori tradotti. Ma arricchendo quanto già tracciato dal filologo, la figura di Eschilo all’interno della poetica del siciliano sembra accogliere nuovi significati. Quasimodo non era estraneo ad una certa mitizzazione del proprio vissuto, e famosa è la narrazione che faceva di sé come di un poeta siculo-greco. Immerso in questo contesto po- ietico mitico-biografico, il poeta tenta di avvicinare Eschilo alle proprie categorie, per arrivare,

Quasimodo era solito mitizzare la narrazione autobiografica: «arduo distinguere, nel suo raccontare, realtà da mito […]. Anche per questo […] affermava di essere nato a Siracusa [Quasimodo nasce a Modica, oggi in provincia di Ragusa ma all’epoca in provincia di Siracusa, ndr], tentando di confermare così, abbastanza ingenuamente, il suo mito di siculo greco» (Finzi 1971, p. LXXXIX).

19. La poesia fa riferimento al tiglio piantato da Quasimodo nel ’61 a Balatonfüred, Ungheria, in un parco vicino alla clinica in cui era stato ricoverato: mauro 2020a, p. 566.

20. maCrì 1986, pp. 112-113.

21. La citazione è quasi letterale da Diodoro, AP VII - 40 (Quasimodo 1958), che Quasimodo riporta, parlando appunto di invidia, già nello scritto dedicato a Brunetto Latini del 1947 (Quasimodo. 1967, p. 160) «[...] qui riposa il grande Eschilo / […] vicino alle bianche acque / del siculo Gela. […] / Che feroce invidia nutrono sempre / i Teseidi per gli uomini migliori!».

(6)

in sede creativa, quasi ad un’immedesimazione con la sua figura. Quasimodo non si sente solo l’anello di una tradizione ma gioca a confondere le due identità, a congiungere le due voci in un monodico e continuato canto siculo-greco.

AbbreviAzionibibliogrAfiche

Benedetto - GreGGi - nuti 2012 = Lirici greci e lirici nuovi. Lettere e documenti di Manara Valgimigli, Luciano Anceschi e Salvatore Quasimodo, a cura di G. Benedetto, R. Greggi, A.

Nuti, Bologna 2012.

BarBara 2019 = m. a. Barbara, “Quasimodo e il Vangelo di Giovanni. Problemi e suggestioni”, in Atene e Roma XIII, 3-4: 318-336.

Cannatà Fera 2019 = m. Cannatà Fera, “Tra Siracusa e Vicenza. Quasimodo critico del teatro greco”, in Atene e Roma XIII, 3-4: 303-317.

Condello 2005 = F. Condello, “Quasimodo, Pasolini, Sanguineti: appunti per tre Coefore”, in Dioniso 4, 2005: 94-113.

Finzi 1971 = S. Quasimodo, Poesie e discorsi sulla poesia, a cura di G. Finzi, Milano 1971.

Finzi 1977 = S. Quasimodo, ’’A colpo omicida’’ e altri scritti, a cura di G. Finzi, Milano 1977.

Galatà 2020 = F. Galatà, Il Virgilio di Quasimodo: traduzione e poesia, Messina 2020

GhiCopoulos 2003 = F. Ghicopoulos, “Quasimodo colpito dal dardo di Apollo”, in Rivista di letteratura italiana XXI, 2003: 79-83.

GiGante 1970 = M. Gigante, L’ultimo Quasimodo e la poesia greca, Napoli 1970.

GiGante 1989 = M. Gigante, “Quasimodo, l’antico e la madre”, in Letteratura e storia meridionale.

Studi offerti a Aldo Vallone, Firenze 1989: 689-703.

GiGante 1996 = m. Gigante, “La grecità nella poesia di Quasimodo”, in L’incidenza dell’antico.

Studi in memoria di Ettore Lepore III, 1996: 425-443.

Granese 2003 = A. Granese, “L’inferno della violenza nelle dissonanze di Quasimodo”, in Rivista di letteratura italiana XXI, 2003: 85-95.

lorenzini 2004 = S. Quasimodo, Lirici greci, a cura di N. Lorenzini, Milano 2004.

maCrì 1986 = O. Macrì, La poesia di Quasimodo, Palermo 1986.

mauro 2020a = S. Quasimodo, Tutte le poesie, a cura di C. Mauro, Milano 2020.

mauro 2020b = C. Mauro, “Religiosità di Quasimodo”, in Trame di Parole. Studi in memoria di Clara Borrelli, Napoli 2020.

miliGi 1988 = S. Quasimodo, S. Pugliatti, Carteggio, a cura di G. Miligi, Milano 1988.

musolino 1990 = G. Musolino, “Un manoscritto inedito di Salvatore Quasimodo”, in Quaderni quasimodiani I, 1990: 103-114.

musolino 2002 = S. Quasimodo, I poeti devono soffrire, a cura di G. Musolino, Rovereto 2002.

palumBo 1998 = S. Palumbo, “Cari poeti nemici miei”, in Poesia XI, 122, 1988: 76-77.

(7)

Quasimodo 1945 = Il Vangelo secondo Giovanni, Milano 1945.

Quasimodo 1947 = Sofocle, Edipo re, Milano 1947.

Quasimodo 1949 = Eschilo, Coefore, Milano 1949.

Quasimodo 1954 = Sofocle, Elettra, Milano 1954.

Quasimodo 1958 = Fiore dell’Antologia Palatina, Parma 1958.

Quasimodo 1961 = S. Quasimodo, Scritti sul teatro, Milano 1961.

Quasimodo 1962 = S. Quasimodo, “Ecuba”, in Dioniso XXV, 3-4, 1962: 89-97.

Quasimodo 1963 = Euripide, Ecuba, Milano 1963.

Quasimodo 1966 = Euripide, Eracle, Milano 1966.

Quasimodo 1967 = S. Quasimodo, Il poeta e il politico e altri saggi, Milano 1967.

Quasimodo 1973 = S. Quasimodo, Lettere d’amore a Maria Cumani, Milano 1973.

sCarpi 2002 = P. Scarpi, Le religioni dei misteri, vol. I, Milano 2002.

tatasCiore 2018 = E. Tatasciore, “Ancora sui Lirici greci di Quasimodo”, in Soglie XX, 2-3, 2018: 42-103.

tondo 1976 = M. Tondo, Salvatore Quasimodo, Milano 1976.

Riferimenti

Documenti correlati

La Aletti Editore indice il primo ed unico Premio Internazionale Salvatore Quasimodo,Premio Nobel per la letteratura, riservato ai testi editi e3. inediti di Poesia,

Base cartografica: RIPRESA AEREA ICE 2009-2011 (ombreggiato) da DTM Lidar, risoluzione griglia

E’ ancora il cardinale Scola in un’intervista sulla cosiddetta “nuova laicità” ad argomentare in favore del diritto morale della maggioranza: “Lo Stato

I testi qui raccolti seguono un percorso ideale, attorno alla nozione di soggetto e al suo costrutto teorico e didattico, che muove per così dire dalla fonte (le defini- zioni

È quanto si propone di fare attraverso rari fil- mati, alcuni inediti, e le numerose testimonianze il nuovo documentario «Sulla pelle della terra» di Marco Rossitti, che sarà

Per il rientro in comunità occorrerà attendere la guarigione clinica (cioè la totale assenza di sintomi). La conferma di avvenuta guarigione prevede l’effettuazione di due tamponi

150/2009 che dispone che le amministrazioni pubbliche redigano e pubblichino sul sito istituzionale ogni anno un documento denominato “Relazione sulla performance”

TALAMANCA MARIO, Conventio e stipulatio, in Atti del Convegno di Diritto Romano - Siena 14-15 aprile 1989, pubb.. TALAMANCA MARIO, Istituzioni di Diritto Romano, Milano 1990,