• Non ci sono risultati.

BIOETICA CATTOLICA E BIOETICA LAICA I due paradigmi dominanti

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "BIOETICA CATTOLICA E BIOETICA LAICA I due paradigmi dominanti"

Copied!
10
0
0

Testo completo

(1)

CAPITOLO 2

BIOETICA CATTOLICA E BIOETICA LAICA I due paradigmi dominanti

Scrive Giovanni Fornero:

E’ proprio vero che oggigiorno, in bioetica, si è tutti ‘laici’? O non è più giusto affermare che tra bioetica ‘cattolica’ e bioetica ‘laica’ esiste una differenza di fondo, di cui, prima di ogni eventuale dialogo, si tratta di prendere atto? E, ammessa tale diversità, quali sono i presupposti teorici e filosofici che la spiegano e che rendono problematico ogni tentativo di mediazione?1

Tema specifico di questo capitolo è la differenza tra bioetica cattolica e bioetica laica. In un periodo in cui ci sono cattolici che sembrano parlare da laici e laici che sembrano discorrere da cattolici, giungendo talvolta al punto da negare l’esistenza stessa di tale differenza, noi riteniamo indispensabile soffermarsi a riflettere a riguardo dei rispettivi paradigmi, tornando a mostrare che essa si basa su due diverse visioni del mondo, incarnate rispettivamente dalle dottrine della

“qualità” e “sacralità della vita” e, più in generale, dalle dottrine della “disponibilità” e

“indisponibilità” della vita.

Come ammesso nel capitolo precedente, la negazione di tale differenza non può che generarsi nel contesto di un atteggiamento dogmatico e antifilosofico tipico di coloro che si credono in possesso della “Verità” che, in una visione della bioetica pluralista e rispettosa delle posizioni altrui, riteniamo sempre e comunque dannoso e da evitare.

Alla luce di ciò, in questo capitolo presenteremo, in maniera assai generale e il più possibile

“imparziale”, le rispettive posizioni, le quali emergeranno piuttosto chiaramente negli argomenti che andremo a illustrare nei capitoli successivi.

1 Fornero G., Bioetica cattolica e bioetica laica, cit., p.40.

(2)

La bioetica cattolica della “sacralità della vita”

di Dario Consoli

1. La bioetica cattolica e il suo paradigma filosofico

Sebbene nel dibattito bioetico (al pari di quello etico) si possano trovare innumerevoli posizioni e sfumature, è possibile ravvisare – come dicevamo – due grandi modelli teorici intorno ai quali si polarizza il dibattito americano ed europeo. Ciascuno di questi due modelli si rifà ad una diversa concezione filosofica del mondo.

Qui ci occuperemo di quello che è stato definito il modello della “sacralità della vita”

(sanctity of Life) e che è il paradigma teorico della bioetica cattolica, mentre più avanti affronteremo quello della bioetica laica della “qualità della vita” (quality of Life).

Il fatto stesso di identificare e definire una bioetica cattolica è stato oggetto di discussioni, soprattutto da parte di quegli autori che proprio tale posizione esprimono. Ritenendo tale

“etichetta” come screditante e riduttiva, essi preferiscono richiamarsi ad una filosofia e a una bioetica “personalista”. In realtà questa definizione, in mancanza di ulteriori specificazioni, appare troppo vaga, in quanto in filosofia esistono svariate forme di personalismi, che si differenziano in modo marcato. Vedremo più avanti di che tipo di personalismo si tratta e di come la nozione di persona in questione – senz'altro centrale all'interno della bioetica cattolica – non possa essere separata del tutto, tanto dal punto di vista storico che teorico, dalla dottrina etica della Chiesa.

Con “bioetica cattolica della sacralità della vita” intendiamo la forma di bioetica in cui si riconoscono la Chiesa di Roma e gli studiosi che ne condividono le posizioni, professata pubblicamente attraverso documenti e interventi ufficiali.

Tale bioetica non si esaurisce in un richiamo al dogma, ma presenta piuttosto svariate valenze “filosofiche” e presenta come sostrato un determinato paradigma teorico. Questo paradigma è costituito appunto dalla teoria della sacralità della vita, ossia «da quella peculiare dottrina etico-metafisica che, sulla scorta di un impianto concettuale di matrice greco-scolastica e di una visione finalistico-provvidenzialistica del mondo, scorge nella vita umana (ovvero nella persona in cui essa si concretizza) una realtà ontologico-assiologica meritevole di “assoluto rispetto”»2.

Dal punto di vista formale la bioetica cattolica della sacralità della vita si presenta come un deontologismo con divieti autoevidenti ed assoluti, cioè che valgono per tutti e in tutte le circostanze, semper et pro semper. Essi dunque non ammettono – per definizione - alcuna eccezione. Con un'immagine molto efficace, possiamo dire che «il divieto assoluto è come un bicchiere di cristallo che non sopporta incrinature: o resta intatto o si sbriciola in mille pezzi»3.

Questi principi sono ordinati secondo una rigida gerarchia – per cui nel caso due principi vengano a collidere uno di questi prevale, senza alcuno spazio di interpretazione – al vertice della quale si situa il principio della santità della vita, con i divieti che essa comporta. Questo deontologismo “rigido” arriva ad informare il comportamento anche in sede politica-giuridica, al punto da affermare - senza d'altra parte arrivare a sostenere la completa corrispondenza tra la sfera dell'etica e quella del diritto - che qualsiasi legge che attenti a quel bene fondamentale che è la vita non può essere considerata legittima. Così si esprime ad esempio il pontefice nell'enciclica Evangelium vitae: «quando una legge civile legittima l'aborto o l'eutanasia cessa, per ciò stesso, di essere una vera legge civile, moralmente obbligante»4.

Passeremo ora ad analizzare questo paradigma dal punto di vista filosofico.

2 Ivi, p.27.

3 M. Mori, L'etica della qualità della vita e la natura della bioetica, in “Rivista di filosofia”, 1, 2001, pp. 153- 175: 166.

4 Evangelium vitae, p.72.

(3)

2. L'articolazione teorica del paradigma della sacralità della vita

Il paradigma della sacralità della vita si presenta come una costruzione articolata, incentrata su quel “bene fondamentale” che è la vita, considerata come precondizione di qualsiasi altro bene. E' importante precisare che per vita si intende sempre e solo vita umana, l'individuo come persona, considerato dal punto di vista metafisico come unità di spirito e corpo e come essere creato “a immagine e somiglianza di Dio”. D'altra parte la vita umana finisce per coincidere con l'esistenza come persona, per cui la vita umana è sacra in quanto l'uomo è una persona.

Possiamo condensare in alcune caratteristiche peculiari la definizione di vita per la bioetica cattolica.

Esse sono:

1.la creaturalità;

2.l'indisponibilità;

3.l'inviolabilità.

Innanzi tutto l'uomo viene concepito come creatura di Dio, a sua immagine e somiglianza.

La vita è dunque concepita come “splendido dono di Dio” e la sua sacralità è una sacralità partecipata, in virtù della origine divina e della vocazione trascendente della vita umana. È la relazionalità al Creatore che fonda il valore oggettivo della dignità della persona, meritevole di

“assoluto rispetto”. L'uomo riceve la sua essenza ed esistenza da Dio, e questa relazione fa si che la vita , al di là delle contingenze e delle sue diverse connotazioni, sia di per sé sempre un bene.

Vita semper bonum est.

La vita è dunque concepita come dono e proprietà del creatore, frutto di una volontà totalmente e imperscrutabilmente gratuita. In questo senso l'uomo può limitarsi ad accoglierla come un dono e come un compito ricevuto, senza che egli ne abbia un possesso arbitrale e possa disporne a piacimento. La vita è un dono di cui Dio rimane l'unico signore, colui che mantiene la decisione ultima sulla vita e sulla morte.

Per questo non si può parlare semplicemente ed esclusivamente di un tentativo di limitare l'autonomia del paziente, in quanto per la dottrina cattolica nessuno può disporre della vita umana: tanto il paziente stesso quanto i familiari, il medico, il rappresentante legale, lo Stato. La decisione sulla vita è sottratta all'arbitrio umano.

Proprio a partire dalla dicotomia tra disponibilità e indisponibilità della vita si marca in modo più definito e generale la polarizzazione tra teoria della sacralità e della qualità della vita.

Ed è proprio su questo scoglio che ci si scontra, ogni qual volta si affrontino casi cruciali che riguardino la liceità dell'intervento dell'uomo sulla propria o altrui vita.

Dai due principi precedenti – ossia dalla concezione dell'esistenza come realtà strutturalmente relazionata a Dio – segue il principio dell'assoluta inviolabilità della vita. In quanto dono e proprietà di Dio la vita umana è inviolabile. Questo principio fonda il divieto morale di uccidere e il diritto di veder tutelata la propria persona. Esso implica dunque in positivo la norma dell'accoglienza e del rispetto della vita e, in negativo, il rifiuto della sua menomazione o soppressione.

Il personalismo ontologico che abbiamo tratteggiato (la vita umana è in quanto tale esistenza come persona) ispira il “metodo triangolare” di cui parla il più importante bioeticista cattolico:

Elio Sgreccia. Con esso egli intende basare sul dialogo tra biologia, antropologia ed etica, una prassi capace di distinguere diversi livelli di analisi: descrittivo, valutativo, applicativo.

A partire dal dato sperimentale, dall'esposizione del dato biomedico nella sua interezza, si passa ad analizzare i valori chiamati in causa in relazione alla vita umana considerata nello specifico quadro antropologico, per poi arrivare alle specifiche indicazioni di tipo etico. In

(4)

questo senso appare chiaro come non si consideri possibile prescindere da una specifica definizione della natura dell'uomo – da una determinata antropologia filosofica – per articolare precetti, divieti, soluzioni relative ai problemi etici. Che cosa l'uomo sia, questo appare l'indubitabile punto di partenza per le scelte etiche. L'uomo non è il prodotto casuale dell'evoluzione di stati di aggregazione di materia, ma il risultato di un'idea di Dio. Egli è portatore di una verità indubitabile e e di un ordinamento naturale, e in quanto tale razionale e divino.

3. Legge “naturale” e “legge eterna”

L'idea di una natura ontologica dell'uomo è inserita nell'idea più generale di un piano divino del mondo che si riflette nell'ordine naturale del creato. Questa idea di un ordine metafisico- naturale delle cose si concretizza sul piano normativo in precetti che indicano di agire in conformità delle finalità naturali e in divieti che proibiscono di ostacolare tali finalità.

Così riassume Fornero:

1.È lecito l'intervento medico che favorisca lo sviluppo naturale della vita di una persona (intervento seconda natura); ad esempio medicinali, interventi chirurgici.

2.È illecito ogni intervento che si opponga allo sviluppo naturale della vita di una persona (intervento contro natura); ad esempio aborto, eutanasia.

3.È illecito ogni comportamento difforme dalle modalità che la natura umana indica per conseguire tale sviluppo (intervento innaturale); ad esempio fecondazione in vitro.5

Secondo la dottrina cattolica dunque la volontà divina si manifesta, oltre che nella scrittura, nell'ordine della natura. Inoltre esiste un'istituzione, la Chiesa, storicamente deputata all'interpretazione di questa volontà e alla sua custodia. In questo insegnamento si sostiene:

1.L'esistenza di un piano intelligente delle cose, che si concretizza in un ordine naturale immutabile, manifesto sia nell'universo sia negli organismi che ne fanno parte;

2.La conoscibilità, per mezzo della ragione, di tale ordine;

3.l'equazione fra “ordine della natura” e “piano provvidenziale” di Dio.6

La natura qui intesa non è un dato opaco - un fatto bruto privo di significatività intrinseca, puro oggetto della misurazione scientifica - ma piuttosto una natura interpretata in senso finalistico e mediata dal dato antropologico. La natura umana in questione è quella di persona nell'unità di spirito e corpo. Così Sgreccia, riprendendo l'insegnamento del Magistero: «in ogni persona si riassume il tutto del mondo e il senso del cosmo, e si giustifica l'organizzazione sociale e lo stesso ordine giuridico»7.

4. Casi paradigmatici

Da questa breve panoramica si dovrebbe capire come la teoria della sacralità della vita sia un sistema coerente ed articolato, per cui non è possibile rinunciare ad alcune assunzioni senza privare di senso le posizioni etiche sostenute. Anche quando queste ultime appaiono lontane dal senso comune (e dal comportamento dei fedeli), in realtà sarebbe erroneo considerarle espressione di un ipermoralismo tradizionalista e conservatore. Esse sono invece conseguenza logica di un paradigma razionalmente giustificato e organizzato.

Analizziamo brevemente alcuni casi emblematici.

5 Fornero, op. cit., p.40.

6 Ivi, p. 38.

7 E. Sgreccia, Bioetica. Manuale per medici e biologi, Vita e Pensiero, Milano 1986, p.83.

(5)

L'atteggiamento della Chiesa cattolica riguardo alla masturbazione è ad esempio quello di disapprovazione senza condizioni in quanto è considerata «un atto intrinsecamente e gravemente disordinato»8 nel quale il godimento sessuale è ricercato fuori dall'ordine sessuale naturale, che vede il piacere come un elemento all'interno di un rapporto d'amore con una persona dell'altro sesso e come finalizzato alla procreazione umana.

Dalla necessità dell'iscrizione del piacere e del rapporto sessuale all'interno di una relazione moralmente ordinata, fondata su di «una vera complementarità affettiva e sessuale»9, segue inoltre che anche gli atti omosessuali sono considerati come «intrinsecamente disordinati» e

«contrari alla legge naturale»10. Di conseguenza per la Chiesa nessuno di questi due atteggiamenti può essere approvato.

Per quanto riguarda il divieto morale dell'uso della contraccezione, si tratta in questo caso del rispetto della connessione necessaria tra mezzi naturali e fini naturali. Abbiamo visto come il rapporto sessuale tra due persone, all'interno di una relazione di condivisione e amore, sia concepito come finalizzato alla procreazione. Ostacolare questa finalità naturale si configura quindi come un atto contro l'ordine morale divino. Così anche la fecondazione assistita – espressione, in questo senso, della ricerca di mezzi non naturali e non congrui rispetto ai fini che si propone – è considerata intrinsecamente illecita, in quanto con essa si tenterebbe di aggirare il modo previsto da Dio per mettere al mondo dei figli. Essa violerebbe il cosiddetto principio di inscindibilità, ossia «la connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l'uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell'atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo»11.

È dunque importante ribadire come la procreazione – ad esempio – non sia vista come fine in sé, ma vada sempre ricondotto all'ordinamento naturale, espressione della razionalità creatrice.

La centralità della vita, la sua sacralità come principio insuperabile è ribadita anche in quei casi “cruciali” che spesso «dividono le coscienze». La difesa della vita e il divieto di interromperla, ostacolarla o menomarla in qualsiasi modo, precedono qualsiasi valutazione sul contesto e sulle specifiche circostanze, così come il calcolo delle conseguenze e le considerazioni che derivano dall'eventuale interazione con altri beni, principi, divieti - come ad esempio il rischio di salute per la donna che porta avanti la gravidanza o considerazioni economiche o sociali, o ancora posizioni sulle condizioni di coscienza minime necessarie affinché una vita sia considerata un'esistenza degna di essere vissuta.

Questa visione appare chiaramente nelle posizioni cattoliche riguardo all'interruzione di gravidanza – nella molteplicità di specifiche situazioni che si possono verificare – e riguardo alla sospensione volontaria di cure e trattamenti vitali, tanto nel caso di una richiesta comprovata e durevole da parte di un paziente grave di sospendere le cure e di essere accompagnato ad una morte con meno sofferenza possibile (eutanasia), quanto nel caso si abbia a che fare con dichiarazioni specifiche sul comportamento richiesto in caso di situazioni di perdita permanente della coscienza (è il caso del cosiddetto testamento biologico, ovvero delle direzioni anticipate di fine vita).

La vita è un bene che precede qualsiasi altro bene, perché «per essere liberi bisogna essere vivi», e le considerazioni sulla qualità della vita – sebbene possano rivestire un certo valore all'interno delle scelte etiche – non possono d'altra parte essere determinanti al punto da decidere se una vita sia o no degna di essere vissuta. Qualsiasi forma essa abbia, essa rimane sempre e comunque una vita umana, la vita di una persona, dono e proprietà del Creatore.

8 Persona humana, 9.

9 Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2357, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999, p. 624.

10 Ibid.

11 Humanae vitae, 12.

(6)

Bibliografia

G. Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica, Bruno Mondadori, Milano 2005.

M. Mori, L'etica della qualità della vita e la natura della bioetica, in “Rivista di filosofia”, 1, 2001.

E. Sgreccia, Bioetica. Manuale per medici e biologi, Vita e Pensiero, Milano 1986.

S. Congregazione per la Dottrina della Fede, Persona humana, 1975.

Encicliche papali riguardanti temi bioetici:

- Evangelium vitae, 1995, Giovanni Paolo II.

- Humanae vitae, 1968, Paolo VI.

Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2357, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999.

(7)

La bioetica laica: il paradigma della qualità della vita

di Luca Nave

Se la bioetica cattolica è un paradigma piuttosto circoscritto che fa riferimento alla dottrina sostenuta dal Magistero della Chiesa e dai documenti ufficiali del Pontefice, la bioetica laica, pur includendo alcune “famiglie di teorie” riconducibili a una koinè laica (come l’utilitarismo, il contrattualismo, il principalismo, l’etica della virtù o dei diritti, ecc.), non è così circoscritta o

“chiara e distinta”, perché non è chiaro e distinto il significato del termine “laico”. Tale mancanza di chiarezza genera numerosi equivoci, tra cui quello più lampante che emerge qualora consideriamo che diversi esponenti della dottrina della sacralità vita affermano di essere laici e che esiste solo la loro bioetica laica, nel senso che vengono utilizzate forme di ragionamento filosofico che non farebbero riferimento ad alcuna Autorità di fede. “La laicità – scrivono alcuni autori riconducibili al paradigma della sacralità della vita - è un metodo del filosofare, come tale attuabile e attuato anche dal credente”. 12

Pur senza voler penetrare all’interno della distinzione tra una laicità debole e una laicità forte, crediamo di poter ammettere che quando in bioetica si fa riferimento alla dottrina della

“qualità della vita” quale alternativa alla “sacralità”, si intende il termine laico quale sinonimo di un atteggiamento o di un modo di ragionare-argomentare riconducibile alla nota affermazione di Grozio: etsi Deus non daretur. La laicità è riconducibile alla visione del mondo di coloro che

«ragionano fuori dall’ipotesi di Dio e da ogni fede o metafisica di matrice religiosa» ovvero che

«non si sentono vincolati ad alcun magistero che non sia quello della retta ragione»13.

Eliminiamo un altro equivoco: essere laici non significa essere necessariamente atei o agnostici ma, in ambito bioetico o politico, vuol dire ragionare e argomentare come se Dio non ci fosse, senza cioè tenere conto né della possibile esistenza-volontà di Dio, né del progetto divino sulla vita con funzione normativa. Ci sono alcuni credenti (ad esempio Engelhardt che ha scritto un ampio Manuale di Bioetica di stampo chiaramente laico) che, pur credendo in Dio, lo ritengono filosoficamente indimostrabile, e quindi auspicano la sua estromissione dai discorsi bioetici e politici in senso lato. “Anche il credente può essere laico, purché sia rigoroso nel tener fermo che la vita pubblica deve essere informata al principio etsi Deus non daretur”14.

Crediamo lapidarie le parole di Norberto Bobbio a tal proposito: «Uno stato laico, in quanto non confessionale, non è né religioso né ateo, né cristiano né non cristiano»15, da cui segue che l’imposizione «delle verità di Dio non possono diventare le verità di una democrazia»16.

Per comprendere la visione di coloro che abbracciano una posizione laica in bioetica crediamo assai utile fare riferimento alla dottrina degli “stranieri morali” sostenuta da Engelhardt: tale dottrina sostiene che viviamo in una società chiaramente multi-culturale e multi- religiosa, caratterizzata da una postmoderna e multi-prospettica pluralità di narrazioni morali e religiose, che rende impossibile pretendere di possedere una Verità che sia valida per tutti e in tutte le circostanze. Da ciò segue la necessità di elaborare dei principi e delle norme etiche che devono valere per tutti e non solo per una parte della società o per una determinata comunità morale-religiosa: solo così una bioetica può essere davvero pluralista e rispettosa dei diversi punti di vista o delle diverse visioni del mondo delle persone, e solo così uno stato può essere realmente democratico.

12 Fornero, op. cit., p. 69.

13 Scarpelli, op. cit., p. 67.

14 P. Flores D’Arcais, Intervista, in Laicità. Domande e risposte in 38 interviste (1988 – 2003), a cura del Comitato Torinese per la laicità della scuola, Claudiana, Torino, 2003, p. 179.

15 N. Bobbio, Intervista, in Laicità, op. cit., p. 54.

16 M. Charlesworth, L’etica della vita. I dilemmi della bioetica in una società liberale, Donzelli, Roma, 1996, p. 8.

(8)

Per intendere la nozione di “qualità della vita” che viene posta a fondamento della bioetica laica quale alternativa a quella cattolica della sacralità della vita, possiamo fare riferimento a una frase di Aristotele ripresa da Seneca: «Non è un bene il vivere ma il vivere bene». 17

Mentre un tempo ogni vita poteva essere considerata un bene in sé ed era denotata di assoluto valore (dottrina del vitalismo), con l’avanzamento delle conoscenze e delle pratiche bio- mediche ci si è resi conto che si possono verificare condizioni in cui la vita non si rivela essere il massimo dei beni. In alternativa alla “retorica dottrina dell’identico valore di ogni vita umana”18, i laici sostengono l’esistenza di condizioni infernali in terra, in cui la persona ammalata ritiene preferibile la morte alla vita, desidera lasciare questa vita in quanto la considera, per sé, indegna di essere vissuta. Il caso di Piergiorgio Welby crediamo sia l’emblema di tali storie di vita e di morte. Malato di SLA ma perfettamente lucido, costretto in un letto senza speranza di guarigione, e attaccato a un macchinario che si limitava a prolungare la sua vita “biologica” e simbolo di un vero e proprio “accanimento terapeutico”, in una lettera scritta al Presidente della Repubblica implorava la sospensione di ogni trattamento medico e sanitario con queste toccanti parole, che giunsero nel cuore di (quasi tutti) coloro che ascoltarono la sua supplica:

«…Presidente, non sono uno stupido, io amo la vita ma questa per me non è vita».

Tale presa di posizione, chiaramente anti-vitalistica e che contrastava in maniera evidente il paradigma della “sacralità della vita”, ha suscitato le ire dei cattolici vitalisti che, esprimendo la convinzione che ogni vita è buona in sé e per sé e che solo Dio ha diritto di interrompere l’esistenza dell’uomo sulla terra (al di là di ogni condizione “biografica”), hanno addirittura proibito lo svolgimento di un funerale religioso, fortemente voluto dalla sua famiglia di credenti.

Ora, al di là di tale inquisitoria proibizione, la cui valutazione, nel giusto o ingiusto, esula dagli obiettivi di questo scritto, quando si parla di “qualità della vita”, in bioetica, si fa in genere riferimento alla presenza di alcune capacità funzionali essenziali per lo sviluppo della persona umana, alla possibilità di soddisfare le proprie preferenze, di credere nei propri valori e di dare un senso alla propria vita. Un senso della vita che non credo possa essere imposto da altri o da una legge naturale e razionale che pur rispecchia il piano divino nel mondo, ma che può o deve essere trovato dalla singola persona nel corso delle situazioni che la propria vita gli presenta.

Ragionando etsi Deus non daretur, i laici non credono in una fonte esterna che elargisce a tutti il senso della vita e sancisce i valori morali da assumere come guida delle proprie azioni, in quanto ritengono la stessa morale come una costruzione “umana, troppo umana” (Nietzsche): gli uomini hanno la facoltà di stabilire, attraverso la propria scelta libera e autonoma, qual è la norma corretta da seguire e, una volta stabilita una tavola di valori, hanno la libertà di modificarla o di creare nuovi valori a seconda delle circostanze.

Non potendo conoscere il piano divino nel mondo né l’intima essenza della natura umana come metafisicamente data in tale divina progettualità, i seguaci del paradigma laico insistono sulla capacità dell’uomo di auto-plasmarsi e di progettare la propria esistenza secondo lo stile di vita e i valori che ciascuno pone alla base della propria esistenza. Sul Manifesto di bioetica laica leggiamo che “il primo principio che ispira noi laici è quello dell’autonomia. Ogni individuo ha pari dignità e non devono esservi autorità superiori che possano arrogarsi il diritto di scegliere per lui in tutte quelle questioni che riguardano la sua vita e la sua salute”.19

Assumendo come base della bioetica l’autonomia o autodeterminazione delle persone, segue necessariamente il principio dell’autonomia o dell’auto-disponibilità della vita, che sostiene la

17 L.A. Seneca, Lettere a Lucilio, Rizzoli, Milano, 1999, p. 447.

18 P. Singer, Ripensare la vita, Il Saggiatore, Milano, 2000, p.193-4.

19 AA.VV., Manifesto di Bioetica laica, “Notizia di Politeia, n. 41-42, 1996.

(9)

possibilità di ogni individuo, ferma restando la sua capacità di intendere e volere, di disporre e manipolare il proprio essere secondo la propria volontà e i propri valori. Molti scorgono in ciò l’opzione liberale della bioetica laica: se la società liberale è quella in cui “le persone hanno la libertà di esercitare la propria autonomia individuale al massimo grado” di contro “alla pretesa di imporre il bene per legge tipico di uno Stato quale “poliziotto etico”20 con l’espressione

“bioetica liberale o pluralista” si intende la difesa a spada tratta della piena libertà, da parte dei singoli, di amministrare la propria vita e la propria morte.

Alla luce di questa impostazione molti affermano che la bioetica laica sarebbe una bioetica

“soggettivista” o “relativista”, una bioetica senza “etica”, senza valori, senza principi e senza un criterio stabile per distinguere il bene dal male e il giusto dall’ingiusto. “Se Dio non esiste, tutto è permesso” era l’idea sostenuta da Dostoevsky, assai in auge nel dibattito bioetico contemporaneo, per qualificare la visione di coloro che sostengono che “senza religione non c’è morale né si può trovare un senso ultimo della vita”.

Coloro che non condividono questa visione sostengono la tesi secondo cui il fatto di non credere nella possibilità di un deontologismo rigido e assoluto che ritiene di possedere delle verità assolute valide per tutti e per ogni circostanza non significa non avere un’etica di riferimento e un insieme di principi che possano regolamentare l’agire morale. In loco di un’etica deontologica basata su una serie di divieti assoluti, la bioetica laica assume le vesti di un’etica teleologica, consequenzialista o deontologica prima facie. Con l’espressione prima facie si intende “a prima vista”, o di “primo acchitto”, nel senso cioè che esistono una serie di divieti (ad esempio “non uccidere”, “non mentire”) che, pur essendo dotati di valore di per sé, possono ammettere delle eccezioni, soprattutto qualora si venga a creare un conflitto tra due principi o divieti. Si consideri, per esempio, il seguente precetto etico: “bisogna sempre dire la verità”; a prima vista sembra senza eccezioni, universale e necessario, ma se un tale con una pistola in mano ci chiede dov’è nascosta una certa persona, è giusto dire la verità? La risposta a questa domanda dimostra perché il “non mentire” (come tutti i precetti etici) è prima facie.

Come risposta a coloro che ritengono la bioetica laica una prospettiva fortemente relativista senza valori, principi e regole che guidano le azioni morali, rimandiamo al libro di Eugenio Lecaldano intitolato Un'etica senza Dio, e al filone della bioetica laica definito come principalismo. In un testo ormai “classico” intitolato Principles of Biomedical Ethics, Childress e Beauchamp, prendendo atto della già citata teoria degli “stranieri morali”, hanno elaborato quattro principi regolatori della condotta morale soprattutto in ambito bio-medico che vengono intesi come un “esperanto morale”, i quali sono cioè in grado di fungere da idioma comune per una bioetica planetaria capace di esprimersi in modo secolare, multietnico e pluralista, realmente etsi Deus non daretur.

Ci limitiamo a citare questi principi per consentire di avere un’idea generale di come, anche in un contesto laico, ci possa essere una bioetica “etica”, fondata cioè su principi, regole e valori benché etsi deus non daretur. Essi sono: il principio del rispetto dell’autonomia della persona, il principio della beneficienza, quello della non maleficienza e, infine, il principio dell’equità. È chiaro che questa prospettiva non appartiene a una singola comunità morale ma è estendibile a tutti gli stranieri morali che abitano sul pianeta terra, al di là di ogni credo o sistema di valori più o meno religiosi.

Certo che servirebbe molto spazio per illustrare nei particolari tutte le questioni che qui abbiamo solo accennato. Tuttavia, ribadiamo in conclusione, i due paradigmi o visioni del mondo che abbiamo qui brevemente presentato secondo una visione tipico-ideale, emergeranno certamente nelle diverse questioni che affronteremo nelle pagine seguenti.

Speriamo di aver mantenuto fede agli obiettivi che animavano questa trattazione, riconducibili all’intenzione di presentare in maniera imparziale le diverse posizioni presenti nel dibattito filosofico contemporaneo. Auspichiamo che i nostri lettori, e gli studenti che hanno

20 J. S. Mill, Saggio sulla libertà, Il Saggiatore, Milano, 1998, pp. 32-3.

(10)

partecipato alle nostre lezioni, abbiano acquisito un’idea delle prospettive, dei ragionamenti e degli argomenti in gioco nel dibattito bioetico contemporaneo, al fine di poter sostenere le proprie posizioni in maniera razionale e argomentativa, quale alternativa al dogmatismo e alla violenza ideologica a questo annessa e connessa.

Nelle questioni etiche, politiche e troppo spesso ideologico-dogmatiche che caratterizzano il dibattito bioetico contemporaneo, come in molte altre questioni esistenziali della nostra quotidianità, non riteniamo importante avere necessariamente ragione, bensì riteniamo fondamentale apportare delle ragioni argomentative a sostegno delle proprie tesi, secondo gli insegnamenti elargiti da una nutrita schiera di filosofi che son degni di questo nome.

Solo con l’arte del dialogo e del ragionamento argomentativo crediamo possibile la convivenza in una società pacifica e democratica, in cui tutti i suoi membri possa godere di una piena libertà.

Bibliografia

AA.VV., Manifesto di Bioetica laica, “Notizia di Politeia, n. 41-42, 1996.

Bobbio N., Intervista, in Laicità. Domande e risposte in 38 interviste (1988 – 2003), a cura del Comitato Torinese per la laicità della scuola, Claudiana, Torino, 2003.

Charlesworth M., L’etica della vita. I dilemmi della bioetica in una società liberale, Donzelli, Roma, 1996.

Flores D’Arcais P., Intervista, in Laicità. Domande e risposte in 38 interviste (1988 – 2003), a cura del Comitato Torinese per la laicità della scuola, Claudiana, Torino, 2003.

Fornero G., Bioetica cattolica e bioetica laica, Bruno Mondadori, Milano, 2005.

Mill J. S., Saggio sulla libertà, Il Saggiatore, Milano, 1998.

Mori M., Il caso Eluana Englaro. La porta pia del vitalismo ippocratico, ovvero perché è moralmente giusto sospendere ogni intervento, Pendragon, Bologna, 2008.

Scarpelli U., Bioetica laica, Baldini & Castoldi, Milano 1999.

Seneca L. A., Lettere a Lucilio, Rizzoli, Milano, 1999.

Singer P., Ripensare la vita, Il Saggiatore, Milano, 2000.

Riferimenti

Documenti correlati

As noted above the extension to the N-step model in silicalite is rather direct: it only requires the numbers of two-step events observed in the MD trajectory as well as the duration

Tale tipo di impasto presenta inclusi litici costituiti in gran parte da rocce basal- tiche; anche tra gli inclusi monomineralici sono presenti cristalli come il plagioclasio

21 Charlotte Colding Smith, ‘ ‘‘Depicted with Extraordinary Skill’’: Ottoman Dress in Sixteenth-Century German Printed Costume Books’, Textile History, xliv (2013), 25–

L'aggregazione è poliedrica subangolare da media a grossolana, forte, molto dura (secco). Radi- ci assenti. Tessitura sal )bioso franca.. Paolo Baldaccini - Paolo Mulè -

(Αλβανία προς Ελλάδα), τους δρώντες και τα µεταναστευτικά δίκτυα, καθώς και τους δοµικούς και θεσµικούς παράγοντες που σχετίζονται (έµµεσα ή

Из-за проблем с интеграцией, 1/3 беженцев позже покинули Армению, выехали в основном в Россию и ряд других стран (ПРООН, 2009, стр. 10

Nel presente contributo viene segnalato un nuovo sito di rinvenimen- to di Cau/erpa racemosa, localizzato a sud della Sardegna n~1 Golfo di Cagliari, nelle adiacenze

Gli indici biotici, calcolati in base alla composizione delle comu- nità del Fiume Silis, mettono in evidenza una situazione di turbati- va del corso d'acqua che potrebbe essere