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Fig. 4.1 - Schema tettonico del litorale lunense-pisano (da Mazzanti, Pasquinucci, 1983).

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4 – INQUADRAMENTO E LINEAMENTI GEOLOGICI

Il litorale lunense-pisano si inserisce in una depressione tettonica di forma triangolare (fig. 4.1), orientata circa NO-SE dalla foce del fiume Magra ai dintorni di Pisa e di Livorno (Mazzanti, Pasquinucci, 1983). Questa depressione è delimitata verso est, per circa 80 km, tra S.Stefano di Magra e Cascina dagli alti morfo-strutturali (Alpi Apuane, Monti d’oltre Serchio e Monti Pisani); verso Sud, per circa 25 km, tra Cascina e Livorno, dalla linea Livorno-Sillaro (faglia trascorrente in fig. 4.1), corrispondente alle pendici settentrionali delle Colline Pisane e del terrazzo di Livorno; verso Ovest, tra Livorno ed il promontorio di Punta Bianca, per circa 75 km, è racchiusa dalla “dorsale di Viareggio”, sommersa dal mare (Mazzanti, Pasquinucci, 1983).

Fig. 4.1 - Schema tettonico del litorale lunense-pisano (da Mazzanti, Pasquinucci, 1983).

I bordi orientale e occidentale di questa depressione tettonica coincidono con faglie distensive a direzione appenninica ed a grande rigetto verticale, con piani di faglia inclinati verso l’asse del bacino; il bordo meridionale sembra coincidere con una faglia trascorrente, di impostazione molto antica, precedente l’inizio dell’attività delle prime, che risalgono al

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Miocene superiore, come si deduce dall’età dei sedimenti della zona di Livorno. La terminazione settentrionale corrisponde al “graben del fiume Magra”, dove il rigetto delle faglie si riduce progressivamente (Mazzanti, Pasquinucci, 1983). Nello schema geologico (fig. 4.2) viene mostrata la struttura del Bacino Versiliese-Pisano, sulla trasversale dei Monti Pisani, dove, verso occidente è limitato dalla dorsale sommersa della Meloria, situata sul prolungamento assiale di quella di Viareggio (fig. 4.2).

4.1 – Evoluzione paleogeografica della Pianura Pisana

L’apertura della “depressione Versiliese-Pisana” si ritiene sia avvenuta procedendo lungo il suo asse da SE a NO; questo sviluppo avrebbe coinciso con il progressivo allargamento della base del triangolo (fig. 4.1), lungo la faglia trascorrente meridionale, con l’allontanamento per rotazione delle faglie del margine orientale e occidentale e con il maggiore approfondimento della parte meridionale del bacino rispetto a quella settentrionale, di più recente formazione.

Lo sprofondamento di quest’ultimo nella parte assiale e centrale (zona di Viareggio), iniziato nel Miocene superiore, è risultato di circa 2000 m (fig. 4.3), dato ottenuto tramite prospezioni geofisiche (Tongiorgi, 1978), ed oggi è completamente colmato da sedimenti detritici marini e continentali (Mazzanti, Pasquinucci, 1983).

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Fig. 4.2 – Schema geologico delle pianure di Pisa e di Lucca. LEGENDA:1. Depositi continentali e litoranei: a Depositi alluvionali ed eolici olocenici; b - Depositi eolici e fluvio-colluviali (Pleistocene sup.); 2. Depositi alluvionali e fluviolacustri (Rusciniano ? - Pleistocene medio); 3. Depositi marino-transizionali (Pliocene inf.-medio e Pleistocene inf.); 4. Depositi marini e continentali (Miocene sup.); 5. Unità liguri indifferenziate; 6.

Unità toscane non metamorfiche (Falda Toscana): a - Complesso preflysch-flysch

arenaceo Scaglia-Macigno (Cenomaniano-Oligocene); b - Gruppo delle formazioni mesozoiche calcareoeo-marnose (Trias sup. - Cretaceo inf.); 7. Unità toscane

metamorfiche dei Monti Pisani: a – “Copertura" calcareo-silicea (Trias sup. -

Terziario); b - Complesso filladico-quarzitico comprendente il “basamento" toscano e la sua copertura terrigena (Verrucano s.l.; Paleozoico-Trias medio); 8. Faglie dirette e loro prosecuzione o sepolte (trattini sul blocco abbassato); 9. Isobate del tetto del substrato pre-messiniano (in metri sotto il livello del mare - GHELARDONl et al., 1968); 10. Depositi marino-transizionali e continentali, neogenici e quaternari, indifferenziati (sezioni) (modificata da Baldacci et al., 1994).

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Fig. 4.3 - Isobate del tetto Miocenico in relazione ai principali affioramenti di rocce pre-Mioceniche, di sedimenti Neogenici e Pleistocenici e di alluvioni (da Della Rocca et al., 1987).

La zona depressa è confinata da aree a comportamento tettonico differenziato (Mazzanti, Pasquinucci, 1983):

□ le Alpi Apuane, i Monti d’oltre Serchio e i Monti Pisani, con tendenza al sollevamento

(più o meno veloce a seconda dei tempi);

□ i Monti di Punta Bianca-Ameglia e la dorsale di Viareggio, con tendenza a un lento

sollevamento dei primi e a un lento sprofondamento della seconda, la quale sembra sia stata completamente inondata dal mare solo all’inizio del Pleistocene inferiore;

□ le Colline Pisane e la zona di Livorno, che avrebbero seguito inizialmente le vicende della

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medio, durante il quale avrebbe avuto inizio un debole sollevamento, mentre la depressione continuava a sprofondare.

Come risultato di queste vicende, la depressione Versiliese-Pisana è stata invasa dalle acque progressivamente da SE verso NO in una sorta di diverticolo settentrionale del mare mio-pliocenico; nel Pliocene superiore, quando il resto della Toscana era ormai emerso, quest’area è rimasta verosimilmente sommersa, ma ancora in condizione di stretto golfo; si è trovata in corrispondenza di un mare aperto soltanto quando quest’ultimo ha superato la dorsale di Viareggio, probabilmente agli inizi del Quaternario. Le vicende tettoniche della depressione Versiliese-Pisana e dei rilievi limitrofi sono indicative delle aree di provenienza dei sedimenti che si sono depositati nella depressione stessa, riuscendo a colmarla. Gran parte di questi sedimenti provengono dall’apice settentrionale, cioè da valli (e paleovalli) dei fiumi Vara e Magra; in diretta prosecuzione morfologica e tettonica con la zona depressa. Poco può essere derivato dai monti di Ameglia e ancor meno dalla dorsale di Viareggio. Le Alpi Apuane, i Monti d’oltre Serchio e i Monti Pisani possono aver contribuito con l’apporto di materiali detritici anche grossolani (a seconda delle fasi tettoniche di sollevamento e di quelle climatiche favorenti una intensa degradazione di versanti), ma la loro stessa posizione, incombente sul bacino di sedimentazione, ha impedito l’impostazione di fiumi importanti. In conseguenza di ciò, gli apporti dei torrenti da questi monti non sono andati oltre la formazione di coni di deiezione allo sbocco delle valli tra la zona montana e il bacino stesso (Mazzanti, Pasquinucci, 1983). Non è noto con certezza quando il Serchio abbia superato la stretta di Ripafratta, tra i Monti d’oltre Serchio e i Monti Pisani; sembra tuttavia che questo evento, legato ad una lenta tracimazione, sia da situarsi in un lasso di tempo piuttosto lungo, corrispondente all’epoca protostorica e in parte a quella storica. Il più importante rifornitore di sedimenti del bacino in esame, a parte il Magra, resta così l’Arno. Questo fiume ha raggiunto la depressione Versiliese-Pisana solo in tempi relativamente recenti, ancora non ben documentati, ma certamente posteriori alla fine del Pleistocene inferiore, e probabilmente anche alla fine del medio (Tongiorgi, 1978). Con il Pleistocene medio assumevano grande importanza, nel modellamento geomorfologico delle pianure e dei litorali alla latitudine dell’ area in esame, le variazioni del livello marino collegate con le vicende del glacialismo. Di queste variazioni è importante ricordare quella negativa documentata nel sottosuolo della pianura di Pisa e risalente al Wurm II. Questa fase è messa in evidenza da depositi clastici del paleoArno, ricca di ciottoli provenienti dai Monti Pisani e dalla Garfagnana, drenati dal paleoSerchio, che raggiungeva l’Arno attraverso la depressione di Bientina, a oriente degli

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stessi Monti Pisani. Questi depositi formano un piano leggermente inclinato verso mare, è verosimile che questo antico corso dell’Arno, sommerso nella Pianura di Pisa, corrisponda al paleoalveo riconosciuto da A.G. Serge nei fondali marini a nord delle Secche della Meloria fino a profondità di circa 100 metri (Serge, 1955) (fig. 4.4). Questa osservazione di Serge dà le dimensioni dell’importante ritiro del mare in corrispondenza dello sviluppo della glaciazione wurmiana. Tutta l’attuale pianura doveva essere emersa ben oltre il limite rappresentato dalla spiaggia attuale. Il ritiro del mare era seguito dal formarsi di notevoli complessi di dune, abbondantemente rifornite di sabbie dalle aree, prive di vegetazione, dei fondali marini che venivano progressivamente emergendo (Mazzanti et al., 1980). Dopo l’acme della glaciazione wurmiana, il livello del mare tornava a salire, sia pure con fasi di arresto e, verosimilmente con qualche temporanea diminuzione. I particolari delle vicende di questo fenomeno non sono noti, data la presenza contemporanea di moti di subsidenza e di ingenti apporti sedimentari da parte dei fiumi Arno e Magra.

Fig. 4.4 - Carta della batimetria del mare prospiciente il litorale tra Spezia e Livorno, è evidenziato a NW della Meloria il corso del paleoArno, oggi sommerso, formatosi durante l’ultima oscillazione glaciale quando il livello del mare era più basso di almeno 110 m rispetto a quello attuale (Mazzanti, 1983).

Ricerche sui litorali della Toscana meridionale, più adatti a questo genere di osservazioni perché privi di una subsidenza “geologica” e dotati di minori apporti detritici, assicurano che il livello del mare, in questa risalita post-Wurmiana (detta anche trasgressione Versiliana), non è mai stato superiore a quello attuale, mentre più tardi, nel II-I secolo a.C. sembra accertata una posizione di 1 metro inferiore (Pinna, 1969). Questa trasgressione è progredita

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verso l’interno fino al I-II secolo a.C., dopodichè, sebbene il livello del mare sia, lentamente e mediamente continuato a salire, in tutta la zona si è verificato l’avanzamento della spiagge. Questo fenomeno fu determinato dall’aumento degli apporti solidi di alcuni fiumi, in particolare dall’Arno, e messo in relazione con il notevole disboscamento e l’estensione delle pratiche agricole conseguenti alla colonizzazione Romana (Morelli, 1927).

L’immissione dell’Arno, come grande fiume proveniente da un ampio bacino imbrifero, nella depressione Versiliese-Pisana è un fenomeno avvenuto in epoca relativamente recente (Pleistocene medio-superiore); questo evento ha consentito un grande rifornimento di materiali detritici minuti (sabbie, limi, argille), facilmente trasportabili a grandi distanze dalla deriva marina, a disposizione degli equilibri del litorale. Ciò ha liberato la linea di riva dalla stretta dipendenza dal piede dei rilievi circostanti e dai coni di deiezione agli sbocchi dei torrenti che da questi discendono. Si è così potuto formare un lido parallelo al piede di questi monti, ma da esso separato da lagune e paludi.

Il meccanismo del progressivo aumento del litorale a opera dell’ingente quantitativo di materiale fine, trasportato dalla deriva e proveniente prevalentemente da Arno e Magra, è dovuto alla continua formazione di nuove barre parallele e poste “verso mare” rispetto a quelle già esistenti e in via di emersione. Inizialmente sommerse, col passare del tempo emergevano in lunghi lidi paralleli alla linea di riva separando altrettante strette e allungate lagune in comunicazione con il mare attraverso piccoli passaggi trasversali, derivati dalle correnti di riflusso. Man mano che i lidi emergevano, costituivano ostacoli per la circolazione delle sabbie sollevate dal vento e zone di accumulo per cordoni di dune. Queste fornivano l’ampliamento delle terre emerse, mentre le lagune venivano in genere isolate dal mare e si trasformavano in paludi (dette localmente “lame”). Nelle fasi di eustatismo negativo il continuo aggiungersi di nuovi lidi sabbiosi ha favorito il fenomeno regressivo legato a fattori climatici; nelle fasi di eustatismo positivo, anch’esso legato a fattori climatici, si è opposto all’invasione marina del litorale (Mazzanti et al., 1983).

Nelle pagine seguenti (fig. 4.5) vengono riportate 12 tavole numerate rappresentanti la ricostruzione dell’evoluzione paleogeografica e paleoidrografica del Valdarno inferiore partendo dalla situazione attuale ed andando a ritroso nel tempo fino al Miocene superiore (Federici, Mazzanti, 1988).

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Fig. 4.5 (pagina a fronte e seguente) - Ricostruzione dell’evoluzione paleogeografica e paleoidrografica del Valdarno inferiore (modificata da Federici, Mazzanti, 1988).

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4.1.1 – Evoluzione naturale e antropica dal 1000 a.C. al 1983.

La variazione del corso dell’Arno nell’arco dei secoli fino ai giorni nostri è avvenuta sia per cause naturali sia antropiche. L’esigenza di difendere le città e le campagne dai danni delle inondazioni e di sottrarre alle paludi terreni utili per l’agricoltura ha comportato un inevitabile intervento antropico sull’assetto del territorio. Così, se da una parte sono state messe a punto opere di arginatura, realizzazioni di scolmatori e operazioni di taglio di

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meandro con l’intento di accelerare la velocità delle acque e favorire lo smaltimento delle piene, dall’altra si sono realizzate opere atte a convogliare le acque di piena e le torbide nelle zone depresse e paludose al fine di colmarle. Inoltre, gli interessi economici legati, già all’epoca romana, al commercio del legname e all’agricoltura hanno portato a un progressivo disboscamento delle pendici montane e a una conseguente maggiore erodibilità dei terreni dilavati dalle acque. L’aumento considerevole dei detriti trasportati dai corsi d’acqua della pianura ha causato un avanzamento progressivo del litorale Pisano a partire dal I sec. a.C. nonostante il mare continuasse, mediamente a salire (Federici, Mazzanti, 1988). Verso la fine del XIX secolo, il litorale, fino ad allora in continuo avanzamento, ha cominciato a retrocedere a causa dell’estrazione degli inerti dall’alveo dell’Arno e della deviazione dei materiali solidi nelle casse di colmata (Pranzini, 1983).

In fig. 4.6 (pagine seguenti) vengono illustrati i riquadri dell’evoluzione naturale e degli interventi umani di maggiore spicco nell’area del litorale Pisano dal 1000 a.C. al 1983 (Dall’Antonia, Mazzanti, 2001).

Circa le operazioni idrauliche e le relative posizioni che l’Arno ha assunto nei secoli esiste una documentazione scritta già a partire dall’epoca romana, supportata da materiale cartografico a partire dal 1500 e confermata, in epoca recente, dalle foto aeree e da satellite. Inoltre, dove sono presenti documenti storici, la forma curva delle vecchie strade o il disegno delle particelle agricole possono essere utili per individuare antichi alvei oggi abbandonati dal fiume. La prima testimonianza scritta che documenti l’antica posizione dell’Arno nel I-II secolo si deve a Strabone (Della Rocca et al., 1987).

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Egli descrive due aspetti importanti della pianura: la presenza di un fiume (il Serchio) che confluiva in Arno all’altezza di Pisa e l’esistenza di tre rami che costituivano l’antico delta con il quale l’Arno sfociava in mare. Il ramo più meridionale, orientato in direzione Latignano-Nuovo Scolmatore, corrispondeva probabilmente all’antico corso che Arno e Serchio (quest’ultimo proveniente dalla valle di Bientina) percorrevano insieme nel Wurm III fino a Stagno. Il ramo centrale aveva la direzione Chiesanova-Arnaccio, mentre il ramo più settentrionale corrispondeva all’incirca al percorso attuale: dopo aver attraversato il luogo dove sarebbe poi sorta la città di Pisa, sfociava in mare nei pressi di S. Piero a Grado, dove arrivava l’allora linea di riva e dove infatti, secondo la tradizione, sarebbe approdato San Piero durante il suo viaggio verso Roma (Della Rocca et al., 1987).

Con la caduta dell’impero Romano la Pianura di Pisa fu lasciata in stato di abbandono con conseguenti inondazioni ed impaludamenti. Solo in epoca comunale ripresero le opere idrauliche. Infatti nel XI secolo i Pisani avevano scavato su una preesistente diramazione dell’Arno un’ansa che, staccandosi dalla sponda destra del fiume poco prima di S. Piero a Grado, giungeva con una tortuosità a forma di grande esse, fino alla località chiamata oggi il Boschetto, nella tenuta di S. Rossore (Natoni, 1944). Questo andamento tortuoso delle anse ostacolava il deflusso delle acque cosicché nel 1338 furono attuati i due tagli delle Cascine Nuove (fig. 4.7), il primo riguardante l’ansa predetta, il secondo l’ansa esistente tra Luicchio e le Cascine Nuove (Cavazza, 1994).

Le più grandi opere di risanamento idraulico della pianura Pisana furono compiute sotto la guida dei Medici prima e dei Lorena poi.

Nel 1558 Cosimo I fece costruire il trabocco delle Bocchette presso Putignano, alle porte di Pisa. Quest’opera, se da una parte aveva la funzione di proteggere Pisa dai danni delle inondazioni, dall’altra serviva a far tracimare, da un apposito sistema di cateratte, le acque in piena e le torbide uscite dalla curva di Riglione, verso il fosso delle Bocchette che le indirizzava nelle casse di colmata del Padule Maggiore. In realtà, quest’opera non perseguì nessuno dei due scopi tanto che a Fornacette, nel 1568, fu costruito un nuovo trabocco con relativo canale di scolo chiamato Arnaccio. Questo canale, che probabilmente riprendeva il corso dell’Arno e coincidente con l’attuale canale Emissario, convoglia le acque tracimate nelle casse di colmata del padule di Stagno.

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Fig. 4.7 – Pianta dimostrativa e non regolare del corso dell’Arno da Pisa al mare della seconda metà del XVIII secolo. In evidenza l’antico corso dell’Arno (Paglialunga et al., 2001).

Sempre sotto il governo di Cosimo I, nel 1563 fu iniziata un’altra opera idraulica: il Canale dei Navicelli (fig. 4.8). Fu così possibile collegare Pisa e Livorno più facilmente, con minore spesa e senza il pericolo delle correnti che invece interessavano la foce dell’Arno esposta ai venti più forti.

A causa della sua posizione geografica (più a sud dell’attuale), la foce dell’Arno era esposta ai venti di libeccio, responsabili delle forti mareggiate che impedivano alle acque di piena di essere smaltite facilmente in mare e che così causavano da una parte l’insabbiamento della foce e dall’altra l’inondazione della città.

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Fig. 4.8 – Pianta della tenuta di Tombolo della seconda metà del XVIII secolo, da notare il taglio Ferdinandeo a Bocca d’Arno e il canale dei Navicelli (Paglialunga et al., 2001).

Per questo motivo nel 1606, Ferdinando I, figlio di Cosimo I, fece rettificare l’ultimo tratto dell’Arno, partendo dalla zona dei Bufalotti, in modo da portare la foce più a Nord, in direzione dei venti di maestrale (fig. 4.9). Il tratto di Arno abbandonato prese il nome di Arnino o Arno Vecchio.

Per difendere dalle inondazioni anche le campagne, ormai sempre più popolate e coltivate, Ferdinando I fece rafforzare gli argini esistenti e ne costruì di nuovi, tanto che già dal 1616 la sponda sinistra da Pontedera a Pisa e la sponda destra da Caprona a Pisa erano completamente arginate. Per accelerare il deflusso delle acque verso il mare e porre fine all’erosione della sponda destra, sotto il granducato dei Lorena fu eliminato, nel 1771-1774, il meandro di Barbaricina, detto anche “volta degli Asini” posto subito dopo l’uscita di Pisa. Dopo questa data l’Arno ha mantenuto il percorso che vediamo oggi, a parte le piccola deviazione di Porta a Piagge eseguita nel 1847. Intorno a quell’anno risalgono anche le nuove arginature (quelle attuali), più vicine al fiume di quelle Ferdinandee del 1616, che sottrassero nuove aree all’espansione delle piene.

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Fig. 4.9 – Carta di Bocca d’Arno del catasto Leopoldino del 1876 (Paglialunga et al., 2001).

Nel 1922 fu eseguita la bonifica del bacino denominato di Tombolo (Fiorio, 2004), la vasta zona che va dalla foce dell’Arno a S.Piero e poi, lungo il nuovo canale dei Navicelli raggiunge il Calabrone. Furono scavati una serie di canali e costruiti due impianti idrovori, uno posto a Marina e l’altro a Calambrone (fig. 4.6 riquadro del 1983). Questo metodo dell’ ”esaurimento meccanico”, indispensabile ausilio nei siti più depressi per risolvere le alluvioni maggiori interessa un territorio di circa 3100 ettari, gli impianti sono oggi gestiti dall’Ufficio Fiumi e Fossi.

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Per quanto riguarda specificatamente la fascia costiera che orla la Pianura Pisana, caratterizzata da un complesso sistema di dune e lidi litoranei olocenici, oltre che dai depositi alluvionali dell’Arno e del Serchio, la delimitazione delle unità litostratigrafiche rappresentate

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nella carta geologica deve essere fondata, anziché sul rilevamento di campagna, sulla corrispondenza tra forma-origine del deposito e determinate caratteristiche litologiche. In altri termini la carta geologica, illustrata nella fig. 4.10 e ripresa dalla cartografia esistente (Casarosa, Putzolu, 2005) alla scala 1:10000 relativa alla provincia di Pisa, riflette sostanzialmente l’elaborato geomorfologico della precedente fig. 2.1.

Per l’allestimento in formato digitale è stato usato il software Arc View 3.2 della Esri, così come per le altre carte tematiche presenti in questo lavoro.

Le descrizioni delle litologie presenti in carta sono di seguito riportate:

■ Sabbie e limi di vicarello (Pleistocene sup.); litologie sabbiose medio-fini,

sabbiose-limose e sabbiose-limose-sabbiose, depositatesi in corrispondenza di un’antica linea di costa del mare pleistocenico, dove si formavano sistemi di dune e stagni costieri. Presentano colore giallo- rossastro con screziature arancioni. Occupano una posizione arretrata rispetto ai cordoni dunari olocenici.

■ Depositi di spiaggia affioranti lungo il litorale (Olocene): sabbie sciolte a granulometria

variabile, da media a medio-fine, che costituiscono le spiagge lungo il litorale.

■ Depositi eolici delle dune e dei lidi litoranei (Olocene): sabbie con granulometria

variabile da medio-fine a fine in funzione dell’azione del vento che le asporta dalle zone asciutte del litorale e le spinge nell’entroterra. Talvolta presentano una leggera cementazione ed intercalazioni di livelli limo-sabbiosi e torboso-argillosi. I lidi, detti localmente “cotoni”, sono ben riconoscibili perché allineati secondo gli antichi andamenti del litorale, sono poco elevati e corrispondono a barre emerse per sovraccumulo di sedimenti trasportati dalla deriva litoranea e scaricati dal getto di riva. Attualmente si presentano stabilizzati dalla vegetazione. Le dune, localmente dette “tomboli”, sono assai più elevate (fino a 6-8 m) e irregolari data la loro origine eolica.

■ Depositi alluvionali di esondazione del fiume Serchio (Olocene): da sabbie-limose a limi

sabbiosi. In questi sedimenti prevalgono le sabbie nelle zone più prossime al corso attuale (e a quelli antichi) del fiume Serchio, accumulatesi durante le esondazioni del passato; i limi sono più diffusi nelle zone più lontane dal corso d’acqua, zone rimaste per questo leggermente più basse e quindi soggette a impaludamenti.

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■ Depositi alluvionali di esondazione del fiume Arno; depositi fluvio-palustri di

interduna, retroduna e di colmata (Olocene): i primi sono costituiti prevalentemente da sabbie fini, nelle fasce prossimali, e da limi e limi argillosi in quelle distali; i secondi sono depositi limosi di modesto spessore con livelli torbosi, che occupano le depressioni esistenti tra un cordone dunare ed il successivo, essi passano sia lateralmente che in profondità alle sabbie di duna. Sono disposti sia lungo fasce arcuate sia lungo fasce rettilinee e parallele, verosimilmente rappresentano antiche linee di riva; queste fasce si riscontrano fino ad una distanza di circa 5-6 km dalla costa attuale.

■ Depositi delle aree golenali (Olocene): depositi prevalentemente sabbiosi, a granulometria

Riferimenti

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