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1 I FONDI PENSIONE

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1 I

FONDI PENSIONE

1.1 Contesto per lo sviluppo dei fondi pensione

Per molti anni le elevate prestazioni assicurate dalla presenza di un sistema pensionistico pubblico a ripartizione hanno garantito un buon grado di sicurezza economica a coloro che smettevano di lavorare, ostacolando in questo modo lo sviluppo della previdenza complementare. I sistemi a ripartizione sono basati sul così detto principio della solidarietà tra generazioni: le prestazioni pensionistiche di coloro che cessano la propria attività lavorativa vengono pagate attingendo ai contributi versati dagli attuali lavoratori ed addebitando l’eventuale differenza al bilancio pubblico. Si assiste, quindi, ad una redistribuzione del reddito tra generazioni diverse di beneficiari: la generazione anziana dal punto di vista pratico viene mantenuta da quella giovane che a sua volta godrà del medesimo trattamento al momento del pensionamento che sarà a sua volta a carico della generazione futura. In tutti i paesi occidentali, e soprattutto in Europa, il successo della previdenza pubblica si è venuto determinando in particolar modo nel dopoguerra, grazie ad un ritmo di sviluppo economico particolarmente sostenuto, in grado di assicurare un continuo ampliamento della base occupazionale, dei redditi dei lavoratori e delle entrate statali sul versante contributivo.

Negli ultimi anni, però, il sistema è stato messo seriamente in crisi da un problema di carattere strutturale: il sensibile aumento dell’incidenza della spesa pensionistica pubblica sul PIL. Le cause scatenanti di questo fenomeno possono essere individuate in due fattori fondamentali[1]:

1. l’aumento del tasso di dipendenza degli anziani (pari al rapporto tra persone ultrasessantaquattrenni ed ammontare complessivo delle forze di

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lavoro), che a sua volta è legato ad altri due fattori quali l’invecchiamento della popolazione (dovuto contemporaneamente all’aumento della vita media e alla riduzione del tasso di natalità) e la riduzione del tasso di attività (persone in età da lavoro occupate in un’attività regolare);

2. la riduzione del tasso di crescita del PIL che non ha consentito di compensare l’aumento della popolazione che beneficia delle prestazioni pensionistiche col corrispondente aumento delle risorse disponibili a tale scopo.

E’ evidente come in un sistema a ripartizione in cui si registri una crescita relativa maggiore delle fasce più anziane, il peso del loro sostegno durante il periodo del pensionamento vada a gravare su una fascia di popolazione lavorativa tendenzialmente più esigua, andando ad incidere negativamente sul deficit della bilancia pensionistica. Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione rappresenta, quindi, un problema che va a minare gli equilibri della finanza pubblica rendendo lo stato incapace di coprire completamente il fabbisogno generato dalla spesa previdenziale. Per cercare di risolvere il problema in questione è stato necessario intervenire da un lato cercando di contenere il più possibile la spesa pensionistica gravante sullo Stato e dall’altro incentivando in ogni modo il ricorso alla previdenza complementare privata. Questi provvedimenti a loro volta sono stati un importante ausilio per favorire il decollo dei fondi pensione, per il semplice fatto che sono riusciti a mettere in evidenza l’estrema importanza che rivestono nell’andare a colmare le ormai piuttosto evidenti lacune pubbliche in materia previdenziale.

In conclusione, appare evidente che l’introduzione dei fondi pensione può essere interpretata come una risposta necessaria all’esigenza propria dei lavoratori di ottenere trattamenti pensionistici complementari in grado di compensare le minori prestazioni attualmente erogate dal sistema previdenziale pubblico.

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1.2 Cosa sono i fondi pensione

Le pensioni pubbliche degli odierni neo-lavoratori si prospettano molto meno consistenti di quelle percepite dai pensionati in passato ed è proprio per questo motivo che, per riuscire ad assicurarsi una vecchiaia più tranquilla, è necessario provvedere ad integrare la pensione pubblica ricorrendo ad un secondo pilastro previdenziale a carattere privato rappresentato, appunto, dai fondi pensione.

I fondi pensione sono degli “enti” presso cui sia il lavoratore che l’azienda si impegnano a versare un contributo periodico che verrà successivamente investito professionalmente sul mercato finanziario fino al momento del pensionamento, in modo tale da costituire una rendita che vada ad integrare quella di carattere pubblico. I versamenti che confluiscono nel fondo sono gestiti secondo le regole proprie della capitalizzazione: ogni versamento viene accantonato in un conto previdenziale individuale che di anno in anno si accresce sia dell’importo delle ulteriori quote versate, sia del rendimento generato tramite l’investimento del patrimonio del fondo sul mercato finanziario. Al momento del pensionamento il lavoratore potrà decidere di riscattare il montante generato dalla gestione sotto forma di rendita vitalizia oppure metà della somma sotto forma di capitale e metà come rendita. In pratica i fondi pensione possono essere considerati come una forma di risparmio a lungo termine avente scopo prettamente previdenziale. L’adesione ai fondi pensione è libera, si tratta di una decisione che spetta liberamente a ciascun lavoratore, anche se lo stato dal lato suo cerca di incentivarla come possibile, ed in modo particolare ricorrendo alla concessione di importanti agevolazioni fiscali.

I fondi pensione possono essere costituiti[2]:

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1. come soggetti giuridici di natura associativa non riconosciuti come persone giuridiche secondo l’ art. 36 del codice civile;

2. come soggetti dotati di personalità giuridica, secondo quanto previsto dall’art. 12 del codice civile, con riconoscimento da parte del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale;

3. nell’ambito del patrimonio di una singola società o ente pubblico attraverso la costituzione all’interno del patrimonio della società o ente di un patrimonio di destinazione, separato ed autonomo.

I fondi pensione sono ormai una realtà consolidata in paesi come la Gran Bretagna, l’Olanda e gli USA in cui le pensioni pubbliche anche in passato erano molto più esigue rispetto a quelle italiane. In Italia, invece, il fenomeno sta prendendo piede solo adesso e ciò a causa soprattutto delle elevate prestazioni pagate in passato dal sistema previdenziale pubblico.

1.3 Tipologie di fondi pensione

Non esiste un’unica tipologia di fondo pensione, ma al loro interno è possibile effettuare una duplice classificazione. In primo luogo è possibile fare una distinzione tra :

1. fondi a contribuzione definita: sono quei fondi in cui al momento della stipulazione del contratto viene prestabilito solamente l’importo dei contributi che devono essere versati regolarmente durante la fase di accumulazione. In questo caso non viene né previsto né garantito il livello della pensione futura, elemento che a sua volta dipende da tutta una serie di fattori, quali l’ammontare dei versamenti effettuati ed i rendimenti finanziari che sono riusciti a generare. Il ricorso a questo schema di

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contribuzione comporta per il fondo il vantaggio non trascurabile di non doversi assumere il rischio di una prestazione stabilita già in precedenza. I vantaggi a favore dell’aderente, invece, consistono nel fatto che riceverà quanto maturato senza dover sopportare i costi che altrimenti risulterebbero necessari per contribuire alla costituzione delle riserve del fondo ed aventi lo scopo di fronteggiare gli impegni presi, e nella costanza dei contributi che non dipendono dal livello di pensione desiderata per il futuro. A fronte di questi vantaggi, però, si contrappone al contempo lo svantaggio di non poter definire a priori quanto effettivamente si potrà percepire al momento del pensionamento;

2. fondi a prestazione definita: sono quei fondi che garantiscono una determinata prestazione finale, indicata non in valore assoluto, ma come percentuale del livello di reddito o del trattamento pensionistico pubblico del lavoratore. In questo modo il fondo si assume in proprio il rischio della prestazione garantita il che comporta l’obbligo di accumulare le risorse necessarie per farvi fronte. Il ricorso a questo particolare schema di funzionamento del fondo pensione comporta l’evidente vantaggio per il lavoratore di poter conoscere a priori e con certezza il livello della prestazione che percepirà in futuro. Il rovescio della medaglia è caratterizzato dalla presenza di maggiori costi a carico dei contribuenti e nell’esistenza del rischio, anche se in realtà molto remoto, che il fondo in futuro non risulti in grado di far fronte agli impegni presi. Un’altra caratteristica peculiare di questa tipologia di fondi è rappresentata dal fatto che i versamenti non rimangono costanti nel tempo, ma sono definiti al momento della stipulazione del contratto e poi devono essere

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continuamente adattati facendo riferimento all’andamento del mercati finanziari.

Una seconda importante distinzione è quella tra:

1. fondi chiusi o negoziali: si tratta di soggetti giuridici autonomi , costituiti sia come associazione riconosciuta che non riconosciuta, promossi da accordi bilaterali tra associazioni rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori o da loro iniziative unilaterali. Sono definiti “chiusi” perché sono accessibili solo agli appartenenti a determinate categorie ed aziende. L’organizzazione interna è basata sul principio della partecipazione paritetica dei lavoratori e dei datori di lavoro e nel caso di contribuzione unilaterale a carico del lavoratore deve essere rispettata la rappresentanza di tutte le categorie e raggruppamenti interessati. Gli organi sociali, le cui funzioni sono stabilite nello statuto del fondo, sono: l’assemblea, il consiglio d’amministrazione ed il collegio dei revisori contabili. I fondi chiusi di origine contrattuale proposti ai lavoratori dipendenti possono essere costituiti unicamente secondo lo schema a contribuzione definita (al momento dell’adesione viene stabilita la somma da versare mensilmente, espressa come percentuale della retribuzione), mentre i fondi rivolti ai lavoratori autonomi possono essere costituiti anche utilizzando lo schema alternativo a prestazione definita; 2. fondi aperti: sono fondi a cui possono aderire quei lavoratori, sia

autonomi che dipendenti, per i quali non sussistano o non siano ancora operanti fondi chiusi. E’ possibile accedere ad un fondo aperto anche dietro trasferimento della propria posizione individuale da un fondo chiuso, nel caso in cui vengano meno i requisiti richiesti per la

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partecipazione al fondo. Anche in assenza di questa condizione è prevista la possibilità di trasferire la propria posizione presso fondi aperti una volta decorsi tre anni di permanenza presso il fondo che si intende lasciare. Si tratta in pratica di fondi aperti a tutte la categorie di lavoratori, promossi dalle istituzioni finanziarie abilitate per legge alla gestione dei fondi chiusi (banche, Sim, Sgr e compagnie di assicurazione) che aprono un fondo patrimoniale di destinazione, autonomo e separato dal patrimonio dell’istituzione promotrice, nel quale affluiscono i contributi raccolti ed i relativi frutti generati dalla gestione finanziaria. Dal punto di vista pratico il loro funzionamento risulta simile a quello tipico dei piani di accumulo, fatto salvo il fatto che le prestazioni possono essere erogate solo una volta maturati i requisiti necessari per accedere alla pensione pubblica. I rapporti tra fondo, partecipanti e gli altri soggetti istituzionali coinvolti, sono disciplinati all’interno del regolamento del fondo. In questo caso non esistono organi sociali assimilabili a quelli previsti per i fondi chiusi, ma la stessa società istituente deve provvedere alla nomina di un responsabile del fondo.

1.4 Funzionamento dei fondi pensione

L’elemento principale che contraddistingue i fondi pensione dal tradizionale sistema previdenziale pubblico riguarda le modalità di utilizzo delle somme versate dai soggetti contribuenti. Il sistema pubblico, infatti, ricorre all’utilizzo del classico modello a ripartizione secondo il quale i versamenti dei lavoratori vengono immediatamente utilizzati per pagare le prestazioni di coloro che hanno cessato di lavorare, quindi non si viene a creare nessun accumulo di capitali. Il funzionamento dei fondi pensione, invece,

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prende come riferimento le regole proprie della capitalizzazione: i contributi versati dagli aderenti restano investiti all’interno del fondo a lungo termine, fino al momento del pensionamento, e durante tutto questo arco temporale si valorizzano andando a determinare quello che poi sarà il montante finale. E’ proprio la somma ottenuta al termine del rapporto in essere che determina il livello del trattamento pensionistico. I sistemi a capitalizzazione quindi, a differenza di quelli a ripartizione che si basano sul principio della solidarietà tra generazioni, si fondano sul principio del risparmio.

In un sistema a capitalizzazione è possibile distinguere due fasi fondamentali: 1. fase di accumulo: riguarda il periodo durante il quale vengono versati i

contributi (la quota del lavoratore, quella del datore di lavoro e la quota di Tfr) che vengono raccolti dal fondo stesso ed opportunamente investiti nel mercato finanziario. L’ammontare dei contributi da devolvere periodicamente al fondo pensione viene stabilito dalle parti sociali al momento della definizione dell’accordo di istituzione del fondo. Il montante generato alla fine del rapporto in questione è pari alla sommatoria dei versamenti effettuati per tutta la fase di accumulo e degli interessi su di essi maturati (al netto delle imposte) per effetto della gestione finanziaria svolta dal fondo. Il capitale finale, quindi, dipende essenzialmente da tre parametri fondamentali:

• l’ ammontare dei contributi versati;

• l’ arco di tempo durante il quale sono stati versati i contributi; • il rendimento del fondo, considerato al netto delle spese di

gestione.

Per misurare la partecipazione al fondo pensione di ciascun contribuente si ricorre all’utilizzo del metodo delle quote: al momento dell’avvio del

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fondo viene stabilito il valore unitario delle quote di partecipazione e di conseguenza il versamento effettuato inizialmente dal singolo lavoratore corrisponde ad un numero di quote pari al rapporto tra il capitale versato ed il valore unitario precedentemente stabilito. Il patrimonio iniziale del fondo, pari alla sommatoria dei versamenti erogati da tutti i partecipanti al fondo, per definizione risulta equivalente al prodotto tra il numero di quote complessivamente emesse ed il loro valore unitario. Una volta effettuata la raccolta iniziale il gestore finanziario incaricato dal fondo ha il compito di provvedere ad investire opportunamente il patrimonio disponibile, nel rispetto della strategia prestabilita dal fondo, in titoli azionari ed obbligazionari che, per definizione, sono soggetti ad oscillazioni del prezzo nel corso del tempo. Se la gestione genera risultati positivi per cui i titoli in cui è investito il patrimonio del fondo aumentano di valore, ne consegue un contemporaneo aumento anche del patrimonio del fondo valutato ai nuovi prezzi di mercato e quindi l’automatico incremento anche del valore unitario delle quote possedute dai partecipanti al fondo, pari alla nuova consistenza del patrimonio del fondo rapportata al numero di quote presenti;

2. fase di erogazione: al raggiungimento dell’età necessaria per il pensionamento ciascun aderente al fondo ottiene il diritto a ricevere la quota accumulata nella fase precedente, scegliendo tra due metodologie alternative d’incasso previste. Può decidere di optare per il percepimento di una rendita vitalizia rivalutabile nel tempo, cioè una pensione mensile che riceverà per tutta la vita e che aumenterà ulteriormente in base alle operazioni finanziarie successivamente effettuate dalla società a cui il fondo affida l’effettiva erogazione delle prestazioni. Come soluzione

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alternativa è prevista la possibilità di incassare il frutto generato dai versamenti effettuati in precedenza sotto forma di capitale, ma tale facoltà è prevista per un importo non superiore al 50% del montante complessivo mentre la parte restante deve necessariamente essere trasformata in rendita vitalizia da erogare mensilmente. Il trattamento pensionistico che si ottiene, quindi, è proporzionale al capitale finale che viene accumulato da ciascun iscritto. Attraverso il ricorso al meccanismo della capitalizzazione viene ad assumere un’importanza fondamentale il livello dei rendimenti generati attraverso la gestione del patrimonio del fondo in quanto gli interessi vengono calcolati sia sui vari versamenti effettuati che sul capitale per un arco di tempo piuttosto vasto. La trasformazione del montante prodotto al termine del rapporto in rendita vitalizia è affidata ad una compagnia di assicurazione a cui viene trasferita l’intera somma che a sua volta rappresenta il corrispettivo da pagare per poter acquistare il corrispondente flusso di reddito annuo che rappresenta la pensione complementare[3]. La compagnia assicuratrice per realizzare la conversione deve valutare tre elementi importanti: le tavole di mortalità per sesso ed età, il tasso tecnico d’interesse ed i caricamenti che rappresentano la commissione assicurativa per le spese legate all’erogazione della rendita. Utilizzando questi fattori viene determinato il cosiddetto “coefficiente tecnico di trasformazione” che, moltiplicato per il valore del montante al netto delle tasse, permette di determinare la rendita vitalizia complementare che deve essere erogata, la quale però necessita di rivalutazioni annuali in riferimento al rendimento che la compagnia assicuratrice riesce ad ottenere investendo i premi assicurativi. Solitamente

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il problema della redditività degli impieghi che presiede le scelte d’investimento, assume particolare rilevanza durante la fase di accumulazione, mentre viene trascurato in quella di erogazione durante la quale si tende ad assumere implicitamente che al termine dell’attività lavorativa il montante generato venga convertito in rendita vitalizia. Allo stesso modo si è portati a fare affidamento sul fatto che la conversione venga realizzata utilizzando tavole di mortalità aggiornate e ad un tasso tecnico coincidente col tasso d’interesse di mercato, al netto dei caricamenti da corrispondere alla compagnia assicurativa. In pratica si assume implicitamente che il montante generato al termine del rapporto venga investito in titoli a reddito fisso con scadenze differenti. La scarsa attenzione rivolta alla fase di godimento della rendita, che potenzialmente può protrarsi anche per un numero molto elevato di anni, non è assolutamente giustificabile e ci sono alcuni aspetti di particolare importanza che meritano di essere presi in considerazione[4]. In primo luogo la selezione avversa è un problema che riguarda la teoria dell’assicurazione: i soggetti che sono convinti di avere una speranza di vita superiore rispetto a quella media sono anche più propensi a prediligere la conversione del montante in rendita vitalizia e ciò rende l’insieme degli assicurati mediamente differente rispetto alla popolazione generale, più longevo. Per tutelarsi le compagnie di assicurazione sono portate ad applicare premi più elevati e ciò a sua volta va ad incidere negativamente sulla selezione avversa iniziale (riguardante la scelta di aderire al fondo pensione); i fondi pensione riescono ad aggirare questo genere di problema sia grazie al fatto che i soggetti vi partecipano sin dall’età giovanile

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durante la quale le informazioni disponibili riguardo la propria speranza di vita sono nettamente inferiori, sia rendendo obbligatoria la conversione in rendita di almeno una parte del montante accumulato al momento del pensionamento. Un altro aspetto importante da tenere in considerazione sono le variazioni della mortalità, e cioè il tendenziale aumento della durata della vita media, che possono entrare in gioco sia durante il periodo lavorativo di accumulo che nel periodo successivo al pensionamento durante la fase di erogazione. Durante la fase di accumulo le tavole di mortalità vengono continuamente aggiornate per cui il rischio aggregato riguardo a possibili variazioni della durata della vita media ricade sui singoli individui, mentre il rischio specifico, cioè relativo ai singoli soggetti, a sua volta va a gravare sulla compagnia assicuratrice. In questo caso, quindi, a fronte di una riduzione della mortalità e quindi di un aumento della vita attesa, a parità di montante finale e per una data età di pensionamento, si otterrà un vitalizio inferiore. Durante il periodo di pensionamento, invece, le future variazioni della mortalità risultano prevedibili soltanto accettando un certo margine di errore quindi, per tutelarsi contro gli effetti negativi causati da eventuali errori di previsione, le compagnie assicuratrici applicano dei caricamenti che vanno ad abbassare ulteriormente il livello della pensione finale. Alcuni studiosi per cercare di attenuare le conseguenze legate al rischio aggregato di variazioni della mortalità, quali la inferiore domanda di vitalizi oppure il loro costo eccessivamente oneroso, hanno avanzato la proposta che sia lo Stato in prima persona ad accollarsi questo genere di rischio, visto l’interesse generale ad avere un sistema pensionistico efficiente. Questo risultato può essere raggiunto attraverso l’emissione di mortality bonds,

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cioè di titoli indicizzati alla mortalità generale i cui pagamenti non dipendono dalla longevità attesa nel momento in cui viene stipulato il contratto, ma da quella effettiva. Un ultimo elemento di particolare importanza e che quindi merita di essere tenuto in considerazione riguarda il fatto che, a parità di tavole di mortalità adottate per realizzare la trasformazione del montante in rendita, sono previste tre possibili tipologie alternative di impiego del montante stesso, a ciascuna delle quali corrisponde una diversa definizione della rendita futura: titoli a reddito fisso, titoli a reddito reale e titoli azionari.

INVESTIMENTO DEL MONTANTE

DEFINIZIONE DELLA RENDITA

TITOLI A REDDITO FISSO IMPORTO NOMINALE FISSO TITOLI A REDDITO REALE IMPORTO REALE FISSO

TITOLI AZIONARI IMPORTO VARIABILE

I titoli a reddito reale comportano il vantaggio di poter tutelare il potere d’acquisto delle rate annue sia contro l’inflazione attesa che da potenziali shock che la possono far salire sensibilmente al di sopra delle aspettative. Si tratta però di titoli che almeno attualmente non hanno conosciuto ampia diffusione, ma che ad ogni modo potrebbero avere più fortuna in futuro. I titoli azionari a loro volta comportano un trade-off tra rischio e rendimento più elevato rispetto alle due soluzioni alternative; in questo caso si parla di stakeholder pension, cioè di una particolare tipologia di pensione che partecipa alla redditività ed ai rischi d’impresa. In questo caso, siccome lo Stato non può emettere titoli che siano contemporaneamente indicizzati sia

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all’andamento della sopravvivenza che ai corsi azionari, non risulta possibile ricorrere ai mortality bonds per eliminare il caricamento effettuato per compensare l’incertezza riguardo la durata della vita. E’ noto, però, che con l’aumentare dell’età del lavoratore assume un’incidenza sempre maggiore la sua ricchezza di tipo finanziario e previdenziale a discapito di quella in capitale umano, inteso come valore attuale dei redditi futuri da lavoro. Da ciò deriva una propensione sempre inferiore con l’avanzare dell’età ad assumere rischi di natura finanziaria, quindi un soggetto ormai giunto al momento del pensionamento e che ha del tutto esaurito il proprio capitale umano non risulterà assolutamente disposto ad investire in attività finanziarie che comportano la sopportazione di un rischio eccessivo. E’ evidente quindi che i soggetti saranno piuttosto riluttanti ad investire il proprio montante in stakeholder pension.

Queste considerazioni nel loro complesso servono a mettere in risalto il fatto che la scelta degli investimenti più appropriati non assume rilievo soltanto durante la fase di accumulazione, ma anche nel momento in cui il montante finale che si è generato deve essere convertito in rendita vitalizia. I fondi pensione possono erogare due tipologie di prestazioni alternative: la pensione complementare di vecchiaia e quella di anzianità. Il lavoratore che si iscrive ad un fondo pensione ha diritto alla pensione complementare di vecchiaia una volta raggiunta l’età prevista dal regime pubblico obbligatorio per il pensionamento ed a condizione che risulti iscritto al fondo in questione da almeno cinque anni. In caso di permanenza all’interno del fondo per un periodo di tempo inferiore è possibile riscattare la propria posizione, recuperando in questo modo quanto versato maggiorato degli

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interessi maturati secondo le condizioni stabilite dalla legge e dal fondo stesso. Per l’ottenimento della pensione complementare di anzianità, invece, sussistono delle condizioni differenti: è necessaria la cessazione dell’attività lavorativa che comportava la partecipazione al fondo pensione, il raggiungimento di un’età non inferiore per più di dieci anni a quella richiesta per il pensionamento di vecchiaia dal regime obbligatorio e l’iscrizione al fondo per un periodo non inferiore a quindici anni.

1.5 Scelte d’ investimento e composizione del portafoglio del fondo

1.5.1 La scelta delle linee d’ investimento

Il livello del capitale finale accumulato da ciascun individuo partecipante al fondo è fortemente influenzato da tre variabili: la durata di permanenza nel fondo, il livello dei contributi versati ed infine assume particolare importanza il rendimento ottenuto. Al variare di ciascuno di questi elementi si generano differenze più o meno sensibili sull’ammontare delle prestazioni conseguibili al momento della cessazione del rapporto.

Al crescere della durata di permanenza all’interno del fondo, a parità di altre condizioni, aumenta conseguentemente anche il montante finale perché il contribuente ha il tempo per effettuare ulteriori versamenti e di beneficiare dell’effetto proprio della capitalizzazione, secondo cui i contributi versati in precedenza vengono continuamente rivalutati.

In risposta ad un aumento dei contributi versati, a parità di altre condizioni, ugualmente ci si attenderebbe una crescita del capitale accumulato al termine del rapporto e quindi del trattamento pensionistico. In questo caso, però, contrariamente a quando accade per la durata che presenta un effetto di tipo esponenziale sul trattamento ottenibile dal fondo, il legame tra contributi versati e montante finale è di carattere proporzionale.

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Infine, tanto più elevato risulta essere il rendimento prodotto dal fondo, tanto maggiore sarà la rivalutazione a cui sono sottoposti i contributi precedentemente versati; anche in questo caso l’effetto che tale variazione determina sulla somma finale accumulata risulta di tipo esponenziale.

E’ fondamentale che il fondo pensione nello svolgere la propria attività tuteli gli interessi degli iscritti quindi, alla luce della forte influenza che la variabile rendimento esercita sull’entità del montante finale, assume particolare rilievo l’individuazione di valide linee d’investimento.

Per poter stabilire correttamente le linee d’investimento che il gestore scelto dal fondo deve rispettare nello svolgere il proprio compito, il fondo deve tenere in considerazione alcuni elementi di fondamentale importanza:

1. il periodo di permanenza all’interno del fondo, elemento che a sua volta dipende dall’età degli iscritti e quindi dagli anni mancanti per il raggiungimento dell’età pensionabile. E’ evidente, infatti, che un giovane deve valorizzare i contributi versati su un arco temporale più esteso, per cui risulta disposto ad accettare un maggior rischio a fronte della massimizzazione del rendimento. Questo comportamento può trovare spiegazione nel fatto che gli anni caratterizzati da un rendimento negativo hanno maggiore tempo a disposizione per potersi compensare con quelli che, a contrario, presentano un rendimento positivo. Una persona, invece, ormai vicina all’età del pensionamento è portata a dare la priorità alla protezione del capitale accumulato e potrebbe, quindi, presentare una propensione al rischio nettamente inferiore;

2. l’obiettivo di mantenere un adeguato tenore di vita anche una volta cessata l’attività lavorativa, da cui deriva il desiderio proprio del lavoratore di

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accumulare un capitale finale sufficientemente consistente. I contribuenti, infatti, sono consapevoli sia del fatto che la durata media della vita si è notevolmente allungata, il che a sua volta comporta un allungamento dell’arco di tempo che la rendita pensionistica deve coprire, sia della possibilità che col trascorrere del tempo si verifichi un incremento delle spese mediche necessarie e allo stesso tempo una riduzione delle prestazioni previdenziali erogate dallo Stato;

3. il livello di rischio accettato dagli iscritti. Ci sono due rischi di fondamentale importanza che necessitano di un’attenta valutazione: la possibilità che in certi periodi si verifichino rendimenti negativi e la possibilità che i rendimenti ottenuti non risultino sufficienti a generare un trattamento pensionistico capace di assicurare il tenore di vita desiderato; 4. l’effetto riduttivo esercitato dall’inflazione nei confronti del potere

d’acquisto: per garantirsi un determinato tenore di vita in caso di aumento del tasso d’inflazione è necessario disporre di risorse maggiori rispetto a quelle stimate in precedenza a fronte di tassi d’inflazione più contenuti. Tenendo in considerazione l’importante impatto esercitato dall’inflazione, il fondo pensione nel definire le proprie strategie d’investimento, quindi, dovrebbe ragionare preferibilmente in termini di rendimenti reali di medio-lungo periodo (e quindi al netto dell’inflazione) piuttosto che di rendimenti nominali annui.

In un sistema a capitalizzazione, quindi, è evidente come il trattamento pensionistico presenti una forte dipendenza dal rendimento generato dal fondo, a riguardo però è importante tenere in considerazione il fatto che il desiderio di conseguire rendimenti elevati deve essere commisurato al livello di rischio ritenuto

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accettabile da parte degli iscritti. Esiste quindi un trade-off tra rendimento e rischio, che deve essere realizzato tenendo in considerazione che:

1. nel medio termine categorie di attività non omogenee tra loro generano rendimenti ed allo stesso tempo livelli di rischio molto differenti tra loro;

2. la volatilità, cioè la caoticità dei rendimenti, rappresenta l’unità di misura del rischio di mercato (fatta eccezione per le opzioni) attraverso cui è possibile misurare il rischio di un’eventuale variabilità dei rendimenti, espressa in termini di deviazione standard che praticamente indica la deviazione dei rendimenti rispetto al rendimento medio annuo, prendendo come riferimento un determinato arco di tempo. Un’attività, quindi, risulterà tanto più volatile quanto più il suo rendimento annuo si discosterà dal suo rendimento medio di lungo periodo;

3. ad un maggior rendimento corrisponde anche un rischio più elevato. Per ciascuna classe di attività è necessario prendere in considerazione sia il grado di rischio, misurato in termini di volatilità, che il rendimento offerto, tenendo in considerazione il fatto che tra i due parametri esiste una relazione positiva secondo la quale per conseguire rendimenti più elevati è necessario anche sopportare rischi maggiori.

Non è possibile individuare un’unica strategia considerata ottimale per l’intera famiglia dei fondi pensione, dato che non presentano tutti la medesima propensione al rischio, le stesse caratteristiche ed uguali obiettivi circa il rendimento desiderato. Ogni fondo, quindi, deve saper scegliere il trade-off tra rischio e rendimento ritenuto più appropriato per soddisfare al meglio le esigenze degli iscritti: è proprio per questo motivo che per il fondo stesso assume un’importanza fondamentale conoscere quelli che

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sono gli obiettivi degli iscritti in modo da poter arrivare a definire la strategia d’ investimento più adatta alle loro esigenze.

In linea generale le strategie d’investimento migliori sono quelle realizzate applicando il principio di diversificazione, basato sulla combinazione di classi di attività aventi tra loro la minore correlazione possibile (o addirittura correlazione negativa), in modo tale da riuscire a massimizzare i rendimenti e al contempo minimizzare il rischio. Ciascun fondo, quindi, sceglierà il mix di attività ritenuto più appropriato alle proprie esigenze, ottenendo come risultato un determinato rendimento medio ponderato: è fondamentale che la scelta in questione venga in ogni modo effettuata all’interno della frontiera efficiente delle combinazioni rischio-rendimento, cioè tra quelle combinazioni di attività che a ciascun livello di rischio associano il rendimento atteso più elevato.

1.5.2 La composizione del portafoglio dei fondi pensione

Gli studi svolti da Davids [1995], El Mekkaoui [1997] e dal Libro verde [Commissione delle Comunità Europee 1997] mettono in risalto la notevole diversità che caratterizza la composizione interna del portafoglio di fondi pensione appartenenti a paesi diversi, fatto che può essere opportunamente spiegato tenendo in considerazione l’esistenza di tutta una serie di fattori che in linea generale sono soliti, in modo più o meno significativo, influenzare la stessa composizione del portafoglio:

1. la diversa natura delle obbligazioni pensionistiche. I fondi a beneficio definito hanno obbligazioni legate alle retribuzioni reali, quelli a contributo definito, invece, promettono solamente il rendimento effettivamente realizzato sugli impieghi. Proprio per questo motivo è plausibile pensare che i primi siano più propensi ad investire in azioni, il cui rendimento è correlato positivamente all’andamento reale

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dell’economia e quindi anche alle retribuzioni, mentre i secondi possono essere a loro volta considerati degli investitori più prudenti. Queste considerazioni potrebbero far attendere l’assegnazione di un peso più elevato alla componente azionaria in quei paesi che si caratterizzano per una maggior presenza di fondi a beneficio definito. In realtà, invece, non sembra esistere una correlazione significativa tra tipologia di fondi e composizione del portafoglio;

2. il diverso grado di regolamentazione dei fondi che a sua volta determina la presenza di vincoli d’impiego più o meno stringenti. La regolamentazione esistente a riguardo, infatti, può differire anche in modo significativo da un paese all’altro: i paesi anglosassoni, ad esempio, sono quelli soggetti a minori vincoli a riguardo; infatti l’unico obbligo a cui devono sottostare è il rispetto della “normale prudenza del gestore” attraverso la realizzazione di un’opportuna diversificazione del proprio portafoglio. Per altri paesi, invece, la situazione risulta alquanto più complessa: possono essere stabilite delle linee guida in termini di quote massime acquisibili in riferimento ad alcune categorie di impieghi (ad esempio per le azioni estere), oppure le limitazioni possono assumere il carattere di quote minime di impieghi in titoli del debito pubblico o di titoli emessi per il finanziamento delle infrastrutture;

3. il diverso grado di sviluppo dei mercati finanziari in cui operano i fondi: mercati finanziari più efficienti, infatti, possono generare feed-back positivi sui fondi pensione permettendo una maggiore diversificazione del loro portafoglio e l’introduzione di tecniche e strumenti finanziari in grado di ridurre il rischio posto a carico dei partecipanti;

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4. la dimensione fiscale: a parità di altre condizioni, ed in particolare di avversione al rischio degli aderenti, il trattamento favorevole riservato ai fondi pensione nella composizione del portafoglio porta a privilegiare quelle attività caratterizzate da un maggior spread tra il tasso al lordo e quello al netto delle imposte.

Il fatto che questi fattori presentino notevoli differenze tra un paese e l’altro mette in rilievo come l’unica effettiva linea guida da tenere presente per una buona composizione del portafoglio dei fondi pensione, vista l’impossibilità di individuare dei modelli tipici, sia un’efficiente diversificazione della struttura degli impieghi.

1.6 I vantaggi tributari dei fondi pensione

Il legislatore italiano per raggiungere il proprio scopo prioritario di incentivare il ricorso volontario da parte dei singoli lavoratori a forme di previdenza complementare, offre in suo favore importanti benefici di carattere fiscale:

1. i contributi versati presso fondi pensione ed altre forme di previdenza individuale risultano, entro certi limiti prestabiliti, non imponibili dal punto di vista fiscale, in modo tale che possano affluire per il loro ammontare complessivo alle forme pensionistiche individuali. Lo stesso trattamento è previsto anche per la quota di Tfr e per i contributi a carico del datore di lavoro. In pratica la tassazione viene effettuata soltanto a valle al momento dell’erogazione delle prestazioni;

2. durante la fase di accumulazione le rendite finanziarie (capital gain) sono tassate con un’imposta sostitutiva ridotta;

3. al momento del pensionamento vengono tassati solo i contributi restituiti e non tassati in precedenza durante la fase di accantonamento: per evitare

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duplicazioni d’imposta la quota corrispondente ai rendimenti già tassati in precedenza durante il periodo di accumulo viene esentata dalla tassazione. Per quanto riguarda la parte di montante erogata sotto forma di capitale, invece, risulta soggetta a tassazione separata. Nel caso in cui la somma riscossa sotto forma di capitale non sia superiore ad un terzo del montante complessivo, l’imposta viene calcolata solamente sugli importi che non sono già stati precedentemente tassati e sulle quote destinate al trattamento di fine rapporto, e quindi non sul capital gain finché viene tassato a monte. In questo modo il legislatore persegue lo scopo di rendere meno favorevole l’erogazione delle prestazioni sotto forma di capitale e quindi cerca di favorire l’erogazione sotto forma di rendita periodica.

Al momento possono essere dedotti dalla base imponibile i contribuiti versati presso forme di previdenza complementare per un ammontare massimo pari al 12% del reddito complessivo e comunque entro un limite massimo di € 5.164,57. I contributi versati, ma non dedotti perché eccedenti il limite massimo prestabilito e di conseguenza soggetti a tassazione, al momento dell’erogazione della rendita non verranno tassati: l’iscritto, infatti, deve provvedere alla comunicazione al fondo ogni anno dei contributi versati e non dedotti.

Per i lavoratori autonomi, quindi, i contributi ed i premi versati presso il fondo pensione o altre forme di previdenza privata risultano deducibili fiscalmente nel limite del 12% e per l’ammontare massimo di € 5.164,57, con la conseguente possibilità di ridurre anche significativamente la propria base imponibile.

Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, nell’importo massimo deducibile di € 5.164,57 sono compresi anche i contributi versati da parte del datore di lavoro, quindi degli importi deducibili in questione vengono consumati prioritariamente i contributi

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versati presso il fondo pensione dal datore di lavoro mentre l’importo residuo rappresenta la quota effettivamente deducibile da parte del lavoratore. Per i lavoratori dipendenti esiste anche un ulteriore limitazione da tenere in considerazione: la deducibilità dei contributi è consentita per un importo massimo non superiore al doppio della quota di Tfr versata presso forme pensionistiche collettive. In questo modo lo scopo che il legislatore intende implicitamente perseguire è quello di favorire il versamento del Tfr presso i fondi pensione.

1.7 I vantaggi finanziari dei fondi pensione

Le somme versate in un fondo pensione, a differenza di quelle accumulate presso il datore di lavoro come Tfr che non sono capitali in gestione in quanto rendono un determinato tasso stabilito per legge (anche se variabile per effetto dell’inflazione), sono realmente gestite per conto dell’aderente. Questa gestione finanziaria presenta dei vantaggi importanti:

1. i minori costi legati ad una gestione in monte di elevati volumi di risparmio previdenziale (economie di scala), rispetto a quelli propri di una gestione di tipo individuale;

2. i vantaggi legati alla periodicità dei versamenti effettuati dagli iscritti che, mediante acquisti in cifra fissa, permette di livellare le oscillazioni che caratterizzano il mercato facendo acquistare poco quando i prezzi sono alti e molto quando invece sono bassi. Il principale problema del risparmio realizzato individualmente, infatti, è rappresentato proprio dagli errori commessi nell’entrare ed uscire dal mercato: sono frequenti, infatti, le entrate in massa durante le fasi positive, quando ormai i prezzi presenti sul mercato sono già elevati, e le analoghe fughe disperate che

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contraddistinguono invece le fasi negative in cui si tenta di uscire da titoli oramai già penalizzati da forti ribassi. Questi atteggiamenti sono dovuti principalmente al ritardo con cui i soggetti che non operano professionalmente all’interno del settore ricevono le informazioni e riconoscono quelle vere da quelle false, accrescendo in questo modo la volatilità del mercato e riducendo notevolmente i rendimenti generati dagli investimenti che realizzano con la possibilità non remota di incorrere addirittura in perdite. Quando il mercato presenta un andamento piuttosto imprevedibile un ottimo rimedio da utilizzare può essere quello di investire somme stabili ad intervalli regolari, proprio come fa un fondo pensione, in modo tale da riuscire a mediare le oscillazioni dei prezzi ed evitare così i risultati negativi legati ad un market timing errato;

3. i benefici legati alla realizzazione di una gestione di tipo professionale, alla specializzazione, all’ analisi continua dei mercati e al monitoraggio dei rischi e delle opportunità svolte da un team di gestori con elevate capacità ed esperienza nel campo.

1.8 I costi

L’adesione ad un fondo pensione in linea generale richiede il versamento di una quota iniziale d’iscrizione ed il successivo pagamento di una quota associativa annua che serve a finanziare i servizi amministrativi e di deposito.

I costi per la negoziazione dei titoli vanno direttamente ad incidere sui prezzi di acquisto e di vendita, quindi gravano sul patrimonio del fondo.

I costi di gestione da corrispondere al gestore finanziario sono espressi come percentuale del patrimonio e vengono addebitati sulle singole posizioni patrimoniali.

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L’aliquota applicata in questo caso dipende molto dalla tipologia di attività finanziarie che devono essere gestite e allo stesso tempo dal tipo di gestione, attiva o passiva, prescelta dal fondo. Gli investimenti in obbligazioni, ad esempio, comportano commissioni inferiori rispetto a quelli di tipo azionario o in valuta estera, così come a loro volta le gestioni passive risultano più convenienti rispetto a quelle attive che sono alla continua ricerca delle migliori performances. Un’ulteriore differenziazione a riguardo può essere effettuata tra fondi aperti e chiusi: i fondi chiusi sfruttando le potenziali elevate dimensioni dell’insieme di aderenti riescono a praticare per qualsiasi tipo di servizio un prezzo notevolmente inferiore sia rispetto ai fondi aperti che a quello sopportato in caso di gestione individuale.

Esiste una particolare commissione di gestione, la commissione di (over) performances la cui aliquota è legata al differenziale positivo esistente tra il rendimento conseguito dal gestore e quello invece generato da un insieme di titoli di riferimento (benchmark).

Generalmente le varie tipologie di commissione, eccetto quella di performances, vengono raggruppate in un’unica commissione che le comprende tutte e che viene espressa come percentuale del patrimonio.

Possono essere previste altre particolari tipologie di spese come ad esempio quelle previste nel caso in cui venga richiesto il passaggio ad un’altra linea d’investimento oppure in caso di riscatto anticipato ed uscita dal fondo.

1.8.1 Gli oneri di gestione

Una delle principali critiche sollevate contro il sistema previdenziale di carattere privato è l’eccessiva onerosità e, in effetti, le pensioni, sia pubbliche che private, comportano costi sia di carattere gestionale che amministrativo.

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I costi a carattere amministrativo connessi al sistema previdenziale sono tutti quegli oneri legati alla raccolta dei contributi, per gestione del patrimonio in regime di capitalizzazione, per il calcolo delle prestazioni ed il loro adempimento, per l’attività di informazione dei partecipanti, per gli azionisti e le varie autorità incaricate del controllo e della vigilanza.

Questi costi non risultano facilmente confrontabili tra un paese e l’altro e soprattutto a livello internazionale sia per il fatto che non sono adottati criteri uniformi per la contabilizzazione e la valutazione, sia per la diversa natura ed ampiezza delle prestazioni offerte. L’assenza di criteri uniformi di contabilizzazione è legata alla difficoltà riscontrata nel misurare direttamente il servizio offerto.

Gli studi effettuati sull’esperienza degli Stati Uniti mettono in evidenza la presenza di alcune regolarità in riferimento ai costi amministrativi che caratterizzano i fondi pensione[5]:

1. gli oneri in linea generale risultano superiori nei fondi a beneficio definito rispetto a quelli a contributo definito e ciò è per lo più legato ai maggiori costi unitari necessari per le consulenze attuariali, elemento che riveste un ruolo prioritario all’interno dei fondi a beneficio definito allo scopo di garantire una sufficiente capitalizzazione del fondo. Questi costi, inoltre, risultano superiori nei fondi che coprono più imprese, come ad esempio i fondi di categoria, rispetto a quelli relativi a singole imprese, fatto probabilmente imputabile alle maggiori spese legali da che si devono sostenere per il recupero dei contributi;

2. in media il 40% delle spese complessive è rappresentato proprio da quelle spese connesse alla gestione e consulenza finanziaria. La distribuzione in questo caso risulta pressoché uniforme tra fondi a beneficio definito e

[5]

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quelli a contributo definito, mentre è maggiore per i fondi multi-impresa rispetto a quelli di una sola impresa;

3. non sembra esistere una forte correlazione tra le performances del fondo ed i relativi oneri di gestione. In base ad alcuni studi svolti in passato le performances della quota azionaria presente all’interno del portafoglio dei fondi pensione risultano peggiori rispetto a quelle della quota azionaria presente nel portafoglio dei fondi comuni e ciò può essere legato ad una maggior incidenza degli oneri di gestione finanziaria all’interno dei fondi pensione;

4. gli oneri amministrativi risultano direttamente correlati al grado di flessibilità e personalizzazione offerto dai vari fondi. Alcuni fondi, infatti, risultano particolarmente flessibili in termini di scelte d’investimento, prestiti durante la fase di accumulazione, tempestività dell’informazione offerta al partecipante, velocità nel cambiare le scelte fatte in precedenza e modalità di godimento del montante accumulato, offrendo piani personalizzati di risparmio pensionistico. Si tratta ad ogni modo di prodotti piuttosto costosi che quindi contribuiscono ad accrescere i costi di carattere amministrativo.

Il peso che gli oneri di carattere amministrativo propri dei fondi pensione vengono ad assumere durante tutte le fasi del rapporto pensionistico acquista particolare rilievo sia per poter realizzare un confronto tra gli oneri complessivi propri di un sistema pubblico e quelli di un sistema privato, sia per poter realizzare un confronto all’interno del mercato con altri strumenti di carattere finanziario-assicurativo che possono rappresentare una valida alternativa per accumulare il reddito necessario per poter far fronte alle esigenze che si manifestano col

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pensionamento. Il confronto col sistema previdenziale pubblico appare piuttosto complesso proprio in riferimento alla differente natura che caratterizza i due sistemi e che rende complesso riuscire ad omogeneizzare le diverse tipologie di oneri: in entrambi i sistemi, infatti, si raccolgono contributi e si erogano prestazioni, ma nel sistema privato a capitalizzazione è necessaria anche una gestione delle riserve che nell’altro caso risulta del tutto assente. L’unico confronto significativo che si potrebbe realizzare in questo caso è quello tra il tasso implicito di rendimento proprio del sistema a ripartizione ed il tasso di rendimento dei fondi pensione considerato al netto degli oneri amministrativi. Per quanto attiene il confronto con strumenti alternativi sembra che mercati finanziari evoluti e altamente concorrenziali riescano a gestire i fondi pensione a costi non significativamente superiori rispetto a quelli relativi ai fondi comuni di investimento.

1.9 Il rapporto fondo-gestore

Il fondo pensione, secondo quanto stabilito a riguardo dalla legge, ha il compito di definire le proprie linee d’investimento e controllarne il rispetto, mentre il gestore a sua volta ha l’onere di metterle in pratica. E’ molto importante, ai fini del raggiungimento degli obiettivi di efficienza e di trasparenza, che i rispettivi ruoli siano definiti in modo chiaro e senza sovrapposizioni. Al fondo spetta un ruolo guida nei confronti dei gestori in modo tale da evitare che questi svolgano una gestione speculativa ed incontrollabile: una definizione degli obiettivi del fondo prettamente di tipo qualitativo, infatti, non è in grado di garantire una buona e durevole tutela del risparmio previdenziale dei partecipanti. Per questo motivo riveste un ruolo fondamentale la traduzione degli obiettivi interni del fondo in una vera e propria strategia d’investimento misurabile, in

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grado di consentire la realizzazione di un’effettiva valutazione delle capacità proprie del gestore ed il controllo costante del rispetto del trade-off tra rendimento e rischio prescelto dal fondo.

La realizzazione di questo processo dal punto di vista pratico può essere scissa in tre fasi ben distinte tra loro:

1. la traduzione degli obiettivi d’investimento in un’allocazione precisa tra classi di attività. La definizione della strategia d’investimento migliore per il fondo comporta la necessità di individuare il trade-off tra rischio e rendimento ritenuto ottimale per i partecipanti perché in grado di esplicitare i loro obiettivi. Per evitare che si crei un rapporto ambiguo, e di conseguenza deleterio per il fondo e per gli stessi iscritti, è necessario che gli obiettivi siano tradotti in una ben precisa allocazione tra classi di attività;

2. indirizzare l’azione del gestore tramite la definizione di specifici e ben quantificati limiti all’investimento. Il fondo pensione deve indicare per ciascuna classe di attività le tipologie di titoli in cui è consentito investire, imponendo anche delle limitazioni quantitative alla possibilità di variare l’allocazione prestabilita. Nel definire la tipologia di titoli autorizzati il fondo può aggiungere ulteriori restrizioni alle limitazioni già previste dal ministro del Tesoro, indicando al gestore dei limiti massimi all’investimento all’interno di determinate categorie di titoli. E’ fondamentale anche provvedere ad imporre una limitazione massima di tipo quantitativo alla possibilità concessa al gestore di variare l’allocazione prescelta, altrimenti questi potrebbe essere portato a seguire il proprio istinto scegliendo di volta in volta le classi di attività caratterizzate da un

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miglior potenziale e spostandosi ogni volta nel momento più opportuno. Questa tattica, però, farebbe sopportare agli iscritti rischi molto elevati e spesso indesiderati, infatti garantisce buone performances se messa in pratica opportunamente, ma allo stesso tempo nel caso contrario comporta gravi perdite, ed è piuttosto evidente il fatto che nessun gestore possa avere la certezza di sapersi spostare da un’ attività all’altra sempre nel momento più opportuno. Proprio per questo motivo è importante porre dei limiti al grado di libertà concessa al gestore nello svolgere la propria attività, limiti che a loro volta non devono risultare né troppo rigidi, per non ridurre l’attività del gestore ad una mera scelta tra titoli all’interno di ciascuna classe, né troppo elastici in modo tale da raggiungere l’obiettivo principale di evitare lo stravolgimento del trade-off tra rendimento e rischio prescelto. Le esperienze estere, dove i fondi pensione hanno già avuto una certa diffusione, evidenziano come l’imposizione di un range in grado di limitare le possibilità concesse al gestore di scostarsi dall’allocazione prestabilita risulti essere un compromesso efficace per consentirgli di generare valore aggiunto senza allo stesso tempo sottoporre il fondo a rischi eccessivi;

3. indicare un indice di riferimento (benchmark) per ciascuna classe di attività: soltanto attraverso la comunicazione al gestore di un indice di riferimento oggettivo per ogni classe di attività risulta possibile valutare la sua effettiva capacità di creare valore aggiunto attraverso il semplice confronto delle performances concretamente realizzate con l’indice di riferimento prestabilito.

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Soltanto basando il rapporto col gestore su queste regole essenziali per il fondo pensione risulta possibile essere un vero e proprio intermediario e quindi impostare un rapporto autonomo sia con gli iscritti che col gestore; allo stesso tempo un mercato caratterizzato dalla presenza di queste regole fondamentali consente di garantire trasparenza, sviluppo di professionalità ed efficienza a vantaggio degli iscritti.

Il fondo pensione in pratica ha due fondamentali responsabilità nei confronti dei propri iscritti: l’offerta di strategie d’investimento che risultino in grado di soddisfare gli obiettivi degli iscritti e la tutela dei loro interessi assicurando la realizzazione di una strategia coerente con le proprie esigenze.

All’interno di uno stesso fondo pensione possono essere realizzate diverse linee d’investimento (si parla in questo caso di fondo multicomparto) in modo tale da offrire la possibilità agli iscritti di scegliere la combinazione tra rischio e rendimento più adeguata alle proprie esigenze. Bisogna, infatti, tenere presente che un lavoratore ormai prossimo al pensionamento ha come scopo principale quello di salvaguardare il capitale accumulato durante il periodo lavorativo e da cui dipenderà l’ammontare delle prestazioni pensionistiche, invece un giovane ha come finalità fondamentale quella di assicurarsi un adeguato tenore di vita per il futuro. E’ piuttosto scontato, quindi, che mentre nel primo caso viene data priorità alla stabilità del capitale, tenendo in considerazione l’orizzonte temporale d’impiego piuttosto ridotto e la ridotta propensione al rischio, nell’altro caso viene data maggiore importanza alla creazione e valorizzazione del capitale grazie al conseguimento di consistenti rendimenti reali, sfruttando a proprio vantaggio l’elevato orizzonte temporale d’impiego a propria disposizione. Risulta praticamente impossibile, quindi, riuscire a soddisfare le diverse esigenze che caratterizzano i vari soggetti attraverso l’offerta di un’unica strategia d’investimento.

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Per quanto riguarda la necessità di tutelare gli interessi degli iscritti assicurando la realizzazione di una strategia coerente con le loro specifiche esigenze, ciò non significa dover permettere a ciascun aderente di frazionare il proprio contributo tra i diversi comparti presenti perchè in questo modo per il fondo risulterebbe eccessivamente complesso riuscire a controllare che per ciascun iscritto siano rispettati i limiti d’investimento stabiliti dal ministro del Tesoro. E’ invece possibile mettere a disposizione degli iscritti più strategie d’investimento a patto che ciascuna di esse risulti diversificata e rispetti i limiti indicati nell’apposito decreto del ministro del Tesoro , che ogni strategia si esprima in un’allocazione definita dal Consiglio d’amministrazione del fondo e che ogni singolo iscritto possa scegliere di aderire ad una sola strategia all’interno della rosa predisposta. Si tratta di condizioni che assumono un’importanza estrema al fine di garantire la tutela del risparmio previdenziale.

Per fare in modo che gli iscritti comprendano le peculiarità che contraddistinguono ciascuna strategia offerta e di conseguenza facilitare la loro scelta, è fondamentale che il fondo provveda a comunicare loro le varie strategie d’investimento offerte, mettendone in evidenza i rispettivi obiettivi, il trade-off tra rischio e rendimento e l’orizzonte di permanenza consigliato. In linea generale la scelta viene realizzata prendendo in considerazione alcuni parametri fondamentali quali la durata dell’investimento che a sua volta è strettamente connessa all’età dell’iscritto, la propensione al rischio ed il trattamento pensionistico desiderato. Si tratta ad ogni modo di variabili che col passare degli anni possono evolvere facendo avvertire all’aderente la necessità di cambiare strategia, quindi è di fondamentale importanza consentire agli iscritti degli switches da una strategia all’altra. Viene offerta una facoltà di switch una volta all’anno quale compromesso ideale tra la necessità di consentire una sufficiente flessibilità e l’esigenza di impedire agli aderenti di agire in un’ottica prettamente speculativa.

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Attraverso la possibilità concessa ai lavoratori di scegliere tra una pluralità di strategie all’interno del medesimo fondo si ottiene come risultato il rafforzamento della separazione dei ruoli tra fondo e gestore: il fondo pensione in questo modo, infatti, ha la possibilità di portare a termine il proprio ruolo principale di tutela degli iscritti ed allo stesso tempo il gestore provvede a portare a termine il proprio compito di gestione degli investimenti nel rispetto di un quadro preciso e non ambiguo. Questo genere d’impostazione dovrebbe riuscire a favorire l’efficienza e lo sviluppo della professionalità dei fondi pensione e dei gestori con importanti vantaggi anche per gli stessi iscritti.

In linea generale possono essere contraddistinte due modalità alternative di gestione realizzabili all’interno del fondo pensione: esiste la possibilità che lo stesso fondo provveda in prima persona alla gestione del patrimonio raccolto e quella alternativa in base alla quale, invece, la gestione del patrimonio viene affidata ad un gestore esterno, quale una banca, una compagnia di assicurazione, una Sim o una società di gestione del risparmio.

La prima alternativa, quindi, prevede la possibilità per il fondo pensione di provvedere direttamente alla gestione del patrimonio raccolto presso i contribuenti, cosa che in genere viene realizzata attraverso la costituzione di un apposito organo interno avente il compito specifico di individuare gli investimenti ritenuti più opportuni nel rispetto dei vincoli legislativi e degli indirizzi di gestione ricevuti dagli iscritti. Questi fondi possono essere considerati dei veri e propri intermediari finanziari anche se effettuano la raccolta presso un numero definito e limitato di risparmiatori che sopportano personalmente il rischio insito nell’attività di gestione. I lavoratori in questo modo ottengono un vantaggio importante che consiste nella possibilità di decidere autonomamente, attraverso i propri rappresentanti, le politiche di gestione messe in atto e di controllare l’utilizzo fatto del proprio risparmio. Si tratta allo stesso tempo di una

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soluzione complessa da realizzare dal punto di vista organizzativo perché necessita della presenza all’interno del fondo stesso di competenze specifiche e di un’adeguata professionalità per poter svolgere i compiti di gestione finanziaria ed amministrazione assunti dal fondo. Proprio per la difficoltà riscontrata nel disporre delle professionalità necessarie, spesso si preferisce optare per soluzioni alternative.

In alternativa il fondo può decidere di affidare la gestione del proprio patrimonio ad un soggetto esterno, ad un intermediario specializzato (Sim, società di gestione di fondi comuni mobiliari, società di gestione specializzate di emanazione assicurativa o bancaria…) capace di gestire al meglio il risparmio previdenziale, caratterizzato dalla stabilità dei flussi e da un lungo orizzonte temporale d’impiego. I flussi in entrata e in uscita risultano facilmente prevedibili per il semplice fatto che i versamenti dei lavoratori e dei datori di lavoro sono fissati contrattualmente e la probabilità di un possibile prelievo individuale dal fondo prima del momento del pensionamento è limitata ai casi speciali di premorienza, licenziamento del lavoratore oppure inefficienza del fondo stesso. Ciò comporta la presenza all’interno del fondo di un’ottica di investimento di lungo termine, motivo questo per cui i fondi pensione possono favorire, attraverso i propri investimenti, l’ispessimento e la stabilità dei mercati finanziari ed il finanziamento dello sviluppo. Attraverso il ricorso ai fondi pensione, inoltre, viene realizzata una capitalizzazione del piccolo risparmio attraverso un’opportuna diversificazione del portafoglio tra scadenze, tipologie di strumenti finanziari e settori.

I fondi pensione, quindi, assumono delle caratteristiche molto particolari che associano alla propria funzione pensionistica un importante ruolo di carattere finanziario legato soprattutto alla propria capacità di attivare il risparmio.

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