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Academic year: 2021

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A

NNALI DI STORIA DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE

Comitato di direzione: Gian Paolo Brizzi, Piero Del Negro, Andrea Romano.

Comitato di redazione: Elena Brambilla, Romano Paolo Coppini, Peter Denley, Mordechai Feingold, Roberto Greci, Paul F. Grendler, Antonello Mattone, Daniele Menozzi, Mauro Moretti, Paolo Nardi, Luigi Pepe, Mariano Peset, Maria Gigliola di Renzo Villata, Hilde de Ridder Symoens, Marina Roggero, Roberto Sani, Gert Schubring, Elisa Signori, Andrea Silvestri, Maria Rosa di Simone, Jacques Verger.

Comitato dei consulenti editoriali: Girolamo Arnaldi, Gaetano Bonetta, Francesco Bonini, Stefano Brufani, Patrizia Castelli, Giuseppe Catturi, Ester De Fort, Giuseppina Fois, Paolo Gheda, Teresa Grange, Alberto Grohmann, Aldo Mazzacane, Paolo Mazzarello, Simona Negruzzo, Daniela Novarese, Giuliano Pancaldi, Marco Pasquali, Achille Marzio Romani, Maurizio Sangalli, Ornella Selvafolta, Andrea Tabarroni, Andrea Tilatti, Francesco Totaro, Francesco Traniello, Francesco Vecchiato.

Redazione: Maria Grazia Suriano Direttore responsabile: Gian Paolo Brizzi

Autorizzazione del Tribunale Civile di Bologna n. 6815 del 5/6/98

Gli «Annali di Storia delle università italiane» sono una pubblicazione periodica a caden- za annuale. Gli «Annali» si propongono come punto di incontro, di discussione e di in- formazione per quanti, pur nella diversità degli approcci storiografici e nella molteplici- tà dei settori disciplinari di appartenenza, si occupano di temi relativi alla storia delle uni- versità italiane.

La rivista è espressione del “Centro interuniversitario per la storia delle università italia- ne” (CISUI), cui aderiscono attualmente gli Atenei di Bari, Bologna, Chieti, Ferrara, Ma- cerata, Messina, Milano “Luigi Bocconi”, Milano Politecnico, Milano Statale, Padova, Par- ma, Pavia, Perugia, Pisa, Roma “Tor Vergata”, Sassari, Scuola Normale Superiore di Pisa, Siena, Siena “Università per Stranieri”, Teramo, Torino, Udine, Valle d’Aosta, Verona.

I testi pubblicati sono preventivamente valutati dai curatori indicati, per ciascun numero, dal Comitato di redazione e dal Comitato dei consulenti editoriali. I testi sono altresì sot- toposti al giudizio in forma anonima di esperti interni ed esterni (peer review). Il modulo per peer review è disponibile on-line all’indirizzo www.cisui.unibo.it/home.htm. Gli articoli pubblicati in questa rivista sono catalogati negli indici sotto elencati.

Annali di Storia delle Università Italiane is a peer reviewed journal and it is covered by the following abstracting/indexing services:

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Bibliografia storica italiana Catalogo italiano dei periodici/Acnp

Il CISUIha la propria sede presso l’Università di Bologna:

Centro interuniversitario per la storia delle università italiane Via Galliera 3

40121 Bologna

tel. +39+051224113: tel/fax +39+0512088507

e-mail: cisui.redazione@unibo.it; indirizzo internet: www.cisui.unibo.it/

Corrispondenza redazionale: «Annali di storia delle università italiane», CP 82, 40134 Bologna 22

Abbonamenti e acquisti: CLUEB, via Marsala 31, 40126 Bologna

Copyright: tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qual- siasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non espressamente autorizzata dalla Redazione della rivista.

© 2009 CLUEB, via Marsala 31, 40126 Bologna e Centro interuniversitario per la storia delle università italiane, via Galliera 3, 40121 Bologna

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Annali di storia

delle università italiane

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Annali di storia delle università italiane 13/2009

I

NDICE

7 IL PUNTO

9 ANDREAROMANO, Alcune considerazioni sul valore legale delle lauree universi- tarie: note storiche e prospettive

45 STUDI

47 The University of Macerata, Preface by ROBERTOSANI

51 L’Università degli Studi di Macerata, Presentazione di ROBERTOSANI

55 ROBERTOSANI-SANDROSERANGELI, Per un’introduzione alla storia dell’Università di Macerata

67 GIAMMARIOBORRI-ROBERTOLAMBERTINI, Macerata: la questione delle origini del- l’Università e l’insegnamento superiore nelle Marche tra Due e Trecento 89 DONATELLAFIORETTI, Il Collegio dei dottori legisti (XVI-XVIII secolo)

99 SANDROSERANGELI, Eremitani di S. Agostino, domenicani e l’antica Università di Macerata

113 PIO CARTECHINI, L’Archivio dell’Università di Macerata dalla Restaurazione al- l’Unità (1816-1860)

125 LUIGIAURELIOPOMANTE, L’Università di Macerata nel periodo post unitario: le tappe di una faticosa rinascita

145 ROSAMARISABORRACCINI, La Biblioteca dell’Università: da raccolta giuridica a sistema di rete (1860-2009)

163 RAFFAELLAZAMBUTO, Il Settecento vagum e ribelle di Archibald Bower

175 SANDROSERANGELI-LUIGIAURELIOPOMANTE, L’inatteso dono di un abbandonato album fotografico: Iriade Tartarini e i suoi compagni d’Università del 1897 187 ROBERTOSANI, Il rettorato di Attilio Moroni e l’evoluzione dell’Università degli

Studi di Macerata a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo XX 203 DANIELAGIACONI, Gli studi economici nell’Università di Macerata dall’Unità alla

seconda guerra mondiale

223 MARIANOCINGOLANI-RINOFROLDI-ANTONIOG. SPAGNOLO, Le Discipline medico- forensi e il Settore scientifico-disciplinare med 43 (medicina legale, tossicologia forense, bioetica)

235 MICHELECORSI, L’insegnamento delle scienze pedagogiche e didattiche dal 1964 a oggi

243 FRANCESCOTOTARO-CLARAMANDOLINI, La Filosofia a Macerata dal 1964 a oggi:

dalle presenze eccellenti alla dignità di Scuola

261 PAOLAOLIVELLI, Brevi note sull’Istituto di Esercitazioni giuridiche

267 GIOVANNAM. FABRINI-SILVIAM. MARENGO, L’attività di studi e ricerche del Dipar- timento di Scienze archeologiche e storiche dell’antichità in Italia e all’estero

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285 FONTI

287 GIOVANNAMURANO, I libri di uno Studium generale: l’antica libraria del conven- to di San Domenico di Bologna

305 CHRISTOPHERCARLSMITH, Mens Sana in Corpore Sano: Health in the Montalto College of Bologna, 1585-1700

317 PATRIZIACASTELLI, La laurea pisana di Giuseppe Mazzatinti e i canti popolari nel- lo scorcio del XIX secolo

333 VALERIABELLONI, Gli studi privati politico-legali nella Lombardia della restaura- zione (1815-1859)

371 GIANLUIGIBRUZZONE, Giacomo Luigi Ciamician e Stanislao Cannizzaro 397 DOMENICOVENTURA, Alle origini della Facoltà di Economia di Catania 409 ARCHIVI,BIBLIOTECHE,MUSEI

411 MARIAPIATORRICELLI, Le biblioteche per la formazione alle professioni tra ’800 e ’900: il caso della Scuola per gli ingegneri e della Scuola di agraria dell’Uni- versità di Bologna

419 SCHEDE E BIBLIOGRAFIA

421 Anna Morandi Manzolini una donna fra arte e scienza. Immagini, documenti, repertorio ana- tomico, a cura di MIRIAMFOCACCIA, Firenze, Leo S. Olschki, 2008 (MARIATERESAGUERRINI), p.

421; FRANCESCABAGLIANI, La Corrispondenza di Carlo Allioni (1728-1804). Territorio, Flora e Giardini nei rapporti internazionali del “Linneo Piemontese” (ANNALETIZIAZANOTTI), p. 421;

GIULIABARBARULLI, Giosuè Carducci Luciano Bianchi. Lettere 1859-1886 (GIANPAOLOBRIZZI), p. 423; FRANCESCOBIGA, Felice Cascione e la sua canzone immortale (LUCIANOCASALI), p. 424;

CENTROINTERUNIVERSITARIO PER LO STUDIO DELLASTORIA DELDIRITTO E DELLEISTITUZIONI ITA-

LIANE ED EUROPEE FRA LEUNIVERSITÀ DISIENA, TRENTO, CATANZARO, PALERMO(C.I.S.D.I), Per Luigi Ceci. Atti della Giornata di studi Alatri, 26 maggio 2007, a cura di GIOVANNIMINNUCCI

(MAUROMORETTI), p. 424; PETERDENLEY, Commune and Studio in Late Medieval and Renais- sance Siena (PAOLONARDI), p. 425; SIMONEDURANTI, Lo spirito gregario. I gruppi universitari fascisti tra politica e propaganda (1930-1940) (SIMONASALUSTRI), p. 429; Einstein parla ita- liano. Itinerari e polemiche, a cura di SANDRALINGUERRI-RAFFAELLASIMILI(LUIGIPEPE), p. 429;

Les élites lettrées au Moyen Âge. Modèles et circulation des savoirs en Méditerranée occidentale (XIIe-XVesiècles). Actes des séminaires du CHREMMO, coordonné par PATRICKGILLI(SIMO-

NEBORDINI), p. 430; ANNAESPOSITO-CARLAFROVA, Collegi studenteschi a Roma nel Quattrocen- to. Gli statuti della «Sapienza Nardina» (SIMONEBORDINI), p. 434; La figura e l’opera di Ben- venuto Griziotti, a cura di FRANCOOSCULATI(MARIACLEOFEGIORGINO), p. 436; MARCELLOFINI, Biografie accademiche. I Presidenti da Alamanno Isolani a Giuseppe Medici, 1807-1995 (GIAN

PAOLOBRIZZI), p. 436; Inventari Golgiani, a cura di PAOLOMAZZARELLO-MARIAPIERAMILANI- SUSANNASORA-ALBERTOCALLIGARO(DANIELANEGRINI), p. 437; Lauree pavesi nella seconda me- tà del ’400. III (1491-1499) Con un’appendice delle lauree (1425-1482), a cura di SIMONAIA-

RIAe AGOSTINOSOTTILI, presentazione di Annalisa Belloni, Milano, Cisalpino, 2008 (MARIATE-

RESAGUERRINI), p. 437; MARIOLUPANO, Aimone Cravetta (1504-1569) giurista del diritto co- mune (MARIAGIGLIOLA DIRENZOVILLATA), p. 438; GIUSEPPEONGARO, Storie di Medici e di Me- dicina (ALBAVEGGETTI), p. 440; Paolo Zacchia. Alle origini della medicina legale 1584-1659, a cura di ALESSANDROPASTORE-GIOVANNIROSSI(EUGENIATOGNOTTI), p. 441; FRANCESCAPELINI- ILARIAPAVAN, La doppia epurazione. L’Università di Pisa e le leggi razziali tra guerra e dopo- guerra (ANDREAMARIUZZO), p. 442; ALESSIOPONZIO, La palestra del Littorio. L’Accademia della Farnesina: un esperimento di pedagogia totalitaria nell’Italia fascista (ELENACORTESI), p. 443;

La Psicologia ai margini dell’impero. La Psicologia a Palermo tra Ottocento e Novecento, a cu- ra di GIOVANNISPRINI(NICOLETTACARAMELLI), p. 443; SIMONASALUSTRI, La Nuova Guardia. Gli universitari bolognesi tra le due guerre (1919-1943) (MARIAGRAZIASURIANO), p. 444; MIRELLA

SPADAFORA, Habent sua fata libelli. Gli alba amicorum e il loro straordinario corredo iconogra- fico (1545-1630 ca.), Bologna, CLUEB, 2009 (MARIATERESAGUERRINI), p. 445; Università e ac- cademie negli anni del fascismo e del nazismo. Atti del Convegno internazionale Torino, 11-13 maggio 2005, a cura di PIERGIORGIOZUNINO(SIMONASALUSTRI), p. 446; L’Università di Urbino, 1506-2006, a cura di STEFANOPIVATO. 1: La storia; 2: I saperi fra tradizione e innovazione (GIAN

PAOLOBRIZZI), p. 447; Universitas nostra Gregoriana. La Pontificia Università Gregoriana ieri ed oggi, a cura di PAULGILBERT(GIANPAOLOBRIZZI), p. 448.

451 Bibliografia corrente e retrospettiva 461 NOTIZIARIO

463 Convegni, seminari, incontri di studio 477 Tesi

480 Riviste e notiziari di storia delle università 6

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Il punto

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A

LCUNE CONSIDERAZIONI

SUL VALORE LEGALE DELLE LAUREE UNIVERSITARIE

:

NOTE STORICHE E PROSPETTIVE

A

sette anni dalla pubblicazione del denso intervento di Sabino Cassese1, gli Annali tornano ancora, con il Punto, sul tema irri- solto, e sempre di attualità, del valore legale del titolo di studio2.

1. Quasi una premessa

Proprio Cassese, prendendo le mosse dalla “filippica” di Luigi Einaudi, del 1959, contro il valore legale dei titoli di studio3, chiudeva la sua ri- Andrea Romano

1Il Punto, SABINOCASSESE, Il valore legale del titolo di studio, «Annali di Storia delle Univer- sità italiane», 6 (2002), p. 9 e ss.

2Vorrei premettere che la riflessione che se- gue si sofferma sul cosiddetto valore legale riconosciuto alle lauree universitarie senza occuparsi, più in generale, del valore legale dei titoli di studio rilasciati dalle varie istitu- zioni scolastiche. Va detto altresì che non è in- tenzione di chi scrive tornare sul tema, già esaurientemente sviscerato, di cosa si debba intendere per titolo di studio o di quali siano le specifiche problematiche connesse al suo riconoscimento giuridico. Mi preme piuttosto individuare, seguendo un’analisi con meto- dologia storica, taluni nessi intercorrenti fra ordinamenti universitari, autonomia universi- taria e titoli di studio universitari, anche al fi- ne di meglio comprendere le ragioni dell’at- tuale “crisi” del sistema universitario italiano, di cui il ricorrente dibattito sull’abolizione dei titoli di studio può consederarsi un sintomo.

Già nel 1977, MARIOBRUTTI, A proposito del valore legale del titolo di studio, «Il Mulino», 5 (1977), p. 741, annotava «come il valore lega- le del titolo di studio abbia molte possibiltà di diventare uno di quei nodi sempiterni di di- battito cui nulla riescono anche gli sforzi più meritori di chiarificazione e razionalizzazio- ne» e, più di recente, MARIOLIBERTINI, Com- petizione fra università e valore legale del tito- lo, «federalismi.it», 3 (2009), scrive: «nel pe- renne dibattito sulla crisi dell’università ita- liana, un luogo comune ricorrente è la propo- sta di abolizione del valore legale del titolo».

Nell’occasione può risultare utile anche evi- denziare taluni profili connessi al processo di armonizzazione dei sistemi d’istruzione eu- ropei, messo in marcia dal cosiddetto proto- collo di Bologna del 1999.

3LUIGIEINAUDI, Scuola e libertà , in Prediche inutili, Torino, Einaudi, 1959, p. 57. Liberista e convinto antistatalista Einaudi esprimeva la convinzione che la preparazione culturale di un “laureato” non andasse certificata dallo Sta- to (cui non riconosceva di essere «la fonte del- l’idoneità scientifica, tecnica, teorica o pratica, umanistica o professionale»), ritenendo ne- cessario che fosse lasciato «libero il datore di lavoro, pubblico e privato, di preferire l’uomo

9 Annali di storia delle università italiane 13/2009

1 . Luigi Einaudi.

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flessione notando lucidamente che «il tema del valore legale dei titoli di studio è una nebulosa» e concludendo che:

non merita filippiche, ma analisi distaccate, che non partano da furori ideologi- ci o da modelli ideali, bensì da una valutazione delle condizioni delle strutture pubbliche e professionali e dai condizionamenti derivanti dal riconoscimento dei titoli di studio sull’assetto della scuola e dell’università4.

Quelle auspicate analisi distaccate, almeno a parere di chi scrive, non ci sono state, anzi si sono susseguiti interventi, spesso ripetitivi, in buo- na misura ispirati proprio da “furori ideologici e modelli ideali”, in larga parte condizionati dalle ricorrenti polemiche e dal recente accanimento mediatico sui guasti del sistema universitario italiano, nonché dalle du- re, e spesso fondate, critiche (provenienti indistintamente dai mondi po- litico, accademico ed economico) sul cattivo funzionamento delle Uni- versità italiane o, meglio, di talune di esse. Spesso, semplicisticamente, si è creduto di potere individuare il rimedio a tutti i mali reali o presunti dell’Università, col proporre, immediatamente o progressivamente, l’abo- lizione del valore legale dei titoli di studio universitari5.

Il riaccendersi del dibattito, anche in seguito alle recenti dichiarazio- ni in materia della ministra dell’Università e della Ricerca Mariastella Gelmini e del ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta, all’ap- provazione di due “ordini del giorno” che impegnano il Governo a valu- tare le modalità per abolire o gradualmente superare il valore legale del- le lauree6, alla presentazione delle proposte di legge di cui sono primi fir- matari Fabio Garagnani e Gaetano Quagliariello, suggerisce una rifles- sione di respiro più ampio. Forse sarebbe utile che, prescindendo dalle contingenti criticità, si prenda le mosse dalla tradizione culturale italiana e dalla realtà storica in cui è maturato il riconoscimento di un valore le- gale ai titoli rilasciati dalle Università per cercare di comprendere le ra- gioni fondanti di un istituto (la laurea, come titolo di studio legalmente ri- conosciuto) che, seppure da qualcuno ritenuto poco più di un “residua- to”, ha purtuttavia assunto, e mantiene, i connotati quasi di “mito”.

A. Romano

10

vergine di bolli». Le “filippiche” antistatalisti- che del presidente Einaudi, comunque da con- testualizzare, erano vivaci e non infrequenti.

Basti pensare al suo intervento del 1944 per l’abolizione del sistema prefettizio definito

“lue” e “strumento della dittatura”, seccamen- te affermando che «non si avrà mai democra- zia, finché esisterà il tipo di governo accen- trato, del quale è simbolo il prefetto» in quan- to «Democrazia e prefetto repugnano profon- damente l’una all’altro» (Via il Prefetto!, riedi- to in Il buongoverno: saggi di economia e poli- tica, Bari, Laterza, 1954, p. 52 e ss.). Prenden- do le mosse da Einaudi si sviluppano le consi- derazioni di ANDREAMANGANARO, “Uomini ver- gini di bolli” ed eterne ammalate. Sulla que- stione del valore legale dei titoli di studio, «Bol- lettino di Ateneo. Università di Catania», 2 (2006), p. 4 e ss. < http://access.unict.it/bol- lettino> .

4CASSESE, Il valore legale, p. 14. Sul valore dei titoli di studio, in generale, anche NAZARENO

SAITTA, Titoli di studio e di cultura, in Enci- clopedia Giuridica, XXXI, Roma, Treccani, 1994, p. 6 e ss.; ANTONIOBARTOLINI, Appunti sul valore legale del titolo di studio (2009),

< http://www.irpa.eu> . Per una visione sinte- tica, Valore legale del titolo di studio: < http://

it.wikipedia.org> .

5Basti ricordare, nel segno delle convergen- ze nella critica, le dichiarazioni bipartisan, al meeting di Comunione e liberazione di Rimini del 2003, di Enrico Letta, condivise dalla mi- nistra dell’Università Letizia Moratti e, più di recente, le opinioni espresse nel 2009 a Porta a portadal ministro del PdL Renato Brunetta e dalla ministra ombra del PD Linda Lanzil- lotta. Per una sintetica esposizione, FABIO

SAITTA, Dalla “filippica” di Einaudi alla rifor- ma Gelmini: il punto dopo mezzo secolo di di- scussioni sul valore legale dei titoli di studio, in Concorrenza e merito nelle Università . Proble- mi, prospettive e proposte, a cura di GIACINTO DELLACANANEA-CLAUDIOFRANCHINI, Torino, Giappichelli, 2009, p. 11 e ss.

6Presentati alla Camera dei Deputati in occa- sione della conversione in legge del D. L.

180/2008, nella loro vis polemica, riportano notizie inesatte, quale, ad esempio, quella che il valore legale del titolo di studio “non trova più riscontri all’estero”.

2 . Laurea in diritto canonico e civi- le conseguita da Tommaso Bagliot- ti di Novara il 2 0 Agosto 1 4 9 3 nello Studio di Pavia.

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Alcune considerazioni sul valore legale delle lauree universitarie

7Suscitano perplessità, ad esempio, gli inge- nui quanto semplicistici ragionamenti (peral- tro ampiamente circolanti sui media e nel mondo del web e talvolta anche riportabili ad illustri commentatori) per cui, premesso che il sistema universitario italiano (informato al valore legale delle lauree) appare debole, squilibrato, improduttivo, viziato da clienteli- smo e familismo, scarsamente attento al me- rito e alla qualità, mentre i sistemi universita- ri anglosassone e nordamericano (che non ri- conoscerebbero valore legale ai titoli di stu- dio) producono eccellenze culturali e premi Nobel, non sono viziati da familismi e cliente- lismo, valorizzano la qualità e il merito, ba- sterebbe abolire il valore legale del titolo di studio per trasformare la travagliata Univer- sità italiana in una istituzione perfetta, corri- spondente all’idealizzato (spesso più orec- chiato che realmente conosciuto) modello statunitense. Il tutto senza riflettere sulla complessità delle ragioni (storiche, politiche, culturali) che hanno condizionato il “sistema universitario italiano”, generando le criticità che lo affliggono, peraltro amplificate dal- l’inadeguatezza del “governo politico” del Paese a proporre un modello culturale di svi- luppo, senza ignorare la propria tradizione.

8SALVATOREPUGLIATTI, Premesse e indicazioni in tema di riforma universitaria, «Foro am- ministrativo», 3 (1968), p. 470 e s., ricordato e commentato in SAITTA, Dalla “filippica” di Ei- naudi, p. 12.

9Il fine giurista messinese di fatto proponeva una riforma costituente due distinte tipologie di università: una vocata a produrre “cultura”

e una a fornire “istruzione”, sostanzialmente riproducendo il modello teaching university – reaserch university. Egli esplicitamente os- servava: «Se l’istituzione dovesse veramente espletare il pubblico servizio per il quale è co- stituita, e cioè se dovesse fornire “istruzione”

e “cultura”, la riforma potrebbe orientarsi ver- so una distinzione delle due funzioni, ade- guando ad essa diversi tipi di organizzazioni.

Ma purtroppo nel nostro Paese esiste il tra- mite del ‘titolo di studio’ che ha svisato total- mente l’istituto universitario». Il testo è citato in SAITTA, Autonomia universitaria ed equi- pollenza(sostanziale) dei titoli di studio, p. 43.

La polemica è tanto antica, come testimonia la citazione di Einaudi, quanto ricorrente; anche se sono radicalmente mutati, e vanno mutando, i termini della stessa, come anche il contesto storico e sociale, e non an- drebbero sopravvalutate, per il presente, alcune posizione viziate da pro- vincialismo ed esterofilia7.

L’amministrativista Fabio Saitta, opportunamente, ha di recente ri- cordato la critica, formulata ai tempi della contestazione studentesca, nel 1968, dal giurista e umanista Salvatore Pugliatti, Rettore dell’Università di Messina, il quale lamentava che il “titolo di studio” aveva snaturato l’istituto universitario in quanto

il titolo dovrebbe essere un semplice attestato, il risultato documentale di una re- altà consistente appunto nella acquisizione di un certo grado di istruzione o di un certo livello di cultura: esso, invece, nella gran maggioranza dei casi, è dive- nuto il fine per il quale si accede all’Università. […] L’Università è così divenu- ta una fabbrica di titoli!

Concludendo che: «Una riforma seria, onesta e coraggiosa deve pro- porsi innanzi tutto di farla ridiventare fonte di istruzione e di cultura. E il primo passo di tale riforma deve consistere nell’abolizione del titolo di studio e conseguentemente dei concorsi per titoli»8.

La riflessione di Pugliatti, da cui traspare il desiderio-rimpianto di un’Università fucina di cultura9, cadeva in un momento segnato da una grave crisi sia della società che dell’Università, investite dalla contesta- zione. Anche l’altra di Einaudi, di fatto, esprimeva il desiderio-rimpianto di una società liberale che non si voleva soffocata dallo statalismo, e ma- turava in un momento di crisi segnato da una vasta trasformazione della società italiana.

3 . Laurea in farmacia conseguita da Carlo Guandalini Pederzini di Ra- varino (MO) nel 1 8 0 7 presso l’Uni- versità di Bologna.

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2. Andando alle origini: licentia ubique docendi e prime forme di

‘legalizzazione’ dei gradi accademici

Limitando l’oggetto di riflessione ai soli titoli attribuiti a conclusione di un percorso di studi universitari, al fine di andare al nocciolo costitutivo del problema, giova prendere le mosse dall’epoca stessa in cui ebbero ori- gine le Università.

L’Università, come luogo-istituzione di elaborazione e trasmissione di saperi strutturati, è essenzialmente un prodotto della cultura medie- vale europea, anche se nei secoli ha trovato vasta diffusione in tutto il mondo10. Essa trova origine nella spontanea iniziativa di scholares di di- versa provenienza accorsi alla schola di un magister. Costoro, formando prima consortia e poi aggregandosi in universitates, riuscirono ad otte- nere, da papi e imperatori, significativi privilegi, costituenti un corposo complesso di libertà intellettuali e sociali11.

Ove organicamente ordinatae e dotate, per privilegio pontificio o im- periale, della facoltà di conferire titoli dottorali, quelle scholae assunsero, dapprima, il nome di Studia generalia, anche con riferimento all’univer- salità dei saperi impartitivi12, e, più tardi, pure l’altro di Universitates, con riferimento alle strutture organizzative proprie degli studenti o dei pro- fessori, che così davano nome a tutta un’istituzione13.

Gli Studi-Università hanno conosciuto percorsi evolutivi a più varia- bili, assumendo forme diverse a seconda del mutare dei contesti di tem- po e di luogo.

Si deve al pontefice Onorio III l’iniziativa di conferire, con una de- cretale del 1219, avente autorità “universale”, “valore legale” ubique ai ti- toli di doctor, rilasciati dagli Studia generalia. Al titolo dottorale era in- fatti connessa la licentia ubique docendi, ovvero la facoltà di trasmettere

“ovunque” nella cristianità i contenuti di un sapere maturato a conclu- sione di un “ordinato” curriculum di studi, saperi e abilità spendibili an- che in attività professionali, dei quali veniva certificata la padronanza a se- guito di un examen14.

A. Romano

12

10CHARLESHASKINS(The Rise of Universities, Ithaca, 1957, trad. it. di A. Buiatti, in Le origi- ni dell’Università , a cura di GIROLAMOARNAL-

DI, Bologna, il Mulino, 1974, p. 33) nota che

«Le università, come le cattedrali e i parla- menti, sono un prodotto del medioevo», ade- rendo all’opinione di SVENSTELLING-MICHAUD

(L’Université de Bologne et la pénetration des droits romain et canonique en Suisse, Genéve, Dróz, 1955, p. 15) per cui «lo Studium è pre- cisamente una creazione unica e originale nel- la storia delle università europee». Del pari PIERREMICHAUD-QUANTIN, ‘Universitas’. Ex- pression du mouvement communautaire dans le Moye-Age latin, Paris, Vrin, 1970.

11Cfr. PEARLKIBRE, Scholarly Privileges in the Medieval Ages. The rights, privileges and im- munities of scholars and university at Bologna, Padua, Paris and Oxford, London, Medieval Academy of America, 1961.

12Sul concetto di Studium Generale, princi- palmente, GIORGIOCENCETTI, “Studium fuit Bononie”: note sulla storia dell’Università di Bologna nel primo mezzo secolo della sua esi- stenza, numero monografico di «Studi medie- vali», 1066, p. 781 e ss., in ARNALDI, Le origini dell’Università , p. 101 e ss.; GIUSEPPEERMINI, Il concetto di “Studium Generale”, in GIUSEP-

PEERMINI, Scritti di diritto comune, a cura di DANILOSEGOLONI, Padova, CEDAM, 1976, p.

211 e ss.; PAOLONARDI, Le origini del concetto di “Studium Generale”, «Rivista Internaziona- le di Diritto Comune», 3 (1992), p. 47 e ss.;

ID., Licentia ubique docendi e studio generale nel pensiero giuridico del secolo XIII, «Studi Senesi», 2000, p. 555 e ss.

13La denominazione di Universitas, riferita a uno Studium, parrebbe attestata, per la prima volta, in un diploma del 1254 di Alfonso X il Savio, riguardante Salamanca. Sui termini- concetti di schola, universitas, studium, «che la storiografia è solita adoperare per indicare e rappresentare situazioni storiche e figure teoriche proprie del mondo studentesco me- dievale», si possono vedere gli specifici lavo- ri di SVENSTELLING-MICHAUD, La storia delle Università nel Medioevo e nel Rinascimento:

stato degli studi e prospettive di ricerca, in Le origini dell’Università , p. 179; OLGAWEIJERS, Terminologie des universités au XIIIe siécle, (Lessico intellettuale europeo XXXIX), Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1987; MANLIOBELLOMO, Scuole giuridiche e università studentesche in Italia, in Luoghi e metodi di insegnamento nel- l’Italia medioevale (secoli XII-XIV), a cura di LUCIANOGARGAN-ORONZOLIMONE, Galatina, Congedo, 1989, p. 123.

14Già dagli inizi del XII secolo, con il III Con- cilio Lateranense del 1119, la Chiesa aveva cercato di affermare una sorta di monopolio sull’insegnamento e un canone deliberato in quel Concilio prevedeva che la licentia do- cendi dovesse essere concessa a chi, avendo i necessari requisiti di sapere, l’avesse richie- sta. Nel 1219 papa Onorio attribuiva il mono- polio del conferimento dei gradi dottorali al-

4 . Laurea in utroque iure conseguita da Giuseppe Scaravelli di Guastalla (RE) il 2 7 Luglio 1 8 4 1 nell’Università di Parma.

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Alcune considerazioni sul valore legale delle lauree universitarie

l’Arcidiacono bolognese, previo il supera- mento, da parte dei richiedenti, di un esame ad hoc. Il provvedimento trovava più ampia definizione, nel 1291, per iniziativa di papa Niccolò V. Cfr. GAINESPOST, Alexander III, the licentia docendi and the Rise of the Universi- ties, in Anniversary Essays in Medieval Histo- ry, edited by CHARLESHASKINS, Boston-New York, Ayer, 1929, p. 255 e ss.; UGOGUALAZZI-

NI, L’origine dello Studium bolognese nelle più antiche vicende della “licentia docendi”, «Stu- di e memorie per la storia dell’Università di Bologna», n. s., 1 (1956), p. 97 e ss.; JACQUES

VERGER, Les universités au Moyen Âge, Paris, PUF, 1973 (trad. it. Le Università nel Medioe- vo, Bologna, il Mulino, 1982, p. 45, 59).

15L’autonomia studentesca, assai ampia alle origini, veniva disciplinata e compressa con il passaggio da un sistema di “Università degli scolari per gli studi” a strutture di “Universi- tà degli studi per gli scolari”, cfr. ANGELADE

BENEDICTIS, La fine dell’autonomia studente- sca tra autorità e disciplinamento, in Studenti e Università degli Studenti dal XII al XIX se- colo, a cura di GIAN PAOLOBRIZZI-ANTONIO

IVANPINI, Bologna, CLUEB, 1988, p. 209; AN-

DREAROMANO, Fonti, edizioni di fonti e pro- blemi di metodo per lo studio dellapopolazione studentesca nel Medioevo, in Studenti e dottori nelle università italiane (origini – XX secolo), Atti del convegno di studi, Bologna 2 5 -2 7 no- vembre 1 9 9 9 , a cura di GIANPAOLOBRIZZI-AN-

DREAROMANO, Bologna, CLUEB, 2000, p. 8.

16Elemento fondamentale per procedere alla fondazione di un’Università, oltre al calcolo po- litico, risultava l’individuazione di sufficienti risorse finanziarie. Queste potevano essere as- sicurate dal sovrano, contestualmente alla fon- dazione o, più comunemente, assunte dalla cit- tà all’atto della richiesta di erezione di uno stu- dium generale. Le modalità di finanziamento con gli atti di fondazione costituiscono un pa- rametro per verificare quel mutamento fra

“Europa più vecchia” ed “Europa nuova” che, superando l’assunto di un sapere e di un inse- gnamento universale, vedeva questi rappor- tarsi a forme locali particolaristiche, ideologi- camente caratterizzate e fortemente politiciz- zate, di fatto governate da principi e città. Un modello storicamente favorito, nel suo svilup- po e nella sua affermazione, dalla Riforma e dalla Controriforma quando si registrava il moltiplicarsi delle istituzioni universitarie e l’emergere di nuovi poteri interessati alla loro creazione e gestione. Cfr. PAOLONARDI, Note sui rapporti fra “Studia” e pubblici poteri nei secoli XII-XIII, in Cristianità ed Europa: mi- scellanea di studi in onore di L. Prosdocimi, a cura di CESAREALZATI, II, Roma, Herder, 1994, p. 609 e ss.; ROMANO, Fonti, edizioni di fonti, p. 9, 10, 13; ANDREAROMANO, Dall’Università degli Studenti all’Università degli Studi. Mo- delli di finanziamento delle Università italiane fra medioevo ed età moderna, in Finanzierung von Universitä t und Wissenschaft in Verganheit und Gegenwart, hrgs von RAINERCH. SCHWIN-

GES, Basel, Schwabe, 2005, p. 47.

Quelle Università costituivano motivo d’orgoglio (oltre che di van- taggi economici) per le città, con valenze politiche non trascurabili, men- tre il titolo dottorale era assunto a requisito indispensabile per l’accesso a professioni e uffici, divenendo un efficace strumento di mobilità so- ciale.

Accanto agli StudiaGeneralia, sorti per spontanea aggregazione del- le universitates degli studenti, l’esperienza europea conobbe anche Uni- versitates Studiorum di fondazione regia e StudiaUniversitatum costituiti per iniziativa di poteri cittadini, secondo un modello inizialmente atte- stato nell’ambito della monarchia spagnola e poi ampiamente diffusosi in tutta Europa. A Napoli, nel 1224, l’imperatore Federico II fondava la pri- ma Università “statale”, ovvero costituita per iniziativa sovrana e finan- ziata dall’erario, istituzionalmente funzionale alla creazione di un qualifi- cato ceto burocratico, ideologicamente informato all’osservanza delle dottrine imperiali.

Esauritosi il momento delle “origini”, dell’effettiva autonomia delle scuole costituitesi per autofondazione, rese vitali dai flussi studenteschi e sostenute dall’autofinanziamento, subentrava il calcolo politico dei po- teri forti (quali potevano essere, ad esempio, Federico II in Sicilia o Al- fonso X in Castiglia). L’Università si trasformava da istituzione “corpora- tiva” in istituzione “pubblica” facendo segnare il passaggio, anche per questo tramite, da un’Università degli studenti a un’Università degli studi15.

Lo studium generale –caratterizzato dalla molteplicità degli insegna- menti e da una fondazione riportabile a un potere universale – si diffe- renziava dagli studiaparticularia(scuole cittadine tenute da un maestro).

La licentia ubique docendi conferiva “valore universale” al grado che po- teva essere rilasciato dai soli Studi generali, che garantivano con esso l’acquisizione delle conoscenze ritenute dalla cultura del tempo basilari e rispondenti ad uno standard uniforme di dottrina16.

5 . Laurea in medicina conferita dall’Università di Bologna a Luigi Ceadali di Forlì il 2 3 Giugno 1 8 5 4 .

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Speciali deleghe dell’autorità di accertare l’esistenza dei requisiti ne- cessari richiesti agli aspiranti e di conferire dottorati, anche indipenden- temente dalla frequenza di regolari corsi universitari, potevano essere eccezionalmente concesse dall’imperatore (è, ad esempio, il caso dei con- ti palatini) a speciali soggetti (come riconoscimento di uno status o di servizi prestati o con finalità venali)17.

Una realtà, quella dei cosiddetti doctores bullati, con riferimento alla bolla del privilegio imperiale da cui traeva legittimazione il titolo, alquanto diffusa nei territori dove si voleva eludere il controllo ecclesiastico o era forte la concorrenza con uno studio generale.

Le Università divenivano, progressivamente, sempre più frutto del disegno politico di principi e città (e da questi controllate), mentre l’in- segnamento, come il sapere, assumeva connotati di “pubblico” non in quanto aperto a tutti o perché tutti contribuivano, dialetticamente, al suo evolversi, ma perché sostenuto da risorse pubbliche18.

Tale evoluzione aveva come conseguenza che gli stessi poteri politi- ci promotori dell’istituzione universitaria, ponendo in essere politiche protezionistiche o di controllo socio-politico, riconoscessero validità, o meglio efficacia, all’interno dei territori sottoposti alla propria giurisdi- zione, ai soli gradi dottorali conferiti dalle Università proprie. Così aveva operato alle origini, ad esempio, Federico II a favore dei laureati degli Studi di Salerno (medicina) e Napoli (diritto), e ancora, nel 1444, Vene- zia, che riconosceva “valore legale” nei territori della Repubblica ai soli titoli padovani e, reiteratamente, con pragmaticae del 1533, 1591, 1627, 1630, 1651, 1696, i viceré di Sicilia, riconoscendo efficacia legale, ai fini dell’accesso alle magistrature regie, ai soli gradi conferiti dallo Studium Siciliae Generale di Catania19.

Le Università entravano in un periodo di decadenza della quale si cer- cavano di limitare gli effetti intervenendo sulla validità dei titoli.

Nel 1554, il viceré Juan de Vega deplorava che fosse «tanto largho et facile ad havere il grado del dottorato in tutti Studij d’Italia», con perico- lose conseguenze per la collettività derivanti dall’imperizia di medici e giuristi laureati in Atenei “lassisti”. Ugualmente, richiamando, nel 1696, l’attenzione su una realtà pericolosa, cui intendeva porre rimedio, il vi- ceré Uzeda, ad esempio, disponeva che, ai fini dell’esercizio delle pro- fessioni o dell’ammissione ai pubblici uffici in Sicilia, non si

possa nè voglia dare esecutoria a privilegii di dottore, così di legge come di me- dicina, fisica e chirurgia d’università forastiere di questo regno, e specialmente del duca di Sforzia, Salerno, Roma, Pisa […] e che nessuno di quelli che fosse- ro dottorati e graduati in dette Università forastiere […] possa né voglia eserci- tare l’officii di dottore di legge, medicina, fisica e chirurgia20.

Il nesso fra controllo socio-politico e riconoscimento della spendibi- lità (valore legale) dei titoli universitari diveniva, in tali contesti, eviden- te e, seppure indirettamente, riportava al tema fondamentale della liber- tà della “scienza” o dell’insegnamento mediante cui essa di propagava. Al- la licentia ubique docendi rilasciata da talune Università non era ricono- sciuto alcun “valore legale universale” e per l’esercizio delle professioni di particolare rilievo sociale (medico, magistrato, avvocato) veniva ri- chiesto un accertamento soggettivo specifico di capacità che prescinde- va dal possesso di un titolo dottorale, fatto salvo che questo non fosse conseguito in uno studio di cui era direttamente controllato lo standard qualitativo.

A. Romano

14

17Lo ius doctorandi faceva parte degli iura re- servata maiestatis e pertanto solo la imperia- lis maiestas poteva disporne, singolarmente o delegandone, con privilegio, l’esercizio. In ge- nerale cfr. FRANCESCOERCOLE, Impero e papa- to nel diritto pubblico italiano del Rinascimen- to (sec. XIV-XV), in Dal comune al Principato.

Saggi sulla storia del diritto pubblico nel Rina- scimento italiano, Firenze, Vallecchi, 1929, p.

119 e ss.; GIORGIOCENCETTI, La laurea nelle Università medievali, in Atti del Convegno per la storia delle Università italiane, I, Bologna, Istituto per la Storia dell’Università, 1943, p.

265 e, per la ricostruzione di una concreta prassi, ELDAMARTELLOZZOFORIN, Conti pala- tini e lauree conferite per privilegio. L’esempio padovano del sec. XV, «Annali di storia delle università italiane», 3 (1999), p. 79 e ss.

18In generale ROMANO, Dall’Università degli Studenti all’Università degli Studi, p. 33 e ss.

19Cfr. LÉOMOULIN, La vita degli studenti nel medioevo, Milano, Jaca Book, 1992, p. 188;

MATTEOGAUDIOSO, L’Università di Catania nel secolo XVII, in Storia della Università di Cataniadalle origini ai nostri giorni, Catania, Giannotta, 1934, p. 103; ROMANO, Fonti, edi- zioni di fonti e problemi di metodo, p. 13.

20Pragmaticarum Regni Siciliae tomi III, ed.

a cura di JOSEPHCESINO EFOGLIETTA, Panormi 1700, p. 270 e s., nonché quanto nota DANIELA

NOVARESE, “Per essere tanto largho et facile ad havere il grado del dottorato in tutti Studij d’Italia”. “Studentes matriculati”, “scholares”

effettivi e “doctores” in SiciliafraCinque e Sei- cento, in Studenti e dottori nelle università ita- liane, p. 41 e ss.

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Alcune considerazioni sul valore legale delle lauree universitarie

21PAULF. GRENDLER, Le università del Rina- scimento e della riforma, in Le Università na- poleoniche. Uno spartiacque nella storia ita- liana ed europea dell’istruzione superiore. At- ti del Convegno internazioanle di studi (Pado- va-Bologna, 1 3 -1 5 settembre 2 0 0 6 ), a cura di PIERO DEL NEGRO-LUIGI PEPE, Bologna, CLUEB, 2008, p. 23 e, in generale sulle Uni- versità italiane nella prima età moderna, PAUL

F. GRENDLER, The Universities of the Italian Renaissance, Baltimore and London, Johns Hopkins University Press, 2002.

22Una rapida sintesi e alcuni concreti esempi significativi, in NOVARESE, “Per essere tanto lar- gho et facile ad havere il grado del dottorato in tutti Studij d’Italia”, p. 41 e ss.

Di norma, comunque, il “valore giuridico” riconosciuto alla licenza dottorale segnava la natura stessa dell’istituzione scolastica: una schola o studio privato, particolare, assumeva la connotazione di Studium genera- le (Università) solo se un’autorià dotata di poteri universali e specifica po- testà (imperatore, papa) le conferiva il potere di rilasciare attestazioni (li- centiae) (con prevalenza del doctoratus) la cui validità si estendeva a tutta la respublica Christiana o, più tardi, all’intero ordinamento in cui quello Studio aveva sede (uno Stato, in caso di fondazione regia). Nessun’altra istituzione per quanto prestigiosa, scuola o accademia che fosse, poteva laureare e conferire titoli dottorali. Era riservata, invece, ai singoli poteri politici la potestà di richiedere che gli aspiranti all’esercizio di talune pro- fessioni o alla titolarità di taluni uffici fossero doctores, ovvero possedes- sero uno standard di sapere certificato da un’istituzione abilitata. L’effet- tiva idoneità di un soggetto all’esercizio di una professione di rilievo o a ri- coprire una magistratura era subordinata ad accertamenti ad hoc secon- do modalità fissate dalle corporazioni (collegi medici, giuridici) o dalle leggi (examen per l’accesso al giudicato e alle principali funzioni pubbli- che). Come è stato autorevolmente osservato, «il dottorato riconosceva al laureato la maestria nel praticare come legista o medico ed era titolo ne- cessario per l’ammissione nei collegi locali di legisti o medici»21.

3. Controllo statale dell’insegnamento, legalizzazione dei titoli di stu- dio e libertà della scienza

Con il diffondersi delle Università e con l’aumento dell’esigenza di un al- largamento del bacino dell’utenza studentesca, al fine di procurarsi le ri- sorse necessarie per garantire la sopravvivenza delle strutture, venne a verificarsi, di fatto, una concorrenza al ribasso, con netto scadimento, fat- te salve felici eccezioni, del generale livello culturale. La concorrenza si giocava sulla facilità dei corsi, sul controllo delle frequenze, sui servizi ag- giuntivi offerti, sui costi del dottorato. Non era più la fama dei maestri ad attrarre gli studenti ma la “convenienza” dei corsi. In taluni Studi (anche di illustre tradizione) ci si poteva laureare senza avere seguito una lezio- ne, solo pagando le tasse richieste per le matricole22.

Una diffusa situazione di crisi cui taluni poteri politici, preoccupati delle conseguenze di tale scadimento, cercarono di porre rimedio impo- nendo il loro controllo sugli ordinamenti universitari. Tentativi ben do- cumentati anche da una rilevante stagione statutaria governata dai pote- ri politici. Qualcuno, come Sant’Ignazio di Loyola, pensò che un rimedio efficace si trovava nell’abbandonare il modello bolognese dell’universitas scholarium, governata dagli studenti, a favore del modello parigino del- l’universitas magistrorum, governata dai professori, favorendo di conse- guenza, all’interno dei Collegi-Università della Societas Ihesu, l’elabora- zione di una peculiare ratio studiorum (con curriculaformativi strutturati in lezioni ed esercitazioni, in studi assistiti, controlli periodici del profit- to, divisione degli allievi in classi differenziate, programmando le forme d’insegnamento “habita ratione temporis, loci et personarum”). Un’inno- vazione destinata ad avere rapido successo e universale applicazione nei Collegi fondati dalla Compagnia, che rapidamente, anche in conseguen- za della Controriforma, si diffonderanno in tutto il mondo costituendo un’alternativa alle Università laiche statali.

Di fatto, il diffondersi delle cattedre salariate, l’accrescersi dei con- trolli dei pubblici poteri, via via sempre più determinanti erogatori di ri-

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sorse, il moltiplicarsi delle università regie, signorili e cittadine, portava con sé un sensibile aumento dell’influenza degli stessi poteri politici nel- la determinazione dei limiti posti alla libertà d’insegnamento, venendo quest’ultimo sempre più considerato come funzionale alle esigenze poli- tiche di monarchi, signori o élites dominanti.

Di libertà d’insegnamento, comunque, si può parlare in un duplice senso, ovvero con riferimento alla “libertà della scuola”, che si esprime nella molteplicità di insegnamenti diversi, o con riferimento alla libertà di “costituire scuole diversamente orientate”. Con riferimento alla prima accezione l’età medievale, “dalle cento città e dalle cento università”, ha segnato una stagione che si potrebbe definire aurea. Ogni maestro po- teva dare vita ad una propria scuola, se trovava discepoli disposti ad ascol- tarlo e a versargli una collecta, così come un gruppo di studenti insoddi- sfatti dell’insegnamento che ricevevano o per le condizioni di vita poteva trasferirsi in una città vicina per accorrere alla scuola di un maestro ri- tenuto migliore o per fondare uno Studio in un contesto urbano più fa- vorevole. Unico problema, con l’istituzionalizzazione dell’insegnamento, era l’ottenimento di una bolla papale o di un privilegio imperiale, aventi carattere costitutivo, atti a consentire alla “scuola particolare” di assu- mere forma di studium generale, col privilegio di conferire la licentiaubi- que docendi.

Con riferimento alla libertà soggettiva del maestro nell’impartire il suo insegnamento va osservato, invece, che, a fronte dell’assoluta liber- tà del magister di esprimere i propri orientamenti, lo stesso non era pe- rò in alcun modo libero di scegliere né le fonti da spiegare né i contenu- ti, in senso lato, del proprio insegnamento, che erano strettamente de- terminati dalla cultura ufficiale e puntualmente indicati dalle rubriche statutarie che elencavano i testi che dovevano essere letti e spiegati or- dinarie e extraordinarie, così come quelli che dovevano costituire oggetto d’insegnamento de mane o de sero. Un’analitica punctatio, ovvero indica- zione dei luoghi delle fonti, indicava i tempi da riservare alla lectura gui- data dei singoli temi, non essendo consentito ai professori di tralasciare, nella spiegazione, qualsivoglia argomento di quelli ufficialmente asse- gnati.

La stessa metodologia dell’insegnamento, almeno nelle sue forme es- senziali, risultava standardizzata ed espressione di un sostanziale im- pianto conservatore assunto a garanzia del mantenimento di equilibri so- ciali consolidati. Il valore universale del dottorato condizionava i percor- si formativi che, coerentemente, dovevano avere una struttura “univer- salistica”, ponendo le basi per una scienza universale nella metodologia e dei contenuti fondativi.

In una visione formalistica della libertà d’insegnamento come liber- tà di attivare scuole, collegi e accademie, anche nell’età della Riforma e della Controriforma, seppure facendo emergere posizioni fortemente contraddittorie e nonostante taluni orientamenti intolleranti, si aveva il fiorire di più Università concorrenti, “culturalmente e religiosamente”

orientate, seppure spesso caratterizzate da pratiche didattiche conser- vatrici con contenuti rigidamente controllati da prassi censorie aventi co- me obiettivo la difesa dell’ortodossia religiosa scelta e della fedeltà al so- vrano. In tale contesto a non tutte le Università era universalmente rico- nosciuta valenza formativa “utile”. I programmi si differenziano e i titoli di studio rilasciati trovano effettivo riconoscimento, principalmente, al- l’interno degli ordinamenti statuali cui l’insegnamento impartito/ricevu- to è coerente “ideologicamente” (per contenuti politici o religiosi). Il sa- A. Romano

16

6 . Laurea in utroque iure consegui- ta da Johannes Joseph Kofler di Sa- lisburgo il 6 Gennaio 1 6 9 6 nell’Uni- versità di Salisburgo.

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