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MODULO 3 – SPAZIO E FIGURE

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Academic year: 2022

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1 Modulo 3/1 – Geometria piana: figure geometriche

MODULO 3 – SPAZIO E FIGURE

Questo modulo si articola in 4 sottomoduli:

 Sottomodulo 3/1: Geometria piana: figure geometriche.

 Sottomodulo 3/2: Misure di lunghezze e superfici piane.

 Sottomodulo 3/3: Geometria solida.

 Sottomodulo 3/4: Trasformazioni geometriche.

Ad esso saranno dedicate 5 lezioni (pari a 10 ore complessive)

Lo studio di questo modulo si propone di fornire agli studenti elementi utili a far conseguire ai loro futuri alunni alcuni obiettivi entro la classe terza ed altri obiettivi entro la fine della scuola primaria. Per il dettaglio rimandiamo alle “Indicazioni Nazionali”, riportate peraltro nel modulo 0.

L’obiettivo che ci proponiamo di conseguire è di sottolineare quali, a nostro modo di vedere, sono i punti critici nello studio della geometria, quali misconcetti si possono generare e come superare le difficoltà connesse. Perciò non esamineremo tutto il

“programma” di geometria, ma prenderemo in considerazione solamente quei punti che riteniamo coerenti con le finalità suddette.

Prima di iniziare, vogliamo sottolineare un aspetto molto importante. L’ordine che seguiremo per l’esposizione dei contenuti ricalca quello “classico”, in cui viene introdotta prima la geometria piana e poi quella solida. Non è detto che l’insegnamento della geometria per la scuola dell’infanzia e per quella primaria debba per forza rispettare quest’ordine cronologico. Anzi, diversi esperti di Didattica della Matematica ritengono che l’approccio migliore sia quello di partire dalla geometria dello spazio, per rispettare l’intuizione del bambino che è prevalentemente tridimensionale, cioè spaziale, per poi affrontare solo in un secondo momento la geometria piana, che è ambientata in uno spazio di due sole dimensioni e quindi è di per sé un’astrazione che il bambino potrebbe non cogliere appieno, se non dopo un accurato lavoro preparatorio

1

. La mancanza di questo lavoro, secondo i suddetti esperti, potrebbe essere motivo di insorgenza di ostacoli didattici seri: si pensi ad esempio alla realizzazione su carta di una situazione tridimensionale (ad esempio, la rappresentazione tramite disegno di un momento di gioco effettuato preventivamente), nella quale si richiede al bambino una rappresentazione nel piano di oggetti spaziali. Rimandiamo considerazioni più accurate su questo problema al corso di Didattica della Matematica.

1 Si veda ad esempio il libro di B. D’Amore et al, Infanzia e matematica, Pitagora (2004), o gli articoli seguenti, ricchi di spunti didattici ed epistemologici: G. Arrigo e S. Sbaragli, Salviamo la geometria solida!, Atti del convegno di Lucca del RSDDM (2004), S. Sbaragli e I. C. Mammarella,

L’apprendimento della geometria, pubblicato in Lucangeli D., Mammarella I.C. (2010).

Psicologia
 della cognizione numerica. Approcci teorici, valutazione e intervento.

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2 Modulo 3/1 – Geometria piana: figure geometriche

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3 Modulo 3/1 – Geometria piana: figure geometriche

MODULO 3/1

- GEOMETRIA PIANA: FIGURE GEOMETRICHE - (Supporto didattico)

1. Uno dei primi concetti di geometria piana con cui gli alunni avranno a che fare è quello di rette parallele. Non è infrequente sentir dire, anche da maestri, che “due rette si dicono parallele se prolungate non s’incontrano”. In effetti questa era la definizione che dava Euclide, per il quale però “retta” era quello che per noi è “segmento”. Quindi aveva senso parlare di

“prolungamento”. Nella concezione moderna invece, la “retta”, assunta comunque come concetto primitivo, vale a dire non definito, è illimitata e quindi non ha senso parlare di un suo prolungamento.

La definizione corretta è pertanto la seguente:

Due rette si dicono parallele se non hanno punti in comune.

Sembra semplice, ma non è così. La difficoltà nasce dal fatto che una retta non può essere disegnata completamente (essendo illimitata), ma solo “abbozzata” mediante una sua parte (un segmento). Ora, se si disegnano alla lavagna due segmenti come quelli di figura 1, i bambini sono portati quasi naturalmente a concludere che “le rette non hanno punti comuni” e perciò sono parallele. Il maestro insiste nel dire che le rette devono essere concepite “prolungate” oltre la lavagna, ma spesso i suoi sforzi sono inutili. Bisogna trovare un qualche rimedio che sia più convincente delle parole.

fig. 1 fig. 2

Un tentativo potrebbe essere quello di disegnare due rette non parallele in modo evidente (fig. 2) e poi suggerire di immaginare che, restando le rette quali sono state disegnate, la lavagna si restringa dalla parte destra in modo da lasciar fuori il punto in cui le due rette s’intersecano (basta al riguardo coprire con un foglio la parte interessata). Le due rette continuano ad essere non parallele, anche se ora il disegno si presenta come in figura 1. A questo punto il maestro può provare non solo a disegnare due “rette parallele”, ma a suggerire modelli di rette parallele.

Per esempio: i bordi stessi della lavagna (quelli più lunghi o quelli più corti), due bordi opportuni di un foglio di carta, le due guide di un binario (dove non ci sono curve), eccetera.

Ripetiamo, è un tentativo per far comprendere un concetto, quello di rette parallele, che potrebbe creare non poche difficoltà, nonostante tutti gli sforzi del docente per addomesticarlo.

Questo implica che ogni occasione deve essere sfruttata per ritornare su quel concetto.

Un’altra considerazione utile ad evitare l’insorgere di altri misconcetti. Quando si disegnano due rette parallele bisogna evitare di disegnarle sempre “orizzontali” o sempre “verticali”. Si provi a disegnarle anche “inclinate”.

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4 Modulo 3/1 – Geometria piana: figure geometriche

2. Uno dei concetti più difficili da capirte e assimilare per i bambini è quello di angolo. Ciò è dovuto a vari fattori ed in particolare al fatto che il sostantivo “angolo” è usato con diverse accezioni nella lingua italiana: mettiti in quell’angolo, svoltato l’angolo, quella casa fa angolo con la strada, ha urtato contro l’angolo del tavolo, è stato relegato in quell’angolo di mondo, eccetera. Questo costringe l’insegnante ad un’azione delicata, il cui scopo è di valutare le varie situazioni e, con l’uso appropriato di sinonimi, selezionare quelle in cui l’angolo è inteso in senso geometrico e quelle in cui non lo è.

Ad esempio, l’espressione “mettiti in quell’angolo” può essere modificata dicendo “mettiti in quel cantuccio”; l’espressione “ha urtato contro l’angolo del tavolo” è più corretta se pronunciata dicendo “ha urtato contro lo spigolo del tavolo”. Insomma il termine “angolo” ha molti sinonimi: cantuccio, spigolo, luogo appartatato, recesso, eccetera. Bisogna giungere con pazienza e senza fretta al concetto geometrico di angolo, la cui definizione va conquistata dagli alunni e non imposta loro.

Diamola intanto questa definizione, a beneficio del docente.

Angolo è ciascuna delle due parti in cui due semirette aventi la stessa origine dividono il piano che le contiene.

Più precisamente (fig. 3), la parte che non contiene il prolungamento dei lati si chiama angolo convesso, quella che li contiene si chiama angolo concavo. Le due semirette, vale a dire Oa e Ob, si chiamano lati dell’angolo, la loro origine comune si dice vertice dell’angolo.

fig. 3 fig. 4

Di solito l’angolo si rappresenta con un archetto, come in figura 4, e questo può ingenerare qualche confusione. Bisogna sempre sottolineare che l’angolo non è l’archetto né è la parte di piano compresa fra l’arco e le due semirette (e perciò limitata). Esso è la parte di piano che si estende anche oltre l’archetto (insomma una parte illimitata del piano). L’arco serve solo ad evidenziare l’angolo ma non va confuso con esso.

Descriviamo adesso una modalità concreto-operativa di introdurre l’angolo (II/III classe).

L’insegnante si procura due listelli di legno agganciati per una loro estremità come un compasso.

Li appoggia alla lavagna o sul pavimento e li allontana o avvicina a piacere, facendo intendere agli alunni che li devono immaginare “allungati fin che si vuole” dalla parte libera: in ogni posizione dei listelli il piano resta diviso in due parti, ciascuna delle quali si chiama “angolo”, distinguendo fra la parte di piano che contiene i prolungamenti dei lati (angolo concavo) e quella che non li contiene (angolo convesso).

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5 Modulo 3/1 – Geometria piana: figure geometriche

[Attenzione a non confondere i prolungamenti dei lati, che avvengono dalla parte del vertice, con l’ “allungamento” delle semirette dalle parti libere. Questo è un errore frequente commesso dai bambini. Accertarsi che la cosa sia chiara a tutti]

In particolare:

- se i due listelli sono perpendicolari, l’angolo convesso che essi formano si chiama angolo retto;

- se i due listelli giacciono da parti opposte in modo da formare una retta, ciascuno degli angoli che essi formano si chiama angolo piatto;

- se i due listelli giacciono sovrapposti dalla stessa parte, una delle parti in cui essi dividono il piano coincide col piano stesso (si chiama angolo giro), mentre l’altra è una parte nulla (si chiama angolo nullo).

3. A proposito di rette perpendicolari. Quando un alunno (non solo di scuola primaria, purtroppo) è chiamato a tracciare per un dato punto la retta perpendicolare ad una retta disegnata sul foglio, capita sovente che egli tracci la “verticale” per il punto, comunque sia disposta la retta alla quale deve essere condotta la perpendicolare. Questo succede perché solitamente la retta alla quale si deve condurre la perpendicolare è proposta in posizione “orizzontale”. Questa procedura finisce per creare negli alunni un misconcetto che poi difficilmente si riuscirà a correggere. Allora, fin dall’inizio, è bene che l’insegnante abitui i suoi alunni a considerare varie possibilità. In figura 5 ne sono rappresentate 4. Modelli materiali aiutano a chiarire il concetto.

fig. 5

4. Occupiamoci di altri misconcetti, il cui insorgere può essere evitato se l’insegnante sta particolarmente attento, avendo l’accortezza di servirsi di esempi non “sclerotizzati” . Diciamo subito che anche in questi casi aiutano in modo determinante idonei modelli materiali, che hanno ovviamente un coefficiente di comprensione più elevato rispetto al disegno.

 Evitare di presentare un triangolo rettangolo sempre e solamente nella forma di figura 6.

L’alunno difficilmente accetterà in futuro di considerare come triangolo rettangolo quello di figura 7. Quello che va sottolineato con chiarezza è che non il modo in cui è disegnato il triangolo ne fa un triangolo rettangolo, ma il fatto che un suo angolo è retto.

fig. 6 fig. 7

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6 Modulo 3/1 – Geometria piana: figure geometriche

 Analogamente, bisogna evitare di presentare un triangolo isoscele sempre e solamente nella forma di figura 8. Occorre servirsi spesso anche della raffigurazione 9. Di nuovo, non il disegno assicura che il triangolo è isoscele, ma il fatto che due suoi lati sono uguali.

fig. 8 fig. 9

 Inoltre: evitare di disegnare i rettangoli con il lato più lungo sempre e solo orizzontale.

Bisogna raffigurarli spesso con il lato più corto orizzontale o addirittura con i lati disposti obliquamente. Un rettangolo è tale non perché si vede da quel particolare disegno ma perché i suoi angoli sono tutti e quattro retti.

 Un quadrato non è solo quello di figura 10, ma anche quelli di figura 11 e di figura 12, che però gli alunni non riconosceranno come tali se non sono stati abituati a farlo fin dall’inizio.

Ancora una volta, ciò che conta non è il modo in cui è eseguito il disegno ma il fatto che il quadrilatero, per essere un quadrato, deve avere i quattro lati uguali ed i quattro angoli uguali.

fig. 10 fig. 11 fig. 12

 Un trapezio non deve essere disegnato sempre e solamente come in figura 13. Anche quello disegnato in figura 14 è un trapezio. La sua caratteristica è che abbia due lati paralleli.

A proposito del trapezio, bisogna sapere che i matematici non concordano sulla stessa definizione. Per alcuni (e noi con loro) un trapezio è un quadrilatero avente due lati paralleli e due soltanto. Per altri un trapezio è un quadrilatero avente almeno due lati paralleli. Nel primo caso un parallelogramma non è un trapezio, nel secondo è un particolare trapezio. Non bisogna scandalizzarsi di ciò. Anzi, bisogna dire che sono parecchie le cose su cui i matematici non corcordano. Non è un dramma, ma è necessario ogni volta sapere di cosa si parla.

fig. 13 fig. 14

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7 Modulo 3/1 – Geometria piana: figure geometriche

5. Una curiosità interessante. Tra i poligoni il triangolo è l’unico poligono “rigido”, cioè “non deformabile”. E questo spiega, sul piano intuitivo, perché i suoi tre lati sono sufficienti a determinarlo (terzo citerio di uguaglianza). Invece la conoscenza dei suoi 4 lati non è sufficiente a determinare un quadrilatero, proprio perché esso è una figura “deformabile”. E così pure per ogni altro poligono.

A questo proposito suggeriamo al docente di procurarsi tre listelli oppurtuni e far vedere agli alunni che il triangolo che ne scaturisce, una volta costruito, non si riesce a deformarlo. Invece il quadrilatero costruito con 4 listelli opportuni si può deformare.

In cosa consiste l’opportunità della scelta dei listelli? Nel fatto che, per un importante teorema di geometria, ciascuno di essi deve risultare minore della somma di tutti gli altri. Altrimenti il poligono non si chiude. Anche questo deve esser fatto notare agli alunni con il materiale adatto.

Riferiamo un episodio, realmente accaduto, che ha a che fare con ciò che stiamo dicendo.

In un sussidiario di scuola elementare veniva proposto agli alunni il seguente problema:

Un lato di un triangolo misura 10 cm, il secondo lato misura il doppio del primo ed il terzo lato il doppio del secondo. Quanto misura il perimetro del triangolo?

Sembra tutto normale: il secondo lato misura 20 cm, il terzo 40 cm e pertanto il perimetro del triangolo misura 70 cm.

Tutto sbagliato. In realtà 70 cm è la somma di tre listelli lunghi rispettivamente 10 cm, 20 cm e 40 cm, ma questi tre listelli non possono formare un triangolo (40>10+20) e pertanto il problema è insensato. Chi l’ha proposto ha preso un abbaglio colossale e neppure il maestro che l’ha riproposto agli alunni si è reso conto di ciò.

L’insegnante ha anche questa incombenza: non fidarsi ciecamente di ciò che trova scritto nei libri di testo. A volte, anche se raramente per fortuna, possono nascondersi errori anche grossolani.

6. Alcune riflessioni sui quadrilateri.

Una volta che i bambini avranno imparato a riconoscere i quadrilateri, si può proporre loro di elencare quali proprietà essi (magari presi a due a due: un quadrilatero generico ed un trapezio, oppure un rettangolo ed un quadrato, oppure un rombo ed un rettangolo, ecc.) hanno in comune e quali proprietà li contraddistinguono.

Si può inoltre provare a disegnare alla lavagna un quadrilatero generico, un trapezio, un rettangolo, un rombo ed un quadrato (fig. 15) ed aprire una discussione dapprima per identificarli e poi per enunciare le loro proprietà, chiedendo in particolare di individuare qual è il quadrilatero che ha meno proprietà e qual è quello che ne ha di più.

fig. 15

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8 Modulo 3/1 – Geometria piana: figure geometriche

7. Un argomento particolarmente stimolante è quello delle figure isoperimetriche (cioè aventi lo stesso perimetro) e di quelle equiestese (cioè aventi la stessa area, vale a dire equivalenti), il cui sviluppo è consigliato nelle classi IV/V.

L’argomento può essere ripartito in due sezioni.

Nella prima si tratta di abituare gli alunni a costruire figure di perimetri diversi ma aree uguali e figure di aree diverse ma perimetri uguali. Può essere utile il geopiano ma anche l’attività di ritagliare figure per ricomporle in altre. L’argomento è risaputo e non riteniamo che sia il caso di dilungarci oltre. Annotiamo solamente che questa attività svolge soprattutto l’importante ruolo di far comprendere agli alunni la differenza fra perimetro e area, che spesso non è ben chiara agli alunni. Esse raccontano per l’appunto che esistono figure aventi lo stesso perimetro ma aree diverse ed esistono figure aventi la stessa area ma perimetri diversi.

La seconda sezione è più interessante, ma più difficile, e l’insegnante valuterà se sia o no il caso di proporla ai suoi alunni o di proporla solo in parte. Si tratta sostanzialmente di riconoscere che:

- tra le figure isoperimetriche ce ne può essere una particolare che ha la massima area;

- tra le figure equiestese ce ne può essere una particolare che ha il minimo perimetro.

L’argomento in generale è piuttosto complesso e per una sua conoscenza approfondita si richiedono strumenti matematici che in genere vanno ben oltre le conoscenze e abilità che può acquisire un bambino di scuola primaria, ma c’è pure qualcosa che egli può comprendere pienamente. Ed è su questo “qualcosa” che ci soffermeremo.

Intanto incominciamo con l’enunciare le proprietà a beneficio del docente, poi vedremo se e come sia possibile prospettarle agli alunni.

1) Fra i parallelogrammi di uguale perimetro il rettangolo ha l’area massima.

2) Fra i rettangoli di uguale perimetro il quadrato ha l’area massima.

3) Fra i rombi di uguale perimetro il quadrato ha l’area massima.

4) Fra i parallelogrammi di uguale area il rettangolo ha il perimetro minimo.

5) Fra i rettangoli di uguale area il quadrato ha il perimetro minimo.

6) Fra i rombi di uguale area il quadrato ha il perimetro minimo.

Occupiamoci adesso della parte più delicata: come affrontare l’argomento con gli alunni.

Descriveremo una sola modalità, ma non è l’unica possibile e l’insegnante può legittimamente seguirne altre. Senza esplicitarlo ogni volta, è sottinteso che gli alunni sono coinvolti in prima persona negli esperimenti che si conducono. L’insegnante tenga sempre presente che un conto è apprendere per sentito dire (apprendimento debole) ed un conto è apprendere per aver fatto (apprendimento forte).

Un’altra considerazione di natura didattica. Prima di affrontare la spiegazione generale è opportuno introdurre la questione con qualche problemino preliminare che gli alunni sono chiamati a risolvere.

Un esempio, relativo alla proprietà 1):

Disegna su un foglio a quadretti un parallelogramma di lati 6 cm e 4 cm ed un rettangolo avente i lati uguali a quelli del parallelogramma. Dopo aver assunto un lato del parallelogramma disegnato come base ed aver valutato (eventualmente con uno strumento di misura) quanti centimetri misura l’altezza del parallelogramma, calcola il perimetro e l’area dei due quadrilateri. Cosa puoi dire dei perimetri del parallelogramma e del rettangolo? Cosa delle aree?Pensi che questo si verifichi sempre oppure è un caso? (segue discussione in classe)

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9 Modulo 3/1 – Geometria piana: figure geometriche

 Andiamo ad occuparci adesso della proprietà 1).

Si costruisce un rettangolo con 4 listelli agganciati per gli estremi (fig. 16) in modo che ruotando attorno a tali estremi il rettangolo possa essere deformato diventando un parallelogramma. Evidentemente rimane costante il perimetro dei vari parallelogrammi che così si formano, ma le aree cambiano continuamente passando dal valore massimo (quando il parallelogramma è un rettangolo) al valore zero (quando il parallelogramma … svanisce perché i listelli si sovrappongono). La figura 17 fornisce una visualizzazione di questo fatto: si può notare come un vertice dei parallelogrammi ruoti seguendo un arco di circonferenza.

fig. 16 fig. 17

A beneficio di coloro che hanno reminiscenze di analisi matematica ed in particolare del teorema di Rolle, facciamo notare che, se invece che su un quadrante di cerchio, si fa variare un vertice del parallelogramma su una semicirconferenza, l’area del parallelogramma cresce da zero ad un valore massimo per decrescere poi di nuovo a zero. Ebbene questa è una verifica sperimentale proprio del teorema di Rolle, in base al quale se una funzione varia con continuità e regolarità passando da zero a zero, fra i due zeri c’è almeno un minimo o un massimo. Nel caso nostro evidentemente c’è un massimo (ed uno solo per la verità).

 Per quanto concerne la proprietà 2), si costruisce un rettangolo in modo diverso dal precedente, sfruttando la proprietà in base alla quale le sue diagonali sono uguali. Si prendono allora due listelli uguali e si agganciano nel loro punto medio in modo che possano ruotare intorno a tale perno. Gli estremi dei listelli sono forati e attraverso essi si fa passare un filo flessibile ma non estensibile (va bene un comune filo per cucire o una cordicella), in modo che il filo medesimo, teso opportunamente, formi un rettangolo (fig. 18). Facendo ruotare le due asticelle intorno al perno centrale il filo si adatta formando sempre un rettangolo il cui perimetro è evidentemente sempre lo stesso (uguale alla lunghezza del filo), ma i vari rettangoli che si ottengono hanno aree variabili. Il valore massimo dell’area si ha quando i due listelli sono perpendicolari, nel qual caso il rettangolo è un quadrato.

fig. 18

 Ritorniamo per un momento sulla proprietà 1) e ci domandiamo: se i parallelogrammi sono dei rombi e quindi hanno i lati uguali, il parallelogramma di area massima, che generalmente è un rettangolo, adesso che figura è? La risposta è immediata: è un quadrato. In questo modo è

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10 Modulo 3/1 – Geometria piana: figure geometriche

fornita una spiegazione “razionale” della proprietà 3). Naturalmente si può fornire una spiegazione “sperimentale”: basta ripetere tutta la procedura descritta sopra nel caso 1), ma con listelli di uguale lunghezza.

 La spiegazione delle proprietà 4), 5) e 6) con procedimento sperimentale come i precedenti non è proponibile. Questo perché risulta complicato, per non dire impossibile, realizzare figure geometriche di perimetro variabile ma di area costante. Si devono esperire altri procedimenti.

Fra questi ve ne sono di quelli che permettono di giungere al risultato con considerazioni geometriche effettuate su idonee figure, ma non garantiamo che gli alunni siano in grado di comprendere i ragionamenti che devono essere condotti. Anzi abbiamo forti dubbi che ciò possa avvenire. Comunque sia, almeno in un caso ce ne occupiamo ugualmente, anche se a beneficio del solo docente. Non prima di aver fatto notare al docente medesimo che le proprietà 4), 5) e 6) si desumono rispettivamente dalle proprietà 1), 2) e 3) per dualità, come dicono i matematici. In altri termini, scambiando tra loro le parole “perimetro” e “area” e le parole “massimo” e

“minimo”.

 Andiamo ad occuparci adesso della proprietà 4) per fornirne una spiegazione, che pur essendo intuitiva, richiede qualche considerazione di tipo deduttivo.

Bisogna tener presente che l’area di un parallelogramma si ottiene moltiplicando la base per l’altezza (che è la distanza fra i due lati paralleli, uno dei quali è stato assunto come base).

Allora, con riferimento alla figura 19, si possono disegnare i parallelogrammi ABCD, ABEF, ABMN e tutti quelli che si possono costruire in modo che abbiano un lato coincidente con il segmento AB (base di tutti i parallelogrammi) ed il lato opposto sulla retta p parallela ad AB.

Tali parallelogrammi hanno evidentemente la stessa area dal momento che hanno uguali sia la base sia l’altezza, ma i loro perimetri sono variabili: decrescono infatti da valori molto grandi quando i lati come EF sono molto lontani dal segmento CD, spostati verso sinistra) al valore del perimetro del rettangolo ABCD, per crescere verso valori sempre più grandi man mano che il segmento MN si allontana sempre più spostandosi verso destra.

fig. 19

 Per concludere, riguardo alle proprietà 4), 5) e 6) suggeriamo di limitare l’intervento a casi numerici particolari o al più a situazioni, sempre particolari, che si ottengono per composizione e scomposizione di figure.

Qualche esempio, per chiarire meglio il concetto.

1) Disegna su un foglio a quadretti un parallelogramma ed un rettangolo aventi entrambi per base un segmento lungo 5 cm ed altezza uguale a 4 cm. Dopo aver valutato le misure dei lati del parallelogramma (eventualmente utilizzando uno strumento di misura) calcola il perimetro

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e l’area del parallogramma e del rettangolo. Confronta i perimetri dei due poligoni e le loro aree. Quello che accade in questo caso particolare, accade sempre. Cosa ne desumi?

2) Disegna su un foglio a quadretti un rettangolo di lati 4 cm e 9 cm ed una quadrato di lato 6 cm. Scomponi il rettangolo in modo da ricoprire esattamente il quadrato con i pezzi ottenuti.

Cosa puoi dire delle aree dei due poligoni? Cosa dei loro perimetri? Quello che accade in questo caso particolare, accade sempre. Cosa ne desumi?

3) Disegna su un foglio a quadretti un rombo le cui diagonali misurano 5 cm e 10 cm ed un quadrato di lato 5 cm. Dopo aver valutato la misura del lato del rombo (eventualmente utilizzando uno strumento di misura) calcola il perimetro e l’area del rombo e del rettangolo.

Confronta i perimetri dei due poligoni e le loro aree. Quello che accade in questo caso particolare, accade sempre. Cosa ne desumi?

8. Tutto ciò che abbiamo proposto fin qui presuppone un livello piuttosto avanzato di competenze, come si può capire facilmente. Ma queste competenze non nascono per germinazione spontanea.

Bisogna formarle e formarle con pazienza ed abilità.

Ora, le prime competenze che bisogna creare nel bambino sono le seguenti:

– Comunicare la posizione di oggetti nello spazio fisico, sia rispetto al soggetto, sia rispetto ad altre persone o oggetti, usando termini adeguati (sopra/sotto, davanti/dietro, destra/sinistra, dentro/fuori).

– Eseguire un semplice percorso partendo dalla descrizione verbale o dal disegno, descrivere un percorso che si sta facendo e dare le istruzioni a qualcuno perché compia un percorso desiderato.

Il bambino sa già fare alcune di queste cose, un po’ perché le ha imparate in famiglia un po’

perché ha incominciato ad apprenderle nella scuola dell’infanzia. Nella scuola primaria il maestro deve preoccuparsi di approfondirle e farle assimilare.

Un’attività idonea, ma non l’unica ovviamente, potrebbe essere quella descritta qui appresso.

Il maestro disegna alla lavagna un rettangolo che ripartisce in quadratini (per esempio un rettangolo 7×12 – fig. 20) e su di esso rimarca due “nodi” che chiama “partenza” e “arrivo”.

fig. 20

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12 Modulo 3/1 – Geometria piana: figure geometriche

Il maestro chiama quindi alla lavagna Simone e gli dà alcune istruzioni idonee a fargli rimarcare un percorso lungo le linee già tracciate (con un gessetto di colore diverso da quello delle linee già tracciate), che congiunga la partenza all’arrivo. Per esempio:

- Dalla “partenza” vai in su di un quadretto, prosegui a destra di 4 quadretti, quindi ancora in su di 3 quadretti. Quanti quadretti ti mancano per giungere all’arrivo andando a destra? Traccia quest’ultimo pezzo del percorso.

Il maestro manda a posto Simone e chiama alla lavagna Carlo, al quale dà altre istruzioni, sempre idonee per congiungere “partenza” e “arrivo”. Per esempio:

- Dalla “partenza” vai a destra di 2 quadratini, prosegui in su di 3 quadratini, quindi vai a destra di 6 quadratini. Quanti quadratini ti mancano per giungere all’arrivo andando in su? Traccia anche quest’ultimo tratto.

Adesso il maestro può chiede agli alunni:

- Per andare dalla “partenza” all’ “arrivo” Simone ha fatto più strada o meno strada di quella fatta da Carlo?

L’attività può continuare scambiando l’ “arrivo” con la “partenza” e ripetendo l’operazione.

Adesso ovviamente si va “in giù” ed “a sinistra”.

Nota Bene.

Detto per inciso ed a beneficio dell’insegnante, il “percorso minimo” (numero minimo di quadratini) per andare dal punto A di “partenza” al punto B di “arrivo” è un modo di misurare la

“distanza” dei due punti diversa dalla distanza euclidea (che è uguale alla lunghezza del segmento AB, ma che viene presa in considerazione quando non ci sono vincoli od ostacoli e ci si può muovere liberamente in tutte le direzioni).

Nel caso specifico, nel quale si è costretti per l’appunto a muoversi lungo linee prestabilite, la distanza considerata si chiama distanza del taxi (o anche distanza Manhattan). Ciò perché fa pensare al percorso di un taxi in una città (Manhattan) perfettamente squadrata.

L’argomento sarà ripreso e approfondito nel corso di “Fondamenti della matematica”.

Quando i bambini avranno imparato a “leggere” una cartina topografica e si dispone di una cartina della città in cui essi vivono, il maestro può proporre un’attività istruttiva come la seguente:

Evidenzia sulla cartina il percorso che fai per andare da casa tua a scuola e descrivilo. Spiega anche se c’è un percorso alternativo.

9. Una figura geometrica particolarmente interessante è il cerchio. Diciamo subito che noi, come fa la maggior parte dei matematici, distinguiamo fra circonferenza e cerchio. Possiamo accontentarci di queste definizioni:

- Circonferenza è la linea i cui punti hanno la stessa distanza (raggio) da un punto fisso (centro).

- Cerchio è la parte di piano delimitata da una circonferenza.

Se si dispone di un compasso, disegnare un cerchio o due cerchi secanti o esterni o l’uno interno all’altro non presenta alcuna difficoltà. Difficoltà trovano invece gli alunni quando sono chiamati a disegnare due cerchi tangenti (internamente o esternamente). Questo accade perché nei primi casi si può procedere per tentativi, nel caso dei cerchi tangenti i tentativi potrebbero non approdare a nulla.

Tanto per fare un esempio, si può proporre agli alunni di disegnare sul foglio un dato punto A e di disegnare quindi due cerchi tangenti esternamente in A ed aventi raggi uno di 2 cm e l’altro di 4 cm.

Se procedono solo per tentativi, senza una strategia precisa, facilmente potrebbero non riuscire nell’intento. Qual è la strategia? Quali sono le proprietà che fanno da supporto?

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13 Modulo 3/1 – Geometria piana: figure geometriche Cominciamo da quest’ultima:

Due circonferenze sono tangenti esternamente (risp.: internamente) se la somma (risp.:

differenza) dei loro raggi è uguale alla distanza dei loro centri.

Questo implica che il punto di tangenza ed i centri delle circonferenze sono allineati.

La strategia è una conseguenza:

a) Si traccia una qualunque retta per il punto A.

b) Si prendono su di essa, da parti opposte di A, un punto B ed un punto C tali che i segmenti AB e AC sono lunghi rispettivamente 2 cm e 4 cm.

c) Con centro in A ed apertura di compasso uguale ad AB si traccia una circonferenza e con centro in A ed apertura di compasso uguale ad AC si traccia un’altra circonferenza.

d) Le due circonferenze disegnate sono tangenti esternamente in A dal momento che la distanza dei loro centri BC è uguale alla somma dei loro raggio AB+AC.

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