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Capitolo 2

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1 Capitolo 2

1. L'accordo interconfederale del 28 giugno 2011. 1.1 L’accordo e la vicenda FIAT

A fine giugno 2011, grazie ad un lungo lavoro di riconciliazione e alla sentita necessità di uscir fuori da una impasse politica ed economica aggravata dalla vicenda FIAT svoltasi in quell’anno, le confederazioni sindacali sono riuscite a sedersi allo stesso tavolo per siglare un accordo interconfederale.

L'accordo rappresenta un recupero dell'unità di azione sindacale, che era stata interrotta già nel 2009 con un forte strappo dei rapporti da parte di CGIL tramite la mancata firma di accordi interconfederali, segnando così l'inizio di una lunga serie di altri accordi separati, tra i quali i più eclatanti sono quelli di Mirafiori e Pomigliano, divenuti il simbolo dell'incapacità del nostro sistema sindacale di produrre regole efficaci e condivise da tutte le parti sociali. Dopo l’esperienza delle vicende accadute attorno allo stabilimento di Pomigliano e per tutto il polverone mediatico sollevatosi intorno all'evento, le organizzazioni sindacali si sono convinte a compiere il passo decisivo verso la stipula di un nuovo accordo interconfederale che avesse come oggetto l'interesse delle aziende nella stipula di contratti di secondo livello efficaci

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nei confronti di tutti i lavoratori e con regole facilmente rispettabili.

L’accordo interconfederale del 2011 si pone in sostanziale continuità con il protocollo del luglio 1993 dove era previsto che la “contrattazione aziendale o territoriale è prevista secondo le modalità e negli ambiti definiti dal contratto nazionale di categoria che stabilisce tempistica, materia e voci nelle quali essa si articola”.

La degenerazione dei rapporti tra le parti sociali e lo scontro sul tema, nacque infatti con l' accordo quadro1

del gennaio 2009, nel quale era prevista la possibilità di apporre modifiche a singoli istituti del contratto nazionale, da parte di quello aziendale nei casi in cui sussisteva la necessità di “governare, direttamente nel territorio o in azienda, situazioni di crisi o…favorire lo sviluppo economico e occupazionale”2. La CGIL in quell’occasione

si è rifiutata di sottoscrivere l’accordo per via della previsione di introdurre in successivi contratti nazionali di categoria le c.d. “clausole di uscita”, che in sostanza permettono un potere di deroga peggiorativa ai contratti decentrati nei casi in cui per motivi di crisi economiche o per fini prettamente gestionali dell’azienda vi sia la necessita di modificare la disciplina dei singoli istituti economici o normativi già previsti dal contratto nazionale.

1 Definito quadro in quanto esprimeva in via sperimentale i principi cardine

dei nuovi modelli contrattuali da adottare, rinviando le specifiche regole applicative a successivi accordi.

2 Cit. E. Ales, “Dal “caso FIAT” al “caso Italia”. Il diritto del lavoro di

prossimità, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali”, in WP C.S.D.L.E.

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In questo modo si è creata una frattura del sistema delle relazioni industriali, in quanto le categorie sindacali facenti parte alle confederazioni di CISL e UIL applicavano le regole previste dall’accordo del 2009 da loro sottoscritto, mentre invece le organizzazioni di settore collegate con la CGIL restavano sotto la disciplina del precedente accordo risalente al 1993.

In questo quadro di instabilità generalizzata nei rapporti intersindacali si inserisce con prepotenza il “Progetto Fabbrica Italia” che l’amministratore delegato della FIAT Marchionne lancia nel 2010.

Il “Progetto Fabbrica Italia” prevedeva un investimento di 20 miliardi di euro per finanziare la produzione di nuove auto e raddoppiare così la produzione negli stabilimenti italiani. Ovviamente una simile operazione finanziaria sarebbe stata più conveniente per l’azienda automobilistica se fosse stata eseguita all’estero, in paesi che permettono un minor costo del lavoro e l’assenza di una legislazione troppo vincolante come quella italiana, e facendo leva su queste argomentazioni la FIAT tramite il suo amministratore delegato ha cercato di stipulare una modifica al CCNL metalmeccanico per introdurre regole che garantissero una maggiore flessibilità di gestione all’interno dei singoli stabilimenti, preservando così l’azienda dalla presunta scarsa efficienza e professionalità dei lavoratori spesso lamentata dallo stesso

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Marchionne3.

Dopo il successo ottenuto con il “Progetto Fabbrica Italia”, il 15 giugno del 2010, viene sottoscritto un accordo tra FIM, UILM, UGL e FIAT per costituire la F.I.P., acronimo di Fabbrica Italia Pomigliano, una nuova azienda controllata dal gruppo FIAT ma non aderente al contratto nazionale dei Metalmeccanici, permettendo così di applicare all’interno della nuova azienda delle deroghe al contratto nazionale da imporre a tutti i lavoratori a prescindere da una loro eventuale adesione a sindacati non firmatari. A tale modifica contrattuale non aderisce il sindacato di settore FIOM facente parte della confederazione della CGIL, che si contrappone a questa manovra e indice un referendum tra i lavoratori dello stabilimento sul contratto in questione. Il 23 giugno però, il referendum indetto da FIOM approva il nuovo contratto con 2.880 voti favorevoli e 1673 voti contrari, dichiarando in questo modo vincitori dello scontro ideologico e politico creatosi attorno all’evento, i sostenitori del nuovo progetto F.I.P. Forte del risultato ottenuto a Pomigliano, il 7 settembre 2010 FIAT decide di disdire unilateralmente il contratto nazionale dei Metalmeccanici stipulato nel 2008 e il 23 dicembre 2010 riesce a siglare a Torino un nuovo contratto con i sindacati FIM, UILM, FISMIC, UGLM e Associazione capi e quadri FIAT tenendo fuori FIOM che

3 Soprattutto per quanto riguarda lo stabilimento di Pomigliano d’Arco

(NA), dove secondo i dati forniti dall’azienda l’assenteismo per malattia si concentra soprattutto in prossimità dei week-end.

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per numero di associati era ed è il sindacato con più iscritti all’interno della categoria. E così, una volta dimostrato lo strapotere contrattuale della FIAT nell’ambito delle relazioni industriali, si è giunti a intavolare le trattative per un nuovo accordo interconfederale con la partecipazione questa volta anche della CGIL, pronta a trattare anche al riguardo della c.d. possibilità di derogazione in “pejus” da parte dei contratti aziendali nei confronti di quelli nazionali.

L'Accordo Interconfederale del 2011, rispetto agli accordi precedenti, mette al centro delle trattative tra le parti sociali, la necessità di dare un contesto reale al

fenomeno della cosiddetta aziendalizzazione o

localizzazione del diritto del lavoro. In particolare, il modello attuale di “impresa sovrana”4 prevede una certa

autonomia nel produrre norme all'interno delle relazioni industriali scavalcando la tradizionale “comunità di riferimento” per destinare le trattative ad interlocutori che soddisfano maggiormente un parametro locale o aziendale.

1.2 Efficacia soggettiva e derogabilità secondo quanto previsto dall’accordo interconfederale.

L’accordo interconfederale del 2011 apre con una previsione molto importante riguardante il metodo di misurazione della rappresentatività delle associazioni

4 Così definita da G. Ferraro, Il contratto collettivo dopo l articolo 8 in Wp

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sindacali all’interno delle aziende. Testualmente viene indicato che “ai fini della certificazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali per la contrattazione collettiva nazionale di categoria, si assumono come base i dati associativi riferiti alle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori. Il numero delle deleghe viene certificato dall’INPS tramite un’apposita sezione nelle dichiarazioni aziendali ( Uniemens) che verrà predisposta a seguito di convezione tra INPS e le parti stipulanti il presente accordo interconfederale. I dati così raccolti e certificati, trasmessi complessivamente al CNEL, saranno da ponderare con i consensi ottenuti nelle elezioni periodiche delle rappresentanze sindacali unitarie da rinnovare ogni tre anni, e trasmessi dalle Confederazioni sindacali al CNEL. Per la legittimazione a negoziare è necessario che il dato di rappresentatività così realizzato per ciascuna organizzazione sindacale superi il 5% del totale dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro”. Mi permetto di rinviare l’analisi dettagliata del primo punto ad un paragrafo successivo, in quanto il sistema di misurazione della rappresentanza sindacale è stato in seguito modificato nel 2013. È però necessario far notare fin da subito che, se da un lato il punto 1 dell’accordo interconfederale del 2011 possa rappresentare una svolta concreta per determinare il peso delle associazioni sindacali, dall’altro lato risulta

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ambiguo il reale valore applicativo di una tale disposizione dal momento che la “soglia di sbarramento” per ottenere la legittimazione a negoziare sia solo del 5%, una percentuale ritenuta da molti critici5, decisamente bassa.

Il resto dell’accordo, nella sua parte prevalente, dedicata alla contrattazione collettiva aziendale si apre con due affermazioni rassicuranti circa il mantenimento dello status quo ante.6

Il punto 2 infatti, ribadisce l'importanza della contrattazione collettiva nazionale che ha appunto “la funzione di garantire la certezza di trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio” e il punto 3 afferma che l'esercizio della contrattazione collettiva aziendale è limitata alle “materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge”. Per i contratti aziendali, il punto 4 dell’accordo, stabilisce che questi “per le parti economiche e normative sono efficaci per tutto il personale in forza e vincolano tutte le associazioni sindacali, espressioni delle confederazioni sindacali firmatarie del presente accordo interconfederale, operanti all’interno dell’azienda se approvati dalla maggioranza dei componenti delle rappresentanze sindacali unitarie elette secondo le regole interconfederali

5 Tra cui Cit. F. Liso, “Osservazioni sull’accordo interconfederale del 28

giugno 2011 e sulla legge in materia di contrattazione collettiva di prossimità”, in WP C.S.D.L.E “Massimo D’Antona”. IT- 157/2012, p. 18.

6 Cit. E. Ales in “Dal caso fiat al caso Italia. Il diritto del lavoro “di

prossimità”, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali”, In WP C.S.D.L.E.

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vigenti”. Preso però atto delle vicende storiche che hanno portato la FIAT alla fuoriuscita del sistema delle RSU, così come erano state previste dall'accordo interconfederale del 1993, il punto 5 del nuovo accordo ha cercato di individuare le condizioni idonee per consentire ad un contratto aziendale stipulato dalle RSA di avere una efficacia generale al pari degli accordi conclusi dalle RSU. Per questo motivo gli accordi sottoscritti dalle rappresentanze aziendali, esplicano pari efficacia generale rispetto a quelli stipulati dalle RSU soltanto se approvati “dalle rappresentanze sindacali aziendali costituite nell’ambito delle associazioni sindacali che, singolarmente o insieme ad altri, risultino destinatarie della maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori dell’azienda nell’anno precedente a quello in cui avviene la stipulazione, rilevati e comunicati direttamente all’azienda”. In questo caso i contratti collettivi aziendali possono essere sottoposti ad un referendum indetto dai lavoratori se entro dieci giorni dalla conclusione del contratto sia stata fatta una specifica richiesta “da almeno un’organizzazione firmataria del presente accordo o almeno dal 30% dei lavoratori dell’impresa” con la specificazione che per “la validità della consultazione è necessaria la partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto al voto. L’intesa è respinta con il voto espresso dalla maggioranza dei voti”.

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possibilità di indire un referendum “di opposizione”, la cui promozione va rimessa all'iniziativa dell'organizzazione sindacale o di un gruppo rilevante di lavoratori che non condividono il risultato negoziale.

Come si può notare il sistema di verifica della rappresentanza sindacale previsto dall'accordo si avvicina molto alla tecnica già utilizzata nella contrattazione collettiva del settore pubblico7.

Al punto 6 dell’accordo viene trattato un tema molto importante e dibattuto, affiorato proprio durante la vicenda FIAT, che cerca di porre un compromesso tra le organizzazioni sindacali per evitare ulteriori scontri e lacerazioni. Mi riferisco alle c.d. clausole di tregua sindacale che vengono disciplinate nell’accordo nel seguente modo: “i contratti collettivi aziendali, approvati alle condizioni di cui sopra, che definiscono clausole di tregua sindacale finalizzate a garantire l’esigibilità degli impegni assunti con la contrattazione collettiva, hanno

effetto vincolante esclusivamente per tutte le

rappresentanza sindacali dei lavoratori ed associazioni sindacali firmatarie del presenta accordo interconfederale operanti all’interno dell’azienda e non per i singoli lavoratori”. L’accordo interconfederale prevede dunque che le clausole di tregua sindacale estendano il loro effetto

7 I contratti di comparto nel settore pubblico fanno riferimento a settori

omogenei o affini, determinati mediante appositi accordi tra l’Agenzia per la rappresentanza negoziale della pubblica amministrazione (ARAN) e le confederazioni che hanno nel comparto di riferimento una rappresentatività non inferiore al 5%, considerata la media tra dato associativo e dato elettorale.

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vincolante anche nei confronti di tutti i soggetti sindacali che non abbiano direttamente sottoscritto tali clausole, ma che siano comunque riconducibili alle confederazioni di CGIL, CISL e UIL. In poche parole, l’estensione delle clausole di tregua fa leva sui rapporti endo-associativi presenti all’interno delle confederazioni sindacali firmatarie. Viene invece esplicitamente fatto riferimento che le clausole non hanno effetto per i singoli lavoratori, ciò per evitare lunghe diatribe teoriche sull’argomento. Infatti, la clausola in esame mira ad escludere ogni possibile obbligo nei confronti dei singoli rapporti di lavoro, prevedendo un vincolo esclusivo in capo alle organizzazioni sindacali per mantenere saldi i rapporti tra le parti collettive.

Il punto 7 dell'accordo rappresenta invece la svolta verso la così detta “aziendalizzazione”8 del sistema dei

rapporti industriali. Vi troviamo una certa continuità con l'accordo interconfederale del 1993, infatti il primo periodo riporta che “i contratti collettivi aziendali possono attivare strumenti di articolazione contrattuale mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi. I contratti collettivi aziendali possono pertanto definire, anche in via sperimentale e temporanea, specifiche intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro nei

8 Cit. E. Ales, “Dal caso Fiat al caso Italia. Il diritto del lavoro di

prossimità, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali”, in WP C.S.D.L.E.

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limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro”.

La prima differenza che si può notare con il precedente accordo è che il riferimento alla negoziazione territoriale viene spostato a livello aziendale e in secondo luogo vengono meno i parametri oggettivi, fissati in via esemplificativa dall'accordo interconfederale del 2009, al ricorrere dei quali era condizionato l'esercizio della capacità modificativa dell'accordo territoriale rispetto al contratto nazionale. Il punto 7 fa comunque richiamo alla necessità che le specifiche intese modificative abbiano bisogno di una autorizzazione alla modifica da parte del contratto collettivo nazionale, che indica i limiti e le procedure per attuare tali cambiamenti. Nella seconda parte del punto che invece cerca di definire anticipatamente gli ambiti di manovra dei contratti aziendali stabilendone l’efficacia generale, viene infatti testualmente affermato che “ove non previste ed inattesa che i rinnovi definiscano la materia nel contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’azienda, i contratti collettivi aziendali conclusi con le rappresentanze sindacali operanti in azienda, d’intesa con le organizzazioni sindacali

territoriali firmatarie del presente accordo

interconfederale, al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa, possono definire intese modificative con riferimento agli

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istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro. Le intese modificative così definite esplicano l’efficacia generale come disciplinata nel presente accordo”.

Ecco dunque affrontato un altro argomento di notevole importanza per il diritto del lavoro, relativo alla efficacia soggettiva dei contratti aziendali, che finora aveva solo creato dibattiti tra dottrina e giurisprudenza nel silenzio della legge. La soluzione trovata dalle parti sociali è stata quella di affidare efficacia erga omnes ai contratti aziendali stipulati da organizzazioni che riescono a dimostrare il loro potere rappresentativo all’interno di un

contesto lavorativo tramite criteri maggioritari.

Disciplinando questo tema, si è cercato di trovare una soluzione che contemplasse contemporaneamente le possibili casistiche reali delle unità produttive italiane che vedono interessate nella vita sindacale sia le RSA che le RSU. Gli accordi stipulati dalle RSU hanno ricevuto un trattamento di favore nella stipula dell’accordo, poiché si prevede una diretta efficacia erga omnes per tutti i contratti collettivi aziendali “approvati dalla maggioranza dei componenti”. Mentre invece i contratti sottoscritti dalle RSA, acquisiscono efficacia generale solo nel caso in cui sia positivo l’esito del referendum indetto all’interno dei lavoratori dell’azienda come previsto dal punto 5 dell’accordo interconfederale.

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Purtroppo non sono state disciplinate e risolte alcune incoerenze del sistema già note ai critici del settore. Infatti nel caso in cui nella stessa azienda coesistano RSU ed una o più RSA non è normativamente esplicito come si possa gestire la procedura per conseguire la stipula di un accordo.

“In questi casi si può ritenere che vada applicato il principio maggioritario di cui al punto 5 dell’accordo interconfederale: il voto espresso a maggioranza dalla RSU deve essere ritenuto espressione della percentuale di iscritti ottenuta da tutti i sindacati che in tale organismo collegiale si riconoscono9”.

2. L’Art. 8 del d.l. n. 138/2011.

2.1 Dall’accordo interconfederale 28 giugno 2011 all’art. 8 d.l. 138/2011.

Con l’accordo interconfederale del 2011 si è fatto quindi un passo in avanti rispetto alla regolamentazione dell’efficacia soggettiva fin qui avuta, operando la scelta esplicita di rendere anche i contratti di secondo livello efficaci nei confronti di tutti i lavoratori e delle stesse

organizzazioni sottoscrittrici dell’ Accordo

Interconfederale.

9 Cit. C. Zoli, in “contrattazione in deroga”, a cura di Franco Carinci,

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Per raggiungere tale obiettivo è stato fondamentale garantire che il dissenso individuale o collettivo non costituisse alcun limite all’applicazione dei contratti aziendali o territoriali, a condizione che le deroghe apportate ai contratti nazionali fossero in linea con specifiche finalità o materie, e che fossero coinvolti i soggetti interessati garantendo anche una verifica democratica qualora fosse richiesta.

Il ricorso alla verifica viene garantito tramite l’appello della maggioranza dei componenti nel caso in cui l’accordo sia stato sottoscritto da RSU, oppure se la sottoscrizione sia riferita alle sole RSA, si può procedere ad un referendum che coinvolga i lavoratori, con una richiesta che va avanzata entro 10 giorni dalla stipula del contratto, “da almeno una organizzazione sindacale espressione di una delle confederazioni sindacali firmatarie del presente accordo o almeno dal 30% dei lavoratori dell’impresa. Per la validità della consultazione è necessaria la partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto al voto. L’intesa è respinta con il voto espresso dalla maggioranza semplice dei votanti”.

La previsione di maggior effetto sotto il punto di vista dell’estensione dell’efficacia derogatoria dei contratti di secondo livello, si è avuta con l’art.8 del d.l. n.138 del 2011, intervenuto subito dopo l’accordo interconfederale, che sancisce la prevalenza dell’accordo di secondo livello su quello di primo, cercando di neutralizzare ogni possibile

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forma di dissenso. Secondo molti autori10 in questo

intervento legislativo, maturato durante l’estate, a poche settimane di distanza dall’accordo trovato tra i sindacati, si scorge l’intento di forzare la mano alle parti sociali allargando la maglia delle possibili deroghe applicabili, spingendo oltremodo le prospettive di decentramento.

Per giustificare una tale azione, il governo italiano ha subito scaricato la responsabilità politica dell’atto sulla banca centrale europea e sulla situazione economica che stava attraversando il paese in quel momento.

Va ricordato infatti che il 2011 è anche l'anno in cui entra prepotentemente nel vocabolario popolare il termine spread11.

Neanche il tempo osservare i possibili sviluppi dell'accordo interconfederale di fine giugno, che il paese si ritrova agli inizi di luglio a fronteggiare l'incremento dello spread, ossia il differenziale tra la rendita percepita per i titoli di stato italiani confrontati con la rendita di quelli tedeschi.

L'improvviso divario tra i titoli di stato rappresenta il timore dei mercati nei confronti dell'Italia e nella sua capacità a far fronte ai propri impegni finanziari, con necessità, quindi, per il Tesoro di incrementare i tassi per

10 Cfr. A. Perulli e V. Speziale, “L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011,

n. 148 e la “rivoluzione di Agosto” del diritto del lavoro”, WP C.S.D.L.E.

“Massimo D’Antona” IT- 132/2011; G. Ferraro, Il contratto collettivo dopo l

articolo 8 in Wp C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.It- 129/2011; E. Ales, “Dal caso Fiat al caso Italia. Il diritto del lavoro di prossimità, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali”, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”. IT- 134/2011

11 Divario tra rendimenti o tra quotazioni di più titoli o di uno stesso titolo

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attirare gli investitori e, in tal modo, meglio remunerare il “rischio Italia”12. Per far fronte a questa improvvisa

impennata dello spread, il Governo vara la c.d. “manovra di ferragosto” che introduce però importanti innovazioni anche nel campo del diritto del lavoro. Si giustifica questo intervento sostenendo che una riforma del mercato del lavoro è stata espressamente chiesta dalla BCE per seguire le linee di politica comunitaria riguardanti la flexicurity13

nel mercato del lavoro, aumentando così la fiducia dei mercati nei confronti dell'Italia.

La prova materiale di questa imposizione dall’alto, è costituita da una lettera, firmata Trichet e Draghi, indirizzata al governo italiano, in cui si chiede tra le altre cose di “rafforzare la contrattazione aziendale nella definizione dei livelli salariali e delle condizioni di lavoro incrementandone l'importanza rispetto agli altri livelli di negoziazione”14.

12 Cit. A. Perulli e V. Speziale, “L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011,

n. 148 e la “rivoluzione di Agosto” del diritto del lavoro”, WP C.S.D.L.E.

“massimo D’Antona” IT- 132/2011, p. 4.

13 Flexicurity: Con questo vocabolo la Commissione Europea ha

individuato il modello da prendere a paradigma per riformare la regolamentazione lavoristica dei Paesi europei. La strategia politica ed economica di questo modello consiste nel conciliare la flessibilità nel rapporto di lavoro (intesa come alleggerimento delle tutele poste a beneficio del lavoratore, disciplina del licenziamento inclusa), con la sicurezza nel mercato, cioè la previsione di forme di assistenza al reddito e di misure attive di sostegno durante i periodi di disoccupazione, tali da garantire un passaggio agevole da un posto di lavoro all’altro.

14 Cit. A. Perulli e V. Speziale, L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011,

n. 148 e la “rivoluzione di Agosto” del diritto del lavoro, WP C.S.D.L.E.

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Nonostante queste giustificazioni politiche, la manovra apportata in ferragosto non è stato solo il frutto della crisi finanziaria che ha coinvolto i mercati Europei, e difficilmente può essere solo letta come un atto arrivato e imposto dai “piani alti”, ovvero dai tecnocrati di Brussels. Si tratta, molto più pragmaticamente, di una calcolata scelta politica già utilizzata dallo stesso governo per applicare modifiche al mondo del diritto del lavoro, “scavalcando ogni forma di dialogo sociale con le parti interessate come si era adottato negli anni precedenti quale alternativa alla concertazione”15.

La lettera di Trichet e Draghi rappresenta così un pretesto per scaricare la responsabilità politica sulla banca centrale europea, continuando a cavalcare l'onda dell'emergenza economica dettata dalla crisi di questi anni. La crisi economica ha sicuramente peggiorato, ma non determinato, lo stato attuale del mercato del lavoro. A confermare ciò sono i dieci anni di riforme che hanno preceduto l’art.8 della legge n.148/2011, volte a intaccare la struttura di base del contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato di cui all’art. 2094 c.c., e che hanno smontato a poco a poco tutto il complesso di tutele inderogabili, come ad esempio la disciplina in tema di licenziamento, e tutto ciò già a partire dai primi anni del 2000. Infatti la riforma relativa al contratto subordinato a

15 Cit. A. Garilli, L’art. 8 della legge n. 148/2011 nel sistema delle relazioni

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tempo determinato è stata introdotta nel 2001 dal D.lgs n.368/2001, che ha portato consequenzialmente alla modifica e talvolta alla creazione di un disparato numero di contratti di lavoro subordinato, come il contratto di somministrazione, di lavoro ripartito, il part-time, il contratto di apprendistato, di inserimento, contratti di lavoro intermittente o a chiamata, fino all’introduzione di contratti ibridi come quello di lavoro accessorio. Dunque al di là di situazioni economiche e imposizioni comunitarie l'ideale politico nella gestione del mercato del lavoro è stato basato sull'introduzione di una molteplicità di figure di lavoro flessibile quali canali di accesso alternativi e più convenienti per le imprese, sia in termini di regole, sia in termini di costi retributivi e soprattutto contributivi, per permettere alle imprese di effettuare un vero e proprio “shopping contrattuale” alla ricerca del modello più conveniente ed una prevedibile utilizzazione strategica e in successione di diverse tipologie contrattuali per sfuggire ai limiti fissati dalla legge, soddisfacendo al contempo un’identica esigenza produttiva16 .

Passiamo dunque a visionare il contenuto del testo legislativo, più precisamente concentrandoci sull’art. 8, per capire quali differenze sono state apportate rispetto all’accordo interconfederale di qualche mese prima.

Il primo comma dell’art. 8 dispone: “I contratti

16 Cit. M. T. Carinci, al XVII Congresso Nazionale “Il rapporto di lavoro

al tempo della crisi”, organizzato dall’associazione Italiana di Diritto del Lavoro e

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collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o

territoriale da associazioni dei lavoratori

comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l'accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività”. Il primo elemento di novità rispetto all’accordo interconfederale è la previsione di un contratto collettivo a livello territoriale oltre che aziendale. Considerando che non viene specificato ulteriormente cosa si debba intendere per ambito territoriale, è possibile ritenere che la rappresentatività maggiormente comparativa specificata nel testo, possa essere una variabile relativa di volta in volta calcolabile a livello comunale, provinciale o regionale. Tuttavia, la situazione reale relativa alla presenza territoriale dei sindacati , mostra un panorama molto simile a quello nazionale, con la presenza di un numero limitato

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di sindacati. In ogni caso, una possibile evoluzione di una norma così formulata, potrebbe ipoteticamente consentire la diffusione di un “localismo sindacale17”, con la presenza

di soggetti sindacali costituiti “alla bisogna”.

Introdotto questo ulteriore livello di contrattazione, il legislatore si è però dimenticato di specificare la controparte datoriale abilitata alla stipulazione dei contratti, che se a livello aziendale la sua individuazione risulta scontata, non appare invece ovvia a livello territoriale. Per individuare i soggetti abilitati alla stipula di tali contratti, il testo del comma 1 fa un generico riferimento

alle “associazioni sindacali dei lavoratori

comparativamente più rappresentative”, tacendo sul metodo individuato dall’accordo interconfederale per individuare come rappresentative, e quindi legittimate alla contrattazione, tutte le organizzazioni sindacali che vantino una percentuale di adesione non inferiore al 5%. Questo criterio può in ogni caso essere utilizzato anche a livello territoriale, considerato che Cgil, Cisl e Uil hanno specificato di voler in ogni caso attribuire efficacia vincolante all’accordo interconfederale da loro sottoscritto.

L’art. 8 dunque dichiara che oltre ai sindacati comparativamente più rappresentativi a livello nazionale e territoriale, possano essere legittimati a stipulare accordi di

17 Cit. F. Scarpelli, Rappresentatività e contrattazione tra l’accordo di

giungo e le discutibili ingerenze del legislatore, in WP C.S.D.L.E. “Massimo

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prossimità anche le organizzazioni sindacali aziendali. Tale disposto combinato con la situazione attuale della rappresentanza in azienda, possiamo concludere che sono effettivamente autorizzate a concludere tali accordi le rappresentanze sindacali disciplinate dall’art.19 dello statuto dei lavoratori e dagli accordi interconfederali attualmente vigenti. In concreto ciò permette la possibilità a stipulare accordi sia alle rappresentanze aziendali di Cgil, Cisl e Uil, ma anche a tutti i sindacati che intendano aderire all’accordo interconfederale, mentre per ciò che riguarda le RSA, sono legittimate solo le rappresentanze sindacali che hanno stipulato anche i contratti collettivi applicati nella categoria di produttiva di riferimento. In questo modo ad esempio, un sindacato come la FIOM che non ha sottoscritto i contratti collettivi stipulati per gli impianti di Mirafiori e Pomigliano, nel sopramenzionato caso FIAT del 2010, potrebbe essere esclusa dal tavolo delle trattative per eventuali accordi in deroga.

Considerando poi l’attuale panorama Italiano della contrattazione sindacale, possiamo ipotizzare che la legittimazione materiale a stipulare contratti in deroga sia per lo più affidata a sindacati come Cgil, Cisl, Uil, e in alcuni ambiti territoriali alla Ugl o altri sindacati con radici maggiormente localizzate. Come ad esempio per la base territoriale di Mirafiori dove la Fismic può benissimo risultare comparativamente più rappresentativa.

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aziendale possiamo constatare che si continua a dare rilievo a quelle organizzazioni sindacali che abbiano il primato a livello nazionale e una volta raggiunto un possibile accordo aziendale, è sufficiente che sia sottoscritto “da” e non

“dalle”18 organizzazioni comparativamente più

rappresentative, con il sospetto di fondo che l’utilizzo della particella “da” possa far pensare che basti anche la firma di una sola organizzazione sindacale per stipulare un contratto derogatorio di secondo livello. Condizione necessaria affinché tali contrattazioni assumano efficacia di carattere generale è quella di “essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali”. Questa previsione consente dunque di estendere l’efficacia del contratto aziendale erga omnes. Il “criterio maggioritario” tenta dunque di superare possibili impasse che fisiologicamente si vengono a creare in un contesto sindacale, come quello nazionale, caratterizzato dalla frammentazione della rappresentanza. Rimane in ogni caso il rischio di fondo che, seppur accettato dalla maggioranza dei lavoratori, un accordo derogatorio possa essere fatto passare usando come leva di convincimento la

sopravvivenza dell’azienda, pur di resistere a

ristrutturazioni, delocalizzazioni, mancanza di fondi, crisi e fallimenti19. Il “criterio maggioritario” richiamato nella

18 Cit. F. Carinci, Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il

sindacato, il legislatore, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” IT-133/2011,

p.28.

19 Cfr. A. Perulli-V. Speziale, L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011, n.

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legge è verificabile secondo i metodi stipulati nell’A.I. del giugno 2011, sopra citati ai punti 4,5, e 7. Tra l’altro secondo il punto 5 è previsto anche una procedura volta a valorizzare il dissenso nei confronti di un eventuale accordo aziendale e in ogni caso secondo il punto 7 è possibile definire autonomamente le procedure per convogliare nel modo desiderato il consenso dei lavoratori.

Ultimo punto molto criticato del primo comma dell’art.8 L. n. 148-2011, è l’elencazione delle finalità perseguibili per consentire l’utilizzo di questo specifico strumento di contrattazione sindacale. Riprendendo il testo leggiamo che le specifiche intese devono essere “finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, all’emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività”. In pratica, come fa notare buona parte della critica, le finalità qui elencate sono omnicomprensive, storicamente perseguite in ogni tempo da qualsiasi organizzazione sindacale esistente.

Queste finalità sono richiamate al comma 2, dove si specifica che le materie derogabili elencate in questo comma sono legate al raggiungimento dei vincoli di scopo sopracitati nel primo comma. Ciò dovrebbe significare che qualora un accordo di prossimità non dovesse rispettare

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siffatti scopi, si potrebbe delineare una nullità del contratto per contrasto con norma imperativa. Tuttavia la critica

mossa nei confronti dell’estrema generalità e

indeterminatezza di tali “vincoli di scopo”, potrebbe in alcuni casi produrre una materiale inefficacia in sede processuale, vista la difficolta nel poter constatare l’effettiva congruenza tra obiettivi da raggiungere e mezzi utilizzati. In altri casi invece potrebbe risultare più facile operare una comparazione oggettiva di quelle che possono essere le finalità perseguite dall’imprenditore, come ad esempio l’assunzione di un certo numero di lavoratori con contratto a tempo indeterminato o un possibile incremento salariale, in cambio di accordi di prossimità derogatori della normativa nazionale, nei quali si sacrificano interessi protetti quali ad esempio la disciplina sull’orario di lavoro, la conversione dei contratti a termine o comunque un relativo peggioramento delle condizioni lavorative. In questi casi però, non è del tutto fuori discussione una censura riguardante la razionalità e ragionevolezza degli accordi stipulati, qualora il costo sociale e lavorativo della deroga dovesse risultare sproporzionata rispetto al beneficio ottenuto in ossequio alle seppur valide finalità elencate nel comma 1 dell’art.8.

2.2 Le materie derogabili.

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contrattazione collettiva in deroga sono invece disciplinate al secondo comma dell’art. 8 che così dispone: “Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del

lavoro e della produzione con riferimento:

a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;

b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;

c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) alla disciplina dell’orario di lavoro;

e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domando o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento”.

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Anche in questo passaggio dell’articolo si può notare la mano del legislatore che ha modificato l’impostazione con la quale era stato steso l’accordo interconfederale di riferimento, in quanto era nelle intenzioni dei sindacati firmatari il lasciare al contratto collettivo nazionale l’indicazione delle materie derogabili dagli accordi di prossimità. Oltretutto il comma secondo dell’articolo 8 non solo specifica quale siano gli ambiti derogabili, ma li dota di tassatività con l’utilizzo esplicito dell’espressione “con riferimento”20 .

Innanzitutto, dal testo di legge possiamo individuare le materie che non saranno derogabili, ossia quelle relative al diritto di sciopero, ai profili previdenziali e tributari, di diritto sindacale, sicurezza sul luogo di lavoro, collocamento ordinario e obbligatorio, così come tutto ciò che riguarda i congedi di maternità, malattia, le invenzioni dei lavoratori, le discipline di concorrenza, rinunce e transazioni ex art. 211321 e le cause di

licenziamento.

Trattando nello specifico le materie derogabili invece, la lista enucleata nel secondo comma dell’art. 8 tratta in primis della possibilità di deroga in materia di utilizzo di impianti audiovisivi e sull’introduzione di nuove

20 Cfr. A. Perulli – V. Speziale, L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011,

n. 148 e la “rivoluzione di Agosto” del Diritto del lavoro, in WP C.S.D.L.E.

“Massimo D’Antona” .IT- 132/2011, p. 207.

21 Articolo 2113 c.c , comma 1: Le rinunzie e le transazioni [1966], che

hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 del codice di procedura civile, non sono valide.

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27

tecnologie. Sul punto si sono espresse alcune riserve riguardanti il possibile abuso in materia volto ad un eccessivo controllo del lavoratore sul posto di lavoro. In verità la materia è già trattata all’art. 4 dello statuto dei lavoratori, che ne disciplina gli aspetti anche alla luce delle recenti normative in materia di privacy. In ogni caso la previsione dell’art.8 non dovrebbe aggiungere niente di nuovo all’attuale normativa in quanto lo stesso testo di legge chiarisce che verranno rispettati espressamente i limiti previsti dalla costituzione in ordine alla dignità umana e alla libertà personale. In più sul tema subentra la regolamentazione di fonte comunitaria in materia di disciplina sulla privacy.

L’unica modifica concreta ravvisabile nella disposizione dell’art. 8, che nell’art. 4 dello Stat. Lav. deficita di essere specificata, è il processo di formazione dell’accordo su tale materia tramite il criterio maggioritario previsto per la formazione dei contratti di prossimità.

Un esempio di applicazione concreta in tale ambito, è certamente l’accordo firmato nel dicembre 2014 tra la Bbc SRL22 e la RSA del sindacato FILCAMS23 nella sede

OBI di Piacenza. L’accordo, rimasto nella pratica inattuato, prevedeva la possibile introduzione in azienda del c.d. “calling system”, un sistema di chiamata per i commessi,

22 Bbc SRL è l’azienda proprietaria della catena OBI. La OBI opera nel

settore della grande distribuzione, specializzata nel comparto bricolage e giardinaggio ed è presente in Italia con una rete di 52 punti vendita, dislocati principalmente nel Nord e Centro Italia.

23 Filcams è la Federazione Italiana dei lavoratori del Commercio,

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che nei casi di necessità, attiva su un braccialetto indossato dai dipendenti un meccanismo di vibrazione al fine di richiamarne l’attenzione.

Per ciò che riguarda invece il riferimento alla ”introduzione di nuove tecnologie”, non è molto chiaro l’ambito specifico da voler disciplinare. Tra i commentatori della legge c’è chi afferma si tratti di un riferimento alla c.d. information technology, ossia tutto ciò che possa riguardare la produzione e l’organizzazione del lavoro.

2.3 Deroghe in materia di mansioni del lavoratore, classificazione e inquadramento del personale.

Per quanto riguarda la deroga prevista dall’art. 8 in materia di mansioni, classificazioni e inquadramento, disciplinate dalla lettera b) del secondo comma, la

riflessione giuridica si fa più impegnativa.

Dall’emanazione dello Statuto dei lavoratori, l’art. 210324

del codice civile è stato novellato secondo l’impostazione

24 Art. 2103 c.c. : Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo.

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dell’art. 13 dello Statuto dei Lavoratori, determinando come regola l’esclusione della mobilità “in basso” delle mansioni, prevedendo come sanzione la nullità per qualsiasi patto, individuale o collettivo, contrario alla disposizione di legge. Sul tema si sprecano le speculazioni teoriche che contrappongono la necessità di rendere dinamica l’efficienza e la produttività aziendale, e la necessità di tutelare il benessere e la dignità del lavoratore. In questi anni che hanno preceduto l’art. 8 della legge n. 148/2011, il carattere inderogabile dell’art. 2103 è stato scalfito e modellato da interventi legislativi e giurisprudenziali volti ad ammorbidire la disciplina in questione. A livello legislativo possiamo citare art.3, l. n. 1204/1971, successivamente mutato nell’art. 7, d.lgs. n. 151/2001 per il demansionamento delle lavoratrici madri, o per quanto riguarda la tutela dei lavoratori invalidi a seguito di infortunio e malattia contratta durante il rapporto di lavoro ex art 4, comma 4, l. n.68/1999, oppure la previsione relativa a lavoratori esposti ad un agente chimico o biologico disciplinato invece dall’art. 229, comma 5, d.lgs. n. 81/2008. In questi casi si prevede il consenso del singolo lavoratore per l’applicazione valida della disciplina per lo spostamento ad una mansione differente da quella originaria, anche inferiore, con un livello retributivo immutato senza che ciò venga a rappresentare una deroga all’art. 2103 del codice civile.

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comma 11, l. n. 223/1991 che non richiede né il consenso del lavoratore, né la conservazione del trattamento economico, ma prevede che ci sia un accordo sindacale finalizzato al riassorbimento dei lavoratori ritenuti eccedenti. Questo contratto collettivo aziendale viene stipulato dalle rappresentanze sindacali presenti a livello aziendale, e pone la dequalificazione delle mansioni come alternativa al licenziamento collettivo giustificato. Potremmo dunque accostare l’ art. 4, comma 11, l. n. 223/1991 al novello art. 8, l. n. 148/2011 se non fosse che la previsione legislativa del 1991 manca di un’efficacia erga omnes e lascia spazio al dissenso individuale del lavoratore non iscritto al sindacato o iscritto al sindacato non aderente all’accordo. Ecco perché in quasi più di venti anni di vigenza, tale previsione di legge non ha creato discrepanze giudiziarie degne di nota.

Molteplici interventi giurisprudenziali, hanno anche contribuito a modificare l’impostazione dell’art. 2103 c.c. seguendo una logica più pratica applicata caso per caso, che ha perseguito un bilanciamento di interessi relativi allo stesso lavoratore, rendendo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo una extrema ratio, a favore di una maggiore dinamicità nel campo delle mansioni lavorative.

Con la previsione inserita nell’articolo 8 invece, si cerca di trovare, almeno sul piano teorico, tramite la contrattazione di prossimità un accordo che prenda in considerazione non solo i diritti dei lavoratori, ma anche le

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esigenze produttive dei datori di lavoro, il tutto per rimanere all’interno dei vincoli di scopo elencati dal primo comma dell’articolo. Il carattere di inderogabilità dell’art. 2103 del codice civile perde efficacia in quanto i patti contrari alla previsione di legge non saranno nulli ma considerati legittimi a seguito degli accordi aziendali. Considerando ciò, si può ipotizzare che per quanto riguarda la mobilità “in peius”, tramite i contratti collettivi aziendali e territoriali si potrà allargare la gamma di ipotesi di giustificato motivo oggettivo di dequalificazione, mentre per ciò che riguarda la mobilità “verticale” potrà essere esclusa la promozione automatica, come nei casi in cui sussiste un prolungato svolgimento di mansioni superiori.

2.4 Deroghe in materia di contratti a termine.

Sempre all’interno del comma 2 dell’art. 8, la lettera c) in riferimento alle deroghe attuabili tramite ricorso agli accordi di prossimità dispone che “le specifiche intese possono riguardare la regolazione delle materie inerenti ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro”. Per quanto riguarda i contratti a termine, l’intervento dell’art. 8 non sembra essere una novità determinante se contestualizzata con i precedenti interventi legislativi che si sono susseguiti negli anni. Già nel 1987 la

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legge numero 56, disponeva ex art. 23, comma 1 che “i contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale” potevano introdurre nuovi modelli di contratti di lavoro a tempo determinato rispetto a quelli disciplinati dalla legge, a condizione che si stabilisse la percentuale di “lavoratori che potevano essere assunti con contratto di lavoro a termine rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato”. I soggetti abilitati ad introdurre questa deroga erano individuati secondo il parametro di “confederazioni maggiormente rappresentative”, a questi veniva anche riconosciuta la possibilità di stipulare accordi a livello aziendale, oltre che nazionale. Anche per ciò che riguarda l’efficacia soggettiva, dopo l’intervento della corte costituzionale, con la sentenza numero 344 del 18 ottobre 1996, si è dissipato il dubbio sulla sua efficacia erga omnes per tutti i lavoratori. Nel 2001 c’è stato però un ulteriore modifica sull’argomento, poiché secondo l’art. 10 comma 7 del d.lgs. n.368 “l’individuazione dei limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto del contratto a tempo determinato stipulato ai sensi dell’articolo 1, comma 1” viene affidato esclusivamente al contratto di categoria. Ora tramite l’art. 8, le intese di prossimità renderanno possibile il potere di derogare le clausole di contingentamento25 stabilite dai

25 Le clausole di contingentamento dei contratti a termine sono le clausole

introdotte dai CCNL stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi con le quali viene fissato un determinato limite percentuale di ricorso ai contratti a

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contratti collettivi nazionali e di intervenire sulla disciplina sanzionatoria nei casi di violazione di tali clausole26.

2.5 Deroghe in materia di contratti a orario ridotto

In questo quadro legislativo appena esposto, l’art.8 risolve innanzitutto gli eventuali problemi interpretativi riguardanti l’efficacia soggettiva e potrebbe in teoria derogare il limite temporale alle successioni di contratti a tempo determinato che attualmente sono fissate su un massimo di 36 mesi per lo stesso lavoratore. Modifiche al riguardo, come anche l’abolizione della conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato come misura sanzionatoria per le ripetute assunzioni, saranno in ogni caso da controbilanciare con i presupposti previsti dalla stessa legge 148/2011 per i fini da conseguire tramite gli accordi di prossimità.

Anche per ciò che riguarda le deroghe possibili da attuare in tema di orario ridotto, lo spazio lasciato alle parti in materia è minimo. Sul tema infatti influiscono sia le normative già presenti, come il d.lgs. n.61/2000 che già affida un grande potere di gestione dei contratti di lavoro part-time alla contrattazione collettiva, e sia la protezione a

tempo determinato sul totale dei rapporti di lavoro a tempo pieno.

26 Cit. A. Russo, I poteri di deroga della contrattazione di prossimità. Un

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livello costituzionale ex art. 36 Cost.27 A tal proposito la

Corte Costituzionale ha avuto modo di specificare nella sentenza numero 210 dell’ 11 maggio 1992 che in materia di clausole elastiche era da censurare “l’assoggettamento ad un potere di chiamata esercitabile, non già entro coordinate temporali contrattualmente predeterminate od oggettivamente predeterminabili, ma ad libitum” e che il “lavoratore deve avere la possibilità di programmare altre attività con le quali integrare il reddito lavorativo ricavato dal rapporto di lavoro a tempo parziale”.

Assodati questi ambiti di tutela possiamo allora concludere che in materia di contratti a orario ridotto, la contrattazione di prossimità non potrà sostituirsi al rapporto individuale di lavoro, in quanto la disponibilità del proprio tempo è appannaggio esclusivo del singolo lavoratore che non può dunque essere modificato unilateralmente dal datore di lavoro, se non violando disposizioni di rango costituzionale. Sarebbe da ritenersi illegittima anche una eventuale richiesta di prestazioni elastiche o flessibili, a cui non corrisponderebbe una retribuzione maggiorata per soddisfare lo stato di disponibilità al quale si sottopone il lavoratore.

Un ambito di libertà che potrebbe ritagliarsi il datore di lavoro attraverso gli accordi di prossimità potrebbe in ogni caso essere quello di richiedere una

27 Cfr. R. Voza, Contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, In

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modifica al rapporto lavorativo senza preavviso e senza compenso maggiorato, solo dopo il consenso informato del lavoratore da affiancarsi a quello già richiesto dall’art. 3, comma 8, d.lgs. n. 61/2000. Si tratterebbe di affiancare al contratto part-time lo schema del contratto di lavoro intermittente senza obbligo di risposta28.

2.6 Deroghe riguardanti la disciplina dell’orario di lavoro.

Anche per quanto riguarda la disciplina sull’orario di lavoro, le deroghe concesse da parte dell’art. 8 della legge numero 148/2011 non sembrano apportare una grossa novità all’interno del panorama già esistente nel nostro ordinamento. Sulla materia infatti, già il d.lgs. n. 66/2003 disciplina compiutamente le dinamiche lavorative concernenti l’orario di lavoro, attuando e conformandosi alla direttiva comunitaria 2003/88/CE, prevedendo inoltre un ampio spazio derogatorio concesso alla contrattazione collettiva. Le deroghe già previste ed attuate concernono ambiti quali il riposo giornaliero, le pause, il lavoro

28 Su questo argomento la Corte di Giustizia si è espressa con la sentenza 12

ottobre 2004, n.313, in Giur. It., 2005, 1377 (con nota di Biagianti) affermando che “né i principi espressi dall’ordinamento comunitario che impongono la parità di

trattamento dei lavoratori senza discriminazioni fondate sul sesso, né il divieto di discriminazione dei lavoratori a tempo parziale rispetto a quelli a tempo pieno, né la direttiva n. 93/104 Ce sull’orario di lavoro, devono essere interpretati nel senso di escludere l’esistenza di un contratto di lavoro a tempo parziale in forza del quale la durata del lavoro settimanale e l’organizzazione dell’orario di lavoro non siano fisse, bensì siano correlate al fabbisogno di lavoro, determinato caso per caso, restando il lavoratore libero di scegliere se accettare o rifiutare il lavoro offerto. E ciò anche se tutti i contratti di lavoro degli altri dipendenti dell’impresa fissano la durata del lavoro settimanale e l’organizzazione dell’orario di lavoro”.

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notturno, la durata massima settimanale, così come tutta la disciplina relativa all’orario multi-periodale, che consente di applicare una media di 40 ore settimanali spalmate per un arco temporale di massimo un anno. Vi è poi da tenere presente che sussistono limiti di inderogabilità in materia di orario di lavoro, direttamente discendenti dalle disposizioni comunitarie29 e dalle previsioni costituzionali riguardanti i

commi 2 e 3 dell’art. 36 Cost. che si riallacciano ai diritti fondamentali del lavoratore per la tutela della salute e della sicurezza. Detto ciò un primo possibile ambito di intervento da parte della contrattazione di prossimità, può riguardare il limite massimo di 40 ore settimanali, fissato così dall’art. 3 del d.lgs. 66/2003, che potrà essere esteso fino a 48 ore, limite massimo applicabile al momento per rimanere in linea con gli standard previsti a livello comunitario dalla direttiva 2003/88/CE. In questo modo i vantaggi saranno totalmente a favore del datore di lavoro, che potrà far rientrare in ambito di normale orario lavorativo tutte le ore finora computate come straordinarie, e per questo motivo non più sottoponibili alla disciplina dell’art. 5 d.lgs.66/2003 che prevedeva una maggiorazione salariale e dei relativi riposi compensativi.

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37 2.7 Modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro.

Il comma 2 dell’art.8, che elenca gli ambiti di deroga riservati alla contrattazione di prossimità, espone alla lettera e) la facoltà di concludere le specifiche intese con riferimento “alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro”.

Per ciò che riguarda la ”modalità di assunzione”, pare scontato che il testo di legge faccia riferimento ad ogni tipo di deroga concernente le regole e i meccanismi più adatti alle esigenze di ogni singola azienda in tema di assunzione. Risulta infatti da escludere che “modalità di assunzione” possa fare riferimento alla possibilità di modificare la disciplina già esistente che riguarda gli obblighi di informazione sulle condizioni contrattuali da rendere al lavoratore. Questo perché la materia è già disciplinata dal d.lgs. n. 152/1997 che recepisce la direttiva comunitaria 1991/533/CE ponendo un vincolo di inderogabilità derivante dalla fonte di legge secondo quanto dispone lo stesso art. 2-bis dell’art.8.

Anche per gli obblighi relativi alle comunicazioni da effettuare obbligatoriamente nei confronti delle autorità designate, che vanno espletate da parte del datore di lavoro ogni qual volta procede ad una nuova assunzione, sembra non esserci spazio derogatorio da parte dei contratti di prossimità, e ciò in quanto il controllo fatto dallo stato sui

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movimenti del mercato del lavoro, rientrano in un contesto più ampio volto a favorire il controllo e la promozione dell’occupazione, diritto fondamentale questo, tutelato dall’art. 4 della costituzione italiana e quindi ricadente nel sopra citato vincolo di inderogabilità.

2.8 Deroghe in materia di recesso dal rapporto di lavoro.

Alla lettera e) del secondo comma dell’art. 8 dedicato agli ambiti di deroga, viene dato spazio anche ad un possibile intervento, da parte dei contratti di prossimità, per ciò che riguarda le “conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento”.

Quando si parla di recesso dal rapporto di lavoro e di tutto ciò che ne concerne, difficilmente non può non parlarsi dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, argomento che infatti ha subito tenuto banco sui media e tra i primi commentatori della legge non appena varato il testo dell’art.8. Per alcuni cultori della materia che hanno dato il

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loro contributo sul tema, la contrattazione in deroga non potrebbe incidere sulla reintegrazione nel posto di lavoro perché essa non sarebbe “una conseguenza del recesso, come si esprime nell’art.8, ma una conseguenza del licenziamento illegittimo. Dunque, a voler essere pignoli, l’art. 18 dello statuto sarebbe salvo, e chi si è stracciato le vesti per questo motivo meglio avrebbe fatto a leggere con più attenzione la norma30”. Questa tesi è entrata subito in

contrasto con chi invece ha rilevato che “l’intento del legislatore- ricostruibile alla luce della lettura complessiva della disposizione, che fa riferimento anche alle ipotesi dei licenziamenti discriminatori sottratti al potere di deroga in pejus- sembra essere proprio quello di introdurre ipotesi alternative alla reintegrazione”31.

2.9 Il comma 2-bis dell’art. 8.

I limiti alla libertà di deroga sulle materie appena trattate, sono delineati dal comma 2-bis dell’art.8 che dispone: “fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie

30 Cfr. R. Romei , Qualche spunto di riflessione sull’art. 8 della manovra

di agosto, 16 settembre 2011, in www.nelmerito.com e A. Maresca Prime

interpretazioni del decreto, in www.ildiariodellavoro.it cit. pp. 2-3

31 Cit. L. Galantino in “Contrattazione in deroga”, a Cura di F. Carinci,

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richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”.

In base a questa previsione si possono ben determinare le restrizioni alla libertà di intervento sulle materie trattate nei paragrafi precedenti. Ad esempio per quanto riguarda la disciplina del recesso dal rapporto di lavoro, l’art. 30 della Carta di Nizza ribadisce “il diritto di tutela contro ogni licenziamento ingiustificato32”,

presupposto questo che può risultare determinante nei casi in cui a seguito di licenziamento, si proceda ad un risarcimento assai modesto volto alla compensare la reintegrazione del posto di lavoro. Altra norma comunitaria, da tenere presente nel panorama di deroghe che introduce il comma 2 dell’art.8, è la clausola 5 della direttiva 99/70/CE che affronta il tema degli abusi derivanti dalla reiterazione di contratti a tempo determinato. Secondo tale previsione, innanzitutto non si potrebbe superare il limite di 36 mesi di vigenza dei contratti a tempo determinato, in quanto per prevenire gli abusi occorre fissare “la durata massima totale dei contratti o

rapporti di lavoro a tempo determinato”, e

successivamente seguendo gli stessi principi ispiratori di tale direttiva comunitaria, nel caso di conversione dei contratti a termine, il risarcimento che ne consegue deve

32 Art. 30 Carta di Nizza: Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni

licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali.

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essere economicamente rilevante, per perseguire appunto un intento disincentivante nei confronti della successione di questo schema contrattuale. Come già trattato precedentemente nello specifico, le materie relative a orario di lavoro e impianti audiovisivi all’interno dei luoghi di lavoro, sono già disciplinate da relative norme comunitarie, e costituiscono perciò un limite al potere di deroga proprio in forza dell’art. 2-bis.

Analizzato il contenuto dell’articolo e i suoi possibili sviluppi applicativi, c’è da aggiungere che per i primi commentatori della legge, il comma 2-bis “esprime una contraddizione logico-giuridica insanabile, in quanto autorizza una deroga generalizzata alla legge, ma nel rispetto dei principi costituzionali (laddove non c’è norma di diritto del lavoro che non potrebbe essere riconducibile, più o meno direttamente, a principi costituzionali), in più apre uno scenario di totale incertezza giuridica, foriero di insicurezza per i lavoratori ma anche per le imprese”.33

Incertezza giuridica che nasce dal dato di fatto che le

disposizioni Costituzionali e Comunitarie sono

generalmente enunciate sotto forma di principi, rendendo dunque necessaria l’interpretazione da parte dei giudici, appesantendo così il sistema giudiziario e disincentivando il ricorso alla contrattazione in deroga su materie particolarmente delicate che pongono dubbi sulla loro

33 Cit. A. Perulli- V. Speziale in “Contrattazione in deroga”., a Cura di F.

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