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CAPITOLO 1. Edilizia scolastica

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1. Edilizia scolastica

1.1 Evoluzione dell’edilizia scolastica.

La scuola è l’edificio in cui si svolgono attività didattiche e educative, che interessano la formazione delle nuove generazioni e la trasmissione di conoscenze che garantiscono la continuità e lo sviluppo della civiltà.

La nascita di organismi edilizi specificatamente realizzati in qualità di scuole, cioè progettati in vista di questa particolare destinazione d’uso, è relativamente recente. Nell’antichità classica non si trovano edifici destinati unicamente all’istruzione scolastica in quanto venivano utilizzati, per l’istruzione, spazi pubblici della città. Nella Grecia antica i maestri utilizzavano per le loro lezioni (a pagamento) o le loro case o gli spazi all’aperto dei giardini o dei portici sull’agorà; altri luoghi di istruzione erano la biblioteca e il bouleuterion (sala con gradinate). Questi luoghi per l’istruzione vengono col tempo ad assumere caratteristiche di rilievo riguardo all’importanza architettonica, in quanto vengono utilizzati anche a fini monumentali e di rappresentazione del prestigio cittadino e con l’espansione della città si concentrano nel centro monumentale. Di conseguenza la storia dei tipi edilizi per la scuola di derivazione greca coincide con la storia stessa dello sviluppo della città greca e delle sue istituzioni. La stessa impostazione si ritrova anche nell’antica Roma, dove le terme, i fori e le biblioteche occupavano i centri monumentali, e le lezioni si svolgevano sotto portici detti pergulae. Il modello educativo greco, i suoi spazi, e perfino i nomi dei luoghi sopravvivono attraverso la storia, presso i romani, nei monasteri medievali, nel Rinascimento e nell’Illuminismo fino al Neoclassicismo e ai giorni nostri, costituendo il fondamento stesso della civiltà occidentale.

Con il crollo dell’Impero romano d’Occidente la scuola divenne via via un completo monopolio della Chiesa: si ebbero scuole episcopali per la preparazione del clero, e scuole monastiche per l’istruzione dei religiosi (scholae claustri) e per gli esterni (scholae externae). La sede dell’istruzione divenne quindi a partire dal primo Medioevo il monastero, il cui organismo architettonico presentava una notevole complessità spaziale e planimetrica necessaria al fine di soddisfare l’esigenza di

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integrare individui con differenti compiti specifici. In tale tipologia convergono molti tipi edilizi: la chiesa, il chiostro, la biblioteca, la sala capitolare, le sale di lavoro comune, gli alloggi, i locali per le attività artigianali e il refettorio, che diventerà successivamente proprio anche degli edifici scolastici. Con l’affermarsi dei liberi comuni, alle scuole gestite da enti religiosi si affiancano quelle comunali. Il problema della carenza di spazi caratterizza a lungo l’istruzione sotto il profilo edilizio (venivano concentrati fini a 500 alunni in una sola aula), anche se già nel 1200 un’opera di Boncompagno da Signa prescrive criteri razionali ed efficaci di localizzazione, organizzazione e comfort per una scuola ideale. Persino nel Rinascimento l’aspetto prettamente edilizio è scarsamente considerato (l’esempio più significativo è la “casa

Zoiosa” di Vittorino da Feltre), tanto che è ancora molto diffusa l’abitudine di adattare

a tale uso locali esistenti, che permane ancora nei secoli XVI – XVII.

Verso la fine del Settecento avviene il trasferimento del controllo dell’istruzione dalla Chiesa allo Stato. Con la nascita della scuola pubblica si assiste all’introduzione e alla diffusione di licei, scuole tecniche e professionali e si affiancano a schemi planimetrici antichi e collaudati, nuove tipologie edilizie. Sopravvissero lo schema con uno o più cortili interni e la rigida organizzazione spaziale con l’introduzione di nuovi ambienti di tipo igienico e tecnologico. Si realizzano contemporaneamente tipi nuovi di scuola, la cui importanza non consiste nella sua singolarità organizzativa, quanto nel fatto che per la prima volta nella storia dell’edilizia scolastica, l’organizzazione didattica dipende strettamente dall’organizzazione spaziale e dagli elementi di arredo e di supporto didattico dell’aula. In queste scuole, gli ambienti dove si svolgevano le lezioni erano caratterizzati dalla presenza di numerose file di banchi e un complesso di pedane su cui trovavano posto gli insegnanti i monitori e i sorveglianti. Lungo le pareti erano sistemati i tabelloni sui quali gli alunni studiavano. Tale sistema di insegnamento fu probabilmente introdotto per diffondere in modo rapido e generalizzato la capacità di leggere e di scrivere utilizzando maggiormente l’apporto dei pochi insegnanti esistenti avvalendosi di tanti assistenti improvvisati. Queste scuole erano generalmente costituite dalla successione di aule con affaccio verso la strada o sul cortile interno e collegate da lunghi corridoi. Nasce dunque in questo periodo la tipologia della scuola a blocco che avrà una notevole diffusione fino alla fine del XIX secolo.

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Fig.1.1.1: esempi di scuole a blocco con cortile interno. Scuola di Celle e di Liverpool

L’evoluzione degli edifici scolastici a partire dal 1900, sia nella forma che nell’organizzazione dipende dalle nuove teorie pedagogiche e dalla importanza che viene attribuita all’istruzione dalla società post Rivoluzione industriale. Nasce in questo periodo un movimento pedagogico detto attivismo il cui programma della new

school è basato non sull’insegnamento diretto delle materie secondo il metodo

tradizionale, ma sull’esperienza personale dell’allievo attraverso il fare, la manipolazione e in genere attraverso esperienze manuali. Un contributo notevole allo sviluppo pedagogico si deve al metodo Montessori, basato sull’intuizione, nell’esercitazione al movimento, all’uso e al controllo dell’ambiente, considerando l’educazione sensoriale tanto importante quanto quella intellettuale, insieme allo sviluppo morale, sociale e umano del bambino.

Il diffondersi dei concetti e delle idee della scuola attiva hanno avuto effetti importanti per quanto riguarda la realizzazione e le normative di scuole primarie o materne, mentre l’influsso sulle scuole di ordine superiore si può dire che sia stato solamente di riflesso. Infatti le scuole elementari e medie hanno ormai accolto il concetto del lavoro in gruppi e l’importanza della sperimentazione diretta nella formazione degli allievi, fatto questo che ha reso indispensabili gli spazi speciali con attrezzature specifiche per l’attività diretta degli allievi. A queste nuove esigenze organizzative e spaziali dell’istruzione corrispondono organismi architettonici che derivano dall’evoluzione della scuola a blocco, ma anche nuove tipologie quali la scuola aperta o estensiva.

Nelle nuove scuole a blocco la corte intorno alla quale sono localizzate le aule, collegate generalmente tramite dei ballatoi, diventa lo spazio di riferimento dell’intero edificio, utilizzato in parte come luogo di riunione e per le attività fisiche. Inoltre viene

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ridotto lo sviluppo complessivo dei corridoi e dei percorsi e quindi planimetricamente il nuovo tipo edilizio risulta più compatto dell’edificio a blocco tradizionale, più economico e meno dispersivo. Gli spazi connettivi della scuola, i ballatoi, le scale, perdono il rapporto diretto con l’esterno e la vita complessiva della scuola viene a svolgersi maggiormente in se stessa. Esempi di queste tipologie scolastiche sono: la scuola di Celle progettata dall’arch. O. Haessler nel 1928 (Fig.1.1.1); la scuola di

Francoforte di E. May progettata nel 1927 (una delle prime scuole a padiglioni); la

scuola di Liverpool del 1900 (Fig.1.1.1).

Le scuole aperte o estensive pur conservando in alcuni casi gli schemi tradizionali dell’aula–corridoio, dei corpi contrapposti, di derivazione razionalista, presentano generalmente nuove disposizioni spaziali ad andamento lineare ed orizzontale. I più diffusi sono quelli a croce, nei quali da un corpo centrale si dipartono dei bracci indipendenti relazionati fra loro soltanto dagli spazi esterni contigui; quelli a pettine, dove a un elemento lineare principale si attaccano altri corpi, in genere ospitanti funzioni quali l’auditorio, la mensa, la palestra o dei laboratori. Questa organizzazione spaziale esclude qualsiasi tipo di relazione tra le parti che viceversa devono trovarsi in assoluta dipendenza fra loro, inoltre diventa fondamentale il ruolo svolto dalla sistemazione degli spazi esterni che diventano essi stessi tessuto compositivo dell’edificio. Schemi di questo tipo necessitano di una superficie molto estesa ma consentono la crescita nel tempo dell’edificio. Alcuni esempi di scuole aperte sono: il Maryville College dell’arch. Schweiker & Elting in Tennessee; la scuola elementare di Darmstadt dell’arch. H. Schroun 1951 (Fig.1.12); l’Heathcote

School di New York progettata dall’arch. Perkins & Will (Fig.1.1.3).

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Fig. 1.1.3: Heathcote school, New York

Durante gli anni Sessanta e Settanta’ si ebbe una grande diffusione, soprattutto nei paesi anglosassoni, di un tipo edilizio intermedio, nel quale si tentava di riunire assieme alcune delle caratteristiche tipiche sia della scuola a blocco che della scuola estensiva. Il risultato che si cercava di ottenere era quello di poter ottenere un sensibile risparmio di spazio ed economico attraverso l’eliminazione dei corridoi, dei passaggi e del connettivo in generale. Tale scopo veniva raggiunto mediante la realizzazione di spazi indifferenziati e quanto più possibile neutri, che venivano definiti mediante l’adozione di un arredo composto da contenitori multifunzionali, da pareti mobili e attrezzate che consentivano un doppio uso di differenti ambienti. La perdita dell’unicità della funzione creava una libertà delle relazioni spaziali, ma anche la possibilità di aggregazioni caotiche e di difficile controllo spaziale, in particolare quando tali schemi venivano applicati a scale diverse da quelle della scuola primaria. Questa tipologia edilizia ha consentito di porre l’attenzione su alcuni aspetti fondamentali quali la necessità di pensare l’organismo edilizio scolastico come a un insieme non rigido, ma mutabile sia nello spazio che nel tempo e capace di interagire in modo flessibile con le attività che deve ospitare. Esempi significativi di questo periodo sono la Comprehensive school progettata da Bennet e Bacroft a Pimlico (Londra) tra il 1964 e il 1970 e l’edificio dell’Eisee progettato da D. Perrault a Marne la Vallèe (Fig.1.1.4). La Comprehensive school può essere vista sia come punto di partenza sia come punto di arrivo nell’evoluzione dell’edilizia scolastica. Se infatti si analizza questa scuola dal punto di vista della trasformazione del tipo a blocco

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chiuso con il vuoto all’interno, questo rappresenta senz’altro un punto di arrivo, in quanto l’operazione di svuotamento realizzata in sezione traslando i corpi dei laboratori, della sala assembleare, delle aule verso l’esterno, genera al suo interno uno spazio cavo che, innervato dai percorsi ai diversi livelli, diventa una vera e propria strada interna, centro e fulcro dell’intera composizione. Se viceversa si interpreta tale composizione dal punto di vista della capacità di intessere e riprodurre relazioni a scala non soltanto dell’edificio scolastico, ma anche a livello della città, questa scuola, seppur priva di particolari connotati di apertura verso al comunità e la città, costituisce un esempio fondamentale per la comprensione degli sviluppi prodottosi negli anni successivi nell’ambito dell’edilizia scolastica. L’edificio dell’Eisee, costituisce uno sviluppo tipologico sensibile che riassume molte caratteristiche, tra le quali quella della sua funzione e vocazione urbana appare la più evidente. La composizione si fonda su una rigida separazione tra gli spazi di servizio e quelli per l’insegnamento, distribuendo i primi sotto una vasta copertura inclinata, e gli altri in corpi perpendicolari agganciati a quello principale. Tali spazi entrano in relazione attraverso una strada lunga 300 m coperta da una vetrata continua che distribuisce la luce dall’alto. Le funzioni della biblioteca, dei servizi amministrativi, le sale di riunione, i bar, la caffetteria e gli spazi parascolastici sono ospitati sotto una lunga copertura inclinata unitaria, mentre le aule e i laboratori sono disposti in blocchi a sviluppo perpendicolare rispetto al corpo principale, creando quattro corti con uno dei lati corti aperto verso il bosco retrostante. Questi elementi sono connessi lungo la strada interna da ballatoi e lo schema compositivo prevede al suo interno la possibilità della costruzione di altri elementi dello stesso tipo a complemento dell’insieme. Le relazioni che interessano i vari ambienti di servizio collettivo lungo la strada interna tendono a riproporre gli stessi rapporti tra i vari edifici, gli spazi pubblici cittadini e la strada: si passa infatti dalla biblioteca, nella quale vengono mantenuti i legami visuali con la strada, pur nella necessità di una sua protezione, alla completa apertura della caffetteria e del bar verso il grande concorso interno, alla chiusura totale delle sale per riunione, mentre gli spazi amministrativi sono rinchiusi in elementi vetrati curvi con affaccio interno. Tale schema quindi non soltanto allude alla città riproponendone al suo interno i modi e le forme, ma nella disgregazione delle attuali città moderne ne ricostruisce una parte effettiva, ricostruendo quel rapporto strada-edificio completamente alterato nella città esterna dal traffico veicolare.

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Fig. 1.1.4: l’edificio dell’Eisee a Marne la Vallèe

La mutazione e la definizione della tipologia scolastica, avvenute in questo ultimo secolo, rispecchiano l’evoluzione del concetto di educazione, che da privilegio di pochi è divenuto diritto di ogni cittadino. La valenza architettonica della scuola è quindi duplice: esprimere da una parte valori ideologici e culturali, dall’altra al valore funzionale di servizio di ambito territoriale. Un primo problema è la localizzazione degli edifici, rispetto sia al sistema delle attrezzature sia al territorio da coprire. E’ necessario che il dimensionamento e la localizzazione siano studiati in funzione delle reali esigenze della popolazione e che siano individuati modi e tempi di percorrenza della distanza tra la residenza e la scuola, in relazione anche all’età degli alunni. Dal punto di vista distributivo la scuola varia in funzione del tipo di attività che vi viene svolta, dei rapporti tra le diverse attività, della specializzazione degli ambienti e del livello di abitabilità degli spazi sia in senso fisico che psicologico. Nel caso in cui l’attività didattica sia impostata in modo tradizionale, la cellula organizzativa di base è la classe; in questa tipologia di scuola il nucleo principale è costituito dalle aule accessibili attraverso il corridoio. Le nuove concezioni didattiche, sperimentate specialmente nei paesi scandinavi, in Inghilterra e negli Stati Uniti, hanno abbandonato le rigida organizzazione in classi, per una più mobile organizzazione in gruppi, che richiede la progettazione di spazi flessibili, capaci di adeguarsi alle variazioni di età e al numero dei gruppi di apprendimento. In questo settore della progettazione è dunque fondamentale la capacità del progettista di considerare le eventuali evoluzioni dei metodi e la possibilità di ottenere spazi flessibili, anche prevedendo contenute operazioni di trasformazione da realizzarsi nel tempo, che colmino la sfasatura temporale tra l’evoluzione delle metodologie didattiche e quella della tipologia edilizia. Nella scuola non tradizionale gli ambienti specializzati, come i laboratori, le palestre, gli auditori, rappresentano la parte meno flessibile e tendono a costituire il nucleo fisso dell’edificio scolastico; al contrario le aule e gli ambienti di

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distribuzione costituiscono la parte flessibili ed essendo le zone più direttamente interessate dalle trasformazioni dell’attività didattica.

1.2 Evoluzione dell’edilizia scolastica in Italia dal dopoguerra ad oggi.

La storia dell’edilizia scolastica moderna inizia praticamente nel 1949 con l’abbandono dello schema a corridoio (scuola caserma) e l’introduzione del concetto di “unità funzionale” alla base della progettazione dei nuovi edifici scolastici. Per unità funzionale si intende il corpo di fabbrica minimo che ospita le aule disimpegnate da un ambiente comune, che può essere costituito da un semplice corridoio allargato o da uno spazio per le riunioni assembleari, in modo da ottenere una ambientazione idonea ad alimentare e promuovere lo spirito associativo degli alunni. Più unità formano l’aggregato scuola. In questo periodo la problematica dell’edilizia scolastica si amplia dal funzionalismo “fisico” del periodo razionalista, al funzionalismo “psicologico”; alle considerazioni puramente metriche e igieniche si aggiungono quelle dello spazio, della luce, del colore, inoltre la scuola acquista ambienti di vita collettive e si apre verso la comunità.

Queste novità progettuali e concettuali furono applicate per la prima volta dall’architetto Ciro Cicconcelli nella redazione del progetto vincitore del concorso per scuole all’aperto bandito dal Ministero della Pubblica Istruzione nel 1949. Nel progetto si proponeva un edificio che tendeva a rompere l’isolamento interno, caratteristico della vita delle scuole tradizionali, orientandosi verso la creazione di una comunità scolastica che avesse un costante rapporto con la società (il tema della scuola all’aperto è inteso come scuola aperta sia verso l’ambiente naturale che quello sociale). Paradossalmente il progetto propone, per arrivare all’unità, di rompere l’edificio in parti: organizzando degli elementi di cinque aule tra loro integrabili e dotando il nucleo di ambienti comuni si stabilisce una premessa per il graduale raggiungimento della unità globale degli studenti. Le pareti di separazione tra due coppie di aule sono costituite da pannelli scorrevoli; le pareti delle aule verso la hall sono parzialmente vetrate. Il piano inferiore è un piano libero, senza caratterizzazioni di spazi che vincolino ad un uso predeterminato; le vetrate esterne che si possono raccogliere a pacchetto stanno a significare l’intenzione di spingere al pieno contatto con la natura.

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Fig. 1.2.1: arch. C. Cicconcelli. Progetto per una scuola a 5 aule

Nel 1952 nasce il Centro Studi per l’edilizia scolastica, presso il Ministero della Pubblica Istruzione; nel primo anno di attività il Centro Studi esaminò tutte le possibili soluzioni in base alla vita sociale delle comunità italiane, studiò i vari metodi pedagogici che via via si andavano affermando nel paese e non trascurò al tempo stesso nessuna delle esperienze effettuate all’estero fino a quel momento. Il risultato di queste ricerche fu pubblicato sui “Quaderni del Centro Studi”che ebbero una grande diffusione e che per tanti anni sono stati il manuale di progettazione più usato; i primi due riguardavano le scuole elementari, il terzo era dedicato alla scuola materna. Contemporaneamente si elaboravano le norme tecniche che furono presto rese ufficiali (pubblicate nel 1956) in seguito alla legge 645 del 1954; è questa la legge finanziaria fondamentale per il settore, sino ad allora la costruzione delle scuole avveniva per mezzo della legge 589 del 1949 secondo la quale la scuola era inserita in un sistema di distribuzione episodica di denaro, sciolta da qualsiasi criterio programmatorio. La legge del ’54 riconosce la necessità di un trattamento a parte del settore scolastico, ma per il resto non modifica né il sistema del finanziamento né i criteri di distribuzione. Gli elementi fondamentali delle norme tecniche si possono riassumere in quattro punti:1) viene introdotto e sviluppato il concetto di unità funzionale;2) la scuola viene considerata, prima che un edificio, come un elemento urbanistico che deve sorgere in spazi verdi e costituire un centro per la vita comunitaria;3) la scuola non deve servire solo agli alunni ma va utilizzata anche per manifestazioni culturali collettive;4) al criterio delle aule allineate a compartimenti chiusi subentra una impostazione didattica e stimolatrice di scambi sociali. Le realizzazioni del periodo si possono dividere in due correnti: da una parte si

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collocano alcuni progetti, fortemente caratterizzati morfologicamente e spazialmente in cui si denota un atteggiamento teso alla illustrazione dello spirito della normativa ed a mostrarne le ricchezza potenziale e anche l’assenza di precise indicazioni formali; dall’altra si collocano progetti (arch. A. Gatti, arch. Di ambra, arch. De Sanctis) i quali sono ugualmente molto caratterizzati, ma utilizzano elementi di linguaggio di più facile accettazione e consumo. Questi ultimi progetti dimostrano una disposizione ad interpretare didascalicamente le norme tecniche. Le norme risultarono però calate dall’alto in un tessuto sociale rimasto ad un livello di civiltà arretrato, il rischio maggiore era quello che venissero rifiutate non tanto dall’organismo della scuola quanto dai tecnici. Questo rischio era dovuto sia alla scarsa preparazione professionale dei tecnici su cui pesava ancora lo stato di oscurantismo in cui li aveva tenuti il regime fascista, sia anche nella scarsa qualità dell’impegno professionale degli stessi. In un clima del genere era quanto mai facile che le norme venissero utilizzate con superficialità e il prodotto edilizio risultasse molto modesto e già datato per l’incuria del progettista il quale aveva per lo più recepito solo l’aspetto più superficiale delle norme, cioè lo smembramento dell’insieme in una pluralità di unità funzionali,si vedano ad esempio molte scuole, di paese. In questo clima era quindi, più che opportuna, un’opera di divulgazione e di illustrazione delle norme che ne rivelassero sia i criteri e le teorie che lo spirito ed i riferimenti. Il compito della chiarificazione fu assunto e assolto dall’arch. Cicconcelli con il suo libro “Scuole materne elementari e secondarie” pubblicato all’interno dell’”Architettura pratica” di P. Carbonara. Con la pubblicazione del libro di Cicconcelli si chiude la prima fase della storia dell’edilizia scolastica; il libro mise in evidenza che lo smembramento cui era stato sottoposto l’organismo scolastico costituiva un accorgimento di comodo, in quanto il momento unitario veniva recuperato nell’aggregazione e nelle relazioni di trasparenza tra le varie unità. Gli architetti che in questa fase si distinguono con i loro progetti, oltre a Cicconcelli, sono Mario Ridolfi e Ludovico Quadroni al quale si deve il progetto della scuola elementare di Ivrea del 1959 che meglio di altre compendia i caratteri della ricerca teorica di quegli anni, tanto da essere assunta come modello per l'allestimento di un'aula e di una sala comune alla Triennale di Milano del 1960. Si tratta di un esempio che ancora oggi possiede una certa dose di attualità per l'integrazione socio-funzionale (nel complesso scolastico era prevista anche una parte a negozi), l'equilibrio fra gli elementi e la chiarezza figurativa, l'uso della luce zenitale come

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componente dello "spazio-scuola", il senso di leggerezza evocato dalla soluzione delle coperture quadrate traforate e dalla grande pergola che delimita l'area d'intervento. Il processo scompositivo di natura organica, nel progetto quaroniano si addolcisce, mescolandosi alle memorie razionaliste, nella definizione di un continuum spaziale fra interno ed esterno.

Fig. 1.2.2: scuola elementare di L. Quadroni Fig. 1.2.3: vista prospettica del progetto

Gli avvenimenti più importanti degli anni ’60 furono la costituzione della “Commissione Nazionale d’indagine sulla Scuola” nel 1962, il Convegno di Bologna nel 1963, l’approvazione della legge 641 nel 1967. La Commissione svolse una rilevazione sullo stato delle scuole a campione in dieci zone, data l’impossibilità di realizzare una indagine estesa a tutto il territorio nazionale nei tempi fissati, considerando l’edificio scolastico nel suo insieme e non soltanto una sua parte, l’aula, come parametro di riferimento e confronto. I risultati della Commissione evidenziarono una situazione estremamente grave, innanzitutto un forte squilibrio fra posti necessari per gli alunni e posti disponibili del 27%, passando da un minimo del 3,6% in alcune regioni del sud Italia ad un massimo registrato in Friuli Venezia Giulia del 67%. Le principali indicazioni della Commissione al termine dell’indagine furono:1) per quanto riguarda la localizzazione della scuola, la commissione escludeva che potesse essere meccanicamente compiuta dall’alto, attribuendo la responsabilità agli enti locali; a questo proposito viene introdotto il concetto di “distretto scolastico”;2) si riteneva necessaria l’istituzione di un centro normativo per la tipizzazione e industrializzazione a cui fosse affidato il compito di promuovere la creazione di processi produttivi che unissero qualità ed economicità;3) la Commissione raccomandava la formulazione di una legge organica e completa dato che molte delle scuole erano state costruite abusando delle possibilità di deroga e che esisteva una normativa adeguata solo per le scuole materne ed elementari;4) si richiedeva di modificare il sistema di finanziamento in vigore che finiva con l’inserire gli enti locali in una moltitudine di difficoltà procedurali e burocratiche che portavano il più delle volte all’impossibilità di utilizzare i finanziamenti;5) L’attuazione del

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programma di intervento doveva essere demandata ad un’Agenzia per l’Edilizia Scolastica alle dipendenze del Ministero della P.I, competente per il reperimento delle aree e i collaudi (in contrasto con l’indicazione di maggiore autonomia degli enti locali). Le indicazioni della Commissione furono però progressivamente accantonate in quanto negli anni seguenti si è cercato di coprire la situazione emersa e di sdrammatizzare, nonostante che i lavori ed i risultati presentati non fossero semplicemente di denuncia ma dessero delle indicazioni concrete. In questo vuoto che si venne determinando rimase soltanto l’azione del Comune di Bologna che approfittò ampiamente dell’esperienza della Commissione e sviluppò una politica di intervento che portò la città ad essere la più evoluta in fatto di edilizia scolastica. Nel Convegno di Bologna furono trattate tematiche di carattere generale ed enunciati molti aspetti fondamentali per l’edilizia scolastica:1) l’insufficienza e l’inadeguatezza del rapporto tra scuola e confini comunali;2) l’importanza di scuole di una certa consistenza per favorire adeguati rapporti di socializzazione, ma anche per garantire attrezzature adeguate;3) la denuncia dei limiti che caratterizzavano le scelte di dislocazione per gli edifici scolastici;4) l’importanza di scuole progettate appositamente per ogni situazione;5) possibilità di utilizzo a rotazione degli spazi;6) importanza dei rapporti tra aspetti urbanistici e sviluppo educativo. Con il convegno di Bologna e i risultati della Commissione di Indagine, vengono individuati quasi tutti gli ingredienti per cambiare il modo di fare le scuole, ma gli aspetti negativi per avviare una inversione di tendenza erano ancora troppi.

Con la legge n° 641 del 28/7/1967 la realizzazione degli edifici scolastici si affida alla stesura di piani quinquennali ed inoltre vengono attribuiti agli Enti Locali maggiori competenze in materia. La progettazione delle opere per l’edilizia scolastica in piani quinquennali avrebbe dovuto garantire una continuità di finanziamenti che poi non si è verificata, così che dopo il programma triennale approvato con il D.M. 9/1/1970, si è avuto un vuoto di programmazione che è durato fino all’approvazione della legge 5/8/1975 n° 412. Nell’ambito del periodo considerato la programmazione della legge 641, secondo un disegno complesso e territorialmente articolato, si è snodata secondo due movimenti: uno ascendente, dalla periferia al vertice (segnalazione dei fabbisogni da parte degli Enti Locali; parere sul merito delle segnalazioni da parte delle Commissioni Provinciali per l’edilizia; elaborazione da parte dei Comitati regionali delle proposte di programma regionale); l’altro discendente, dal vertice alla

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periferia (elaborazione da parte del Comitato centrale dei criteri per la valutazione dei fabbisogni generali sulla base di indici obiettivi di priorità; formulazione del programma nazionale del progetto da parte del Comitato centrale per l’edilizia scolastica; parere del Comitato interministeriale per la programmazione economica; approvazione del Ministro della Pubblica Istruzione; elaborazione dei programmi esecutivi regionali). Complessivamente il tempo della programmazione si prolungava di 14 mesi, senza contare i tempi aggiuntivi relativi alle necessarie comunicazioni. La distribuzione di responsabilità fra il livello decisionale centrale e quello locale ha comportato un continuo rinvio dagli organi centrali a quelli regionali e viceversa rivelando la complessità di alcune procedure della legge 641 e i conseguenti ritardi nella realizzazione dei programmi con il risultato di disseminare il territorio nazionale di edifici incompleti. Ma la carenza maggiore di questa legge è la mancanza di normativa tecnica e standard adeguati. Le norme tecniche relative all’edilizia scolastica furono emanate con il decreto interministeriale del 21/3/1970 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n° 134.

Un altro aspetto importante per l’evoluzione dell’edilizia scolastica è rappresentato, a partire dai primi anni ’60 dai processi di industrializzazione edilizia e dalla prefabbricazione. La prefabbricazione è considerata uno strumento basilare per conseguire gli obiettivi della qualità diffusa e della flessibilità. La nozione di flessibilità è vista sia in termini evolutivi che di adattabilità. La scuola è pensata non più solo come una struttura spaziale ma anche come un luogo di variazioni a componente temporale. Lo studio di nuovi sistemi costruttivi libera e approfondisce i temi dell'aula modificabile, delle unità didattiche accorpabili, dell'intercambiabilità, concetti già indagati alla fine degli anni Quaranta sebbene in un regime costruttivo tradizionale. Gradatamente in questi anni si assiste a una de-specializzazione planimetrica dell'edificio rispetto alle proposte più individualizzate elaborate nel dopoguerra. Ciò coincide non solo con il passaggio dal cantiere tradizionale a procedure di costruzione più industrializzate, ma anche con la crescente standardizzazione di queste ultime dopo un periodo di grande eterogeneità nelle soluzioni che regolavano sistemi tecnologici e disegni delle componenti. Seppure in ritardo rispetto agli altri paesi europei, l'entrata della scuola-fabbrica nel panorama edilizio italiano si combina con la produzione di alcuni progetti di alta qualità nei quali il rischio dell'indifferenza planimetrica è costantemente annullato da una complessità spaziale e da uno

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standard elevato, non paragonabile con l'edilizia comune. Il tema della prefabbricazione venne analizzato anche dal Centro Studi i cui risultati furono pubblicati nel numero 4-5 dei “Quaderni”. La maggior parte delle tipologie edilizie prefabbricate, tranne alcuni casi, risultò per lo più di scarso interesse spaziale e pedagogico; ciò che sorprende maggiormente è che ad avvallarli fu proprio chi negli ultimi anni aveva incessantemente sostenuto le idee più avanzate in questo settore. Evidentemente ciò si spiega inserendo questi interventi in una prospettiva a lungo termine. Progetti che si distinsero nell’ambito della prefabbricazione furono la scuola media di Pistoia, 1965, (Fig. 1.2.5-6) e la scuola elementare di Cutro, 1968, (Fig.1.2.7). La prima progettata dall’arch. Luigi Pellegrin presentava un sistema costruttivo che consentiva di realizzare luci di notevoli dimensioni, l’effetto di questa realizzazione è stato propulsivo ad un uso non impacciato dalla prefabbricazione ed ha dimostrato che il problema della prefabbricazione non costituiva un vincolo alla libertà di organizzazione dell’edificio. Gli elementi maggiormente interessanti sono, oltre all’uso disinvolto di corpi aggettanti, la scioltezza del basamento e delle chiusure esterne. Il piano terra è articolato in più livelli e la gradinata della sala comune in c.a. arriva al primo piano, in modo da creare una forte integrazione tra le parti in opera e quelle prefabbricate. Vi sono una serie di spazi collettivi (piscina coperta, palestra, teatro, biblioteca) rispetto ai quali le aule sono in posizione secondaria e distribuite a corridoio. La novità della scuola di Cutro, progettata anch’essa da Pellegrin, è tutta nell’organizzazione proposta per lo spazio libero al piano terreno, realizzata con mobiletti e quindi suscettibile di modifiche, con gruppi di aule associate per ciclo didattico che costituisce l’embrione di quegli spazi interciclo individuati dalle norme successive. Nell'ambito dell'edilizia scolastica prefabbricata di qualità esemplare è l'opera di Gino Valle (fig.1.2.4).

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Fig. 1.2.5: scuola media di Pistoia. Pianta Fig. 1.2.6: s. media di Pistoia.Vista esterna

Fig. 1.2.7: scuola prefabbricata dell’arch. L. Pellegrin

La data fondamentale per l’edilizia scolastica italiana è sicuramente il 1975 con l‘introduzione del D.M. del 18 dicembre 1975 "Norme tecniche relative all’edilizia

scolastica" che contiene le linee guida per lo sviluppo degli edifici e che tutt’ora è la

legge di riferimento per i progettisti. La normativa fornisce gli orientamenti progettuali e gli indici minimi di funzionalità didattica, edilizia e urbanistica da osservarsi nell’esecuzione delle opere di edilizia scolastica. La struttura del testo normativo si compone di parti non omogenee fra loro che si riferiscono a settori specifici di intervento:

• aspetti urbanistici per un corretto inserimento nel contesto territoriale;

• criteri generali di funzionalità da seguire nella progettazione dell’edificio e dell’area di pertinenza;

• criteri particolari di organizzazione dei singoli ordini scolastici (materna, elementare, media inferiore, media superiore);

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• norme relative alle condizioni di abitabilità;

• tabelle di sintesi che definiscono i parametri dimensionali minimi.

Il testo introduttivo del decreto costituisce la parte più significativa, in quanto l’organismo scolastico è concepito come struttura in divenire che si adegua al mutare delle esigenze educative. Sulla base di questo principio si introducono criteri di polivalenza funzionale e di flessibilità nell’uso degli spazi, che sono la premessa per una lettura meno rigida delle stesse tabelle dimensionali che costituiscono la seconda parte della normativa.

In seguito all'approvazione della nuova normativa per l'edilizia scolastica (18/12/1975) si approntano nuove tipologie scolastiche prefabbricate basate su struttura modulare a maglia rettangolare, distribuzione delle aule periferiche intorno ad un atrio centrale a doppia altezza, rivestimento esterno con pannelli in cemento armato. Ad esempio l’arch. G. Valle appronta un programma di scuole prefabbricate con la ditta Valdadige in cui definisce quattro tipi di contenitori per attività omogenee (corpo didattico, corpo palestra, corpo mensa e centrale termica) secondo una logica scalare che offre varietà nelle combinazioni planimetriche lasciando al contempo ampi margini di flessibilità. I corpi possono essere costruiti su terreni di varia natura e sono in grado di adeguarsi a diversi programmi. Malgrado la neutralità morfologica, gli spazi collettivi sono dotati di un forte carattere spaziale poiché nitidi e vitali. L'uso del colore come tecnica di individualizzazione permette poi di ammorbidire la rigidità modulare e di esaltare alla scala paesistica le stereometrie degli elementi. Da sottolineare anche il contributo di Aldo Rossi e Giorgio Grassi ai quali va riconosciuta una forte capacità di lettura della realtà urbana e il merito di rivalutare il concetto di permanenza della forma. Il carattere del manufatto architettonico si affida al rigore tipologico che ne determina la sua forza evocativa. La riduzione del progetto dell'edificio scolastico alle sole matrici tipologiche parzializza la ricerca, ne blocca gli esiti tecnologici, sospende l'indagine sul rinnovamento funzionale e sullo spazio. Le scuole realizzate da Aldo Rossi in questo periodo diverranno vere e proprie icone dell'architettura italiana.

Scuola elementare e media ad Omate, frazione di Agrate Brianza (MI), progettisti

arch. P. Bulgheroni, R. Seleri, P. D’Alfonso, E. Maraschini. La scuola progettata agli inizi degli anni ’70, è espressione delle tendenze innovative di quel periodo nel

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campo dell’istruzione. Alcune di esse hanno avuto un diretto influsso sulla progettazione, come: la limitazione del nozionismo a favore della ricerca, della libera espressione e del lavoro comune, il “tempo pieno” come possibilità di esperienze diversificate nell’arco della giornata, la presenza di attività speciali o integrative quale interruzione della rigida univocità del rapporto insegnante-classe. Tutte innovazioni che in questa scuola sono state tradotte architettonicamente:1) nel superamento del corridoio come connettivo di fondo e la sua sostituzione con spazi interclasse;2) l’aula non più considerata come spazio di ascolto passivo, bensì, attraverso una sua maggiore articolazione, spazio per diversificate attività di studio e ricerca. Ciò ha portato ad una organizzazione distributiva costituita da due volumi raccordati a L tra loro: il primo è quello delle aule, disposto in direzione est-ovest, con affaccio principale a sud; il secondo è quello comprendente la palestra, le sale da pranzo e la cucina, gli uffici, l’ambulatorio medico, risulta orientato in direzione nord-sud. Le coppie di aule sono affacciate su uno spazio “antiaula”, che ha la funzione di aula comune, e che serve anche da collegamento tra le aule e il corridoio di smistamento, posto a quota intermedia tra il piano terreno ed il primo piano. Ai nuclei, così composti da due classi e da uno spazio interclasse, si alternano piccoli patii per attività all’aperto dotati di gradoni e di verde. Gli spazi esterni sono direttamente accessibili dalle aule.

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Fig. 1.2.9: articolazione di volumi Fig. 1.2.10: ingresso

Fig. 1.2.11: il corpo delle aule Fig. 1.2.12: vista delle aule

Negli anni ’80 mentre prosegue una fase di sperimentazione in cui l’edificio scolastico viene visto come elemento urbanistico necessario per la creazione di nuovi poli civici, si assiste dal punto di vista progettuale ad una sorta di revisionismo storico che condizione fortemente la forma degli edifici. I guasti ambientali che hanno prodotto la banalizzazione di questa cultura architettonica, dagli asili alle scuole medie, sono ben visibili ai margini delle città italiane che portano ancora nel vivo del loro paesaggio gli edifici decorati con timpani, colonne, apriate e tralicci porticati dietro ai quali si cela la disposizione in serie delle aule. Gli studi negli enti statali preposti (ministeri, centri studi, università) si riducono drasticamente e l'attività di progettazione e di sperimentazione tecnologica riveste un ruolo marginale. Le cause sono da ricercare nella crisi economica, nei minori investimenti, nella contrazione delle nascite, nelle scarse occasioni di nuova edificazione. Gli interventi si concentrano sul già costruito o si punta ad economie di spesa dismettendo piccole unità e razionalizzando le risorse attraverso la concentrazione dei servizi in plessi scolastici esistenti o da ingrandire. Per quanto riguarda Il problema dell'adeguamento degli edifici scolastici alle nuove normative, un controllo superficiale degli interventi ha prodotto danni di una certa rilevanza: si pensi solo all'applicazione delle norme antincendio con la costruzione di parecchi corpi scala o ai provvedimenti per

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l'abbattimento delle barriere fisiche, con la messa in opera di indispensabili rampe d'accesso che in molti casi, però, deturpano con la loro greve fattura gli spazi antistanti le scuole. Il problematico rapporto tra edificio scolastico, paesaggio e forma urbana: il decentramento dei complessi ai margini dei nuclei abitati, l'occupazione da parte del solo edificio di sedi di dimensioni ridotte rispetto alle partizioni urbane, la decisione di arretrare i manufatti dall'allineamento dei nuovi isolati, sono le ragioni che, per legge o per convenienza fondiaria, hanno escluso la scuola dall'architettura della città e hanno separato con rigidezza le classi dall’esterno. Compito del legislatore e del progettista responsabile è recuperare la valenza urbana dell'edificio e del complesso scolastico, sia nelle relazioni fra le parti all'interno degli elementi edilizi, sia nelle relazioni scalari esterne fra gli elementi stessi e fra questi e il territorio, come alcuni degli interventi finora descritti hanno tentato di fare in vari modi.

Scuola elementare a Volla, Napoli (1987) progettata dallo Studio Polis Architetti associati. L’area destinata dal PRG del Comune di Valla ad attrezzature scolastiche

è compreso in una zona che risulta destinata a nuova espansione rispetto al nucleo abitato più vecchio; la nuova strada di Piano da cui si accede al lotto scolastico, collegandosi alla viabilità principale preesistente lungo la quale è cresciuto il paese, definisce un grande isolato in parte urbano ed in parte ancora agricolo. La prima scelta progettuale è stata quella di porre il complesso scolastico a ridosso della strada, mediante un muro di pietra di tufo da proseguire nella prevedibile crescita successiva; in tal modo ribadendo l’antico sviluppo del paese che è andato organizzandosi lungo i principali assi di comunicazione, lasciando nelle zone retrostanti le zone agricole. Questo rapporto con il verde è mantenuto mediante la trasparenza dei due accessi carrabili posti alle estremità del muro che aprono sulla sistemazione a verde del lotto scolastico. Come le masserie sono organizzate tipologicamente intorno ad una corte-aia, così la scuola, organizzata su un solo livello, è disposta intorno a due corti successive sì cui lati sono disposti quattro blocchi di aule; lungo l’asse di simmetria che sostiene l’intero impianto sono disposti i luoghi forti del progetto: l’auditorium posto sulla testa d’ingresso; le aule interciclo gradinate poste trasversalmente a creare lo spazio tra due corti; la palestra spostata verso il confine di fondo del lotto scolastico. La chiusura delle strada è realizzata dal corpo della direzione didattica e relativi uffici. Il muro esterno, l’auditorium, la palestra

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e i servizi igienici, sono previsti in muratura di tufo a vista, restituendo in tal modo anche cromaticamente l’immagine di una edilizia legata al luogo e alla sua storia; la copertura inclinata delle aule, che dall’interno evoca antiche falde realizza un’altezza maggiore rispetto al corridoio portico, consentendo con finestre a nastro un ottimale illuminamento.

Fig. 1.2.13: vista dell’ingresso principale

Fig. 1.2.14: auditorium e gruppo aule

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Negli ultimi anni si registra invece un rinnovato interesse nel campo dell’edilizia scolastica a causa di un’inversione di tendenza dal punto di vista demografico e dell’attenzione posta sulla scuola in relazione all’approvazione della recente riforma, legge n°53 del 28 Marzo 2003. L’incremento delle nascite è legato non solo a maggiori nascite nel nostro paese ma anche al fenomeno sempre più importante dell’immigrazione. Le nuove scuole saranno dunque chiamate ad educare e ad accogliere bambini con esigenze diverse rispetto a quelle del passato sia per i differenti modi di vita, sia a causa di un mutato equilibrio all’interno della famiglia ma anche perché provenienti da luoghi, culture e tradizioni lontane. La riforma scolastica modificando gli obiettivi e gli strumenti della scuola si pone come passo fondamentale per una rilettura e una nuova normativa nel campo dell’edilizia scolastica. Portare delle innovazioni nelle materie e nei modi di insegnamento e nell’organizzazione delle istituzioni scolastiche provoca necessariamente l’adattamento degli edifici a nuove richieste. Gli aspetti della riforma che maggiormente sembrano incidere nell’organizzazione spaziale degli edifici possono essere desunti nell’articolo 1 della legge 53 "per la realizzazione delle finalità della presente legge il ministro predispone un piano programmatico di interventi finanziari a sostegno 1) della riforma degli ordinamenti e degli interventi connessi con la loro attuazione e con lo sviluppo e la valorizzazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche 2) dello sviluppo delle tecnologie multimediali e della alfabetizzazione nelle tecnologie informatiche nel pieno rispetto del principio di pluralismo delle soluzioni informatiche offerte dall’informazione tecnologica, al fine di incoraggiare e sviluppare le doti creative e collaborative degli studenti 3) dello sviluppo dell’attività motoria e delle competenze ludico-sportive degli studenti 4) degli interventi di adeguamento delle strutture di edilizia scolastica" Due sembrano gli ambiti di maggior influenza: il primo legato alla dimensione delle strutture scolastiche al fine di realizzare la richiesta autonomia, l’altro relativo alla dotazione di spazi idonei per lo sviluppo di attività tecnologiche, tecniche e sportive. Il primo aspetto si collega con il D.P.R. n.233 del 18 Giugno 1998, il Regolamento sul dimensionamento ottimale degli istituti scolastici autonomi che accredita la tipologia organizzativa degli istituti comprensivi come una delle modalità ordinarie di gestione del servizio scolastico nel territorio. Gli istituti comprensivi di scuola materna, elementare e media rappresentano una delle novità istituzionali più significative degli ultimi anni, sia per la rapida espansione quantitativa del fenomeno, sia per le evidenti connessioni con i

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processi di riforma in alto nel nostro sistema formativo. L'autonomia implica inoltre una più immediata visibilità del rapporti con il territorio, nelle sue valenze istituzionali ma anche educative. In tal senso gli istituti comprensivi, hanno già positivamente verificato una maggiore capacità di costruire risposte educative flessibili ed adattabili ai bisogni di sviluppo del contesto ambientale. Riordino dei cicli, saperi fondamentali, attuazione dell'autonomia, rappresentano dunque le tessere fondamentali di un "mosaico"che riguarda il presente ed il futuro di tutti gli istituti comprensivi, ma che coinvolge da vicino tutti gli istituti, la loro capacità di fornire risposte, ipotesi e materiali di lavoro alle diverse questioni: la strutturazione curricolare, l'organizzazione didattica, l'integrazione scuola-territorio. L’altro punto fondamentale della riforma che influisce sull’organizzazione spaziale degli edifici scolastici è il riferimento all’attività pratica di gruppo e personale che presuppone quindi un’adeguata dotazione di spazi specializzati. Nei Documenti che accompagnano la progressiva attuazione della riforma è prevista la realizzazione di laboratori, spazi più ampi, specializzati e maggiormente attrezzati ma anche la necessità di rileggere in chiave nuova lo spazio dell’aula che deve essere sempre più flessibile, adattabile, trasformabile.

Scuola materna ed elementare a Scansano Jonico; progettata dagli architetti Marco Rainò e Barbara Brondi nel 2003. Il progetto dell’edificio scolastico, segue le nuove linee evolutive di strutturazione pedagogico-didattica integrando spazi per l’insegnamento alla singola classe, con spazi per la didattica di gruppo favorendo anche l’integrazione tra studenti di età diversa. L’edificio è caratterizzato dalla massima flessibilità degli spazi ottenuta mediante l’uso di pareti mobili che permettono di creare ambienti di dimensione diversa ed addizionabili a seconda delle necessità didattiche. L’arretramento dell’ingresso principale dell’edificio rispetto al filo stradale, garantisce sicurezza per gli alunni all’uscita da scuola e permette la dislocazione dell’area di parcheggio in posizione sufficientemente distante dalle attività didattiche, ma anche agevole per il raggiungimento dell’ingresso alla scuola.Il dimensionamento delle varie unità didattiche fa riferimento agli indici standard di superficie netta per i vari tipi di attività dettati dalla norma per l’edilizia scolastica del 1975 (D.M. del 18.12.75) e ai nuovi programmi ministeriali (D.R.P. 104/85) e alla Legge 148/90 per la scuola elementare. L’ edificio e posto sul limite estremo di un ciglio erboso, di un terrazzo naturale aperto su una luminosa vallata e costituito da due corpi di fabbrica che si confrontano all’ombra di una tettoia di frangisole

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continua.Gli ambienti progettati sono caratterizzati dalla massima flessibilità e risultano eventualmente addizionabili a seconda delle necessità didattiche; lo spazio a connettivo è inteso nell’accezione di comune, favorendo l’integrazione tra studenti di età diversa e agevolando la pratica delle attività all’aperto. La forma e l’orientamento dell’edificio tendono a garantire le migliori condizioni ambientali per l’istruzione, prestazioni ottimali di illuminazione naturale per le aule e offrono la possibilità di un futuro ampliamento dell’edificio per adattarlo a nuove esigenze didattico-pedagogiche. Ciascuna unità scolastica, materna ed elementare, comprende aule localizzate nelle due distinte maniche dell’edificio. Dette aule sono state dimensionate in base alla normativa citata, con una capacità massima per ciascuna di 25 alunni per la scuola elementare e 30 per quella materna. Le aule del primo ciclo della scuola elementare e materna al piano terreno, si trovano a diretto contatto con spazi all’aperto per consentire lo svolgimento di attività didattiche e ricreative all’aperto. Per la scuola materna, gli spazi per le attività ordinate e quelli per le attività speciali, sono stati aggregati in un unico nucleo per classe in modo da permettere ai bambini di svolgere attività diverse in piena libertà; la divisione degli spazi può essere ottenuta semplicemente attraverso la variazione di arredo. Per la scuola elementare, gli standard di superficie netta previsti dalla norma per le attività speciali, risultano essere non sufficienti dopo l’introduzione di nuove materie di insegnamento quali l’informatica, la lingua straniera e l’educazione dell’immagine considerate obbligatorie e comuni per tutti gli studenti. Si è quindi considerato di aggiungere delle aule per l’insegnamento di queste materie. Per la scuola elementare, il nucleo funzionale all’insegnamento specializzato, comprende gli ambienti destinati ad attività tecniche ed artistiche con relativi spazi di deposito. Tali ambienti sono abbinabili tra loro per mezzo di pareti mobili in modo da creare un unico ampio spazio polivalente da adibirsi eventualmente a mostre ed esposizioni. L’aula per attività musicali è invece separata per non arrecare disturbo. La palestra è stata progettata come spazio condiviso dalle due scuole, ma dimensionata in modo da poter essere divisa in due unità per consentirne l’uso contemporaneo a due diversi gruppi di utenti. E’ stata prevista la possibilità di aprire porzioni della vetrata verso l’esterno per favorire lo svolgimento delle attività sportive all’aperto. Una tribuna è stata inserita nel piano intermedio. Nel progetto dell’edificio, insieme agli spazi per l’educazione fisica, sono stati computati adeguati locali per gli spogliatoi e servizi igienici degli alunni e degli insegnanti e locali per il servizio sanitario e le visite

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mediche. Sono state identificate alcune aree ricreative esterne: un’area gioco con area per attività libere prospiciente l’ala dell’edificio dedicata alla scuola materna e un’area sportiva prospiciente la scuola elementare. Un’area comune coperta si trova tra le due ali dell’edificio. La copertura di ciascuna ala dell’edificio è fruibile dagli scolari come spazio ricreativo protetto dall’irraggiamento solare tramite delle tettoie e delle strutture frangisole.

Fig. 1.2.17: vista Nord – Est Fig. 1.2.18: planimetria

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Fig. 1.2.20: facciata Est, vista sul cortile Fig. 1.2.21: teatro

Fig. 1.2.22: facciata Nord, vista sull’ingresso Fig. 1.2.23: facciata Ovest, vista sull’ingresso

Oltre a problematiche di carattere formativo e tecnico, negli ultimi anni, si sviluppa un nuovo atteggiamento progettuale alla ricerca di soluzioni ambientalmente compatibili e consapevole dei nuovi aspetti posti dalla questione energetica (progressivo esaurimento delle fonti energetiche non rinnovabili): nascono i concetti di architettura bioclimatica e sostenibile. La recente sensibilità verso i problemi legati alla produzione di energia e al suo corretto utilizzo ha portato all’elaborazione di tecniche per limitare la dispersione dell’energia attraverso l’involucro degli edifici e al sistema di poter convenientemente utilizzare fonti di energia rinnovabili, come quella praticamente inesauribile derivante dalla radiazione solare, ai fini del riscaldamento degli edifici. Lo scopo di limitare le dispersioni e di aumentare la capacità di assorbire i raggi solari da parte dell’edificio comporta ovviamente un’attenzione progettuale sia dal punto di vista della forma dell’edificio sia per quanto riguarda la distribuzione e la configurazione delle sue parti e la loro esposizione al sole, ma anche ai venti predominanti e all’ambiente circostante, costruito o meno. Costruire edifici scolastici ecocompatibili e sostenibili non significa solo una particolare cura nella scelta dei

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materiali e nemmeno nelle scelte progettuali, significa piuttosto pensare globalmente ad un percorso di sostenibilità, ecologicità, salubrità, che attraversa i percorsi didattici, le reti relazionali ed infine gli spazi progettati e costruiti. Un edificio scolastico ecocompatibile richiede una scelta di valori di fondo, una condivisione di obiettivi e strumenti, ma soprattutto richiede una diversa visione nelle politiche di governo del territorio. Politiche in grado di lasciare un segno, di incidere sul futuro senza comprometterlo ma sviluppandolo e migliorandolo.

Centro scolastico di Croce a Varliano, Bagno a Ripoli (FI), progettisti: arch. A.

Pescarolo, A. Gallo, F. Stolzuoli, S. Giannuzzi. Il complesso scolastico intende dare origine ad un sistema di servizi (scuola materna, elementare) con un elevato livello di fruizione e nel contempo creare una seria di edifici aperti al paesaggio e verso il sole. Sul lato rivolto verso la valle, l’edificio si articola su due livelli e, abbandonando la linearità del prospetto sulla piazza, si scompone in una serie di volumi che abbracciano il sole e le campagna. Il livello più alto è semplicemente intonacato mentre quello più basso, sopra il quale si stende una grande terrazza verde che funziona anche da belvedere, è in pietra per richiamare la tipologia dei terrazzamenti del terreno. La volumetria dell’edificio, anche se molto articolata, è comunque nelle sue parti estremamente semplice e compatta; solo i fronti delle aule sono completamente vetrati per permettere l’accumulo di calore ed il collegamento diretto con l’esterno, mentre un grande pergolato schermai prospetti e nel contempo consente l’uso della terrazza sia nella stagione più calda che in quella dove prevalgono le piogge. Il progetto ha tenuto conto dei principi di salvaguardia ambientale, valutando i requisiti bioclimatici ed eco-sostenibili, come elementi dinamici del sito che risentono di un condizionamento da parte del progetto, in termini di modifica del microclima e degli aspetti di eco-compatibilità del luogo, ma che a loro volta influenzano il progetto. Questi requisiti sono soddisfatti con lo scopo di migliorare la qualità dell’edificio e della vita che vi si svolge all’interno, facendo attenzione ai limiti di ricettività degli ecosistemi su cui insiste il complesso, la riproducibilità delle risorse naturali e l’utilizzo delle risorse rinnovabili per il mantenimento di un equilibrio tra i sistemi naturali e quelli antropici. Particolare attenzione è stata datala controllo della manipolazione del sito, equilibrando l' opera di costruzione e di impermeabilizzazione del suolo, dotando il sito di ampie superfici verdi destinate alle attività ricreative all’aperto. Sono stati adottati materiali edilizi in

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grado di soddisfare non solo le esigenze dell’abitare l’edificio ma anche caratterizzati dall’avere un basso impatto ambientale, laddove possibile orientato nell’ottica del riciclo e del riuso.

Fig. 1.2.24: vista sull’ingresso

Il soddisfacimento del requisito di contenimento dei consumi è stato ottenuto attraverso la realizzazione di una struttura dell’involucro edilizio in grado di garantire elevata resistenza termica e buona permeabilità al vapore, mediante un corretto utilizzo dinamico dei parametri climatici locali consentendo l’ingresso della luce naturale diretta in tutti gli ambienti dove si svolgono le attività scolastiche favorendone inoltre la ventilazione naturale.

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Fig. 1.2.36: studio illuminotecnica

Ampliamento della scuola elementare di Brugnera (PN), progettisti arch. C.

Costalonga, B. Sonego. Una delle caratteristiche più importanti del progetto è la diversità dei fronti edilizi rispetto all’orientamento. Per migliorare il contributo dato dal sole, sei aule sono state ruotate di 4° verso est, per cercare di garantire le medesime condizioni di luce a tutte. L’illuminazione naturale, elemento cardine del progetto, sarà regolata attraverso sistemi fissi quali i frangisole delle aule e del portico, e sistemi mobili, quali tende veneziane interne, che ogni aula potrà utilizzare autonomamente per proteggersi dall’eccessivo soleggiamento. La scuola si caratterizza come un organismo architettonico omogeneo, non come una semplice somma di spazi e funzioni, al fine di contribuire allo sviluppo della sensibilità e alla crescita degli alunni. Il progetto nasce per favorire una percezione fluida e facilmente comprensibile dello spazio: il sovrapporsi di più livelli, visivamente interconnessi, l’assenza di barriere architettoniche visive e la presenza di molteplici punti di vista, favoriscono la percezione degli spazi e stimolano la curiosità. La distribuzione interna è imperniata sull’asse, a forma di cuneo, di collegamento tra i due interventi. Questo spazio che raccoglie e ordina i flussi di movimento di alunni e insegnanti, assume anche la funzione di spazio di gioco. La struttura compatta, l’elevato isolamento termico e l’impianto di ricambio dell’aria, limitatamente alle aule, riducono al minimo le perdite di calore, favorendo di conseguenza il risparmio energetico. La copertura del tetto sarà a giardino pensile del tipo “verde estensivo” che funziona come regolatore termoigrometrico, di abbattimento delle polveri e di isolamento termico. Il calore viene diffuso mediante un impianto ad irraggiamento, in questo modo non si hanno sollevamenti polvere a l’aria si mantiene fresca e respirabile, con una corretta umidità relativa ed una equilibrata ionizzazione.

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Fig. 1.2.27: vista frontale dell’ampliamento

Fig. 1.2.28: studio illuminotecnico Fig. 1.2.29: studio illuminotecnico

Scuola elementare di Quinto Vicentino (VI), progettisti ing. M. Munari, ing. L. Della

Vecchia, arch. E. Della Vecchia, arch. G. Perottoni, arch. G. Righi, ing. S. Dall’Igna. Il progetto prevede la realizzazione di un edificio scolastico concepito per una popolazione scolastica tra i cinque e gli undici anni circa, che tenga conto delle nuove concezioni della riforma scolastica e delle evoluzioni della didattica moderna. Gli edifici che circondano l’area non hanno una loro continuità né fisica né stilistica; in conformità a questa premessa, il progetto cerca di chiarire la situazione spaziale dell’area che viene rideterminata tenendo conto dell’edificato preesistente, creando un nuovo spazio urbanistico. Sono stati così progettati tre corpi edilizi fisicamente separati in modo tale da creare un sistema articolato di pieni e di vuoti, di forme

Figura

Fig. 1.1.2: scuola di Darmstadt
Fig. 1.1.3: Heathcote school, New York
Fig. 1.1.4: l’edificio dell’Eisee a Marne la Vallèe
Fig. 1.2.1: arch. C. Cicconcelli. Progetto per una scuola a 5 aule
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Riferimenti

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