• Non ci sono risultati.

CAPITOLO II

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "CAPITOLO II"

Copied!
18
0
0

Testo completo

(1)

CAPITOLO II

LA CHIESA DI S. LORENZO IN CHINZICA

(1127-1784)

La chiesa di S. Lorenzo è attestata dal 1127 e non fu l’unica chiesa del quartiere di Chinzica a sorgere tra XI e XII secolo per iniziativa di laici devoti, ma a differenza delle altre50 non ospitò mai comunità canonicali o monastiche.

L’edificio, ubicato nella porzione settentrionale dell’attuale piazza Chiara Gambacorti, cambiò nel corso dei secoli più volte proprietari, fino alla sua sconsacrazione avvenuta nel 1784 ed al suo definitivo abbattimento avvenuto nel 1932 per trasformare l’area in uno spazio aperto.

1- Brevi notizie sulla chiesa pisana tra XI e XIII secolo

Le prime attestazioni sulla organizzazione ecclesiastica a Pisa, ed in particolar modo nella zona a Sud dell’Arno, risalgono agli inizi dell’XI secolo, quando la cattedrale controllava la cura delle anime attraverso la proprietà di S. Cristina, cui riconosceva anche il diritto di sepoltura, riservandosi però i 2/3 dei relativi proventi. Da un documento del 1013 siamo a conoscenza della concessione in livello, da parte dei canonici della cattedrale, della chiesa di S. Cristina al prete Orso, il quale in cambio si impegnava ad officiare la chiesa ed a pagare un censo annuo.51

(2)

Le vicende relative ai nuovi edifici ecclesiastici a Sud dell’Arno mostrano la forte influenza esercitata in questa zona dalla ecclesia matrix, che nella seconda metà dell’ XI secolo aggiunse tra le sue proprietà anche la chiesa di S. Martino e di S. Cristoforo.

Tuttavia un documento del 1095, con il quale i fratelli Bono e Signoretto donarono al monastero di S. Vittore di Marsiglia la chiesa dei SS. Andrea e Vincenzo, ci permette di capire meglio come la partecipazione dei laici a tutta una serie di nuove fondazioni si stesse diffondendo rapidamente in città. L’intenzione dei due era di offrire il proprio contributo di laici alla riforma ecclesiastica, come si desume dalla dichiarazione che il rettore avrebbe dovuto essere eletto senza corresponsione di denaro e senza favoritismi, impegnandosi ad assicurare un’efficace assistenza pastorale alla popolazione che si raccoglieva attorno alla chiesa.52

Proprio nella prospettiva della riforma, sul finire dell’XI secolo giunsero a Pisa i Camaldolesi ed i Vallombrosani, questi ultimi stabilitisi nella chiesa di S. Paolo a Ripa d’Arno tra il 1090 ed il 1092. La loro presenza influì presto nella cura delle anime di quel territorio posto nella parte occidentale di Chinzica, al punto di provocare un conflitto d’interesse col Capitolo della cattedrale. Nel 1112 si arrivò però ad un accordo con il quale venivano regolati i rispettivi diritti di sepoltura.53

Nel giro di pochi anni il nuovo monachesimo raccolse largo consenso tra i fedeli e la libera facoltà di ricevere offerte e seppellire chi ne facesse richiesta era già stata riconosciuta dai pontefici ai monasteri pisani sul finire dell’XI secolo, come dimostrano le bolle di Gregorio VII per S. Michele in Borgo e per S. Zeno.54 Inoltre si inizia ad intravedere l’esistenza di un’attività di cura delle anime da parte dei monasteri su gruppi stabili di fedeli, esercitata dai propri cappellani soprattutto nelle zone di nuova espansione urbana, dove nella prima metà del XII secolo, venne affiancandosi ai monasteri una serie di cappelle dipendenti, elencate poi nelle bolle papali a partire dagli anni Quaranta. Si trattava di chiese edificate direttamente dai

52

Garzella 2006, p. 17

53 Ronzani 1980, p. 37 54 Ronzani 1980, p. 38

(3)

monasteri su proprie terre oppure nate per iniziativa di laici che ne fecero il centro religioso più importante della zona.55

Si può quindi affermare che, nel periodo compreso tra la fine dell’XI e gli inizi del XIII secolo, assistiamo nel panorama europeo ad un importante fenomeno legato alla formazione delle parrocchie cittadine, soprattutto in quelle aree urbane di nuova espansione. Il clero officiante di ciascuna chiesa amministrava i sacramenti per un proprio e ristretto populus di fedeli, i quali in cambio pagavano le decime. I luoghi di culto più antichi divennero spesso centri di circoscrizioni parrocchiali, sorte che toccò anche alla stessa cattedrale, la quale si ridusse alla funzione ordinaria di chiesa parrocchiale per i fedeli che risiedevano nelle sue vicinanze, ad eccezione per le speciali prerogative liturgiche e pastorali che le erano proprie.56

Anche a Pisa tale sistema parrocchiale stava prendendo forma e le fondazioni monastiche e canonicali sorte e rinnovatesi nelle zone di espansione urbana tra XI e XII secolo costituirono il vero punto di riferimento della cura delle anime, dividendosi il territorio in zone di influenza omogenee (le grandi “parrocchie”), suddivise a loro volta in cappelle, chiamate comunemente anche parrocchie. Contemporaneamente la supremazia della cattedrale si perpetuò nella distribuzione in varie zone delle sue cappelle, come S. Cristina, S. Viviana e SS. Cosma e Damiano e soprattutto nel diritto di battesimo e di sepoltura che mantenne per tutto il medioevo.57

A partire dalla metà del XII secolo l’organizzazione urbana in cappelle non aveva più soltanto un carattere religioso, ma iniziava a possedere un valore civile di strutturazione del territorio. Una testimonianza in tal senso è offerta da una controversia sorta tra l’abate di S. Michele in Borgo e tale Ranuccio, a seguito di una presunta invasione di confini. La sentenza definitiva venne emessa dai consoli cittadini e tale fatto è molto significativo in quanto è la massima autorità laica a decidere in merito a questioni di carattere religioso.58

Le numerose controversie riguardo ai confini parrocchiali attestate in numero crescente sul finire del XII secolo segnano il periodo in cui chiese e

55 Ronzani 1980, p. 39 56

Ronzani 1986, p. 144

(4)

monasteri andavano consolidando e precisando i propri ambiti di appartenenza ed in cui andava scomparendo lo spazio non ancora dipendente dall’uno o dall’altro ente religioso. Alle canoniche ed ai monasteri premeva il fatto di farsi garantire dalla Sede Apostolica l’intangibilità dei confini delle proprie circoscrizioni, eccetto per i diritti arcivescovili.

Gli Statuti cittadini del 1287 ci aiutano a comprendere meglio il funzionamento del nuovo sistema parrocchiale. A capo di ogni parrocchia c’era il cosiddetto “capitano”, una sorta di supervisore dell’ambito urbano disegnato dai confini parrocchiali, una specie di funzionario del Comune incaricato di diversi compiti inerenti l’amministrazione e la tutela degli abitanti.

Nel XIII secolo la cappella, oltre ad essere il luogo deputato alla cura delle anime, era anche la cellula base del rilevamento fiscale.59

Al suo interno il capitaneus cappelle era quindi la persona incaricata alla raccolta del giuramento di fedeltà, alla sorveglianza dei lavori di interesse pubblico, alla riscossione dei proventi fiscali diretti ed alla cura delle questioni di confine.60

Le chiese deputate alla cura delle anime e titolari di una circoscrizione civile a Pisa tra XIII e XIV secolo erano circa 83, di cui 16 comprese nel quartiere di Chinzica: S. Andrea, S. Casciano, SS. Cosimo e Damiano, S. Cristina, S. Cristoforo, S. Egidio, S. Giovanni dei Gaetani, S. Giusto in Canniccio, S. Lorenzo, S. Marco in Guazzolongo, S. Maria Maddalena, S. Martino in

Guazzolongo, S. Paolo a Ripa D’Arno, S. Sebastiano, S. Sepolcro e la

chiesa extraurbana di S. Piero a Grado.61

59

Salvatori 1994, p. 91

60 Salvatori 1994, p. 92 61 Ronzani 1986, p. 192

(5)

Fig. 9 Pianta di Pisa della seconda metà del 1600 edita da A. Messerini da un originale della famiglia Scorzi. I colori distinguono le cappelle dei vari quartieri. Il quadrato in rosso fa riferimento all’ubicazione di S. Lorenzo in Chinzica.

(Immagine tratta da Casini 1965, Descrizione delle cappelle di Pisa nel secolo XV, sulla pianta della città edita nel

XVII sec. da A. Messerini)

Nella procedura canonica del XII secolo, la designazione all’ufficio di rettore di una chiesa con annessa cura d’anime era sottoposta all’approvazione ed al consenso dell’arcivescovo e del Capitolo, che provvedevano alla istituzione del nuovo titolare ed all’immissione nel godimento del relativo del beneficio. Tuttavia questo aspetto non era completamente osservato nella pratica in quanto, nelle zone in cui operavano le cappelle monastiche e canonicali, il Capitolo della cattedrale poteva godere di un’effettiva supervisione della cura delle anime solo per le chiese di cui era proprietario,

(6)

come ad esempio quelle di S. Cristina e SS. Cosma e Damiano in Chinzica e di S. Viviana in Foriporta.62

2- Patroni, rettori e altre vicende della chiesa di S. Lorenzo

Da quanto si è visto finora emerge che essere a capo dei fedeli di una chiesa rappresentava un notevole segno di distinzione, ma ancora più prestigio offriva, a partire dal XII secolo, fondarne una nuova e detenerne lo

ius patronatus.63 Questo si esplicava eminentemente nell’esercizio sia dello ius eligendi che dello ius praesentandi, scegliendo e presentando come

rettore all’autorità detentrice del potere d’istituzione canonica un ecclesiastico di loro pieno gradimento.64

Lo ius patronatus laico alla fine del XII secolo era molto diffuso, basti pensare che esso regolava la scelta dell’officiante in ben 32 chiese.

E’ da questo importante aspetto che fisseremo ora il punto di partenza nel ripercorrere la storia del patronato della chiesa di S. Lorenzo in Chinzica, grazie anche alla presenza costante di documenti e fonti scritte di vario genere.

L’età medievale

S. Lorenzo appare per la prima volta nei documenti nel 1127.65 I discendenti dei primi fondatori, attestati come patroni a partire dal 1151, erano due coppie di fratelli, i primi figli di Guido de Bono, gli altri invece figli di tale Ugo detto Gruneus ma chiamati ben presto de Bella.

62 Ronzani 1984, p. 301 63

Ronzani 1980, p. 76; vedi anche Ronzani 1983, pp. 117-134

64 Ronzani 1986, p. 149

(7)

Fig. 10 La famiglia de Grocto - de la Bella

(Immagine tratta da Ronzani 1986, Un aspetto della «Chiesa di Città» a Pisa nel Due e Trecento: ecclesiastici e laici

(8)

Nel 1204 l’edificio ecclesiastico venne probabilmente danneggiato da un incendio o da una inondazione dell’Arno per cui si rese necessario riconsacrarlo e procedere alla simbolica ridotazione, ma un’altra ipotesi potrebbe riguardare l’ampliamento di esso dovuto al crescente numero dei fedeli, lavori che interessarono anche altri edifici ecclesiastici cittadini. Di tale operazione si resero protagonisti sia i numerosi discendenti di Guido de

Bono sia l’unico nipote di Ugo, Grotto di Pietro de Bella.66

Dalla ricca documentazione scritta sappiamo che Grotto di Pietro lasciò alla sua morte, come erede, il nipote Iacopo, morto nel 1290 lasciando a sua volta unica erede la sorella Marina, monaca in S. Stefano ultra Auserem, monastero femminile attestato fin dal 1085.67

A questo punto assistiamo ad un’aspra disputa relativa ai diritti sulla scelta del rettore di S. Lorenzo, da tempo esercitati dalla casata dei de Grocto-de la

Bella, ma dopo la morte di Iacopo nel 1290, rivendicati dal monastero

benedettino di S. Stefano. A tale pretesa si opposero duramente i discendenti di Guido de Bono, che formavano la domus chiamata dall’inizio del 1200 de Balneo, con riferimento al “bagno” pubblico edificato e gestito in mezzo alle loro case, ubicate tra il versante meridionale dell’attuale Piazza Gambacorti e via S. Martino.68

La controversia si riaccese nel 1321 quando il rettore eletto e presentato dalla badessa e dalle monache di S. Stefano cercò di dimostrare innanzi al vicario vescovile il proprio diritto alla conferma, presentando un documento che attestava la dotazione compiuta più di un secolo prima da Grotto di Pietro de Bella, nonno di Marina. Ma il fatto che già per altre tre volte i rettori di S. Lorenzo fossero stati scelti dai de Balneo, in personis et

rebus illis de Grocto, lasciava al monastero benedettino poche speranze di

spuntarla.69

Ma a questo punto, durante il processo del 1321, venne fuori una terza parte in causa, rappresentata da alcuni membri dei de Balneo, Gherardesca detta Ghecca, figlia del fu Giovanni di Iacopo, e Ranieri detto Neruccio, figlio di Panuccio di Pancuccio. Essi si ritennero ingiustamente esclusi dalla

66 Ronzani 1986, p. 164 67

Garzella 1990, p. 55

68 Febbraro, Gattiglia, Ronzani 2006, p. 43 69 Ronzani 1986, p. 166

(9)

procedura che portò all’elezione il prete Bernardo, e presentarono all’Ordinario il loro candidato, Giovanni pievano di Vada. L’elezione di Bernardo era stata effettuata da due sole persone, Mone del fu Giovanni di Panculo e Iacopo del fu Giovanni Cicognino, ai quali si era poi accodato anche Mascarino del fu Bacciameo, che in precedenza aveva eletto per suo conto un altro chierico, aderendo poi alla designazione del pievano di Vada. Secondo le argomentazioni addotte da Ghecca e Neruccio, lo ius patronatus che la domus Balneatorum deteneva su S. Lorenzo spettava a ciascuno dei maschi adulti ed anche a quelle femmine che avessero raccolto l’eredità di uno di loro, come nel caso di Ghecca.

Secondo Mone e Iacopo, invece, i tre ultimi rettori erano stati scelti solo dagli antenati propri e dai loro rappresentanti. Tra questi mai vi era stato il nonno di Ghecca, mentre Neruccio avrebbe dato in seguito il suo consenso all’elezione di Bernardo.70

Purtroppo non conosciamo l’esito del processo, ma dai documenti immediatamente successivi viene citato come rettore il chierico Bennato Cinquina, quindi una figura diversa da tutte quelle presentate dalle varie parti. Alla sua morte, avvenuta nel 1325, sappiamo che riprese con forza la triplice controversia, esplosa già quattro anni prima, per trovare un successore. Questa volta conosciamo l’esito ed il vicario arcivescovile diede ragione al candidato presentato da Cecco figlio di Mone e dalla vedova di Iacopo del fu Giovanni Cicognino.71

Passarono soltanto due anni e nel 1327 si dovette procedere all’elezione di un nuovo rettore. Questa volta Mone, con i suoi figli ed i suoi nipoti, dovettero concorrere da soli in quanto la discendenza dei Cicognino si era estinta, e dovettero affrontare la pretesa di un altro ente ecclesiastico: la canonica regolare di S. Agostino, ubicata a Rezzano presso Calci e detta comunemente Nicosia.

Ad essa infatti uno dei patroni del 1321, Mascarino del fu Bacciameo, aveva donato il proprio ius patronatus, facendosi poi converso. Poco tempo dopo il figlio del già citato Neruccio (terza parte in causa nel 1321), divenne a sua volta canonico professo di Nicosia con il nome di Pietro.

(10)

A questo punto le elezioni dei rettori Giovanni II del 1327 e di Giovanni III del 1330 furono compiute sia dai de Balneo che dal clero di S. Agostino, non senza reciproche proteste.

Nel 1344 invece l’elezione del nuovo rettore avvenne all’unanimità, in quanto fu lo stesso Pietro ad essere stato eletto, e così avvenne quattro anni più tardi per il suo successore.

Nel 1353 Pancuccio, l’ultimo figlio di Mone ancora in vita, ritenne insieme ai suoi nipoti di poter esercitare da solo il proprio ius patronatus, da tanto tempo simbolo di famiglia, provocando la reazione dei canonici di Nicosia. I de

Balneo, a sostegno della loro tesi, presentarono una copia dell’atto di

ridotazione compiuto un secolo e mezzo prima dai propri antenati, riuscendo così a fare eleggere dopo qualche anno il loro candidato, prete Benvenuto detto Nuto da Oratoio.72

Alla sua morte, avvenuta nel 1387, il privilegio riservato ai discendenti dei fondatori fu nuovamente rimesso in discussione per mano di Pietro Gambacorta, signore della città con il titolo di capitaneus et defensor pisani

Populi, appartenente alla importante famiglia dei Gambacorta.73

Pietro riesumò la memoria dell’antico giudice Pietro del Bagno - al quale in una delle ultime vacanze di S. Lorenzo nel 1302 erano stati affidati pieni poteri per procedere alla designazione del nuovo rettore74 - rivendicandone l’eredità al proprio padre Andrea Gambacorta. La disputa si concluse con la divisione dello ius patronatus, una quota spettò a Pietro ed a suo fratello Gherardo e l’altra quota ai nipoti di Mone.

Caduta nei decenni successivi la signoria gambacortiana, lo ius patronatus tornò per intero nelle mani dei de Balneo.

Ma in occasione dell’ultima elezione attesta prima dell’epoca moderna, nel 1428, l’ultimo ed unico discendente dei de Balneo era Taddeo di Cecco, senza eredi diretti e per di più ultraottantenne. Egli presentò per l’ultima volta come rettore della sua chiesa tale Pietro IIl, affiancato da un discendente della famiglia mercantile dei da Calci, Guido, nipote della figlia ed erede unica di Pancuccio di Mone de Balneo.

72 Ronzani 1986, p. 173

73 Questa famiglia appare a Pisa nel XIII secolo e si dedicò intensamente ai traffici commerciali con

Napoli e la Sardegna, arricchendosi rapidamente e diventando ben presto una delle più importanti famiglie pisane. Vedi Silva 1911, pp. 20-21 e Cristiani 1962, pp. 457-458

(11)

Fig. 11 Le famiglie de Bono – de Balneo patroni di S. Lorenzo dal 1151 al 1428

(12)

L’età moderna

Sul finire del Quattrocento il patronato sulla chiesa di S. Lorenzo appartenne per metà alla famiglia Perini, in quanto donatari dei discendenti di ser Guido da Calci e dei de Balneo75, e per l’altra metà alla famiglia Gambacorti76, ma, per qualche passaggio ancora da chiarire, agli inizi del Cinquecento i Perini divennero proprietari dei 2/3 del patronato.

A proposito della famiglia Gambacorti occorre fare un passo indietro per capire meglio in che modo, dopo la caduta della propria signoria e la fuoriuscita da Pisa, risulti nuovamente compatrona di detta chiesa.

Il già menzionato Pietro (I) fu ucciso nel 1392 nell’ambito della congiura tramata ai suoi danni da Giacomo d’Appiano, nella quale trovarono la morte anche due dei suoi figli, Benedetto e Lorenzo.

Agli inizi del nuovo secolo alcuni nipoti di Pietro (I), Giovanni, Lotto e Priamo figli di Gherardo, tentarono di rientrare a Pisa, nel frattempo caduta in mano ai Fiorentini. Riuscirono nel loro intento e Giovanni fu nominato signore della città. Ma trascorsi soltanto tredici mesi dovette restituire la città e le fortezze ai Fiorentini, i quali in cambio donarono lo stato di Val di Bagno in Romagna, con lo scopo di allontanare i Gambacorti da Pisa.77

Giovanni ebbe un figlio, Gherardo, che intorno al 1480, insieme con i suoi cinque figli, si trasferì presso la corte del Re di Napoli.

Per quanto riguarda invece quei Gambacorti rimasti a Pisa dopo la caduta della loro signoria, una interessante notizia riguarda Lorenzo, figlio di Pietro (I), assassinato come detto nel 1392. Sua moglie infatti era incinta e dopo l’uccisione del marito fuggì a Firenze, dove diede alla luce un figlio maschio, chiamato Lorenzo (II) in onore del padre.78

Egli, cittadino pisano abitante a Fiorenza, costituì suo generale procuratore per le entrate e gli interessi di Pisa il prete Arrigo di Michele della Rocca,

75

Tronci P., Descrizione delle chiese, monasteri e oratori della città di Pisa, in A.A.P., Archivio Capitolare, ms. n. 212 (C 213), c. 96 r

76 Per le notizie riguardanti i patronati di casa Gambacorti ed il loro passaggio in casa Del

Tignoso-Del Testa, mi sono avvalso di un fascicolo intitolato “Campioncino Antico”, conservato presso l’A.S.P., Fondo Del Testa, F. 13 (d’ora in poi semplicemente A.S.P., “Campioncino”)

77 A.S.P., “Campioncino”, p. 10 78 A.S.P., “Campioncino”, p. 12

(13)

cappellano dell’altare dell’Incoronata ubicato nel duomo di Pisa, già dotato da Pietro (I) suo avo.79

Quindi, dopo la partenza in Romagna di Giovanni Gambacorti, nessun altro discendente di questa famiglia rimase in Toscana, eccetto Lorenzo (II). Egli dunque, in quanto erede di Pietro I, divenne proprietario della parte dei patronati di casa Gambacorti, non solo perché gli spettavano di diritto ma anche perché quella parte che ereditò da Giovanni non fu mai più ricercata dai suoi successori.

Lorenzo (II) morì attorno al 1448. Ebbe un figlio, Andrea, il quale a sua volta divenne padre di Pietro (II) e di Lorenzo (III), che si spartirono i diritti di patronato.

Siamo agli inizi del Cinquecento ed a questo punto la suddivisione di tali diritti per via ereditaria si fa più complessa.

Pietro (III), secondogenito di Lorenzo (III), morì in giovane età lasciando la sua eredità allo zio materno Giovanni Salviati, il quale a sua volta donò il 23 settembre 1532 la sua parte di patronato a Filippo Del Tignoso.80

Pietro (II) invece ebbe tre figli, Carlo, Andrea (IV) e Vincenzo: anche quest’ultimo donò la sua parte a Filippo Del Tignoso, mentre Andrea (IV) lasciò erede nel 1528 ser Mariano dal Campo, operaio della chiesa di S. Maria della Spina, e la parte di Carlo rimase senza eredi.

Filippo Del Tignoso divenne quindi proprietario dell’intera quota di patronato Gambacorti, cioè 1/3, salvo una “voce” spettante a ser Mariano dal Campo, mentre, come detto prima, gli altri 2/3 appartenevano alla famiglia Perini. Erede di Filippo fu Andrea Del Tignoso, suo figlio, il quale non avendo avuto figli, lasciò come erede il nipote Filippo Del Testa nel 1574, figlio di sua sorella Lucrezia e di suo cognato Alessandro Del Testa, a patto però che si dovesse chiamare Del Tignoso.81

Filippo Del Testa/Del Tignoso morì nel 1590, lasciando erede suo fratello Jacopo.

Dalle notizie relative alle visite pastorali compiute alla fine del XVI secolo emerge un dato nuovo, ossia risultano essere patroni della chiesa di

79 A.S.P., “Campioncino”, p. 12

80 A.S.P., “Campioncino”, p. 17. Filippo Del Tignoso era il genero di Lorenzo (III), avendo sposato

(14)

S. Lorenzo le famiglie Perini, Del Tignoso e vi ha parte anche l’Opera di S. Maria della Spina82, la quale possedeva una “voce” all’interno della parte spettante ai Del Tignoso. Come si è visto, infatti, nel giugno 1528 Andrea (IV) Gambacorti aveva donato la sua parte di patronato a ser Mariano dal Campo, il quale a sua volta lasciò come erede proprio la chiesa di S. Maria della Spina nel 156783, che divenne in questo modo padrona di una parte, seppur piccola, del patronato. A complicare questo passaggio seguì, tre anni dopo la donazione a ser Mariano, la revoca da parte del donatore Andrea (IV), che destinò così la sua porzione del patronato, insieme a suo fratello Vincenzo, a Filippo Del Tignoso. Comunque, alla fine, in virtù dell’eredità di ser Mariano come primo donatario, l’Opera dalla Spina rimase in possesso di quella “voce”.

Con l’estinzione della famiglia Perini, agli inizi del XVII secolo emersero nuovi patroni: il canonico Paolo Tronci segnala che la famiglia Corsini di Cascina deteneva i 2/3 del patronato84 ricevuti per via ereditaria da Antonio Perini85, mentre l’altro terzo era sempre nelle mani dei Del Testa e dell’Opera della Spina. In questo quadro va inserita anche la famiglia Catanti di Pisa, ignorata dal Tronci ma ricordata tra i patroni dalle visite pastorali, in particolare da quella del 12 maggio 1682 che testimonia un padronato

litigioso tra Catanti di Pisa e Corsini di Cascina.86

Quest’ultima famiglia deteneva, come si è visto, i 2/3 dello ius patronatus complessivo, ma sia per la divisione tra i rami discendenti da Corsino del fu Niccolò Corsini e Domenico del fu Sebastiano Corsini sia anche per la concorrenza degli altri compatroni nelle relative presentazioni, incontrò difficoltà riguardo al godimento del diritto di patronato cosicché, nel 1693, il sergente Filippo Corsini di Cascina preferì rinunciarvi, donando le proprie “ragioni” al marchese Filippo Corsini di Firenze.87

Questo atto dà l’opportunità di allargare lo sguardo ad un fenomeno a cui agli inizi dell’età moderna vanno incontro le istituzioni ecclesiastiche, e che

82 Bouillon 1985/86, p. 86 83 Tanfani 1871, p. 73 84

Tronci P., Descrizione, cit., A.A.P., Archivio Capitolare, ms. n. 212 (C 213), c. 96 r

85

A.A.P., Portate di benefici ecclesiastici, n. 15, 1729, (n. 112)

86 A.A.P., Visite Pastorali, n. 17, 1681-1687

87 Greco 1984, p. 56. Con ogni probabilità la famiglia Corsini di Firenze è la stessa di quella di

Cascina; si veda l’estimo del comune di Cascina relativo al XVII secolo in A.S.P., «Fiumi e Fossi», F. 2563-2564-2565-2566-2567. Dalle visite pastorali emerge inoltre come fino al 1784 vi sia un continuo passaggio di patronato tra gli stessi Corsini di Cascina e quelli di Firenze.

(15)

possiamo definire “patologico”, quello della resignazione, ossia la rinuncia dei benefici ecclesiastici da parte dei loro legittimi titolari.

Tale rinuncia avveniva presso la Sede Apostolica, anziché nelle mani del Capitolo della cattedrale, con la conseguenza fondamentale che la successiva collazione veniva sottratta ai legittimi collatori ed ai legittimi patroni, diventando così di libera pertinenza del Papa.88

Questa pratica aveva così dato luogo a gravissimi abusi, in quanto tali resignazioni erano state costantemente accompagnate dalla concessione di grandi privilegi in favore dei resignanti, con il conseguente risultato di far cadere in una situazione di totale anarchia le istituzioni della chiesa locale. Questo fenomeno interessò anche la chiesa di S. Lorenzo, infatti riguardo alle resignazioni di benefici di patronato privato o laicale, va detto che alcuni patti connessi al consenso dei patroni contenevano clausole di chiara impronta simoniaca.

Così accadde quando nel 1645 l’Operaio della Spina, insieme ai fratelli Andrea ed Emilio Del Testa ed a Corsino e Domenico Corsini, acconsentirono allo scambio fra la chiesa di S. Lorenzo, della quale era curato il prete Giovanni Antonio Vannelli, e la chiesa Arcipretura di S. Giovanni Battista di Pugnano nel contado pisano, della quale era rettore tale Ottavio Michelagnoli. Essi furono certamente convinti in questo scambio dall’impegno assunto da parte di Michelagnoli di restaurare a proprie spese la chiesa cittadina di S. Lorenzo, con un importo di circa 450 scudi che, se non si fosse offerto il Michelagnoli, sarebbe gravata proprio sui già citati patroni.89 La clausola inoltre affermava che, una volta ultimati i lavori al tetto, il Michelagnoli sarebbe divenuto rettore della parrocchiale.90

Fortunatamente conosciamo l’esito di questa vicenda, in quanto nella visita pastorale del 1656, il Michelagnoli è menzionato proprio come rettore di S. Lorenzo.91

Nel XVIII secolo si ha notizia di momenti di conflittualità tra le diverse istituzioni ecclesiastiche: nel 1720 ci fu una controversia tra i curati di S.

88 Greco http://www.storia.unisi.it/uploads/media/lezione1_chiesa.pdf, p. 52. Consultato il 17/12/08 89

Greco 1984, p. 65

(16)

Lorenzo e di S. Sebastiano in Chinzica riguardo ad alcune case poste nei confini tra le due parrocchie che avevano cambiato proprietario.92

Fig. 12 Delimitazione delle cure del quartiere di Chinzica nel 1783. Il numero 22 fa riferimento alla cappella di S. Lorenzo con i suoi relativi confini.

(Immagine tratta da Caciagli 1994, Pisa. Città e architetture del Settecento, Pianta del 1783)

(17)

Ma la seconda metà del secolo, nei primi anni del principato di Pietro Leopoldo, vede novità maggiori nei tentativi di riforma delle strutture ecclesiastiche locali. Il primissimo atto di tale riforma fu eseguito dall’allora arcivescovo di Pisa Francesco Guidi nel 1767, quando soppresse la parrocchia di S. Cristoforo in Chinzica. Il territorio della parrocchia e la sua relativa popolazione vennero annessi alla contigua cura di S. Lorenzo, il cui rettore fu ricompensato per la crescita degli oneri pastorali con le fabbriche della parrocchia soppressa.93

Nel 1784, nell’ambito di una serie di riforme ecclesiastiche promosse da Pietro Leopoldo in ottica giansenista, la parrocchia di S. Lorenzo in Chinzica venne soppressa. Dietro il consenso preventivo degli allora patroni, la famiglia Corsini, l’Opera della Spina e i Del Testa94

, il suo territorio e le circa 450 persone che costituivano la sua popolazione, furono uniti alla contigua parrocchia di S. Sepolcro, appartenente al Priorato pisano dei cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme, a cui spettò anche una parte delle rendite della parrocchia soppressa con l’obbligo di stipendiare un cappellano curato. Inoltre venne fondato presso l’altare maggiore della chiesa di S. Sepolcro un beneficio semplice intitolato a S. Lorenzo, di giuspatronato dei Corsini e dell’Opera di S. Maria della Spina, dotato con le fabbriche della soppressa parrocchiale e con beni prediali concessi in enfiteusi dietro il pagamento di un canone annuo di 17 sacche di grano.95

93 Greco 1984, p. 139 94

(18)

Fig. 13 Delimitazione delle cure del quartiere di Chinzica nel 1830. Da notare che la cappella di S. Lorenzo è stata accorpata a S. Sepolcro (numeri 21/22)

Figura

Fig. 9  Pianta di Pisa della seconda metà del 1600 edita da A. Messerini da un originale della  famiglia  Scorzi
Fig. 10  La famiglia de Grocto - de la Bella
Fig. 11  Le famiglie de Bono  – de Balneo patroni di S. Lorenzo dal 1151 al 1428
Fig.  12  Delimitazione  delle  cure  del  quartiere  di  Chinzica  nel  1783.  Il  numero  22  fa  riferimento alla cappella di S
+2

Riferimenti

Documenti correlati

The agents’ actions take place as follows: in the first period, the two firms make their investment decisions, according to their expectation of the forth- coming cap; in the

The compo- sitional data obtained for the Monticchio Piccolo, Monticchio Grande and Pavin lakes by GMS were in good agreement with those measured using the SH method, indicating

Anzi, se già si avverte qualcosa del melodramma romantico, questo qualcosa è proprio nelle incongruenze, in quegli assurdi silenzi che prolungano i malintesi fino alla

Abdominal magnetic resonance revealed a cystic lesion in the right abdominal quadrants (30×17×12.5 cm), independent of the liver, and compressing the inferior vena cava and

A numerical and experimental study concerning OAM-based transmissions between uniform circular arrays of Yagi-Uda antennas has been presented. The novelties of this work lie in

Eight patterns were each present in two differ- ent hares; two of the patterns were exclusively present in hares from Southern plateau region and one was only present in hares