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CAPITOLO VI
PROSPETTIVE PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE DEL
PADULE DI FUCECCHIO
«Dicevamo che il nostro sviluppo economico è stato fino ad oggi rappresentato dal settore conciario, calzaturiero ed affini, non per questo non esploreremo altre strade al fine
di portare nuova ricchezza valorizzando quelle emergenze ambientali e architettoniche…» di cui «il Padule di Fucecchio e il suo avvio come Riserva Naturale di interesse regionale è un primo passo verso questo sviluppo»1.
6.1 STUDI E PROPOSTE PER LA VALORIZZAZIONE DELL’AREA UMIDA 6.1.1 Le prime proposte nell’ottica di uno sviluppo sostenibile del Padule di Fucecchio.
Dal Progetto pilota del Consorzio di bonifica del Padule di Fucecchio ai primi anni Novanta. Come già affermato nel quarto capitolo, le prime proposte tese a regolare le attività antropiche poste in essere nell’ambito dell’area umida fucecchiese, nell’ottica di uno sviluppo ecocompatibile, risalgono al Progetto pilota per la salvaguardia e la valorizzazione del Padule di Fucecchio del 1977, curato dallo studioso Mario Favenza Cerasa.
Tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi del decennio successivo, l e Province di Pistoia e di Firenze, nonché la Regione Toscana elaborarono direttive per la valorizzazione della zona palustre , nel tentativo di rendere più compatibili le attività umane con il delicato ecosistema ubicato nella Valdinievole2. Pur non essendo state realizzate, in quanto le normative o i progetti proposti e approvati dagli enti locali restarono essenzialmente sulla carta3, tali indicazioni mostravano comunque la consapevolezza, almeno teorica, della necessità di avviare politiche e interventi improntati ad uno sviluppo sostenibile. Interessante, da questo punto di vista, le proposte della
1Fucecchio. Notiziario periodico della giunta comunale, 3° supplemento al n. 32 di Aut & Aut del 3
settembre 1997, “Quotidiano delle autonomie locali”, Tipografia Emmegrafica, Cascina (PI), p. 8. Si tratta di frasi estrapolate da un intervento pubblico dell’allora sindaco di Fucecchio Florio Talini.
2 Cfr. Provincia di Pistoia, Deliberazione del consiglio provinciale n. 154 del 21 marzo 1990;
Provincia di Firenze, Una proposta per il “padule di Fucecchio” , Prescrizioni, vincoli e direttive per la tutela e la valorizzazione dell’area protetta n. 119 – Padule di Fucecchio, cit.; Regione Toscana,
Progetto speciale per le aree protette Padule di Fucecchio, Lago di Sibolla, Fosso di Sibolla, cit.
3 Si veda in particolare il Progetto speciale elaborato dalla Regione Toscana. Cfr. il paragrafo 4.2.1
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Provincia di Firenze, seguite a quelle avanzate da Pistoia, in cui, partendo dall’analisi della situazione d’inquinamento diffuso, causato da rifiuti organici (per la mancanza di depurazione delle acque provenienti dai sistemi cloacali dei Comuni posti a Nord-Est del Padule), da sostanze chimiche (fitofarmaci) derivanti dalle acque di percolazione dei terreni agricoli limitrofi, nonché dai rifiuti industriali, le cui fonti erano collocate al di fuori dell’area di competenza amministrativa della provincia di Firenze, venivano previste (sulla carta) diverse direttive di tutela e indirizzi di valorizzazione, ai fini della progettazione dell’uso dell’area, da definire, in modo più dettagliato ed esauriente, a livello interprovinciale. Innanzitutto risultavano necessarie una revisione e una verifica dei sistemi fognari esistenti, con l’obbligo, per i Comuni che ne erano sprovvisti, di dotarsene e di prevedere, per le case sparse, sistemi di depurazione autonomi. A tale questione era legata la produzione ittica, considerato che per la pesca, in passato la massima ricchezza del Padule, risultava indispensabile il ripristino dell’ecosistema acquatico notevolmente compromesso. Di qui l’urgenza di provvedere al disinquinamento dei corpi idrici.
Per quanto riguardava l’agricoltura, si trattava di mantenere nell’area “a1” (zona della bonifica recente, costeggiante essenzialmente il canale Maestro) terreni incolti (prediletti dalle specie ornitiche) o a seminativi vari a prati, mentre nell’area “a2” (confinante con il cratere palustre e coltivata a mais o cereali, a carattere aziendale e intensivo, in quanto zona della bonifica remota), s’imponeva la necessità di superare l’attività maidicola, privilegiando forme di coltivazione diversificate e a carattere rotatorio, compatibili con le caratteristiche ambientali del bacino fucecchiese, oltre a sperimentare colture di tipo biologico. Per assicurare un reddito adeguato agli agricoltori (tenendo conto delle eventuali diminuzioni di reddito con il venir meno della coltivazione del mais), sarebbero state attivate procedure per accedere agli incentivi economici previsti dal Regolamento CEE n. 797/1985, potendo classif icare il Padule come area sensibile sotto il profilo della protezione dell’ambiente e delle risorse naturali. Nelle zone “a1” e “a2” si prevedeva di mantenere l’attuale trama di ripartizione dei campi, conservando quindi siepi e alberature poste a divisione dei terreni. Erano vietate costruzioni o insediamenti di qualsiasi tipo nelle aree del cratere e in quelle con esso confinanti , mentre là dove esistevano manufatti relativi ad aziende agricole non era permesso un’alterazione dell’equilibrio tra insediamento e ambiente campestre. Oltre a rendere più compatibile l’agricoltura, la Provincia di Firenze prevedeva il recupero e la valorizzazione della lavorazione artigianale di manufatti realizzati con l’impiego delle erbe palustre, quali cesti, scope, graticci4.
Il Turismo ecocompatibile: l’attività economica da privilegiare. Le indicazioni degli amministratori fiorentini evidenziavano una vocazione prevalentemente turistica, a carattere scientifico-didattico, dell’area presa in esame, in sintonia con la posizione della Provincia di Pistoia: nel 1990, nel
4 Cfr. Provincia di Firenze, Una proposta per il “padule di Fucecchio” , Prescrizioni, vincoli e direttive per la tutela e la valorizzazione dell’area protetta n. 119 – Padule di Fucecchio, cit., pp. 7; 9-11; 13-14.
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dibattito sulla disciplina dell’area protetta 119 (Padule di Fucecchio), l’assessore Alfio Fedi aveva già sottolineato l’importanza di valorizzare le potenzialità turistiche di questa area, che presentava «buone prospettive di sviluppo economico per la Valdinievole»5. Secondo la Provincia di Firenze, per agevolare tale attività, risultava necessaria l’istituzione di due centri di visita con funzioni didattiche, di smistamento e di informazione: uno, di carattere storico-culturale, a Ponte a Cappiano, sulla vita umana e naturale del Padule, considerato il notevole valore storico del Ponte mediceo legato alle vicende idrauliche della Valdinievole, oltre alla sua posizione, per chi proveniva da Fucecchio, che consentiva di entrare gradualmente nella zona umida mediante camminamenti alberati da realizzare lungo il canale Maestro; l’altro centro visite, di carattere scientifico-naturalistico, con il compito anche di monitorare lo stato dell’ambiente, nonché di catalogare e documentare le specie faunistiche e floristico-vegetazionali. Per favorire la fruizione turistica e culturale dell’area palustre occorrevano apposite strutture quali sentieri segnati; punti di osservazione, in particolare per l’avifauna; passerelle, realizzate con materiale ecocompatibile, allo scopo di raggiungere i luoghi più suggestivi e caratteristici, oltre a sentieri esclusivamente pedonali o ciclabili. Da prevedere percorsi guidati verso le aree più significative e meglio conservate, anche attraverso i corsi d’acqua, partendo dai porti esistenti, con l’utilizzo dei barchini, da recuperare e ripristinare6. La fruizione turistica non avrebbe dovuto implicare interventi di tipo infrastrutturale , nell’ambito dell’area umida, tali da «alterare gli elementi ed i segni visivi legati alla percezione dell’ambiente»7, così come non avrebbe dovuto “coinvolgere” le aree individuate ai fini della conservazione integrale «per ragioni scientifiche, tecniche e di educazione naturalistica»8.
Alcune proposte di itinerari nel Padule di Fucecchio. Proprio negli anni in cui la Provincia di Firenze stava elaborando la sua proposta, ai fini della redazione del Progetto speciale da parte della Regione Toscana, due autrici, Marina Aurora e Mila Lavorini, avevano pubblicato, nell’ambito di una ricerca legata al territorio, alcune indicazioni per valorizzare le potenzialità turistiche del Padule di Fucecchio e del Laghetto di Sibolla9. Esse sottolineavano come la crescita socio-culturale avesse determinato una generale riscoperta del «piacere di vivere la vacanza, o anche la semplice escursione […], in luoghi quantomeno scevri dalle deprimenti condizioni ambientali che quotidianamente ci circondano. In virtù di questi nuovi bisogni, località ed aree fino a poco tempo fa sconosciute, o comunque non ritenute degne di essere frequentate […], si prestano a soddisfare queste nuove
5 Cfr. Provincia di Pistoia, Deliberazione del consiglio provinciale n. 154 del 21 marzo 1990.
Intervento dell’assessore Fedi.
6 Provincia di Firenze, Una proposta per il “padule di Fucecchio” , Prescrizioni, vincoli e direttive per la tutela e la valorizzazione dell’area protetta n. 119 – Padule di Fucecchio, cit., pp. 12-14.
7Ibid., p. 13. 8Ibid.
9 Cfr. Aurora Marina, Mila Lavorini, Il Padule di Fucecchio ed il Laghetto di Sibolla, Omnia Editrice,
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esigenze»,10 come il Padule di Fucecchio e il Laghetto di Sibolla. Pur trattandosi di luoghi umidi, paesaggi con cui si aveva , in generale, minore confidenza e di cui si disponeva di conoscenze più scarse rispetto ad altri scenari più diffusi e frequentati come le montagne, le coste, le colline, agli inizi degli anni Novanta si stava verificando un’inversione di tendenza, sia da parte degli esperti che da parte dei turisti, in virtù della rivalutazione di tali zone palustri, i cui valori ambientali stavano diventando «patrimonio della coscienza collettiva»11. Tuttavia, spesso, l’evoluzione culturale e la direzione dei flussi turistici non erano in sintonia con le reali possibilità di fruire interamente dei paesaggi palustri, considerato che le potenzialità di molte aree erano cancellate dalle numerose difficoltà economiche, politiche e sociali determinatesi nel tempo, cui si aggiungevano i problemi di inquinamento, di urbanizzazione incontrollata, di abbandono o pessima conduzione delle zone agricole. Era questo il caso del Padule di Fucecchio, il cui «patrimonio storico, sociale, ambientale, paesaggistico e culturale»12 implicava l’urgenza di un recupero, anche a fini turistici, basato sul rispetto degli ecosistemi presenti. Proprio dal punto di vista del turismo, l’area umida della Valdinievole, seppur inquinata e danneggiata «dall’irrispettoso intervento dell’uomo»13, offriva ancora una molteplicità «di sfondi suggestivi e rari […], una grande varietà di panorami»14, oltre ad habitat peculiari, diversi dal paesaggio agrario limitrofo (area della bonifica storica). Gli specchi d’acqua, i filari di pioppi, l’alternarsi di canali e zone alberate, di canneti e sentieri facevano da cornice preziosa alla presenza di specie faunistiche e vegetali rare e di notevole interesse scientifico. Nel contesto intorno all’area umida vi sarebbe stata la possibilità di avviare attività agrituristiche, «in linea con la legge quadro emanata in tal senso nel 1985, volta tra l’altro […] a sviluppare il turismo sociale e giovanile […], ad utilizzare meglio il patrimonio rurale, naturale ed edilizio […], a favorire lo sviluppo ed il riequilibrio del territorio agricolo […] e i rapporti tra città e campagna»15. Sostenendo e promuovendo tali forme di turismo sarebbe stato possibile ampliare la fetta dei potenziali fruitori, inserendovi anche vi site guidate di gruppi studenteschi, che, dopo aver conosciuto ed apprezzato questi luoghi, avrebbero potuto maturare rispetto e volontà di proteggerli, una volta divenuti adulti. In tale ottica il turismo si sarebbe legato ad un vero e proprio programma educativo, rivolto a diffondere nella società un tipo di cultura ecologica, necessaria per tentare di invertire, in futuro, la spirare di deterioramento in cui si trovava ancora in quel periodo il Padule di Fucecchio. Marina Aurora e Mila Lavorini proponevano, in particolare, due itinerari turistici: uno di carattere storico-culturale, incentrato soprattutto sulle più significative emergenze architettoniche che costituiscono la cornice della zona umida; l’altro imperniato sugli aspetti naturalistici. Il primo aveva come punto di partenza Borgo a Buggiano e Ponte Buggianese, posti nella parte 10 Ibid., pp. 36-37. 11 Ibid., pp. 37-38. 12 Ibid., p. 38. 13 Ibid., p. 39. 14 Ibid., p. 39. 15 Ibid., pp. 39-40.
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occidentale dell’area palustre. Dalla seicentesca villa di Bellavista16, esempio di barocco toscano, una delle sette fattorie medicee, organizzate sul finire del Cinquecento dalla dinastia granducale fiorentina, si giungeva, in meno di dieci minuti, a Ponte Buggianese, situato in posizione pianeggiante, in un territorio molto fertile, in parte adattato a colture intensive di fiori ed ortaggi. Centro sviluppatosi grazie alle bonifiche della zona palustre , avvenute nel corso dell’età moderna e caratterizzato, negli ultimi decenni, da un notevole sviluppo edilizio. Nella piazza centrale di questo comune della Valdinievole si trova il Santuario della Madonna del Buon Consiglio17, uno degli edifici religiosi più famosi del territorio grazie ad un ciclo di affreschi, realizzato dal Maestro Pietro Annigoni (Milano 1910 – Firenze 1988)18, sulle pareti della chiesa seicentesca, raffiguranti scene della Passione di Cristo, oltre ad altri suoi “segni” visibili all’interno dell’edificio sacro19, cui si sono aggiunte opere dei suoi migliori allievi. Proseguendo verso le località Anchione e Capannone (quest’ultimo un antico porto dove si trovano il casotto di Lillo e la cinquecentesca dogana di frontiera tra i domini di Firenze e Lucca di notevole valore storico ed architettonico, nonostante il degrad o in cui versava in quel periodo), si entrava nel cuore del Padule: il cratere palustre, che si estende su una superficie di venti chilometri quadrati. Costeggiando l’argine strada del canale del Capannone, che attraversa il cratere, si arrivava al ponte di Salanova, dove, nelle vicinanze, si trovavano i noti barchini «di legno scuro, caratteristico simbolo di un passato recente, eppure quasi dimenticato, ormeggiati ai bordi del canale»20, i quali richiamavano alla memoria le «immagini dei cacciatori alla ricerca di risorse che un tempo in questa zona abbondavano»21. Il percorso turistico proseguiva in direzione di Massarella, frazione di Fucecchio, l’antica Massa Piscatoria, della cui pieve si hanno notizie sin da poco prima dell’anno Mille22. Si tratta di un borgo, la cui storia è stata legata indissolubilmente all’area palustre: si pensi che, fino a pochi decenni fa, la popolazione era impegnata nella lavorazione del falasco, «tipico prodotto spontaneo del Padule, molto diffuso nelle comunità agricole di un tempo
16 Per alcune informazioni su tale villa medicea cfr. Patrizia Vezzosi, I Medici e il Lago di Fucecchio,
cit., pp. 28-29. Dal 1938 appartiene al Ministero dell’Interno e attualmente è usata per il soggiorno termale dei Vigili del Fuoco, dopo essere stata adeguatamente restaurata.
17 Sul Santuario cfr. Barbara Gianassi, Luigi Pruneti, Valdinievole. Storia, Arte, Architettura, cit., pp.
240-241.
18 Pietro Annigoni è presente nell’elenco dei più importanti artisti di tutti i tempi e di tutte le civiltà,
dall’epoca greco-romana al panorama internazionale contemporaneo. Pittore di fama europea, è noto, in particolare, per il famoso ritratto della Regina Elisabetta II d’Inghilterra del 1949. Cfr.
Enciclopedia dell’Arte Garzanti, coordinamento Eugenia Dossi, consulenza scientifica e revisione generale Pierluigi De Vecchi, Antonello Negri, Edizione Mondolibri S.p.A. (su licenza Garzanti Libri S.p.A.), Milano, 2005, p. 32.
19 Gli affreschi di Annigoni, con soggetti biblici ed in particolare evangelici, sono stati eseguiti tra il
1967 e il 1979. Cfr. Barbara Gianassi, Luigi Pruneti, Valdinievole. Storia, Arte, Architettura, cit., p. 240.
20 Aurora Marina, Mila Lavorini, Il Padule di Fucecchio ed il Laghetto di Sibolla, cit., p. 44. 21 Ibid.
22 A tal proposito cfr. AA.VV., I mille anni di Massarella 998-1998, Edizioni dell’Erba-Nuova
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poiché veniva usato per le pareti delle capanne, delle cascine, delle stalle e dei tetti»23. Con le canne di falasco si producevano «i cannicci su cui conservare l’uva e la frutta o per posare i filugelli per i bozzoli da seta, una risorsa non trascurabile per le famiglie contadine di un tempo »24, che utilizzavano altre erbe autoctone per sopravvivere: i giunchi, ad esempio, si usavano per intrecciare canestri e stuoie, per legare i tralci delle viti, o per rivestire, una volta essiccati, «i fiaschi ed impagliare le damigiane e le sedie»25. Dalla collina del borgo di Massarella si intravedeva la distesa palustre con panorami unici, mentre, scendendo in direzione di Stabbia, si giunge al porto di Cavallaia, dove i due collettori (canali del Terzo e del Capannone) si uniscono, dando origine al nuovo canale di bonifica, seguito dall’Usciana. Proseguendo lungo la strada, posta ai margini del cratere, si incontrava la statale 436, al cui incrocio si percorreva il tratto viario in direzione di Fucecchio, centro ricco di significative testimonianze di epoca medioevale e moderna: ultima tappa dell’itinerario storico culturale, che comprendeva anche la visita al Ponte mediceo di Cappiano, quale confine geografico e storico del Padule.
L’altro percorso, a carattere naturalistico, s’incuneava essenzialmente nell’area umida tra Castelmartini, Porto delle Morette e la Paduletta di Ramone, sul versante orientale dell’invaso palustre. Tra le Morette e gli argini del canale del Terzo era possibile ammirare peculiari scorci del cratere, oltre alla possibilità di incontrare i vari punti di osservazione delle specie ornitiche tipiche dei luoghi umidi, gestiti dall’associazione Lipu. Venivan o utilizzati, a tale scopo, i cosiddetti “casotti”, «costruzioni semplici e modeste»26, un tempo usate per attività legate allo sfruttamento delle risorse locali, ubicate in un contesto ambientale di notevole valore, tra pioppi, argini, sentieri , vegetazione palustre, case coloniche abbandonate. Vicino alle Morette si trova la Paduletta di Ramone, da percorrere a piedi, alla scoperta dei boschi umidi che la circondano: «masse arboree [con] cospicua presenza di latifoglie e conifere»27. Tali itinerari, elaborati dalle due autrici Aurora e Lavorini, hanno trovato riscontro sicuramente nei percorsi didattici e nelle escursioni organizzati, a partire dal 1993, dal Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio, rivolti sia alle scolaresche che agli adulti. Gli itinerari proposti periodicamente dagli esperti del Centro, infatti, comprendevano sia gli aspetti naturalistici che storici. Dal 1993 al 1998 hanno partecipato quasi quattrocentocinquanta classi, per un totale di cir ca trentamila presenze complessive28.
23 Aurora Marina, Mila Lavorini, Il Padule di Fucecchio ed il Laghetto di Sibolla, cit., p. 45. 24 Ibid.
25 Ibid.
26 Ibid., p. 45. 27 Ibid.
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6.1.2 Studi sulla biodiversità del Padule alla fine degli anni Novanta.
Il valore economico della biodiversità. In questo paragrafo s’intende illustrare le conseguenze positive, per le comunità residenti intorno alla vasta area del Padule di Fucecchio, derivanti da un ampliamento e da una gestione oculata delle riserve naturali istituite dalla Province di Pistoia e di Firenze. Il punto di partenza è rappresentato dalle prospettive per uno sviluppo sostenibile dell’area palustre formulate dal professore Reginaldo Cianferoni e dal dottor Riccardo Simoncini, nel 1998, su richiesta dell’assessorato alla pianificazione territoriale della Provincia di Firenze, allo scopo di offrire un contributo alle politiche di tutela e di valorizzazione del Padule, previste dal Piano territoriale di coordinamento provinciale29. Dalle loro ricerche emergeva chiaramente la necessità di salvaguardare, attraverso specifici provvedimenti, lo straordinario patrimonio di biodiversità30 che caratterizzava il Padule di Fucecchio31, a cui faceva riscontro un valore economico da non trascurare: la presenza di una simile “ricchezza”, infatti, avrebbe potuto produrre notevoli benefici economici se fosse stato portato avanti un progetto di sviluppo sostenibile inerente le risorse naturali presenti sul territorio. Il compito, però, non risultava semplice a causa della difficoltà che si incontrava nel cercare di attribuire un valore economico a determinate funzioni ambienta li, che meno di altre si prestavano ad una valutazione di questo tipo. Non era possibile quantificare oggettivamente il valore di esistenza di certe piante o animali o il valore derivante dal piacere di lasciare come patrimonio alle future generazioni un ambiente ancora intatto. Tuttavia, l’importanza attribuita a livello internazionale alle aree palustri, negli ultimi trent’anni, forniva alcuni elementi utili per formulare una valutazione economica. In seguito alla convenzione di Ramsar, infatti, l’Italia ha dimostrato ufficialmente interesse per le zone umide sottoscrivendo la convenzione presso la sede dell’UNESCO il 21 Dicembre 1975, e qualche anno più tardi, organizzando a Cagliari la prima Conferenza delle parti (24-29 Novembre 1980). Successivamente, con la legge Galasso del
29 Cfr. Reginaldo Cianferoni, Riccardo Simoncini, Prospettive per uno sviluppo sostenibile dell’area del Padule di Fucecchio, cit.
30 Il concetto di biodiversità si riferisce alla varietà di tutte le specie di piante, animali,
micro-organismi ed ecosistemi esistenti e ai processi ecologici di cui questi sono parte: sono comprese in questa definizione la diversità genetica, la diversità della specie, la diversità degli ecosistemi. Cfr.
Un’economia verde per il pianeta, a c. di David Pearce, Società Editrice Il Mulino, Bologna, 1993, p. 38.
31 Fra i numerosissimi tipi di ecosistemi le zone umide presentano un valore di produttività
biologica primaria annua tra i più alti in assoluto, senza considerare che tali biotopi permettono la sopravvivenza di numerosissime specie animali e vegetali, molto spesso in pericolo di estinzione, costituendo quindi una spettacolare concentrazione di vita. Purtroppo, però, una stima precisa del numero delle specie esistenti non è possibile a causa dell’inquietante perdita di biodiversità determinata dalla distruzione degli habitat palustri: secondo una comunicazione della CEE del 29 Maggio 1995 i due terzi di tutte le zone umide europee esistenti all’inizio del secolo sono ad oggi scomparse (l’Italia è “perfettamente” in linea con questi dati), a causa di molti fattori tra cui le bonifiche, le utilizzazioni e le opere idrauliche, l’agricoltura intensiva, l’uso industriale, l’inquinamento, etc.
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1985, la legge 183/89 sulla difesa del suolo, la n. 130 del 1992 sulla qualità delle acque dolci e la 394/91, legge quadro sulle aree protette, l’importanza delle aree umide è cresciuta a tal punto da arrivare ad essere un dato di fatto. Proprio in questa ottica assumevano rilevanza particolare i requisiti minimi per l’inclusione delle zone umide nella lista di Ramsar che avrebbero consentito la possibilità di ottenere i finanziamenti messi a disposizione dall’UE per il mantenimento di questi ambienti “naturali”. «L’inclusione nell’elenco delle zone umide d’importanza internazionale della convenzione di Ramsar, (art. 2.1 della Convenzione) avviene su iniziativa degli Stati contraenti e non è sottoposta all’ulteriore verifica di organi della Convenzione»32. «In tal caso, considerando l’erogazione di tali finanziamenti come misura della domanda aggregata dell’Unione Europea per la conservazione delle zone umide (nel cas o per esempio di finanziamenti UE), è possibile associare un valore monetario alla conservazione della biodiversità»33. Per il Padule di Fucecchio e il Lago di Sibolla, la Provincia di Pistoia aveva già presentato nel 1998 un progetto LIFE, della durata di trenta mesi, per un totale di un miliardo e seicento undici milioni di vecchie lire (purtroppo non è stato approvato dagli organi competenti dell’Unione Europea, ma ciò, come spiegavano gli esperti, non precludeva la possibilità di compiere nuovi tentativi in futuro). Il progetto, per la cui predisposizione la suddetta Provincia si era avvalsa del contributo tecnico-scientifico del Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio e del Consorzio di Bonifica, era finalizzato al ripristi no della naturalità dei luoghi, della diversità sia delle specie che degli ambienti, nonché alla creazione di particolari opportunità volte ad accrescere la conoscenza dei valori naturalistici. L’obiettivo principale era dunque quello di contrastare la perdita della biodiversità della zona umida, provocata da numerosi fattori come l’eccessivo inquinamento delle acque, la carenza idrica, l’agricoltura intensiva, l’attività venatoria, l’incuria della vegetazione e l’inquinamento da piombo: tali cause, compromettendo il valore naturalistico dell’area, rappresentavano dei costi, rispetto ai benefici derivanti dalla conservazione delle risorse naturali del Padule di Fucecchio, fra i quali rientrava anche «la probabile erogazione di finanziamenti da parte dell’Uni one Europea tramite il programma LIFE»34. Una minaccia particolarmente seria alla biodiversità del Padule di Fucecchio era costituita dalla caccia, attività da sempre praticata in questa zona, ma non sottoposta ad opportuni controlli da parte degli enti pubblici preposti alla vigilanza. Secondo il W wf-Toscana, la pressione e il prelievo venatorio risultavano difficilmente quantificabili, ma, in via approssimativa, si prendeva in considerazione la stima fornita dagli Amici della Terra nel 1994: nell’area vi erano circa centosessantacinque appostamenti fissi (le classiche botti) frequentati mediamente da tre o quattro cacciatori ciascuno. Vi erano poi oltre mille cacciatori di gronda, cioè che si muovevano a piedi o con i barchini. Prendendo quei dati come plausibili e dividendo «i circa 2200ha dell’area […] (Lago di Sibolla e Padule di Fucecchio)
32 Riccardo Simoncini, La biodiversità e la conservazione delle risorse del Padule di Fucecchio, in Prospettive per uno sviluppo sostenibile dell’area del Padule di Fucecchio, cit., p. 17.
33 Ibid., p. 20. 34 Ibid., p. 27.
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per il numero di 1660 cacciatori»35, si otteneva «una densità venatoria di 1 cacciatore ogni 1,325 ettari»36. Gli autori dello studio evidenziavano che l’impatto diretto e immediato di un’attività venatoria condotta ben oltre i limiti risultava quanto mai negativa per la fauna, senza considerare le notevoli ripercussioni indirette sull’ambiente: un primo grave danno consiste va nella sua manomissione nel tentativo di ricreare artificialmente le condizioni adatte alla diffusione degli anatidi, obiettivo principale dei cacciatori. Così fin dal mese di giugno molti chiari venivano svuotati e la vegetazione palustre falciata o incendiata. Questo comportava, oltre tutto, l’ingresso nel Padule di trattori, macchine agricole e pompe idrauliche che sconvolgevano gli equilibri naturali dell’area palustre. Di non minore importanza, fino agli anni Novanta, era il fenomeno del “saturnismo”, ovvero l’avvelenamento da piombo dovuto all’ingestione dei pallini da parte degli uccelli acquatici. Appariva quindi impossibile valutare precisamente, dal punto di vista economico, l’attività venatoria, che si svolgeva in condizioni non determinabili per i motivi sopra esposti; comunque, volendo monetizzare, in via del tutto approssimativa, i costi imputabili alla caccia, il primo elemento da considerare era quello della perdita di biodiversità che tale attività causava all’habitat palustre. Il valore economico della conservazione delle risorse naturali del Padule p oteva essere identificato, in linea generale, con gli investimenti realmente erogati a tal fine. All’epoca della redazione di questo studio, l’unico investimento destinato al ripristino del “capitale naturale” della riserva istituita dalla Provincia di Pistoia era quello finanziato dalla Regione Toscana con il Piano triennale 1994 -96 per la tutela delle Aree protette37.
Tuttavia, i costi causati dalla caccia non si limita vano soltanto a quelli sopramenzionati, ma erano «rappresentati anche dalle limitazioni imposte da questo tipo di utilizzazione del Padule di Fucecchio rispetto ad altre attività esistenti, come per esempio le attività del Centro di Ricerca e Documentazione del Padule di Fucecchio, o che potrebbero essere poste in essere , come per
35 Ibid., p. 31. 36 Ibid.
37 L’importo complessivo di 461.600.000 Lire (153.666.000 Lire all’ anno), riguardante quasi
esclusivamente la rinaturalizzazione delle aree da destinare a riserva, può essere inteso come un “investimento in conto capitale”. Per la gestione ordinaria annuale la Regione aveva stanziato con delibere consiliari n. 146/96 e n. 357/96 rispettivamente ulteriori 173.152.250 Lire e 91.653.050 Lire per un totale di 264.805.300 Lire, cifra utilizzata dalla Provincia di Pistoia per la gestione 1998. Dalla somma dei diversi tipi di investimento sopramenzionati si può dunque stabilire approssimativamente il valore medio annuo della conservazione della biodiversità del Padule stimato dalla Regione: 418.471.000 Lire, per cui l’investimento medio per ettaro è di 1.743.630 Lire. Negli anni successivi la Regione e la Provincia di Pistoia hanno stanziato fondi più consistenti a favore dell’area umida fucecchiese, incrementando così il valore monetario attribuito alla conservazione delle risorse naturali: per la gestione straordinaria (essenzialmente ricupero ambientale) la Regione ha erogato dal 1999 al 2002, in virtù del progetto “Lungo le rotte migratorie” presentato dalla Provincia di Pistoia, 1.741.987.332 Lire, mentre per la gestione ordinaria (manutenzione delle aree protette) la suddetta Provincia ha destinato circa 200.000.000 di Lire nel 1999, 180.000.000 di Lire nel 2000, 160.000.000 di Lire nel 2001 ed altrettanti sia nel 2002 che nel 2003.
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esempio forme di eco-turismo, al momento [fine anni Novanta] da ritenersi pressoché inesistenti»38.
Le attività del Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio. Per quanto riguarda le attività di educazione ambientale del Centro, il Direttore riteneva che: «riuscendo a lavorare tutto l’anno (escluso i mesi estivi, troppo caldi per il padule), si potrebbe avere, se non un raddoppio, almeno un incremento del 50% rispetto ai livelli di fruizione attuale. […] La quantificazione monetaria delle mancate entrate derivanti dalle attività del Centro (laboratorio educazione ambientale e visi te guidate, corsi di aggiornamento e di educazione permanente e Convegni) per un 50% di quella attualmente esplicitata, porta ad individuare, dai dati del Bilancio preventivo del Centro di Ricerca e Documentazione del Padule di Fucecchio per il 1997, un costo […] imputabile alla caccia di circa 62.784.750 Lire»39. Già da questi dati sommari risultava evidente l’elevata incidenza dei costi dell’attività venatoria sull’area palustre. Le suddette attività didattiche del Centro di Ricerca e Documentazione, incentrate non solo sul territorio del padule, ma anche su quello del Lago di Sibolla, del Montalbano e delle colline delle Cerbaie, rappresentavano indubbiamente un importante tentativo volto ad ottenere una maggiore sensibilizzazione verso un ambiente così di rilievo e ciò nonostante tanto avversato. Ad esse partecipava generalmente un pubblico di persone in giovane età che con questo tipo di esperienza diretta, sul campo o in laboratorio, risultavano maggiormente coinvolte a livello emotivo. Gli itinerari si dividevano in storici e naturalistici e si articolavano in tre incontri di due ore ciascuno sul territorio nonché negli spazi interni attrezzati, e un quarto incontro in classe; erano previsti anche itinerari di approfondimento. Per quanto riguarda l’occupazione che l’educazione ambientale generava, il Centro si avvaleva di undici operatori che svolgevano «attività didattica, sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa o di prestazione professionale, prevalentemente nel periodo primaverile»40.
Ovviamente il riconoscimento del valore naturalistico del Padule di Fucecchio accendeva e stimolava l’interesse della ricerca scientifica. A livello locale erano stati intrapresi molti studi e progetti soprattutto legati all’approfondimento del fenomeno della biodiversità e dei sistemi di conservazione; tra di essi Simoncini registrava anche la richiesta di finanziamenti che era stata presentata all’Amministrazione provinciale di Pistoia da parte del Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio, in collaborazione con l’ARPAT, per dare inizio ad un progetto di bio-monitoraggio della qualità ambientale del cratere palustre. «Il biomonitoraggio offre, rispetto alle tecniche tradizionali, diversi vantaggi, fra cui la possibilità di individuare zone soggette a rischio ambientale anche in presenza di basse concentrazioni di sostanze dannose; la valutazione diretta e immediata del danno biologico prodotto e il trasferimento delle sostanze inquinanti all’interno delle catene alimentari; un’ampia copertura delle zone di
38 Ibid., p. 42. 39 Ibid.
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studio con costi relativamente bassi»41. Il progetto di biomonitoraggio non era il solo che il Centro intendeva porre in essere: era stata prospettata anche la possibilità di realizzare dei censimenti per le presenze floro -faunistiche, nonché un progetto finanziato dalla Provincia di Firenze per l’indagine ornitologica. Ovviamente da questo genere di studi si sarebbe potuto trarre anche vantaggi di natura economica grazie al bisogno inevitabile , da parte degli enti che li sponsorizzavano, di assumere personale specializzato e altamente qualificato.
6.1.3 Proposte per lo sviluppo sostenibile dell’area palustre: turismo naturalistico, riduzione della caccia, agricoltura ecocompatibile.
Vantaggi derivanti dal turismo naturalistico. Per fornire esempi concreti a sostegno dell’importanza della valorizzazione di queste aree dal punto di vista economico, Riccardo Simoncini analizza va i benefici derivanti dall’ecoturismo o turismo naturalistico, ovvero quello praticato da quanti desideravano visitare aree naturali e godere del paesaggio, dei suoi animali e delle piante selvatiche che lo popolavano. Le organizzazioni internazionali, UNEP (United Nation Enviroment Programma) e la WTO (World Trade Organization) includevano, tra i vantaggi socio-economici dell’eco-turismo, la creazione di posti di lavoro ad esso inerenti, la stimolazione di attività locali redditizie come alberghi o servizi di vario genere, la diversificazione dell’economia rurale, l’incentivo ad una utilizzazione più produttiva dei territori, la creazione di infrastrutture ricreative nelle zone limitrofe e infine la sensibilizzazione sia locale che internazionale. In questo senso il Padule risultava in una ottima posizione grazie alla vicinanza con le città d’arte della Toscana, con il parco di Pinocchio a Collodi42 e con centri conosciuti a livello internazionale come Montecatini Terme e Vinci. Altro aspetto da non sottovalutare, a proposito di turismo, consisteva «nella possibilità di sfruttamento, nelle aree contigue al cratere palustre, dei vecchi casolari che in passato formavano il sistema di assetto agrario ereditato fin dalla metà del Sedicesimo secolo dalle sette Fattorie medicee. Questi casolari potrebbero rappresentare un’opportunità per lo sviluppo e la diversificazione dell’economia rurale locale»43. Sempre in relazione alle tracce storiche e culturali presenti nell’area del Padule, Simoncini considerava anche «il sistema di canali, di porti, gli edifici dell’archeologia industriale come gli essiccatoi del tabacco o la
41 Ibid., p. 46.
42 Sin dai primi anni Novanta le Istituzioni locali e provinciali si stavano impegnando per realizzare
il parco tematico a Collodi, con l’obiettivo di “conquistare” un milione di visitatori ogni anno (contro i duecentomila dell’epoca), cui offrire «pacchetti di offerte turistiche» comprendenti «il prodotto termale e le emergenze artistico-culturali di tutta questa area». Il riferimento era al territorio delle provincie di Lucca e Pistoia in cui Collodi era situato in posizione centrale. Cfr. Andrea Bonini, È l’obiettivo della Provincia di Pistoia per il paese di Pinocchio. Un milione di turisti, in Il Tirreno, cronaca di Pescia, 21 marzo 1992, p. VIII.
43 Riccardo Simoncini, La biodiversità e la conservazione delle risorse del Padule di Fucecchio, in Prospettive per uno sviluppo sostenibile dell’area del Padule di Fucecchio, cit., p. 50.
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fattoria del Capannone e il Ponte a Cappiano»44. Per lo sviluppo di una attività di tipo turistico era da valutare positivamente anche «l’ipotesi di pr omuovere forme di pesca sportiva compatibili con la conservazione dell’area, in termini di sostenibilità del disturbo antropico e dell’impatto ambientale risultante (mezzi e metodi di pesca sportiva sostenibile per esempio non prevedono sicuramente l’introduzione di specie esogene)»45. Particolarmente significativa, allo scopo di realizzare un polo d’interesse per gli eventuali turisti e visitatori della zo na umida che raccogliesse «tutto il materiale bibliografico, cartografico, fotografico e documentario che è stato prodotto nel tempo»46 e che consentisse «di studiare il paesaggio, i luoghi, gli edifici, i monumenti, gli oggetti di uso quotidiano, le testimonianze orali, visive e scritte, al fine di illustrare tutti gli aspetti del Padule, da quelli ambient ali a quelli sociali ed economici»47, era la proposta di costituire “Il Museo delle Comunità del Padule di Fucecchio e delle aree umide della Toscana Occidentale”. «Il “valore aggiunto” di una iniziativa del genere, se venisse accolta la proposta, sarebbe senza dubbio elevato, considerando soprattutto l’opera di sensibilizzazione nei riguardi del Padule che ne deriverebbe […]. Inoltre, […] oggetti di artigianato come quelli prodotti con le erbe palustri e raffiguranti anatre (i cosiddetti stampi una volta usati come richiamo per la caccia) potrebbero, per esempio, essere venduti ai turisti come oggetti di arredamento, permettendo così un’utilizzazione economica delle attività tradizionali »48. Di notevole interesse era anche l’edificio «dell’Opera Pia Landini Marchiani vicino a Ponte a Cappiano (Fucecchio) proposta come sede del Museo»49. Quest’ultimo avrebbe avuto anche la funzione di conservare la memoria del territorio, gli aspetti culturali connessi a questa realtà50.
In conclusione, una conservazione della biodiversità avrebbe avuto delle ripercussioni positive sull’economia. L’OCSE stessa aveva rilevato in più occasioni come i benefici derivanti dalla salvaguardia delle risorse naturali fossero destinati ad aumentare già nel breve periodo: infatti, nei pae si del mondo in cui il reddito individuale era medio-alto, la “domanda di aree protette”, al fine di una “esperienza naturalistica”, risultava in continua crescita. Da quanto esposto sopra emerge quindi con chiarezza «come l’eventuale istituzione della Riserva Naturale della Provincia di Firenze, di estensione pari a quella delle due Riserve naturali di Pistoia, faciliterebbe o addirittura renderebbe possibile lo svilupparsi di attività compatibili con la
44 Ibid., p. 51. 45 Ibid., p. 50. 46 Ibid., p. 51. 47 Ibid. 48 Ibid. 49 Ibid., p. 52.
50 La proposta di realizzare tale museo nell’edificio ubicato a Ponte a Cappiano non è stata
realizzata. Nel Comune di Fucecchio non esiste un museo incentrato sul Padule, mentre alla fine degli anni Novanta è stato realizzato il Museo della città e del Territorio a Monsummano Terme, con una particolare attenzione alla storia e alle tradizioni dell’area palustre e nel 2013 è stato aperto il Museo della memoria locale a Cerreto Guidi, basato proprio sul territorio del Padule, attraverso numerose testimonianze di chi ha vissuto in questo ambiente umido. Cfr. Conclusioni.
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conservazione della biodiversità»51. Per l’educazione ambientale era stato individuato «il valore di 62.785.000 Lire come indicativo dei benefici economici annuali che l’istituzione di una riserva naturale da parte della Provincia di Firenze»52 avrebbe comportato in aggiunta a quelli già esistenti. Per la ricerca scientifica e le attività ricreative, culturali e turistiche, pur non potendo quantificare con esattezza i benefici economici, si riteneva che il valore ipotizzabile fosse elevato. Da non dimenticare, infine, che l’istituzione di una riserva naturale nel territorio fiorentino di una estensione pari a quella pistoiese, secondo la teoria ecologica delle isole biogeografiche, sarebbe stata più efficace ai fini della conservazione della biodiversità, nel caso in cui non avesse presentato frammentazioni o discontinuità, come invece presentava [e presenta tuttora] la riserva della Provincia di Pistoia divisa in due aree separate per un totale di circa duecento ettari. Da questo punto di vista risultava opportuno che l’area protetta ricadente nella Provincia di Firenze fosse contigua a quella già esistente proprio per evitare la creazione di tante “piccole isolette naturali”. Come ha infatti rilevato il Dr. Zarri del Centro di Ricerca e Documentazione del Padule di Fucecchio, «l’istituzione di una riserva naturale che si estendesse per tutta la superficie del cratere sarebbe probabilmente più significativa da un punto di vista economico. In altre parole esisterebbe una relazione di stretta interdipendenza, […] in termini addirittura esponenziali, […] fra l’estensione della riserva naturale ed i benefici derivanti dalle attività di cui sopra. Ciò è facilmente intuibile se si pensa alla maggiore attrattiva scientifica, culturale, ricreativa e turistica, che l’istituzione di una ampia riserva naturale nella palude interna più grande d’Italia sarebbe in grado di promuovere, sia a livello nazionale che internazionale »53, con maggiori possibilità di ottenere finanziamenti, per esempio dall’Unione Europea: per usare un termine economico «si produrrebbero delle evidenti economie di scala»54.
Adeguata regolamentazione dell’attività venatoria. In questa ottica non poteva che apparire del tutto insostenibile l’attività venatoria così come veniva praticata negli anni Novanta (si pensi al fenomeno del bracconaggio del gennaio 1998 nella riserva naturale di Pistoia). Uno dei primi provvedimenti da assumere avrebbe dovuto essere la regolamentazione dell’esercizio venatorio. Si riteneva auspicabile, come primo passo, consentire la caccia soltanto alla popolazione residente nei comuni contigui all’area palustre allo scopo di ridurre il numero dei cacciatori, che avrebbero avuto a loro disposizione molta più selvaggina pro-capite di quella attuale. Altre restrizioni da imporre: l’utilizzo esclusivo di pallini d’acciaio per evitare l’inquinamento da piombo e l’uso delle cartucce di cartone in luogo di quelle di plastica. Se tuttavia, come era logico supporre, si fosse andati incontro a un forte malcontento, a tentativi di vario tipo per sfuggire l’ imposizione di limiti
51 Riccardo Simoncini, La biodiversità e la conservazione delle risorse del Padule di Fucecchio, in Prospettive per uno sviluppo sostenibile dell’area del Padule di Fucecchio, cit., p. 54.
52 Ibid.
53 Ibid., p. 56. 54 Ibid.
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per la caccia o addirittura a fenomeni di sabotaggio, l’autore dello studio proponeva alcuni modi d’intervento: la mancata concessione di permessi per appostamenti fissi, oppure il pagamento dell’affitto ai proprietari degli appostamenti fissi da utilizzare come osservatori per bird-watching, o l’affitto per un lungo periodo, o addirittura l’acquisto dei fondi che interessavano l’istituzione della riserva. Era comunque opportuno tenere presente che qualunque tipo di sviluppo del territorio presupponeva il coinvolgimento delle popolazioni, degli enti e delle associazioni locali fin dalla prima fase della sua programmazione.
Necessità di un’agricoltura ecocompatibile. In relazione alle attività agricole esistenti nel territorio del Padule e più in generale nella Valdinievole, l’attenzione degli enti pubblici era rivolta a individuare i cambiamenti necessari affinché essa diventasse compatibile con la tutela dell’area protetta in cui, per troppi anni, erano state riscontrate tracce di fertilizzanti chimici e di fitofarmaci. Ancora negli anni Novanta il comparto trainante era costituito dalla floricoltura e dal vivaismo, il cui centro principale era rappresentato da Pescia, seguito dai comuni di Chiesina Uzzanese, di Uzzano e di Ponte Buggianese. Si trattava di attività che necessitavano di manodopera specializzata e di cospicui investimenti per garantire delle remunerazioni più elevate rispetto a quelle derivanti dalle altre attività agricole. La floricoltura , specialmente se realizzata sotto serra, richiedeva «quantità relativamente grandi di concimi e fitofarmaci»55. Ciò andava a detrimento di coloro che lavoravano in serra, ma soprattutto dei canali e dei fossi, le cui acque inquinate confluivano nel Padule. Per trasformare tale attività in “floricoltura sostenibile” sarebbe stato necessario tenere le serre aperte per un più lungo periodo dell’anno ed evitare o comunque ridurre drasticamente l’uso di trattamenti antiparassitari. Sosteneva Simoncini: «Sappiamo che la coltivazione dei fiori all’aperto presenta vantaggi non indifferenti e che, il fattore limitante, più che dai danni da freddo è dato dallo sfasamento temporale fra la produzione regolata dalla stagione e la produzione forzata delle serre per raccordarle con la domanda. Qui più che dalle tecniche, un contributo potrebbe venire dal marketing e dalla pubblicità in genere, paragonando le produzioni floricole di campo alle produzioni “naturali” e quelle in serra alle produzioni “artificiali”»56. Per quanto riguardava il mais, la cui diffusione nell’ambito del bacino palustre era stata favorita essenzialmente dalla politica dei prezzi dell’UE, i riflessi che la sua coltivazione aveva sull’area umida erano più gravi di quelli provocati dalle attività florovivaistiche. Le notevoli quantità di diserbanti a base di atrazina di cui necessit ava avrebbe dovuto spingere gli organismi competenti a incentivare la sostituzione del granturco con il grano e gli altri cereali. Altri problemi, per i delicati equilibri dell’ecosistema palustre, erano causati dall’olivicoltura e dalla viticoltura. Nel comprensorio intorno al Padule, rispetto alla superficie agricola utilizzata,
55 Reginaldo Cianferoni, Per un ambiente e un’agricoltura sostenibile nel padule di Fucecchio e nei suoi bacini imbriferi, in Prospettive per uno sviluppo sostenibile dell’area del Padule di Fucecchio, cit., p. 78.
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occupavano «la prima il 18,9% e la seconda il 15,6%»57, ma vi erano alcuni comuni nei quali tali percentuali risultavano molto più elevate; l’intensità olivicola più alta era «detenuta da Monsummano Terme (con il 70,33%)»58; per la vite l’intensità più elevata si riscontrava «a pari merito nei comuni di Cerreto Guidi e di Montecarlo»59. Per piante come la vite e l’olivo la “lotta guidata” antiparassitaria e il moderato impiego dei concimi chimici non solo erano utili ad abbassare i livelli dell’inquinamento chimico, ma anche per ottenere prodotti migliori, cosiddetti biologici. Ciò rappresentava «un buon motivo per accordare agli operatori crediti agevolati e contributi più consistenti.»60.
Non risultava invece realizzabile la proposta «di ampliare l’allevamento bovino poiché al censimento del 1990 esso, anche nel comprensor io in esame, si era ridotto a poche aziende e nel contempo fortemente concentrato in macroallevamenti, con tutti i grossi inconvenienti e problemi di carattere ambientale»61, che ciò comportava.
Finanziamenti derivanti da un ampliamento dell’area protetta . Per concludere questo rapido sguardo rivolto alle prospettive di uno sviluppo sostenibile delle attività agricole del bacino palustre, è opportuno evidenziare che l’ampliamento della riserva naturale consentirebbe, con tutta probabilità, di ottenere finanziamenti nazionali ed internazionali non solo diretti alla conservazione della biodiversità all’interno dell’area protetta, ma anche all’agricoltura sostenibile e all’agriturismo, oltre che alla ricerca scientifica, all’educazione ambientale e alle altre attività compatibili con la tutela delle risorse naturali. Dunque i vantaggi per le aziende agricole e per i numerosi coltivatori diretti operanti nella Valdinievole potrebbero essere molto più consistenti se lo sviluppo del territorio in esame andasse nell a direzione auspicata di una “forte” tutela ambientale. Infatti, come ha ribadito l’assessore alla pianificazione territoriale della Provinci a di Firenze, Luciana Cappelli, durante il dibattito sull’approvazione del regolamento di gestione della riserva naturale del Padule di Fucecchio (parte fiorentina di venticinque ettari) e della relativa area contigua (novecento ettari), grazie all’ampliamento dell’area protetta e al suo inserimento in un sito di interesse comunitario, l’Unione Europea potrebbe destinare dei finanziamenti specifici a favore di una agricoltura sostenibile e biologica, proprio per proteggere il Padule dalle conseguenze dell’inquinamento derivante dalle attività agricole incompatibili. Di conseguenza, il graduale abbandono dell’agricoltura intensiva «invece che essere una preoccupazione per gli operatori agricoli di quella area, potrebbe rappresentare un volano per uno sviluppo diverso, ma importante della loro attività»62. 57 Ibid., p. 79. 58 Ibid. 59 Ibid. 60 Ibid.. 61 Ibid.
62 Provincia di Firenze, Verbale del Consiglio provinciale del 21 ottobre 2002. Punto 33 all’ordine
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6.2 REGOLAMENTI E PIANI PLURIENNALI DI SVILUPPO ECONOMICO E SOCIALE DELLE RISERVE NATURALI
6.2.1. I regolamenti approvati dalle Province di Pistoia e di Firenze
Considerazioni generali. I lavori di studio e di ricerca scientifica avviati negli ultimi anni in relazione alla zona umida fucecchiese, che hanno visto come protagonista principale il Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio, hanno sicuramente avuto una incidenza sui regolamenti e sugli strumenti di programmazione e promozione delle attività compatibili relativi all’area protetta presa in esame. In ambiti territoriali in cui insistono numerose attività antropiche, l’insieme organico delle regole che disciplinano l’utilizzazione delle risorse e la fruizione delle zone sottoposte a tutela rappresenta un primo passo per impostare una corretta gestione dell’area protetta. In tal senso, l’approvazione di un regolamento, ossia di uno strumento di sintesi che declini al caso concreto locale principi e norme di salvaguardia contenute nella legislazione nazionale e regionale di riferimento, nonché nelle altre normative, come ad esempio quella urbanistica che disciplina l’uso del territorio e delle risorse, risulta un atto di fondamentale importanza. Le fasi di adozione e approvazione di un regolamento rappresentano i momenti più delicati della nascita di un parco o di una riserva naturali: le limitazioni alle attività umane introdotte da questi strumenti risultano spesso osteggiati dalla popolazione locale o da talune categorie portatrici di interessi particolari. Di conseguenza, la concertazione con le rappresentanze del territorio su cui si interviene e l’attività di informazione tesa a chiarire ogni aspetto del testo regolamentare, in particolare i punti più importanti ai fini della tutela, nonché la ca pacità di sostenere le scelte adottate, sulla base di solide argomentazioni di tipo scientifico, rappresentano passaggi rilevanti ai fini del superamento di eventuali ostacoli e opposizioni da parte delle comunità o di determinati gruppi sociali o economici posti all’interno o nelle adiacenze delle aree protette63.
Indubbiamente i regolamenti delle zone sottoposte a tutela (in questo caso le riserve naturali del Padule) sono legati ai Piani pluriennali di sviluppo economico e sociale e anche agli strumenti urbanistici che disciplinano il territorio in cui è collocata l’area protetta64.
Per quanto riguarda i regolamenti delle riserve naturali istituite nella zona umida fucecchiese e delle rispettive aree contigue, si può affermare che, mentre quello approvato dalla Provincia di Pistoia, alla fine degli anni Novanta, è stato caratterizzato dalla sostanziale convergenza delle diverse forze politiche presenti in consiglio provinciale e d è stato accolto dai cittadini
63 Cfr. Alessio Bartolini, La Riserva Naturale del Padule di Fucecchio. Dieci anni di gestione (1996-2006), cit., pp. 33-34; Provincia di Pistoia, Piano di sviluppo economico e sociale della Provincia di Pistoia, cit., pp. 167-168.
64 Cfr. Paolo Cassola, Turismo sostenibile e aree naturali protette. Concetti, strumenti e azioni, cit.,
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dell’area interessata senza significative opposizioni65; il regolamento varato dalla Provincia di Firenze, nel 2004, dopo alcuni anni di gestazione, ha subito un iter amministrativo più complesso, contrassegnato da una consistente opposizione sia da parte di alcuni gruppi politici che di cittadini singo li e associati66.
Il regolamento della riserva naturale della Provincia di Pistoia. Il 25 gennaio 1999, dopo quasi tre anni dall’istituzione della riserva naturale del Padule di Fucecchio, il consiglio provinciale di Pistoia ha approvato in via definitiva il regolamento che disciplina l’esercizio delle attività consentite entro il territorio della riserva (art. 16 L.R. 49/95) e stabilisce misure di disciplina della caccia, della pesca, delle attività estrattive e per la tutela dell’ambiente relative alle aree contigue alla riserva (art. 25 L.R. 49/95). Tale regolamento, adottato dal consiglio con deliberazione n. 191 del 9 novembre 1997, successivamente integrato con le controdeduzioni67, a seguito delle osservazioni e proposte pervenute alla Provincia di Pistoia, è stato ulteriormente modificato, con deliberazione n. 7 del 25 gennaio 1999, al fine di recepire le prescrizioni dettate dalla giunta regionale della Toscana mediante il pronunciamento di sua competenza68. La versione definitiva, elaborata da un gruppo di lavoro interdisciplinare nominato dalla Provincia, è costituita da: Titolo I Disposizioni generali; Titolo II Norme di attuazione suddiviso in Capo I Disciplina delle riserve naturali e Capo II Direttive per la disciplina delle aree contigue; Titolo III Disposizioni finali.
Il primo Titolo comprende cinque articoli, di cui il primo relativo all’ ambito di applicazione, al contenuto e all’efficacia del regolamento69. In esso viene disciplinato l’esercizio delle attività consentite allo scopo di evitare quegli interventi che possano «compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati, con particolare riguardo alla flora autoctona e spontanea, alla fauna tipica e ai rispettivi habitat»70. L’articolo 2 riguarda le
65 I gruppi consiliari della Provincia di Pistoia votarono all’unanimità sia l’adozione del regolamento
che gli atti successivi. Cfr. Provincia di Pistoia, Deliberazione del consiglio provinciale n. 191 del 9 novembre 1997; Deliberazione del consiglio provinciale n. 139 del 19 ottobre 1998. Le osservazioni al regolamento da parte dei cittadini e delle associazioni furono poche e non misero in discussione l’impianto del regolamento, né la ragion d’essere della riserva o dell’area contigua.
66 Il dibattito sul percorso amministrativo del regolamento della Provincia di Firenze viene
analizzato in questo paragrafo.
67 Si tratta delle controdeduzioni formulate dagli uffici competenti della Provincia ed approvate dal
consiglio provinciale mediante Deliberazione n. 139 del 19 ottobre 1998.
68 Il pronunciamento della giunta regionale è stato approvato con Delibera n. 1547 del 14 dicembre 1998. Le prescrizioni ivi contenute hanno imposto alla Provincia di «limitare l’efficacia diretta delle norme del Regolamento all’interno della Riserva, intendendosi, quanto previsto per l’area contigua, come direttive a cui devono uniformarsi gli strumenti di piano ed i regolamenti vigenti» nonché di «limitare il regime del nulla osta, di competenza del soggetto gestore, entro i perimetri della riserva».
69 Il regolamento opera entro i confini dell’area individuata nella cartografia in scala 1: 10.000 di
cui alla delibera istitutiva della riserva naturale.
70 Provincia di Pistoia, Regolamento della Riserva Naturale “Padule di Fucecchio”, approvato con Deliberazione del ConsiglioProvinciale n. 7 del 25 Gennaio 1999.
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finalità perseguite dalle norme regolamentari, riferite all’ambito territoriale di cui all’art. 1. Esse sono riassumibili nella tutela e nella valorizzazione dell’ambiente e delle risorse naturali; nella «ricostituzione e nel mantenimento di un ambiente favorevole alla sosta ed alla permanenza della fauna selvatica ornitica, ittica e della fauna minore autoctona»71; nel recupero, nel mantenimento o addirittura nella ricostituzione delle associazioni v egetali tipiche dell’area palustre; nel miglioramento della qualità della produzione agricola; nella «promozione di nuove attività economiche e dell’occupazione locale e segnatamente di quelle del turismo eco-compatibile»72; nella realizzazione di programmi di studio e ricerca scientifica per conoscere in modo più approfondito e migliorare l’equilibrio degli ambienti naturali e degli ecosistemi; nell’incentivazione delle iniziative culturali, promozionali ed educative al fine di migliorare il rapporto uomo-natura. Gli articoli successivi riguardano l’emblema e la gestione delle riserva naturale, di competenza, quest’ultima, della Provincia di Pistoia (Ente Gestore), organo preposto anche all’organizzazione di studi, iniziative e interventi per la conservazion e e la valorizzazione delle risorse naturali. Inoltre, per il compimento delle attività previste dal regolamento e per la formulazione di proprie iniziative e di programmi d’intervento, la Provincia si avvale della consulta tecnico-scientifica per le aree protette provinciali e può stipulare apposite convenzioni con enti e soggetti pubblici e/o privati operanti sul territorio. Per la programmazione di tutte le attività e per gli interventi necessari alla conservazione e alla valorizzazione della riserva naturale, nonché per lo sviluppo economico, sociale e culturale «delle collettività residenti nelle aree contigue e in ambiti limitrofi»73, la Provincia adotta il Piano pluriennale economico e sociale della riserva naturale che dovrà essere «aggiornato ogni tre anni in collegamento con il Programma Triennale Regionale delle aree protette»74. Allo scopo di garantire la partecipazione dei Comuni interessati all’adozione e ai successivi aggiornamenti del Piano suddetto, la Provincia indice una conferenza, della quale possono far parte anche altri soggetti pubblici o privati designati da l presidente della Provincia, con il compito di redigere un documento di indirizzo riguardante: «l’analisi territoriale e ambientale della Riserva Naturale e delle aree contigue; l’individuazione delle finalità da perseguire prioritariamente; la valutazione degli effetti dell’istituzione della Riserva Naturale sulle collettività e sul territorio»75. Fra le attività di valorizzazione vi è anche «l’organizzazione di corsi di formazione al termine dei quali la Provincia rilascia il titolo ufficiale ed esclusivo di guida della riserva naturale. Infine, per lo svolgimento di attività di tutela ambientale, di ricerca, di documentazione, di promozione e di educazione ambientale e culturale»76, l’Ente Gestore potrà avvalersi della collaborazione del volontariato ambientale. L’articolo 5 specifica che la consulta tecnico-scientifica deve essere costituita con Decreto del presidente 71 Ibid. 72 Ibid. 73 Ibid. 74 Ibid. 75 Ibid. 76 Ibid.
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della Provincia entro novanta giorni dall’approvazione del present e regolamento e che tale organo di consulenza dell’Amministrazione provinciale deve essere chiamato ad esprimere pareri per i profili tecnico -scientifici, in particolare, in merito a eventuali proposte di modifica del perimetro della riserva e delle aree contigue; del regolamento di gestione; del Piano pluriennale economico e sociale; dei Piani di miglioramento agricolo-ambientale; nonché di tutti i piani e progetti previsti dalle norme regionali e statali riguardanti l’area protetta, inclusi gli strumenti urbanistici comunali e le relative varianti ai sensi della L.R. n. 5/95.
Il Titolo II, Norme di Attuazione, comprende dieci articoli, divi si in due Capi: Disciplina della riserva naturale (Capo I) e Direttive per la Disciplina dell’area contigua (Capo II). Il Capo I si apre con la definizione dell’ambito di applicazione, che coincide con le due aree costituenti la riserva naturale: “Le Morette”, di proprietà della Provincia e “La Monaca”, di proprietà privata [appartiene quasi interamente al Consorzio di Bonifica] . Nell’ambito geografico della riserva sono vietati «attività ed interventi di trasformazione del territorio e dell’ambiente naturale, compresi quelli che, senza modifiche dell’esteriore aspetto dei luoghi, possono avere incidenza negativa sugli ecosistemi della flora e della fauna»77. In particolare vengono previsti: il divieto di accesso pedonale, salvo «per motivi di studio, di ricerca scientifica e per lo svolgimento di attività culturali, promozionali, educative»78; il divieto d’accesso, di transito e di sosta di veicoli o barchini a motore; il divieto di sottrazione «di superficie agli habitat palustri sia tramite il prosciugamento artificiale degli stessi, sia attraverso l’estensione di pratiche colturali di qualunque tipo; l’introduzione e l’impiego di qualsiasi sostanza chimica o mezzo di distruzione o di alterazione dei cicli biologici e naturali; l’introduzione di armi, esplosivi o di qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura; l’esercizio dell’attività venatoria e della pesca; la cattura, l’uccisione, il disturbo delle specie animali salvo prelievi faunistici e ittici, con successivo rilascio, a scopo di cura, di studio e di ricerca scientifica, ed eventuali abbattimenti selettivi necessari per ricomporre equilibri ecologici; il taglio, la raccolta, il danneggiamento delle specie vegetali spontanee salvo il taglio selettivo della vegetazione infestante da attuarsi nel periodo comp reso tra il 10 agosto ed una settimana prima dell’apertura e preapertura della caccia; l’introduzione di specie vegetali o animali di qualsiasi tipo anche domestico o da pascolo; le trasformazioni morfologiche, l’apertura e l’esercizio di cave anche di pr estito, di miniere e di discariche di qualunque tipo, nonché l’asportazione di suolo e di minerali, compreso l’humus, salvo trasformazioni morfologiche necessarie per la ricostituzione dell’Habitat palustre; la modificazione del regime delle acque ed il loro prelievo salvo modifiche necessarie per la ricostituzione dell’habitat palustre, per l’esercizio dell’agricoltura biologica; l’accensione e l’uso di fuochi all’aperto»79; il sorvolo di qualsiasi tipo di velivolo o mezzo aereo, eccetto ovviamente quanto definito dalle leggi sulla disciplina del volo; le iscrizioni pubblicitarie o segnaletiche salvo quelle relative all’identificazione,
77 Ibid. 78 Ibid. 79 Ibid.