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Consumo di autenticità nel settore alimentare UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA FACOLTÀ DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MARKETING E RICERCHE DI MERCATO

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

FACOLTÀ DI ECONOMIA

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MARKETING E

RICERCHE DI MERCATO

Consumo di autenticità nel settore alimentare

Docente Tirocinante

Prof. Matteo Corciolani Giulia Brunetti

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Indice

1. Introduzione

2. Autenticità: concetto e cenni storici 2.1 Letteratura di riferimento 2.2 “Fake Product”

2.3 Generare autenticità

2.4 Autenticità del produttore ed autenticità del prodotto 2.5 L’arte dell’ “essere autentico”: Autenticità personale 2.6 L’autenticità nel settore alimentare

2.6.1 Gli OGM

2.6.2 L’autenticità ed il biologico 3. Metodo di Ricerca

3.1 Indagine, campionamento e questionario 3.2 Analisi dati

4. Risultati 5. Conclusioni

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Introduzione

Nel corso degli ultimi anni il concetto di autenticità ha assunto una rilevanza sempre maggiore.

Quest’importanza è cresciuta in contesti differenti che vanno dal turismo alla moda, dall’arte allo sport fino a raggiungere il settore che ci interessa, ovvero quello alimentare. Proprio per questa crescente rilevanza si è deciso di analizzare questo concetto e le percezioni a riguardo.

La definizione ad esso associata risulta differente se si considerano differenti autori. Nel contesto alimentare possiamo far riferimento, ad esempio, a quella data da Lewuis & Bridger (2000) per cui essa viene ricondotta alla qualità o genuinità di un prodotto. Nel nostro studio si cercherà di vedere cosa pensano i consumatori a riguardo e se tali concetti vengono ritenuti tra di essi collegati.

Più in generale, questo concetto viene ricollegato a tutto ciò che è “buono” (da più punti di vista, quali quello artistico, morale o politico) e contrapposto a tutto ciò che non viene considerato originale, bensì contraffatto, commercializzato e percepito negativamente dai consumatori. I consumatori ricercano quindi, secondo Grayson e Martinec (2004), delle esperienze “autentiche”. Molto spesso questa autenticità è difficile da valutare, e per questo motivo assume una rilevanza fondamentale, in questo contesto, la certificazione. Sulla base di questa, i consumatori possono avere dei parametri di riferimento (produttore, origine, livello qualitativo, etc. ) per una valutazione dell’autenticità.

Il primo capitolo della nostra analisi sarà incentrato su un excursus storico degli studi fatti in tale ambito. Verrà analizzata, in primo luogo, l’autenticità nella sua accezione più generale per poi addentrarsi nel contesto alimentare. In particolare si analizzeranno le ricerche, con annessi risultati, fatte da differenti studiosi. Tra questi i più importanti risultano essere, primo fra tutti, quello di Grayson e Martinec (2004) circa le cause iconiche ed indicali. Per meglio spiegare questi concetti è stato riportato anche un esempio della loro ricerca, svolta sui visitatori di due importanti musei ( il museo di Sherlock Holmes e la casa nativa di Shakespeare). Dallo studio è emerso come, sia le cause indicali che quelle iconiche abbiano una rilevante importanza nella percezione di autenticità dei consumatori. Essendo l’autenticità

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associata alla naturalezza, essi sostengono che potrebbe essere maggiormente legata a cause indicali piuttosto che iconiche. Il nostro obiettivo a riguardo è quello di confermare, o smentire, tale ipotesi da loro proposta.

È stato poi sottolineato come molti studiosi ritengano ci sia una connessione tra il concetto di autentico e di antico. Tra questi possiamo menzionare Arnould e Price (2000), Brown, Kozinets e Sherry (2003) dai quali verranno introdotti concetti quali quello della “patina”.

Analizzando il concetto di autenticità, vanno presi ovviamente in considerazione i cosiddetti “fake product”. Con questo termine vengono indicati tutti quei prodotti che mancano di autenticità e che sono spesso frutto di imitazione e contraffazione. Vann, in uno studio del 2008, introdusse a riguardo una distinzione tra “model goods” e “mimic goods” dove “model

goods” sono gli autentici, i prodotti originali contrassegnati da un marchio. Questi vengono

utilizzati come prototipo per la realizzazione dei “mimic goods”.

È inoltre importante sottolineare la relazione individuata da Jones (1989) secondo la quale la percezione di autenticità viene influenzata dalle competenze (distinguibili in naturali ed apprese) riconosciute al produttore. Quest’ultimo ha quindi un impatto notevole sulla conseguente percezione di autenticità del prodotto.

Come già affermato, il contesto sul quale ci siamo soffermati è quello alimentare. Da precedenti studi (vedi Camus 2003) è risultata una distinzione di differenti dimensioni (originalità, proiezione ed unicità) ed attributi (personalizzazione, origini, produttore, periodo, nazione, fattori umani o tecnici, prezzo e segni di certificazione) della stessa che verranno successivamente analizzate più nel dettaglio. Sono stati poi riportati gli studi precedentemente svolti circa il legame tra autenticità, qualità ( intesa come l’insieme delle proprietà e caratteristiche che permettono ad un prodotto di soddisfare le esigenze esplicite o implicite di un soggetto - UNI EN ISO 8402:1995), e genuinità; da questo confronto si è potuto notare come i nostri risultati si siano rivelati in linea con quelli ottenuti dalle precedenti ricerche.

Analizzando il concetto di autenticità nel contesto alimentare, ci siamo ritrovati ovviamente a stretto contatto con il contesto del biologico e a riguardo sono stati riportati gli studi di Ewing et al. (2012), che sono stati incentrati prevalentemente sulle differenze riscontrabili sia tra cause iconiche ed indicali che tra beni durevoli e non durevoli. Sono stati analizzati quelli che sono, principalmente, i motivi alla base della limitata diffusione di prodotti biologici, individuando tra questi, primo fra tutti la limitata diffusione di informazioni a riguardo.

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Circolando poche informazioni, si parla poco di questo contesto ed alcuni consumatori tendono ad essere ignoranti a riguardo. Solo quelli più interessati (perché particolarmente attenti allo stato di salute), o semplicemente più curiosi, tendono a cercare informazioni a riguardo o a provare tali prodotti, mentre gli altri (la maggioranza) essendo soddisfatti dall’acquisto e consumo di prodotti convenzionali, non nutrono un particolare interesse in merito.

Nel primo capitolo sono stati analizzati gli studi precedenti riguardo tale concetto, come ad esempio quello di Hughner et al. del 2007, incentrato sull’identificazione del consumatore tipo di questi prodotti, ed in base ai comportamenti tenuti dai vari soggetti, essi sono stati distinti in “taste lovers” e “nutrition seekers” dove i primi risultano porre maggiore attenzione, in fase di acquisito, a fattori quali ad esempio il gusto, mentre i secondi tengono in considerazione fattori più connessi al loro stato di salute.

I risultati ottenuti da questi studi sono stati poi confrontati con quelli rilevati dal nostro, che ci ha permesso di confermare, in parte, la tesi da loro sostenuta. Sempre a riguardo sono stati poi individuati quelli che, da studi precedenti, sono risultati essere i fattori che maggiormente incidono sull’acquisto di tali prodotti, nonché i deterrenti all’acquisito; risultati che son stati poi messi a confronto con quanto da noi ottenuto.

Un ambito toccato in questa analisi è quello degli OGM in quanto è ovviamente collegato in modo particolare al contesto del biologico e ci permette di avere un quadro generale più completo dell’ambito oggetto di analisi.

Il secondo capitolo è incentrato sugli obiettivi della nostra ricerca nonché sul metodo di analisi seguito. In particolare è stata fatta una descrizione del campione di riferimento, analizzando le caratteristiche socio-demografiche dello stesso, in modo tale da capire in che modo fattori quali sesso, provenienza, età, titolo di studio e stato civile, possono impattare sulle percezioni ed i comportamenti di acquisto e consumo dei soggetti.

La somministrazione del questionario é avvenuta on-line, per mezzo del sofrtware “SurveyMonkey”. Dopo un primo lancio di prova, per testare la validità dello stesso, é stato diffuso tramite social network, pagine universitarie e forum, cercando di innescare un processo di diffusione virale. Sono stati raccolti in questo modo 158 questionari coprendo una zona geografica di ampio raggio. Il sondaggio on-line ci ha infatti permesso di avere una diffusione del questionario a livello nazionale. Nonostante questo non possiamo parlare,

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ovviamente, di campione rappresentativo, in quanto la dimensione é notevolmente ridotta, ma può comunque costituire una base di partenza per future ricerche più approfondite e rappresentative, potendo disporre quanto meno del pensiero di alcuni soggetti a riguardo.

Come già anticipato, tale capitolo si concentrerà, tra l’altro, sulla composizione del campione. Si cercherà di capire qual’é l’età media dei rispondenti e di correlare la stessa con i comportamenti tenuti per confermare, o meno, la tesi precedentemente proposta da Hughner (et al.) del 2007 sul consumatore tipo alla ricerca costante di autenticità (egli ritieni che il consumatore tipo sia solitamente donna, solitamente adulta, sposata e con figli a carico). Sempre con l’obiettivo di analizzare se tali risultati sono riscontrabili anche nel nostro campione, ci si é soffermati anche su fattori come il sesso e lo stato civile. La nostra ricerca, nonostante ci porti a confermare quanto rilevato da Hughner (et al.) del 2007 circa il sesso, presenta comunque una differenza. Questa é data dal fatto che, dalla nostra ricerca il consumatore tipo non risulta essere necessariamente sposato e con figli a carico, quindi in parte la loro tesi non viene confermata. Tale risultato potrebbe però derivare da un importante limite della nostra ricerca: la diffusione on-line del questionario non ha permesso di controllare la composizione del campione, ragion per cui ci siamo ritrovati ad avere una forte presenza di giovani, in particolare molti ricadono nella fascia d’età under 25. Questo comporta che la stragrande maggioranza dei rispondenti viva ancora in famiglia o da solo (la maggior parte risultano essere studenti) e, di conseguenza, non hanno figli a carico. Il fatto di essere studenti (in questo caso la maggior parte di essi fuori sede quindi individui attivi nella spedizione di acquisto) comporta che le variabili tenute in considerazione nella scelta siano principalmente di carattere economico. La maggior parte di loro, infatti, gravando ancora sulle spalle dei propri genitori tende a fare delle scelte che siano più orientate ad un risparmio economico piuttosto che considerare altri fattori quali una particolare attenzione verso il loro stato di salute, prodotti a ridotto impatto ambientale, etc.

Sempre in questo capitolo é stata fatta un’analisi del questionario; in particolare sono state individuate 5 sezioni principali inerenti rispettivamente all’importanza attribuita dai soggetti alla conduzione di uno stile di vita sano, alla percezione di genuinità e al nesso della stessa con il concetto di qualità, alla spedizione d’acqiusto e ai vari comportamenti tenuti in tale contesto, ai comportamenti ed alle percezioni circa i prodotti biologici ed infine, un’ultima parte inerente appunto le caratteristiche socio-demografiche dei rispondenti.

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Una volta ottenuto il numero di questionari sufficiente, i dati sono stati raccolti per essere poi analizzati. I programmi utilizzati sono stati principalmente Excel e SPSS, tramite l’uso, in primo luogo di tabelle di contingenza. Si é cercato di incrociare i dati ottenuti per vedere come alcuni fattori possono impattare sui comportamenti tenuti; in primo luogo si é cercato di capire l’importanza attribuita dai soggetti alla conduzione di uno stile di vita sano, fattore particolarmente importante, sulla base del quale il campione é stato suddiviso in due cluster rispettivamente inerente ad un livello di attenzione verso la salute medio-basso e medio-alto. Questa distinzione, che verrà confrontata con quella proposta da Mai e Hoffmann (2012) tra

“taste lovers” e “nutrition seekers”, risulta essere fondamentale nel nostro studio in quanto i

comportamenti dei consumatori risultano, ovviamente, essere differenti dato un differente livello di attenzione verso il loro stato di salute. Soggetti particolarmente attenti verso lo stesso terranno dei comportamenti oggetto di una valutazione maggiore rispetto a coloro invece che hanno un livello di attenzione minore e prendono decisioni considerando meno fattori o fattori meno connessi alla salute (quali possono essere il prezzo o il gusto del prodotto). Sono state poi analizzate le percezioni degli individui circa il concetto di genuinità nonché l’individuazione di tutti quei fattori che impattano sulla stessa e sul suo collegamento col concetto di qualità in modo tale da poter confermare, o smentire, il nesso tra questi due concetti proposto da Lewuis & Bridger in uno studio del 2000. L’ultima parte, come anticipato, si concentra sul contesto del biologico. Questo perché, prendendo in considerazione i vari collegamenti fatti tra autenticità, genuinità e qualità non possono non esser considerati prodotti la cui caratteristica principale é proprio quella della genuinità in questione, in quanto sono prodotti che, per eccellenza, son caratterizzati da naturalezza. La naturalezza in un prodotto fa riferimento a tutte quelle situazioni in cui l’intervento dell’uomo nel processo produttivo viene ridotto al minimo. Non é infatti previsto l’uso di prodotti quali OGM, conservanti, pesticidi e qualsiasi prodotto chimico che modifichi il naturale corso di produzione del prodotto stesso. Ovviamente le percezioni riguardo a questo contesto risultano essere contrastanti per differenti motivi: primo fra tutti é stata individuata una particolare ignoranza dei consumatori circa il settore del biologico. Questa può essere determinata da differenti fattori, primo fra tutto lo scarso impegno da parte di istituzioni ed aziende nella diffusione di informazioni a riguardo. Il contesto del biologico infatti non viene molto sponsorizzato e le informazioni in circolazione tendono ad essere minime. Questo comporta ovviamente una base di conoscenza minima da parte dei consumatori che non li porta ad acquistare, anche solo per prova questi prodotti. Questo viene poi alimentato dal fatto che molto spesso i consumatori tendono ad avere dei comportamenti ripetitivi: la maggior parte

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dei consumatori sono degli abitudinari; questo significa che, se un consumatore risulta essere particolarmente soddisfatto dall’acquisto e consumo di un dato prodotto, egli difficilmente proverà qualcosa di differente in quanto, di solito, la propensione al rischio (legata al consumare qualcosa di cui non si ha certezza nel risultato piuttosto che un prodotto di cui si é certi circa il livello di soddisfazione che ne può derivare) tende ad essere bassa. Ci sono comunque anche soggetti che acquistano tali prodotti, in quanto il loro livello di conoscenze a riguardo risulta essere maggiore, oppure nutrono maggiore curiosità nel provare questo tipo di prodotti. Tra tali acquirenti sono stati distinti gli abituali dagli occasionali e sono state individuate le differenti motivazioni alla base del differente comportamento di acquisto, nonché il differente impatto su tale comportamento di variabili socio-demografiche.

Nel quarto capitolo abbiamo poi elencato i risultati derivanti dal nostro studio e tali risultati sono stati messi a confronto con quelli degli studi precedentemente fatti. Primo fra tutti, é stato analizzato il confronto circa la suddivisione del campione da noi rilevata (livello di attenzione medio-basso/ medio-alto) e la suddivisione individuata da Mai e Hoffmann in uno studio del 2012 tra “taste lovers” e “nutrition seekers”. Alla base di questa suddivisione ci sono fattori differenti (gli atteggiamenti tenuti inerenti alla conduzione di uno stile di vita sano nel primo caso ed i fattori considerati in fase di acquisto nel secondo) ma i comportamenti tendono ad essere omogenei.

In tale ambito é stata sottolineata inoltre la natura soggettiva del concetto di autenticità: esso infatti tende a differire tra i vari soggetti e quello che per un individuo può essere considerato tale per un altro potrebbe non esserlo. Questa distinzione si può avere non solo a livello di soggetto ma anche a livello di prodotto. Ci sono infatti categorie di prodotti per cui tale caratteristica ha una valenza nettamente maggiore (vedi tutti i prodotti freschi) piuttosto che per altre. La percezione di autenticità é risultata poi essere influenzata da fattori quali la provenienza del prodotto, la trasparenza delle informazioni fornite, la fama del marchio nonché la naturalezza del prodotto.

Nella valutazione di genuinità é risultata avere una particolare importanza (oltre alla stagionalità dei prodotti e alla provenienza) l’etichetta: essa rappresenta uno strumento di informazione sulle caratteristiche dei prodotti alimentari particolarmente importante. L’obiettivo di tale elemento è quello di fornire un’informazione corretta e trasparente sul prodotto alimentare senza indurre in errore o ingannare il consumatore circa le caratteristiche dell’alimento. Questo fattore risulta essere particolarmente importante per i rispondenti, in

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quanto permette di raccogliere tutte le informazioni necessarie relative al prodotto in termini di apporto calorico, ingredienti, presenza o meno di OGM, etc. tutti fattori che sono particolarmente rilevanti nel giudizio di genuinità che dovrà esser dato.

Nel presente capitolo verrà inoltre sottolineato come gli acquisti di questi prodotti risultano essere prevalentemente occasionali, mossi da curiosità o offerte promozionali. Le ragioni alla base di questo risultato, e quindi della poca diffusione degli stessi, sono state individuate, come già anticipato, nell’ignoranza dei soggetti e dalle scarse informazioni a riguardo (che li portano a preferire prodotti convenzionali che hanno già provato), nell’elevato prezzo, in una minore diffusione di questi prodotti rispetto a quelli convenzionali e molto spesso una vera e propria mancanza di interesse dei soggetti nel rpovare questi prodotti. Il tutto risulta confermare quanto già anticipato da Hughner nel 2007.

L’ultimo capitolo della presente ricerca sarà incentrato su un resoconto dei risultati ottenuti e dei collegamenti di quanto analizzato dai precedenti studi. Si cercherà di capire anche, sulla base di quanto raccolto, come le aziende possono muoversi a riguardo e le strategie di marketing che possono adottare, che dovranno ovviamente esser differenti in base alla tipologia di consumatore dell’azienda. Se l’azienda, infatti, si concentra su un target di consumatori caratterizzato da un livello di attenzione alla salute medio-basso, la strategia seguita dovrà ovviamente essere concentrata su fattori differenti che vanno a colpire differenti percezioni degli individui; in tal caso si possono considerare ad esempio fattori quali il packaging. Se invece il target di riferimento ha un livello di attenzione alla salute medio-alto, sarebbe consigliabile per la stessa incentrare le sue politiche di marketing sui fattori che risultano essere più rilevanti per tali individui (quali le proprietà benefiche di quel prodotto, gli effetti positivi che il consumo di quel prodotto, piuttosto che un altro, può avere sulla salute).

Nell’ultima parte del capitolo sono poi stati individuati i limiti che hanno caratterizzato la nostra ricerca. Essi sono connessi in primo luogo alla somministrazione on-line del questionario che ha comportato, tra le varie cose, che molti soggetti non potessero accedere allo stesso (ad esempio non tutti sanno usare il computer, soprattutto le persone più anziane) ed inoltre una scarsa possibilità di controllo della compilazione dello stesso e nella selezione dei rispondenti, ragion per cui il campione é risultato essere particolarmente omogeneo e, come già detto, caratterizzato prevalentemente da individui giovani e che vivono da soli, fattori che influenzano molto sulle scelte di acquisto.

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Come é stato già anticipato, questo studio, data l’esiguità del campione e la sua natura non probabilistica (campione di convenienza), non é affatto rappresentativo ma può essere visto come una base di partenza per ulteriori indagini da effettuare su campioni rappresentativi.

L’autenticità: concetto e cenni

storici.

Il tema centrale della presente ricerca è quello dell’autenticità, un concetto che nel corso degli anni ha avuto una rilevanza sempre maggiore soprattutto nell’ambito del marketing. Le sue origini possono essere ricondotte alla filosofia esistenziale e, da lì, è stato registrato un crescendo dell’importanza di questo concetto in altri settori quali psicoanalisi, semiotica, musica, turismo, moda e alimentari. Molti autori sottolineano che la maggior importanza attribuita all’autenticità è stata influenzata dall’accesso al mondo postmoderno in cui ci troviamo.

Il termine “autenticità” può essere ricondotto a qualcosa di qualità o genuino (Lewuis & Bridger, 2000). Tale argomento è stato molto studiato dalla psicologia occidentale che ha dato numerose definizioni a riguardo ed inerenti al vivere un’“esperienza autentica”. Questo concetto viene ricondotto da Moore (2000) a tutte quelle caratteristiche di un prodotto quali l’essere reale, veritiero, genuino, essenziale e sincero.

Nel 1993 Rahilly definisce l’autenticità come quella caratteristica che permette ad un prodotto di essere degno di accettazione e sostiene che l’essere autentico significa quindi essere esattamente ed effettivamente ciò che è stato richiesto, per cui degno di affidabilità.

Analizzando il concetto in termini psicologici, Corsini (2002) si rifà alla qualità di un prodotto di essere internamente genuino ed esternamente reale.

Al concetto di autenticità si ricollega quindi a tutto ciò che è “buono” dal punto di vista artistico, politico e morale, contrapposto al concetto invece di “fake”, cioè falso, non autentico, commercializzato e percepito negativamente (Leach, 2001). Cirucci (2000)

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sosteneva che l’autenticità non è altro che ciò che veniva indicato con credibilità prima che gli individui diventassero più esigenti.

Ricerche sul comportamento dei consumatori sottolineano che i prodotti autentici vengono preferiti a quelli non ritenuti tali (Boyle, 2004; Lewis & Bridger, 2000). Gli individui ricercano l’autenticità in ogni loro acquisto, sia esso relativo a prodotti, servizi, esperienze o anche nelle relazioni che essi instaurano.

Secondo Grayson e Martenic (2004) l’autenticità può essere vista come la valutazione di un prodotto o l’esperienza vissuta da un valutatore in una particolare contesto. Nonostante essa sia collegata ad un oggetto, risulta difficile, se non impossibile, individuare le caratteristiche fisiche che questo dovrebbe possedere per essere autentico. È sulla base di questo che assume un ruolo fondamentale il rilascio di una certificazione di autenticità.

La certificazione è un processo che aggiunge informazioni inerenti la genuinità di un particolare prodotto o servizio e sulla base della quale il consumatore può esprimere un giudizio circa l’autenticità di un determinato prodotto, tenendo in considerazione vari fattori quali, ad esempio, produttore, paese di origine, livello di qualità o presenza di specifiche proprietà; giudizio che, in alcuni casi, può essere difficile dare senza certificazione alcuna. Viene quindi considerato da molti esponenti di marketing, in particolare Revilla e Dodd, (2003), come uno strumento che è in grado di influenzare positivamente la percezione di autenticità nei vari contesti, siano essi beni, servizi, esperienze, etc.

La ricerca di autenticità, come sottolineato, risulta essere importante in una moltitudine di settori. Molti studi sono stati incentrati, però, in particolare nel settore del turismo. Uno studio particolarmente importante a riguardo è quello del 2004 di McIntosh inerente alla cultura Maori in Nuova Zelanda, dove i turisti dimostrano di essere molto interessati a quelle che sono le caratteristiche indigene, ricercando l’autenticità dell’esperienza e non qualcosa di artificiale o creato ad hoc. Nel suo studio egli sostenne che “ad oggi, gli individui vivono in una società di plastica dove non si capisce se possiamo credere a ciò che vediamo; non si sa se siamo di fronte a qualcosa di reale o meno e quindi siamo sempre titubanti”.

L’autenticità di un prodotto o un servizio viene percepita come un qualcosa che incrementa il loro valore, basata sulla loro naturalezza e genuinità. Di conseguenza vengono percepiti come prodotti di qualità superiore rispetto ad altri e per i quali i consumatori sono disposti a

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sostenere un prezzo maggiore, giustificato dal valore aggiunto che tale caratteristica conferisce loro.

2.1 Letteratura di riferimento

Come già sottolineato, il tema dell’autenticità risulta essere centrale in differenti settori come quello archeologico, artistico, antropologico, filosofico, della psicoanalisi e della musica. Negli ultimi decenni la sua importanza è cresciuta notevolmente anche in settori come quello del turismo e, per i teorici della cultura del consumo (Arnould e Thompson 2005), nell’ambito del marketing.

Analizzando il quadro generale, Reisinger e Steiner (2006) osservano come questo concetto viene considerato all’interno di contesti di ricerca e situazioni differenti. Prendendo in considerazione, ad esempio, le ricerche moderne si individua una distinguibile base oggettiva nell’autenticità di oggetti, pratiche e culture.

Al contrario, i costruttivisti vedono l’autenticità come una costruzione sociale soggettiva e relativa. (Cohen, 1988)

Infine, i postmodernisti hanno dei dubbi relativamente all’attendibilità del concetto, nonostante l’aumento della loro attenzione a riguardo faccia sì che questa caratteristica, negli oggetti, nei servizi e nelle esperienze, sia sempre più ricercata ed apprezzata.

Quello che si può osservare è che ogni scuola di pensiero da un contributo differente a riguardo e che questa caratteristica risulta sempre più difficile da verificare e può essere sempre più oggetto di manipolazione, quindi sempre più vulnerabile, nel contesto commerciale.

Le ricerche che sono state fatte in materia, nell’ambito del marketing, sono risultate particolarmente significative ma comunque meno estese rispetto alle ricerche svolte in altri contesti.

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Lowenthal (1992), ad esempio, suggerisce che il “culto dell’autenticità pervade la vita moderna” mentre McCannel (1999) sostiene che essa sia la chiave si sviluppo del mondo moderno. Jacknis (1990), invece, ritiene che l’autenticità sia una preoccupazione generale della cultura moderna occidentale. Forse proprio per l’importanza assunta nel mondo occidentale, questo concetto è sempre stato un terreno molto fertile per numerosi studi antropologici, geografici, di comunicazione, filosofici,sociologici, etc.

Arnould e Thompson (2005) pongono la ricerca di autenticità all’interno della teoria della cultura di consumo e sostengono che nel mercato vengono generati certi tipi di posizioni di consumo che i consumatori possono scegliere di occupare.

Tale concetto è stato oggetto, nel corso del tempo, ed in particolare ad inizio secolo, di studi tanto deduttivi quanto induttivi. In particolare Grayson, con Shulman prima (2000) e con Martinec poi (2004), si è basato su un approccio deduttivo e teorico, applicandolo con successo all’autenticità in modo generalizzabile.

Nel 2004, Grayson e Martinec intrapresero uno studio sull’autenticità dal quale è stata teorizzata la distinzione tra autenticità iconica e indicale. Per meglio capire la differenza è bene spiegare il significato di tali concetti.

I concetti di indicale ed iconico sono stati introdotti da uno studio sui segni di Pierce. Egli studiò quella che era la relazione tra due entità: il significante ed il significato. Non si tratta di aggiungere un significato ad un significante pre-esistente ma di andare ad attribuire il significato.

In questo contesto i segni iconici sono quelli in cui si ha una somiglianza oggettiva tra significante e significato, basti pensare ad una mappa o ad un ritratto; al contrato, i segni indicali sono quelli nei quali sussiste un’affinità fisica tra significante e significato, ad esempio una firma o l’impronta digitale.

Il loro studio si incentra sulla valutazione delle cause che portano alla valutazione di queste due tipologie di autenticità e mostrano, sulla base dei dati raccolti da una ricerca basata su due gruppi di turisti, come queste possano avere un’influenza differente sui benefici che derivano dal consumo di qualcosa di autentico. Dolliver (2001) notò come quest’ultimo, nonostante la sempre maggiore tendenza alla contraffazione, risulta non essere in diminuzione, anzi, sempre più spesso i consumatori richiedono prodotti autentici.

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Il concetto di autentico però risulta essere differente se si considerano soggetti differenti. L’autenticità riporta a qualcosa di genuino, di vero. Il fatto che un consumatore ritenga vero, o genuino, un prodotto dipende ovviamente dal contesto di riferimento. Ad esempio un piatto tipico messicano sarà ritenuto autentico in due possibili situazioni: c’è chi lo ritiene autentico se preparato da un messicano e chi, invece, non si cura dell’individuo che lo realizza ma si basa sulla ricetta utilizzata (Salomone, 1997). Entrambe queste due concezioni della genuinità sono valide pur facendo riferimento a situazioni differenti, e sono proprio quelle sulle quali la ricerca si basa.

Come precedentemente esposto, il lavoro è stato basato sulla tesi di Pierce il quale si focalizzò su modo in cui le persone distinguono ciò che è reale da ciò che non lo è (Merrel, 2000). La caratteristica principale del suo studio è il collegamento che intercorre tra certi tipi di cause e certe esperienze fenomenologiche (Grayson e Shulman, 2000). Egli pose le basi per l’esplorazione e la comprensione delle modalità di valutazione degli indicatori di autenticità da parte dei consumatori.

Autenticità Indicale

Il termine autenticità da questo punto di vista indica che l’oggetto è ritenuto l’originale e non una copia, o un’imitazione, dello stesso (Barthek 1996; Benjamin 1969; Cohen 1989; Culler 1981). Ad esempio le impronte delle mani di Jimmy Stewart al teatro cinese Grauman a Los Angeles sono autentiche se vengono percepiti originali, cioè realmente lasciate dall’attore (ÒGuinn 1991). È proprio sulla base di esempi come questo che si può rimandare al termine indicale introdotto da Pierce. Questo concetto si riferisce a quelle cause che si pensa abbiamo un collegamento reale e spazio-temporale con qualcos’altro, collegamento che può essere fisico o psichico. In questo modo possiamo quindi distinguere ciò che è reale, autentico, dalla sua imitazione (Benjamin 1969; Goodman 1976; Kingston 1999).

Autenticità Iconica

Al contrario, l’autenticità iconica indica qualcosa che fisicamente somiglia a ciò che è autentico in modo indicale, per il quale viene spesso usato il termine “riproduzione/ricreazione autentica” (Bruner 1994; Cranz 1996; Peterson 1997). Ad esempio,

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pezzi d’argento in un negozio di souvenir in un museo vengono percepiti come una riproduzione autentica se sono molto simili a quelli che venivano realizzati nel sedicesimo secolo nelle colonie spagnole (Costa e Bamossy 1995). Quindi, un elemento viene definito iconico se la somiglianza all’originale è particolarmente forte.

Pierce inoltre sottolineò che, per rendersi conto se un elemento può essere considerato iconico, si deve avere una conoscenza preesistente o una qualche aspettativa in modo tale da poterle confrontare con l’oggetto in questione e fare una valutazione sulla possibile somiglianza all’originale.

Con riferimento a questa distinzione tra autenticità iconica ed indicale, bisogna sottolineare però alcuni aspetti. In primo luogo, è si vero che l’autenticità rimanda a qualcosa di “vero” ma solo specifici tipi di verità; ad esempio, nella valutazione di un ristorante francese, la percezione di autenticità non si basa sulle informazioni contenute nel menu. Se il menu presenta una parte inerente al pasto per i più piccoli, ed in questo è proposto un alimento quale può essere l’hamburger, allora il menu non è autentico, in quanto in francesi fanno delle distinzioni tra cibo adatto ad individui più adulti e quello per i più piccoli, e l’hamburger non rientra in quest’ultimo.

In secondo luogo, l’autenticità iconica ed indicale non sono esclusive. Nonostante ci possano essere situazione in cui l’una può essere più evidente o enfatizzata dell’altra, ogni causa percepita ha proprietà sia iconiche che indicali.

Infine, gli studiosi in materia concordano sul fatto che l’autenticità non è l’attributo di uno specifico oggetto ma è la valutazione dello stesso in uno specifico contesto. Tutti i prodotti offerti sul mercato hanno delle proprietà sia iconiche che indicali, ma non tutti saranno percepiti come autentici da uno specifico consumatore.

La ricerca che questi due studiosi hanno effettuato è stata basata sulla raccolta dati in due luoghi specifici: il Museo di Sherlock Holmes e la casa nativa di Shakespeare. Queste due situazioni presentano una differenza particolarmente importante: mentre Shakespeare è un personaggio realmente vissuto, Sherlock Holmes è il personaggio di una fiction e, in quanto tale, ci si può aspettare che l’autenticità, iconica o indicale, possa essere in questo contesto più debole rispetto a quanto non lo sia nell’altro. Nonostante questo, alcuni studi hanno permesso di notare che la percezione di autenticità non viene notevolmente influenzata dal fatto che il

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prodotto, servizio o esperienza, offerta sia storicamente e/o effettivamente vera o meno (Kozinets, 2001). Quindi, se l’autenticità viene socialmente costruita dai consumatori è possibile che la dicotomia realtà-finzione tra i due luoghi di riferimento (Shakespeare e Holmes) non andrà a limitare l’influenza delle cause indicali o iconiche in ciascun luogo ed i consumatori potranno percepire l’autenticità collegata ad elementi presenti nell’ambiente legato ad Holmes tanto quanto la percepiscono in quello di Shakespeare.

A primo impatto si potrebbe pensare che i visitatori ritengano che qualcosa di antico possa essere collegato ad autenticità indicale piuttosto che iconica (Lowenthal 1985), ma bisogna tenere in considerazione che spesso riconoscono che l’età può essere “falsata”. Un visitatore del luogo di nascita di Shakespeare ha infatti affermato che il modo in cui il museo “..è stato arredato era troppo moderno per il periodo storico di riferimento e avrebbero potuto fare di meglio per farlo sembrare più datato”.

Dallo studio è emerso come, sia le cause indicali che quelle iconiche abbiano una rilevante importanza nella percezione di autenticità dei consumatori.

Essendo l’autenticità associata ai fatti ed alla naturalezza, essi sostengono che potrebbe essere maggiormente legata a cause indicali piuttosto che iconiche. A riguardo, Pierce spiegò che “un segno iconico non ha una connessione dinamica con l’oggetto che rappresenta; semplicemente, la sua qualità assomiglia a quella dell’oggetto in questione e suscita sensazioni analoghe per chi percepisce tale somiglianza, ma rimane scollegato da esso. Il segno indicale ha invece una connessione fisica con l’oggetto.” Questo spiega perché molto spesso i consumatori valutano le connessioni indicali come molto più forti di quelle iconiche (Grayson e Shulman, 2000). Sulla base di questo, viene proposta una terza ipotesi secondo la quale le cause indicali influenzano in modo maggiore la valutazione di autenticità.

Queste cause indicali ed iconiche oltre ad avere impatto sulla valutazione di autenticità, hanno degli effetti sui benefici della stessa. Secondo molte ricerche fatte, uno dei principali benefici dell’autenticità è quello di ovviare al problema delle imitazioni, tipico dell’offerta di mercato attuale (Costa 1998; Holt 2002; Thompson e Tambyah 1999). Questo beneficio risulta essere particolarmente importante per i consumatori postmoderni.

Un secondo possibile beneficio è legato al fatto che quando i consumatori credono di essere di fronte a qualcosa di autentico, si sentono traspostati nel contesto a cui l’oggetto è collegato e si sentono molto più connessi ad esso.

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Un altro importante risultato della presente ricerca è che, in entrambi i luoghi, le cause iconiche risultano essere più fortemente associate con il collegamento percepito col passato mentre quelle indicali presentano un’associazione più forte con le prove percepite. È importante, però, sottolineare che, anche se le cause indicali ed iconiche contribuiscono nella valutazione di autenticità, questo non necessariamente significa che il contributo sia anche relativo ai benefici connessi alla stessa, nonostante la loro connessione con la precedente valutazione.

Nonostante i risultati ottenuti dal suddetto studio, bisogna tenere in considerazione che la percezione di autenticità risulta comunque particolarmente soggettiva, ragion per cui quello che per alcuni individui è risultato autentico per altri non lo era, e viceversa.

Questa ricerca ha evidenziato alcune tensioni associate alla percezione di autenticità. Il loro contributo nel comprenderle è basato sulla spiegazione di come l’autenticità può essere sia un costrutto sociale che una fonte di prova e sottolinea come la percezione di autenticità può dipendere dalla simultanea applicazione di immaginazione e credenza.

Come molti ricercatori hanno notato, tra cui ad esempio Holt e Kozinets (2002), la commercializzazione spesso indebolisce il valore dell’autenticità per i consumatori. Questo in particolare avviene perché nella testa del consumatore l’autenticità è associata alla verità. Essi possono diventare sospettosi se scoprono che gli standard di autenticità sono stati manipolati con l’obiettivo di generare semplicemente profitto. Le cause relative alla comunicazione e percezione di autenticità sono alla base del dialogo tra gli operatori di marketing ed i consumatori con riferimento a ciò che è autentico e ciò che non lo è, e comprendere e specificare queste cause è un importante step nel processo di comprensione di questa negoziazione di significato.

Arnould e Price (1993, 2000), invece, sviluppano la loro teoria tramite un approccio induttivo. Questi utilizzano uno schema generalizzabile per capire il fenomeno, basandosi su esperienze autentiche.

Nel 2005, poi, Beverland con altri autori quali Lindgreen e Vink, usarono un approccio induttivo per capire quali fossero i fattori che contribuivano a creare percezioni di autenticità nello specifico contesto del vino e della birra. Due anni più tardi Gilmore e Pine, considerando un approccio già applicato, usarono un lavoro accademico precedente sull’argomento per inquadrare un approccio normativo da usare sul mercato.

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Durante questi anni la rilevanza del concetto è aumentata notevolmente ed ha avuto una sempre maggiore visibilità nella stampa del periodo, tanto che nel 2008 l’argomento è stato trattato in un articolo dell’Harvard Business Review ed è stato pubblicato un libro di marketing proprio incentrato sull’autenticità.

Un’importante argomentazione in merito si può ritrovare anche nell’opera di Lionel Trilling (1972) Sincerity and Authenticity, nella quale egli sostiene che tale concetto suscita molte polemiche ed è particolarmente criticato, che questa parola “abbia un peso minaccioso”. In tale opera egli ritiene che essa sia diventata parte del gergo morale attuale e che sottolinei quella condizione di decadenza, di ansia relativa alla credibilità esistenziale.

Rousseau sosteneva che è la società a distruggere la nostra autenticità, quel sentimento sempre più forte all’interno della stessa che ci porta a dipendere dall’opinione altrui e a farci condizionare da essa. Tale fenomeno passa attraverso il ruolo importante che l’autenticità ha nel posizionamento del marchio. Quest’ultimo, infatti, si alimenta all’interno della società frenando quella che è l’autenticità personale. Più il marchio accresce la sua autenticità più, in tal modo, si riduce quella dei singoli individui. In un saggio del 2000, intitolato No Logo, la giornalista canadese Naomi Klein sostenne, implicitamente, che il marchio sta progressivamente distruggendo l’autenticità personale e culturale degli individui e che, più il marchio diventa autentico, più gli individui perdono invece questa caratteristica e diventano, al contrario, artificiosi.

Molti altri sono i concetti che si legano a quello di autenticità e che possono avere un impatto a riguardo. Nel 1997, Bendix sostenne che l’autenticità è incentrata sul recupero dell’essenza del passato ma, paradossalmente, questo può avvenire solo grazie a metodi e mentalità moderne. Infatti, quelle che sono le esperienze passate possono essere importanti per previsioni future. A conferma di questo, Yeoman e colleghi, nel 2005, usarono la storia della precedente domanda turistica della realtà scozzese, basata sulla ricerca di autenticità, per predire quella che sarebbe stata poi la domanda futura.

In uno studio del 2000, Arnould e Price osservarono come gli individui nel periodo postmoderno derivano la loro autenticità personale dal recupero di comportamenti ed attività tipiche del passato. Questa tesi si basa sull’idea che il passato sia molto più autentico del presente, idea che viene condivisa da molti autori quali Brown, Kozinets e Sherry (2003) e Penaloza (2000) la quale notò come la storia può essere sia fonte che indicatore di autenticità. Questa relazione che intercorre tra il tempo e l’autenticità non è però molto chiara e non va

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sempre nella stessa direzione. Possiamo infatti avere situazioni in cui un oggetti antico è semplicemente vecchio e non c’è quindi un nesso con il concetto di autenticità, così come possono esserci oggetti nuovi considerati autentici. Molto spesso però il tempo può dare un valore aggiunto ad un prodotto, individuato sotto il concetto di “patina”, che permette di conferire quella caratteristica di autenticità.

Quando si parla di patina si fa riferimento a quello strato che si forma al di sopra di un oggetto, di un mobile, che ci permette di vedere i segni del tempo e che quell’oggetto è antico, vissuto, ed il suo valore è legato proprio a questo. Tale è risultato molto importante nel tempo in quanto consentiva di distinguere i nuovi ricchi dai vecchi ricchi, e quindi coloro considerati meritevoli da coloro che non erano tali.

In contrapposizione a questo legame antico-autentico, Cohen (1998) ha sottolineato il concetto di autenticità emergente, secondo il quale l’oggetto di interesse non cambia nel tempo, ma il suo giudizio di autenticità sì. Egli ritiene infatti che questo sia un concetto non statico, ma che nel corso del tempo può essere soggetto a cambiamenti, per cui un oggetto che inizialmente non era considerato autentico può, successivamente, ricevere un giudizio differente, di autenticità, anche da parte di esperti.

2.2 “Fake Product”

Quando compriamo un prodotto, quel prodotto può essere considerato autentico oppure può essere un “fake”. Parlando di “fake product” si fa riferimento a tutti quei prodotti che non hanno la caratteristica dell’autenticità. Nella maggior parte dei settori, quando si parla di fake, si fa riferimento ad imitazioni illegali di determinati marchi. Questi prodotti sono, nella maggior parte dei casi, identici all’originale. Le dimensioni che si possono analizzare sono sia quelle fisiche e tangibile del prodotti, che solitamente sono identiche tra originale e imitazione, che quelle intangibili; è proprio qui che spesso si può cogliere la differenza che, però, non tutti sono in grado di rilevare.

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Rutter e Bryce (2008) sostengono che sia inutile distinguere i consumi legittimi da quelli illegittimi in quanto sul mercato ci sono differenti sfumature di autenticità.

Proprio con riferimento a questa contrapposizione tra prodotti autentici e fake, nel 2008 è stato effettuato uno studio da Vann, sul mercato vietnamita, dal quale è risultato che gli individui non vedono queste due tipologie di prodotti come contrapposte ed antitetiche tra loro.

Vann individua una distinzione tra “model goods” e “mimic goods”. I “model goods” sono gli autentici, i prodotti originali contrassegnati da un marchio. Questi prodotti vengono utilizzati come prototipo per la realizzazione dei “mimic goods”, che non vengono però visti come un falso , anzi molto spesso vengono visti come utili. È proprio per questo motivo che, a riguardo, sono nati degli studi, per cercare di capire che impatto ha, in termini psicologici, la contraffazione.

2.3 Generare autenticità

Secondo Lewis e Bridger (2000) ci sono modi differenti per creare negli individui l’impressione di autenticità di un prodotto, e vengono tutti impiegati comunemente dalla pubblicità.

La prima strada che si può seguire è quella di collocare il prodotto in un luogo specifico. In questo modo si acquisisce autenticità dando al prodotto un vantaggio rispetto a prodotti identici ma che non provengono da quel posto. Lewis e Bridger riportano un esempio a riguardo secondo il quale una bottiglia d’acqua proveniente da un lago qualsiasi non attira alcuna attenzione mentre se l’acqua viene imbottigliata in Svizzera, dove proviene da formazioni glaciali ricche di minerali, il prodotto viene indubbiamente percepito come autentico e quindi con un valore nettamente maggiore rispetto all’altro.

Un secondo modo per generare autenticità è quello di associare un prodotto ad uno specifico

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epoche precedenti. Grayson e Martinec (2004) sostengono che l’autenticità viene percepita ancora di più quando il prodotto viene associato sia ad uno specifico luogo che ad uno specifico periodo. Essi estesero inoltre lo studio dei loro colleghi, sostenendo che l’autenticità può essere generata anche andando ad associare un prodotto ad una persona.

Tornando all’analisi di Lewis e Bridger, un altro modo per generare autenticità in un prodotto, è far sì che tale prodotto sia originale. L’esempio che essi riportano a riguardo è l’avvento degli elettrodomestici in acciaio inox. Da un punto di vista funzionale, infatti, essi non comportano significativi vantaggi rispetto ai tradizionali elettrodomestici e, per giunta., richiedono più attenzione nella pulizia. Nonostante questo i consumatori sono più felici di spendere un prezzo maggiore per acquistare questi prodotti, percepiti come qualcosa di differente dalla norma, qualcosa quindi autentico. Questi prodotti, grazie, quindi alle loro caratteristiche che conferiscono originalità, vengono percepiti come più autentici, anche se spesso molto simili agli altri, e questa autenticità permette un incremento del valore percepito e, di conseguenza, della loro domanda.

Infine, un’ulteriore via per creare autenticità è quella di rendere il prodotto credibile. Questa strada può essere molto persuasiva ma ci sono stati molti dubbi in letteratura concernenti tale caratteristica, secondo i quali non tutti i prodotti credibili sono anche autentici. Bisogna però tenere in mente che la credibilità, se genuina, è sempre persuasiva. E Lewis e Bridger (20o0) sostengono che, più un prodotto viene percepito come legittimamente credibile, maggiore è la possibilità che venga percepito come autentico. Un prodotto autentico possiede quindi una certa dose di credibilità che lo rende genuino, per questo in determinati contesti è lecito affermare che la credibilità può determinare la percezione di autenticità in un prodotto.

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2.4 Autenticità del produttore ed autenticità del

prodotto

Negli ultimi anni, in occidente si è sviluppato sempre di più un forte desiderio per ciò che è naturale (Rozin e colleghi, 2004).

Solitamente, la percezione di autenticità di un prodotto viene influenzata da quella che è l’autenticità percepita nel produttore dello stesso. È questo il motivo per cui l’autenticità del produttore risulta essere particolarmente importante per il consumatore. La tesi a riguardo sottolinea, infatti, come l’autenticità percepita nel produttore possa influenzare la visione che i consumatori hanno della sua competenza e della qualità del prodotto. Quanto più il produttore viene percepito autentico, quindi, tanto più il prodotto sarà dotato di un elevato livello di qualità.

Kivy, nel 1995, a riguardo, sostenne che il termine “autentico” è diventato, o sta sempre più diventando, sinonimo di “buono”. Dieci anni più tardi, Cebrezynski postulò la tesi per cui tale concetto rimanda alla qualità del prodotto.

L’impatto sulla qualità percepita nel prodotto è, però, differente se si considerano due diverse situazioni. A riguardo, Jones (1989) afferma che la differenza è dovuta dalla tipologia di competenza del produttore. Egli distingue, infatti la competenza naturale da quella appresa. L’esempio da egli riportato è quello secondo il quale gli artisti indigeni vengono percepiti migliori nell’arte della pittura di stile aborigeno rispetto ad un artista caucasico che abbia studiato l’arte indigena. I primi vengono percepiti come più persuasivi ed i loro prodotti vengono visti come meno commerciali e, quindi, più autentici, in quanto il processo di produzione deriva, appunto, da competenze naturali e non apprese seguendo un percorso di studi.

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2.5 L’arte dell’ “essere autentico” – Autenticità

Personale

Il concetto di autenticità non si limita solo ai prodotti. Molto importante è il suo significato anche a livello personale, dove essa indica l’essere fedeli a se stessi e al proprio mondo (Rahilly, 1993). Tageson (1982) sostiene che “l’autenticità è un stato squisitamente personale

d’essere, il risultato di essere fedele ad una norma rilevabile all’interno del singolo

individuo”.

Dato il processo di postmodernismo e globalizzazione in atto, l’autenticità personale è qualcosa di raro e quindi molto apprezzato (McIntosh, 2004). Essendo sempre a contatto con altri soggetti, che hanno loro principi ed attitudini, l’esistenza di un individuo vede intrecciarsi situazioni differenti come le interazioni con la famiglia, gli amici, etc. e questo lo porta, secondo Gergen (1991), ad avere un’esistenza socialmente satura.

Negli ultimi anni l’importanza dell’autenticità è aumentata notevolmente soprattutto nella cultura occidentale, dove gli individui vogliono sempre più aggrapparsi a qualcosa che sia reale. (Boyle, 2004).

Nel 1995, Price, Arnould e Deibler effettuarono uno studio inerente alla percezione di autenticità nella fornitura di servizi. Un fornitore di servizi viene percepito autentico quando viene visto come genuino, in termini di personalità, fuori dagli schemi ordinari, non limitato quindi a quelli che sono gli schemi e i ruoli stabiliti (Price e colleghi, 1995). Indipendentemente dalle competenze e conoscenze del fornitore, i rispondenti del suddetto studio riportano delle valutazioni molto migliori dell’esperienza quando interagiscono con un venditore considerato autentico/genuino rispetto a quando questa caratteristica tende invece a mancare. Ovviamente la percezione di una carenza di autenticità nel fornitore del servizio o del prodotto influenza la percezione di autenticità del servizio o del prodotto stesso.

Da uno studio del 2005 di Grandey et al. risulta che i consumatori possono essere persuasi da una fonte simulata di autenticità, da qualcosa che sembra genuino. La ricerca in questione è stata basata sull’analisi del comportamento dei fornitori di servizi nel settore ospedaliero ed, in particolare, se la loro prestazione veniva percepita più soddisfacente quando sorridevano in

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modo percepito come autentico piuttosto che sorridere in modo un pò più forzato, quindi meno genuino. Dalla ricerca è risultato che la percezione di autenticità del sorriso più o meno genuino andava ad influenzare la valutazione del servizio stesso.

Grayson e Martinec (2004) sostennero poi, a seguito di vari studi, che un produttore viene percepito autentico nella realizzazione di un prodotto se quest’ultimo è pensato per riflettere chiaramente la sua personalità. Sulla base di questa tesi, tanto il gusto del produttore quanto la cultura etnica saranno le principali cause esaminate come indicatori persuasivi dell’autenticità del produttore. Oltre a queste, possono essere individuati altri fattori che influenzano significativamente l’autenticità come le emozioni e le classificazioni culturali (genere, classe, religione, etc.).

Nonostante sia stato anticipato che sia la cultura che l’autenticità basata sul piacere possano essere persuasive per le percezioni del consumatore, questi due fattori differiscono per alcuni aspetti. Se si prende in considerazione l’autenticità basata sul piacere, i consumatori giudicano il processo di produzione autentico in senso stretto, basandosi solo sul produttore. Al contrario, l’autenticità culturale si basa sull’autenticità del processo di produzione tenendo in considerazione il passaggio generazionale nella produzione di uno specifico prodotto e, quindi, non solo il produttore inteso come singolo individuo.

2.6 L’autenticità nel settore alimentare

Come già affermato, il concetto di autenticità può avere diversi significati in base al settore di riferimento nonché alla percezione dell’individuo. L’accezione generale del termine fa riferimento a tutto ciò che è originale e naturale e lo distingue da quelle che sono imitazioni o contaminazione della naturalezza tipica di un certo prodotto.

L’analisi svolta è stata incentrata sul significato che tale concetto ha nel settore alimentare e sull’impatto che può avere in termini di influenza delle scelte di acquisto e consumo degli individui. L’autenticità in questo settore rimanda al concetto di genuinità: un prodotto sarà tanto più autentico quanto più è genuino.

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Una ricerca fatta nel 2003 da Camus nel settore alimentare ha permesso di individuare 3 dimensioni dell’autenticità e nove attributi. Le dimensioni individuate sono unicità, proiezione ed originalità, che può essere vista come naturalezza del prodotto. Perché un individuo percepisca un prodotto autentico, egli deve avere informazioni relative al luogo di produzione e, quindi, alle origini di quel prodotto, deve percepirlo come unico, per cui deve avere delle caratteristiche che gli permettano di percepirlo come differente rispetto agli altri che si possono facilmente trovare sul mercato e deve vedere quel prodotto come riflesso della sua personalità. Queste tre dimensioni possono essere poi definite da 9 attributi quali: personalizzazione, origini, produttore, periodo, nazione, fattori umani o tecnici, prezzo e segni di certificazione (Renaud Lunardo, Richard Guerinet),

Tra queste dimensioni, si può sottolineare indubbiamente l’origine del prodotto. La ricerca di autenticità passa molto spesso attraverso questa dimensione in quanto molti individui ritengono che la provenienza di un prodotto abbia un notevole impatto sullo stesso. Le “Mozzarelle di bufala Campana”, i “Limoni di Sicilia” sono prodotti che vengono ritenuti genuini sulla base del luogo di origine.

La ricerca dell’autenticità viene vista da Firat e Venkatesh (1995) come una caratteristica tipica del consumo post-moderno. Essi ritengono infatti che il consumatore post-moderno percepisca una sorta di nostalgia per gli stili di vita del passato e, quindi, attraverso il consumo di determinati prodotti cercano di vivere delle esperienze autentiche. Nel settore alimentare la ricerca di autenticità è incentrata sul fatto che quello che mangiamo ha ovviamente un impatto sulla nostra salute, ragion per cui c’è una certa attenzione verso tale argomento. Proprio a riguardo, Fischler (2001) ha sottolineato la presenza di un paradosso nei consumi post-moderni: nonostante oggi il consumatore abbia più informazioni e sicurezze circa i prodotti che acquista, la sua paura riguardo ciò che mangia ha raggiunto livelli molto più alti rispetto al passato, quando le informazioni erano molto più scarse ed il livello di sicurezza associato ai prodotti era molto minore. Egli ritiene che questo comportamento si basi su sue principi universali che possono comportare una riduzione del rischio associato al consumo di prodotti alimentari. I principi di riferimento sono quello di incorporazione, secondo il quale controllando il cibo che si mangia si controlla l’impatto dal punto di vista fisico e si mantiene un certo livello di autostima, ed il principio di classificazione, per cui gli individui da sempre stabiliscono delle regole da seguire tra le quali rientra l’abitudine di classificare e stabilire, ad esempio, cosa si può mangiare e cosa non si può mangiare.

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Le informazioni di cui gli individui possono disporre, come ad esempio quelle nutrizionali presenti nelle etichette dei vari prodotti, i nomi dei vari marchi applicabili, la presenza o in particolare, l’assenza, di alcuni elementi (come ad esempio “0.01% di grassi”, “no zuccheri aggiunti” etc.) o le origini, possono influenzare le valutazioni dei consumatori circa la genuinità degli alimenti.

Le credenze che gli individui hanno circa le qualità nutritive dei prodotti e sul loro impatto sulla salute influenzano le loro scelte in misura decisamente maggiore rispetto a quelle che sono le qualità e gli effetti reali. La qualità viene infatti rilevata tramite i loro sensi, le loro percezioni ed è per questo che, molto spesso, il packaging e l’etichetta sono elementi che possono influenzare il loro livello di percezione e sui quali, quindi, si basano per effettuare una scelta. (Ajzen, 1991).

L’autenticità può essere poi collegata a diversi altri concetti. Tra questi possiamo, ad esempio, individuare quello di rischio percepito (Lunardo, Guerinet 2007). Quest’ultimo non è altro che la combinazione delle percezioni che qualcosa andrà male e delle relative di conseguenze, qualora così fosse. Nel contesto alimentare questo rischio si rifà alla possibilità che un prodotto non sia abbastanza buono o di qualità rispetto alle aspettative dell’individuo. La relazione che intercorre tra questo concetto e quello di autenticità viene sottolineata dalla tesi di Cova e Cova (2002), la quale sostiene che quando un prodotto dà poche certezze, appare fisicamente rischioso, allora non è autentico.

L’autenticità di un prodotto viene ricercata anche nel concetto di qualità. Essa non è altro che l’insieme delle proprietà e caratteristiche che permettono ad un prodotto di soddisfare le esigenze esplicite o implicite di un soggetto (UNI EN ISO 8402:1995). È quindi un elemento fondamentale alla base dell’autenticità secondo la maggior parte della letteratura a riguardo. È proprio la relazione prezzo-qualità che viene vista dagli individui come un forte indicatore di autenticità e di riduzione del rischio percepito. La relazione che intercorre tra prezzo e autenticità è stata però studiata molto meno. Secondo Warnier e Rosselin (1996) non è possibile stimare il valore di un prodotto autentico. In generale l’idea di base è che “ogni primo pezzo prodotto che non viene copiato è originale ed unico, e per questo può essere venduto ad un prezzo più alto”. Di conseguenza questo comporta che, per ogni prodotto, una riduzione di prezzo viene vista come una riduzione di autenticità ad esso associata.

La genuinità di un prodotto può passare, inoltre, anche attraverso il nome. Il suo impatto dipende ovviamente dalla tipologia di consumatore che si prende in considerazione. Uno

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studio a riguardo è stato svolto da Irmak, Vallen e Robinson (2011) che hanno suddiviso i consumatori in due categorie: dieters e nondieters, ovvero coloro che sono attenti alla dieta e coloro che, invece, vi prestano poca attenzione. Il loro studio è stato basato sull’analisi dell’impatto che l’utilizzo di un nome piuttosto che un altro potrebbe avere sulle percezioni di salubrità e sapore di quello specifico prodotto. Essi ritengono che l’influenza del nome di un prodotto nella valutazione dei prodotti alimentari varia sulla base delle tendenze dietetiche degli individui. Dieters e nondieters sono diversi nelle loro motivazioni e nella propensione a mostrare autocontrollo nel settore alimentare. I dieters, a differenza dei nondieters, concentrano la loro attenzione su quei cibi considerati “proibiti” in modo da consumare sempre meno quelle categorie di alimenti che sono meno salutari. E sono proprio i dieters che maggiormente, rispetto agli altri, fanno affidamento sul nome del prodotto nella valutazione del cibo. L’idea degli autori a riguardo è sostanzialmente che questa differenza tra

dieters e nondieters è guidata dal fatto che i primi si fanno influenzare dall’impatto del nome

del prodotto in quanto si fidano dell’euristiche basate sul nome, mentre i nondieters non sono sensibili a tali indicazioni alimentari.

Il risultato che, in sostanza, è uscito dal loro studio è quello per il quale, quando ad un prodotto alimentare viene assegnato un nome che non rimanda troppo alla genuinità e salubrità, i dieters lo percepiscono come meno salutare e meno gustoso rispetto a quanto non facciano i nondieters. Ovviamente questo ha impatto anche sui comportamenti di acquisto e consumo in quanto risulta essere logico che, negli acquisti di prodotti alimentari, il gusto è uno dei fattori che stanno alla base della scelta degli individui.

Di seguito è stato riportato uno schema riassuntivo da loro elaborato per sintetizzare quello che è il processo seguito per il quale, quindi, la scelta del nome del prodotto ha una certa influenza, per quanto indiretta, sulla quantità che verrà poi consumata.

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Figura 1 –Influenza del nome assegnato al prodotto sulla quantità consumata

Prendendo in considerazione il contesto del “verde”, ovvero del consumo ecologicamente consapevole ( a ridotto impatto ambientale), è interessante sottolineare la ricerca condotta da Ewing (et al.) (2012) la quale formula e testa una serie di ipotesi relative agli effetti di

specifiche tipologie di cause. Le cuase in questione sono proprio le indicali ed iconiche di cui si è parlato nella ricerca di Grayson e Martinec.

Per riprendere il concetto, le cause indicali sono attributi di un oggetto che forniscono un collegamento spazio-temporale e/o verificabile con un elemento di riferimento (Grayson e Shulman 2000; Grayson e Martinec 2004). La chiave di comunicazione di autenticità tramite le cause indicali è la creazione di una connessione con un punto di riferimento di fiducia. Per l’offerta di prodotti alimentari queste cause indicali tendono ad essere riconoscibili, ad esempio, tramite la certificazione e questo suggerisce molto di più della semplice apparenza dell’essere “verde” (Godes et al. 2005). La loro presenza fornisce una prova evidente che un oggetto di consumo presenti le caratteristiche ed abilità appropriate per essere in grado di portare l’appellativo “verde”.

Le cause iconiche, invece, sono quelle qualità che suggeriscono in forma schematica le aspettative relative ad un oggetto autentico senza avere un punto di riferimento esterno verificabile (Mick 1986). Mentre una certificazione biologica viene vista come una causa indicale, la corrispondente causa iconica fa riferimento al fatto che quello specifico prodotto appare biologico all’apparenza, ad esempio dal materiale del packaging. Tale inferenza viene fatta sulla base di prototipi di aspettativa che i consumatori hanno.

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Queste due tipologie di cause permettono, quindi, di influenzare l’elaborazione del significato attribuito ad alcuni prodotti da parte dei consumatori (Grayson e Martinec 2004). Identificare un prodotto come autenticamente “verde” tramite cause iconiche ed indicali significa generare delle credenze nel giudizio a riguardo, generando cosi un atteggiamento più favorevole

(Fishbein e Ajzen, 1975; Lutz 1077).

Come già osservato da Grayson e Martinec, molti prodotti presentano caratteristiche di cause sia indicali che iconiche. Nel caso di cause indicali risulta essere fondamentale una verifica ottenibile tramite caratteristiche distintive come il marchio, la certificazione o la fonte. La funzione di verifica fornita da queste caratteristiche può essere basata su costruzioni sociali o conoscenze interne (Grayson e Shulman, 2000; Graysone e Martinec, 2004; Leigh et al., 2006). Le cause iconiche, al contrario, non hanno un punto di riferimento esternamente verificabile e questo le rende più imprevedibili.

Tornando a prendere in considerazione la ricerca effettuata da Ewing (2012), un altro elemento da considerare si rifà al fatto che gli effetti medi delle cause indicali sull’essere un prodotto “verde” sarebbero più affidabili di quelli delle cause iconiche. Essi ritengono ragionevole aspettarsi che l’effetto che queste cause avranno tenderà a variare in base alle caratteristiche rilevanti del prodotto di riferimento. I beni durevoli tendono ad avere più funzioni e ad essere acquistati in quantitativi maggiori, motivi che spingerebbero il consumatore a desiderare maggiori informazioni a riguardo e ad impegnarsi quindi in una ricerca maggiore (Brucks, 1985; Grewal et al. 2004). La presenza di una certificazione

sostenibile può essere vista come un elemento positivo sia per beni durevoli che non durevoli, ma risulta essere meno persuasiva nei beni durevoli piuttosto che negli altri date le maggiori esigenze di informazioni tipiche di un processo decisionale più complesso.

La loro ricerca è stata svolta intervistando 140 studenti universitari e basata sulla valutazione di marchi nuovi o poco conosciuti.

Le cause indicali usate per la manipolazione si basano sull’etichetta, utilizzata per la valutazione di qualità per prodotto “verde”; ad esempio, nel caso dei computer venne utilizzato come logo un’energy star. Al contrario, le cause iconiche di manipolazione includono informazioni visive e testuali di base relativamente a caratteristiche come composizione del prodotto o la durata utile per indicare la qualità del prodotto “verde”. Ad esempio, la causa iconica utilizzata per un detersivo è stato un cartone di colore marrone.

Figura

Figura 1 –Influenza del nome assegnato al prodotto sulla quantità consumata

Riferimenti

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