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Conclusioni alla Parte I
Come dichiarato nell’introduzione, lo scopo che la prima parte della trattazione si proponeva era effettuare un’analisi terminologica sistematica dei passi in cui Platone, nel
Timeo, sfrutta l’opposizione tra il verbo stativo e la sua controparte dinamica ,
per esprimere una dicotomia tra il mondo eterno e immutabile delle forme e quello transeunte delle realtà sensibili.
Prima di procedere all’analisi testuale, tuttavia, è stato necessario uno studio che illustrasse nel dettaglio la complessità semantica e azionale dello stesso poiché è risultato immediatamente evidente che la traduzione con “divenire” non solo non esaurisce lo spettro di significazioni del verbo, ma non è nemmeno in grado di rendere conto dell’utilizzo del verbo nel dettato filosoficamente connotato di Platone.è infatti caratterizzato da azionalità eminentemente trasformativa, e veicola in primo luogo un passaggio di stato: a questa nozione più generale sono riconducibili le due accezioni prototipiche di “nascere”, ovvero “entrare in uno stato di esistenza” e “diventare”, ovvero “entrare in un nuovo stato di esistenza”. Decidere quale delle sue nozioni sia originaria è complesso e, nella prospettiva del presente studio, relativamente significativo, poiché tanto una specializzazione quanto una estensione semantica sono cognitivamente verosimili, e a livello indoeuropeo sono ben attestati, anche per radici non correlate, casi di polisemia ed esempi di connessione etimologica (in prospettiva inter- ed intra-linguistica) tra elementi ascrivibili all’una o all’altra significazione. In ogni caso, la dimensione della generazione sembra prevalere nella radice indoeuropea, oltre ad essere attestata dalla maggior parte dei continuatori in diverse lingue. Più rilevante, perché funzionale a rendere conto del rapporto sincronico tra il presente e il perfetto intransitivo è risultato il tema della prevalenza, a livello indoeuropeo, del valore fattitivo (o risultativo, secondo la terminologia seguita da Bertinetto e Romagno: v. supra) di “generare” o di quello mediale di “nascere”. Nel greco classico, infatti, è un medium tantum, inaccusativo, trasformativo e telico, e come tale incorpora un predicato di stato nella struttura logica; secondo la definizione del valore e della funzione del perfetto raggiunta da Romagno (2005), dunque, esso non dovrebbe conoscere, in origine, una forma di perfetto attivo e intransitivo quale Ciò induce a pensare che l’opposizione in sé e per sé sia recenziore. Continuatori della medesima radice in altre lingue indoeuropee hanno forma attiva e significato causativo (es. latino gigno, sanscrito janati, avestico
zīzanənti), il che potrebbe suggerire una seriorità del presente medio rispetto al perfetto. Se
però, come suggerisce Benedetti (2002), la radice indoeuropea conosceva una doppia inizializzazione (inaccusativa e causativa), e potrebbero essere continuatori di un’opposizione risalente alla protolingua. In tale prospettiva, recenziore sarebbe solo lo status di medium tantum di epotrebbe essere paragonato, in accordo con Romagno (2005), alla forma di perfetto di un verbo causativo biargomentale dal significato di “produrre, generare, rendere qualcosa X”, il cui soggetto sintattico si identificherebbe con l’oggetto del causativo, e che neutralizzerebbe la dinamicità presente nella radice.
Se il verbo è funzionale a veicolare due fondamentali cambiamenti di stato, ovvero la nascita e l’assunzione di una nuova condizione, il valore originario del perfetto è dunque quello di esprimere uno stato per sé, senza riferimento al compimento dell’azione veicolata dal presente medio. Ripercorrendo criticamente e in ottica contrastiva l’argomentazione di Sauge (2000), è stato possibile dedurre che il valore stativo del perfetto si è mantenuto anche in greco classico, anche in forza dell’assenza, in prospettiva
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sincronica, di un verbo causativo di forma attiva che esercitasse pressione paradigmatica. Alla forma di perfetto mediale , secondaria e nata evidentemente per regolarizzare il paradigma, è invece riservata la seriore funzione perfettiva di rappresentare il compimento dell’azione espressa dal presente, e quindi l’avvenuta acquisizione di una nuova condizione.
Oltre a chiarire la funzione dei due tipi di perfetto di la cui coesistenza è legata alla peculiare storia pregressa del verbo, il primo capitolo è stato funzionale a presentare le diverse significazioni che il verbo può veicolare, alla luce dell’interferenza tra l’azionalità trasformativa che gli è tipica ed elementi di carattere aspettuale e configurazionale (ovvero dipendenti dalla struttura morfosintattica della frase e dalla eventuale combinazione delle proprietà semantiche lessicali con sintagmi che delimitano il processo verbale). A differenza dell’italiano “divenire”, che ha bisogno di un predicato per esplicitare la propria telicità, può infatti avere azionalità trasformativa anche senza l’indicazione della meta del cambiamento, qualora sia da intendersi nell’accezione di “nascere”. In assenza di un predicato, tuttavia, il presente nell’accezione di “diventare” non manifesta tale azionalità trasformativa: la ripetizione di singoli microeventi annulla infatti la telicità del verbo (Romagno, 2005), per cui dire “l’uomo diviene” risulta equivalente a dire “l’uomo cambia”, “è soggetto a cambiamento”. Per questo motivo, un participio sostantivato come può esprimere non solo “ciò che nasce”, ma anche “ciò che diviene” nel senso di “ciò che è soggetto a mutamento”, ed avere valore stativo come espressione di una qualità, il che risulterà rilevante all’interno del sottocodice filosofico platonico.
Per quanto riguarda l’opposizione tra e essa è potenzialmente trasversale alle funzioni linguistiche svolte da stesso (funzione esistenziale, copula, funzione veridica): l’“essere” può distinguersi dal “divenire” in quanto espressione di esistenza vs. generazione ed estinzione, permanenza vs. mutamento, veridicità vs. soggettività.
Partendo da tali presupposti di natura teorica, si è condotta un’analisi sistematica di tutte le occorrenze di in autonomia o in opposizione con : la tesi da verificare era che si potessero individuare indizi che suggerissero lo sviluppo di elementi di un sottocodice filosofico. Non si proponeva, evidentemente, che fosse riscontrabile in Platone una terminologia dell’essere in senso moderno, che prevedesse corrispondenza biunivoca tra significante e significato in relazione con un sistema di nozioni strutturato, anche perché i due verbi in oggetto sono troppo diffusi e troppo rilevanti nel sistema perché se ne possa confinare l’uso ad occorrenze “tecniche”. Si mirava però a verificare se l’opposizione tra determinate forme di e potesse veicolare, effettivamente, precisi contenuti filosofici tra loro antitetici, e se l’impiego di e di alcuni elementi nominali corradicali in senso filosoficamente connotato comportasse evoluzione e/o specializzazione semantica, e in generale caratteristiche differenti dall’impiego in un discorso non “tecnico”. Si proponeva, inoltre, che ciò potesse favorire una migliore comprensione del testo e contribuire a gettar luce sul metodo filosofico di Platone. Tale ipotesi di partenza si era sviluppata a partire dalla constatazione che Platone insiste esplicitamente sulla dimensione tanto ontologica quanto epistemologica dell’opposizione essere / divenire, il che suggerisce che egli, per esprimere verità sull’essere, dovesse adottare un certo grado di precisione lessicale e in questo senso pseudo-terminologica almeno nel distinguerlo dal divenire.
Si è dunque condotta un’analisi della sezione iniziale del Timeo (fino a 27 b 9 compreso), a carattere più narrativo e quindi potenzialmente meno tecnica, al fine di poter notare, per contrasto, caratteristiche peculiari della sezione tecnica. I dati sono stati disposti in base a un criterio funzionale e non seguendo l’ordine in cui i passi relativi si trovano nel Timeo, poiché lo scopo di questa parte dello studio era fornire un inventario degli impieghi di , e, eventualmente, delle opposizioni tra questo ed . È emerso che le occorrenze del verbo denotano una vasta gamma di sfumature semantiche e azionali. Accanto alle nozioni
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fondamentali di “nascere” e “diventare”, esistono casi in cui l’azionalità del verbo è ridotta, e il verbo svolge essenzialmente funzione di copula; oltre a veicolare un passaggio di stato, può esprimere infatti l’assunzione momentanea di un ruolo o un’attitudine (e in tal caso, talvolta, l’argomento interno mostra controllo sull’evento, mentre nell’accezione trasformativa tipica esso è coinvolto dall’evento), o un cambiamento nell’opinione di qualcuno (es. “risultare” al giudizio), o ancora l’assunzione di uno stato, anche in sincronia, a partire da una composizione di elementi. L’opposizione tra e è attestata, ad esempio, per distinguere uno stato naturale e intrinseco da uno momentaneo e non innato. In questa sezione, non esistono occorrenze di al presente, in assenza di predicato, che non siano riconducibili all’accezione di “nascere”, “accadere” o simili, e che non abbiano, quindi, azionalità trasformativa. Per quanto riguarda le occorrenze di perfetto, le occorrenze della forma mediale mostrano, come previsto, aspetto perfettivo; la forma intransitiva, invece, ha rivelato una caratteristica inaspettata: molto frequente è infatti l’impiego dei participi perfetti di come forme suppletive di participio passato di . Questo suggerisce, evidentemente, una temporalizzazione che non rientra nel significato originario del perfetto; indica però anche che la forma conserva valore stativo, in quanto viene impiegata per veicolare uno stato al passato. Altrove, del resto, il valore stativo senza connotazione temporale è indiscutibilmente attestato, mentre non esistono casi inequivocabili che suggeriscano un’interpretazione in senso perfettivo della forma attiva: l’opposizione tra i due perfetti sembra dunque mantenuta anche nel Timeo. Le indicazioni contestuali, nella parte introduttiva, sono inoltre in genere abbastanza precise da consentire di individuare con precisione quale sia la sfumatura semantica o azional-aspettuale di di volta in volta rilevante. L’unica occorrenza del sostantivo si trova nella parte conclusiva della sezione iniziale, poco prima che inizi il discorso di Timeo, ed è già riconducibile tematicamente a quest’ultimo, poiché si riferisce all’“origine” del cosmo. Nessuno degli aggettivi connessi con occorre in questa parte del dialogo.
Nel discorso di Timeo si riscontrano, effettivamente, caratteristiche diverse. Innanzitutto, la frequenza dell’opposizione tra e è maggiore, ed esplicitamente riferita alla dicotomia tra mondo intellegibile, eterno e permanente delle Forme, e mondo sensibile, soggetto a generazione, caducità e mutamento dell’universo che è copia del modello. Una riflessione di carattere metalinguistico sottolinea persino l’improprietà insita nell’utilizzare elementi lessicali pertinenti all’essere in riferimento al divenire, in quanto danno luogo a formulazioni filosoficamente inadeguate (e, inoltre, la problematicità insista nel definire il “non-essente” in termini di essere al negativo). I participi sostantivati spesso associato ad avverbi e locuzioni che ne precisano l’eternità o l’immutabilitàe e le rispettive forme plurali1, sono le definizioni chiave, sostanzialmente tecniche, dei due tipi di realtà, per quanto, a volte, ci si riferisca a ciò che pertiene al mondo delle forme anche con una perifrasi composta dal verbo e da un avverbio (o un sintagma) che suggerisce permanenza. I due participi sostantivati, si noti, esprimono entrambi una qualità immanente ed hanno funzione stativa: ciò che intrinsecamente è si oppone a ciò che intrinsecamente è soggetto al divenire. Laddove participi di si oppongono tra loro, invece, possono esprimere una qualità temporanea: ciò che è in divenire ora (participio presente), ciò che è in uno stato momentaneo (participio perfetto), ciò che è divenire in potenza (participio futuro). Il perfetto esprime, appunto, uno stato radicalmente diverso, in prospettiva filosofica, da quello veicolato da : si tratta infatti di uno stato momentaneo, illusorio, irrimediabilmente
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Si ricordi, però, che il participio sostantivato plurale di , senza ulteriori specificazioni, esprime a volte semplicemente “le cose che si danno”, “le realtà”; il contesto consente comunque sempre di chiarire, in questo caso, quale sia la nozione rilevante.
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compromesso con il divenire. Gli infiniti presente, aoristo e perfetto sono esplicitamente associati, in un caso, per esprimere tre diverse manifestazioni del “divenire”: il mutamento, ovvero il divenire in atto; il momento del passaggio di stato; l’essere in uno stato momentaneo. Anche la realtà intermedia tra il modello intellegibile e la copia sensibile è definita in termini di “essere” e “divenire”: essa è ciò in cui quel che è soggetto a divenire e generazione nasce, come copia imperfetta del modello che è, ed esercita il proprio divenire.
Platone sfrutta dunque con estrema scaltrezza la polisemia e la polimorfia di per veicolare le diverse manifestazioni del mondo transeunte, senza trascurare, evidentemente, le possibilità fornite dalla virtuale compresenza delle due accezioni fondamentali di “nascere” e “divenire”. Accanto allo sfruttamento delle opposizioni azional-aspettuali2
per veicolare contenuti filosofici estremamente precisi, infatti, tratto dominante dell’uso di nella sezione tecnica è una deliberata ambiguità. Nella parte iniziale del dialogo, si ricordi, ma anche nelle numerose occorrenze nel discorso di Timeo in cui il verbo è impiegato in tutta la gamma delle sue possibilità ‒ compresa l’opposizione azionale con che, in un caso, si caratterizza in termini di veridicità vs. apparenza ‒ in senso non filosoficamente connotato, indicazioni di natura contestuale erano usualmente sufficienti a rendere manifesta la funzione svolta dalle forme di e l’accezione di volta in volta rilevante. Negli esempi di impiego tecnico, invece, gli indizi contestuali vengono a mancare, ed il verbo è impiegato spesso in isolamento, al fine, evidentemente, di sfruttarne al meglio le potenzialità. Un esempio eclatante è l’oggettiva difficoltà che si riscontra, in molti casi, nel decidere tra “nascere” e “divenire”, laddove tale distinzione è di solito immediatamente percepibile in un discorso non tecnico. Questo è coerente, del resto, con quanto Kahn (es. 1981) aveva evidenziato, dal punto di vista funzionale, per gli usi platonici di : anche per si danno infatti casi di iperdeterminazione, in cui più significazioni sono rilevanti ai fini della comprensione del testo, e casi di ipodeterminazione, in cui Platone sceglie, volutamente, di lasciare al fruitore dell’opera un margine di dubbio. Una estensione semantica, in prima istanza, e successivamente un uso frequentemente iperdeterminato caratterizza ad esempio il sostantivo : come era già noto e registrato dai repertori lessicali, infatti, che in greco è usualmente riconducibile alla dimensione della generazione, è usato nel lessico filosofico di Platone come nominalizzazione di e, come tale, può esprimere tutte le nozioni veicolate dal verbo, in primis quella inclusiva di “divenire”, “mutamento”. Lo stesso fenomeno era stato segnalato da Kahn (1981) in riferimento al sostantivo in rapporto ad Un caso di ipodeterminazione è rappresentato invece dall’occorrenza dell’aggettivo attestato per la prima volta in greco nel Timeo, che significa di per sé, semplicemente “esente da rapporti con il ”con tutte le possibilità interpretative che questo comporta. L’ambiguità legata alle occorrenze di dipende invece probabilmente più da accidenti della tradizione (non necessariamente casuali, poiché il testo del Timeo è particolarmente soggetto ad emendazioni di carattere ideologico) che non da una volontà platonica. La connessione con il causativo ascrive infatti l’aggettivo alla dimensione del divenire, nel senso specifico di “generato”; la facilità dello scambio con , connesso invece con e quindi, potenzialmente, con ogni tipo di cambiamento in uno stato di esistenza,determina però, talora, una certa incertezza. In ogni caso, tutte le occorrenze di e della forma negativa nel Timeo sono riconducibili, a giudicare dal contesto, alla sfera semantica della generazione.
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In tal senso, si noti, il sottocodice filosofico adottato da Platone non è caratterizzato solo da fenomeni di natura lessicale.
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La forma ipodeterminata per eccellenza, comunque, è il perfetto intransitivo che, significativamente, gioca un ruolo centrale nell’interpretazione complessiva del racconto verosimile di Timeo. Platone, si noti, non impiega quasi mai una forma di indicativo aoristo di nella sezione di maggiore rilevanza filosofica; gli unici due casi sono un’occorrenza di aoristo passivo, inserita in un contesto in cui si tratta degli dei della tradizione mitica, dei quali Timeo parla come di qualcosa la cui esistenza è consacrata dalla tradizione, ma non dimostrata, e una terza persona di aoristo medio riferita al sale che “divenne” un corpo caro agli dei. D’altro canto, esistono indicativi aoristi attivi e medi di e e aoristi passivi di che sono inequivocabilmente riferiti all’universo e all’opera del demiurgo. In ogni caso, in punti in cui, volendo esprimere inequivocabilmente il momento della nascita del cosmo nel tempo, avrebbe potuto usare una forma di aoristo, Platone ricorre al perfetto. Ciò non può dipendere, si noti, da un’ipotetica assenza dell’opposizione perfetto-aoristo per , perché, a parte l’occorrenza relativa al sale, due forme di aoristo medio compaiono nella sezione introduttiva, che occupa meno di un settimo dell’intero dialogo, e un infinito perfetto stativo e un infinito aoristo trasformativo sono accostati in esplicita opposizione nell’ambito del discorso di Timeo. In un caso di estrema rilevanza dottrinale, inoltre, il perfetto è contrapposto all’aggettivo forma deliberatamente ambigua e inoltre, possibilmente, un neologismo: di fatto, sembra che, pur disponendo di strumenti adeguati per rendere il dettato del dialogo inequivoco in corrispondenza di affermazioni di capitale importanza teorica, Platone abbia deliberatamente evitato di fornire indizi risolutivi. Nello specifico, il perfetto con valore stativo, come è noto, veicola di per sé, appunto uno stato, pur essendo paradigmaticamente connesso con un presente trasformativo; talora indizi contestuali suggeriscono che tale stato ha origine da determinati fattori, o è l’effetto di una composizione. Tuttavia, per quanto nel discorso di Timeo si diano casi in cui un’interpretazione perfettiva sarebbe contestualmente ammissibile, in nessuna circostanza essa costituisce l’unica alternativa possibile, mentre l’interpretazione stativa è applicabile a tutte le occorrenze, sia che si tratti di uno stato presentato come contemporaneo al momento dell’enunciazione, sia che il participio perfetto di funga da participio passato suppletivo di Nelle occorrenze di maggior rilevanza teorica, inoltre, le forme di perfetto sono prive di qualsiasi indizio esterno che ne orienti l’interpretazione, suggerendo quale sia, eventualmente, la dimensione trasformativa rilevante (“nascere” o “diventare”). Non a caso, generazioni di interpreti antichi e moderni, peraltro sempre più lontani dall’uso linguistico platonico e condizionati dagli impieghi perfettivi e preteritali attestati inequivocabilmente nella koiné, hanno dibattuto sul significato da attribuire a queste forme in particolare e al racconto della nascita dell’universo in generale. Dillon (1989) si chiedeva perplesso come Platone fosse riuscito a lasciare nel dubbio i suoi discepoli; Kahn (1981), affrontando altri temi, notava la deliberata ambiguità presente nell’uso platonico di ; Baltes (1999), partendo da un’analisi di carattere filosofico e insistendo piuttosto sulla dimensione risultativa del perfetto, suggeriva che Platone ricercasse l’ambiguità per lasciare aperto il dibattito e stimolare la ricerca di soluzioni personali. Gli elementi emersi dal presente studio si accordano con quest’ultimo suggerimento, e forniscono un’ulteriore casistica delle strategie dissimulative messe in atto dal filosofo: la versatilità di è infatti funzionale tanto all’espressione di distinzioni filosofiche estremamente sottili, quanto al mantenimento di una feconda polisemia.