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L'eccezione coloniale

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Academic year: 2021

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Capitolo Due L'eccezione coloniale

Ou les sang-mêlés sont une portion intégrante de l’empire français, et alors doivent être citoyens, ou il sont un peuple étranger, et alors en guerre contre leurs despotes; ils ne peuvent jamais être rebelles. N’avez vous pas consacré le principe que la résistance à l’oppression est légitime?

Henri Grégoire, Lettre aux philantropes (1790) Poiché è negazione sistematizzata dell'altro, decisione forsennata di rifiutare all'altro ogni attributo d'umanità, il colonialismo costringe il popolo dominato a porsi continuamente la domanda “Chi sono io?”.

Frantz Fanon, I Dannati della terra (1961)

2.1 La costruzione giuridica del soggetto indigeno

La convivenza del sistema coloniale con i principi dei quali la République si faceva promotrice è stata oggetto di diversi studi, perlopiù volti a comprendere come i due fattori si conciliassero nel discorso politico francese del tempo. Costantini riprende il concetto di civilité, introdotto da Rosanvallon, il quale

solleva una questione perlomeno curiosa all’interno di un orizzonte di pensiero che [...] rifiuta programmaticamente in nome dell’unità del genere umano e del principio della trascendenza repubblicana di riconoscere dignità politica ad alcuna appartenenza particolare: la questione della civilité delle popolazioni colonizzate allude infatti alla maggiore o minore integrabilità al progetto universalista repubblicano di gruppi culturalmente determinati1.

Per garantire il perpetuarsi delle proprie colonie la Costituzione repubblicana del 1791 è costretta a escludere esplicitamente dalle garanzie costituzionali i territori coloniali, aprendo la strada maestra a quella che - in relazione alla norma repubblicana - può essere definita l’eccezione coloniale:

Les colonies et possessions françaises dans l’Asie, l’Afrique et l’Amérique, quoiqu’elles fassent partie de l’Empire français, ne sont pas comprises dans la présente Constitution2.

L’inclusione delle colonie nella prima Costituzione della Francia repubblicana prende la

1 Costantini D. (2006), Una malattia europea. Il ‘nuovo discorso coloniale’ francese e i suoi critici, Plus, Pisa, p. 42. 2 Ivi, p. 43.

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forma del tutto paradossale della loro esclusione dal diritto comune. Attraverso di essa le colonie, in quanto pays d’esclaves, possono essere sottoposte a una legislazione speciale costruita sulla base degli interessi particolari dei coloni, una legislazione che accetterà costantemente, sino all’epoca delle decolonizzazioni, la compresenza all’interno dell’ordine repubblicano di popolazioni privilegiate e sottoprivilegiate. Mentre i principi fondativi della Repubblica condannano ogni discriminazione basata sulla fede, l'opinione e i costumi, gli statuti personali degli abitanti d'Algeria vengono definiti sulla base della religione professata; i diritti inalienabili non si legano in questo caso alla nascita, ma alla conformità alla morale, alla naissance à la vie morale3.

Diritti universali e conformità alla morale

L'inscindibile legame degli indigeni al loro statuto personale equivale, nello spirito dei promotori della politica coloniale, a una sorta di trasferimento perpetuo di un patrimonio culturale alle generazioni successive dei caratteri specifici del sottoinsieme indigeno. La questione della sovranità è così inserita nel quadro di una politica complessiva di preservazione della qualità morale della nazione. I comportamenti giudicati immorali o asociali non si spiegano attraverso considerazioni oggettive (spiegazioni di tipo economico, sociologico, etc.), ma a partire dall'idea secondo la quale essi sarebbero la conseguenza dell'inclinazione ereditaria degli indigeni ad allontanarsi dalle regole sociali di base fondate sulla ragione e indispensabili alla riproduzione dell'intera società4. La dichiarata non

assimilabilità dei sudditi islamici giustifica così una sorta di cittadinanza dimezzata, che pone il colonizzato nella paradossale situazione di vedersi imporre la nazionalità francese ma negare la cittadinanza:

Le colonisé […] n’est pas à vrai dire un corps extérieur. Sa situation est une situation de dépendance, plus complexe donc de la simple extériorité. Le corps d’exception, enveloppe instituée qui recouvre tout un groupe que l’on n’admet pas dans la citoyenneté et auquel on attribue de manière arbitraire une homogénéité ethnique ou raciale […], est encore un membre de la nation française. En effet, ce corps considéré comme indigne de la citoyenneté possède la qualité de français, de sorte qu’il est contenu dans cette société, inclus en tant que non compté, inclus en tant qu’exclus5.

Col trattato di capitolazione del 5 Luglio 1830 la Francia si impegna solennemente « à ne pas porter atteinte à la liberté des habitants de toutes classes et à leur religion ». Un tale

3 Barkat S.M. (2005), Le corps d’exception. Les artifices du pouvoir colonial et la destruction de la vie, Ed. Amsterdam,

Paris, p. 27.

4 Cfr. ibidem, capp. II-III. 5 Ivi, p. 72.

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statuto poteva sembrare la concessione di un privilegio da parte del vincitore al vinto: il diritto di autoamministrarsi. Molto presto è evidente che ciò significa lasciare i musulmani sotto l'applicazione delle leggi personali e successorie dipendenti dai precetti del Corano, mentre in tutti gli altri campi, si ha la sottomissione a uno statuto giuridico d'inferiorità. Nel 1803 il Codice Civile rompeva con l'approccio feudale dell'Ancien régime, che attribuiva la nazionalità secondo il principio dello jus soli e la ritirava a chi lasciava il territorio senza spirito di ritorno. La nazionalità era divenuta un diritto della persona che gode di diritti civili, ma questo non viene fatto valere per gli indigeni musulmani o ebrei. Essi sono francesi ma non godono di diritti civili e politici, hanno una nazionalità di sujet dello statuto musulmano, una nazionalità “per difetto”6, fondata non sull'attribuzione di diritti ma sul

fatto che « placés sous la souveraineté directe et immédiate de la France, ils sont dans l’impossibilité de pouvoir en aucun cas revendiquer le bénéfice ou l’appui d’une autre nationalité: d’où il suit nécessairement que la qualité de Français pouvait seule désormais être la base et la règle de leur condition civile et sociale »7.

La massima esplicitazione del quadro legale creato ad hoc per la sottomissione dei colonizzati risposa nel codice dell'indigenato, un elenco di infractions spéciales à l’indigénat non prévues par la loi française, ossia pene specifiche che possono applicarsi agli indigeni musulmani. Codificate nel 1881, costituiscono progressivamente un vero e proprio codice e vanno distinte dai crimini e delitti commessi in violazione della legge francese, i quali sono di competenza di quest'ultima e giudicati da giurie dove i musulmani sono in minoranza8.

Il codice dell'Indigenato e il Senato-consulto del 1865

Una lista di ventisette infrazioni specifiche dell'indigenato è stata stabilita nel 1874. Aumentata nel 1876 e nel 1877, questa comporta, nel 1881, per esempio, le seguenti infrazioni: riunione senza autorizzazione; partenza dal territorio del comune senza permesso di viaggio; atti irrispettosi; offesa a un agente dell'autorità anche al di fuori delle sue funzioni; denuncia o reclamo scientemente inesatti o rinnovati presso la stessa autorità dopo regolare soluzione.

Oltre al sequestro, l'indigeno può essere punito con un'ammenda o con una pena di reclusione. A tali pene individuali possono aggiungersi ammende collettive inflitte alle tribù o ai douars, nel caso di incendio di foreste. Nei comuni di “pieno esercizio” è il giudice di

6 Cfr. Weil P. (2005), Le statut des musulmans en Algérie coloniale. Une nationalité française dénaturée, in La Justice en

Algérie 1830-1962, La Documentation française, Collection Histoire de la Justice, Paris; pp. 95-109.

7 Ordinanza della Corte di Algeri del 24 Febbraio 1862; ivi, p. 95. 8 Ibidem, p. 96.

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pace a decidere delle pene; nei comuni misti – ovvero dove risiedono anche europei – è l'amministratore del comune.

Per quanto concerne i diritti politici, nel Senato-consulto del 14 Luglio 1865, promulgato da Napoleone III, ispirato da Ismäil Urbain9, si chiarisce l'état des personnes et la

naturalisation en Algérie all'articolo 1:

L'indigène musulman est français; néanmoins il continuera d'être régi par la loi musulmane. Il peut être admis à servir dans les armées de terre et de mer. Il peut être appelé à des fonctions et emplois civils en Algérie. Il peut, sur sa demande, être admis à jouir des droits de citoyen français; dans ce cas il est régi par le lois civiles et politiques de la France.

Con un percorso inverso a quello in uso nella Francia metropolitana, l'accesso alla piena cittadinanza da parte degli indigeni si pone come risultato finale e non come presupposto dell'assimilazione. La personale richiesta del soggetto a jouir des droits de citoyen français deve rispondere a condizioni di ammissibilità definite da un apposito regolamento10. Iscritta nella

politica del regno arabo, tale procedura permette per la prima volta l'acquisizione della piena nazionalità, ma resta evidente l'elevato costo morale per la popolazione algerina, che avrebbe dovuto rinunciare al proprio patrimonio culturale.

Il diritto di nazionalità ad hoc applicato d'ora in avanti in Algeria tratta separatamente, ma circa alla stessa maniera, le categorie di abitanti dell'Algeria non pienamente francesi, ossia 30.000 ebrei, 3 milioni di musulmani e 250.000 stranieri11.

La dichiarata volontà di rispettare le specificità religiose dei gruppi non è altro che una forte presa di distanza dai colonizzati:

L’impossibilità della naturalizzazione - e dunque l’esclusione dalla cittadinanza - riguarda musulmani ed ebrei concepiti come gruppo e il motivo addotto risiede nella differenza religiosoculturale delle due popolazioni, che è dichiarata incompatibile con i principi dell’integrazione repubblicana. È qui che la questione della civilité relativa delle differenti popolazioni che abitano il territorio francese si innesta sulla teoria repubblicana della nazione in quanto unità. Lo statut personnel de droit musulman o juif rappresenta la sanzione giuridica della differenza di civilité delle popolazioni colonizzate, una differenza che impone la loro sottomissione ad un diritto d’eccezione. Lo statut personnel de droit musulman o juif riconosce l’esistenza di questa differenza, includendo le popolazioni colonizzate nell’ordine giuridico per tramite della loro esclusione dal diritto comune. Nell’atto di riconoscere la differenza di civilité delle popolazioni colonizzate, lo statuto innanzitutto la sancisce, incollando le popolazioni algerine alla ripetizione di un’identità culturale la cui natura è presentata come di ostacolo all’integrazione. Attraverso lo statuto i colonizzati vengono così

9 Thomas Appoline nasce nel 1812 nella Guyana francese da un marsigliese e una schiava della Caienna.

Seguace di Saint Simon, diventa un riferimento indispensabile dei governanti francesi. Si converte all'islam, prendendo il nome di Ismäil Urbain.

10 Ministère de la Justice 1996, Documento n.139. Citato in Weil P. (2005). 11 Weil P. (2005), p. 98.

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condannati alla ripetizione di una differenza che li esclude dalla cité pur riconoscendoli come sujets administrés12.

L'uguaglianza formale tra i gruppi religiosi termina con uno dei sette decreti, cosiddetti Crémieux, che conferisce la nazionalità francese agli indigeni israeliti d'Algeria e abroga il Senato-consulto del 14 Luglio 1865. Già nel 1865 Napoleone III, nel corso di un suo viaggio in Algeria, aveva ricevuto una petizione di 10.000 firme di ebrei che reclamavano una “naturalizzazione collettiva”. Dal 1865 al 1869, i Consigli generali delle tre province d'Algeria, dove sedevano sia coloni che musulmani, avevano emesso ogni anno pareri unanimi in favore della naturalizzazione degli indigeni israeliti. Per gli ebrei questa è l'ultima tappa di un processo di assimilazione cominciato dagli inizi della conquista francese, ben accolta dalla maggior parte di questa minoranza, discriminata sotto il regime dei beys.

Tutti i decreti del 24 Ottobre 1870 partecipano alla stessa strategia del governo provvisorio di consolidare una situazione particolarmente instabile in Algeria. L'assimilazione giuridica degli israeliti d'Algeria assicura la loro fedeltà al nuovo regime e apporta a una popolazione francese di circa 90.000 persone un rinforzo di 35.000 nuovi cittadini13.

I paradossi della naturalizzazione

Circa vent'anni più tardi, con la legge del 26 Giugno 1889, i nati in Algeria da un genitore nato in Algeria sono francesi dalla nascita, tanto quanto i nati in Francia da un genitore nato in Francia. Se i genitori sono invece nati all'estero, il figlio diverrà francese alla maggiore età, salvo che rifiuti nell'anno seguente. Applicata a una popolazione straniera spesso presente da due generazioni, la legge produce immediatamente i suoi effetti. Al censimento del 1891 si contano 267.672 francesi contro 215.793 stranieri e nel 1896 lo scarto è ancora più evidente (331.137 contro 211.580)14.

Al contrario, il Senato-consulto del 1865 non aveva avuto gli effetti previsti sugli stranieri presenti in Algeria; malgrado il costo esiguo e la rapidità della procedura, non si erano registrate, tra il 1865 e il 1881, che 4.428 naturalizzazioni, ossia 276 all'anno.

Restano a margine di questo processo “d'integrazione” gli indigeni musulmani, che costituiscono la maggioranza della popolazione. La legge del 1889 continua a declassarli esplicitamente, non comprendendoli e facendoli restare sottoposti all'unica via della

12 Costantini D. (2006), pp. 55-56. 13 Weil P. (2005), p. 99.

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naturalizzazione individuale, aperta dal Senato-consulto del 1865. Vi saranno proposte di legge a favore di una naturalizzazione collettiva degli indigeni musulmani, seppur in alcuni casi molto regolamentata, ma tutte si scontreranno con una maggioranza parlamentare paralizzata dagli eletti dei francesi d'Algeria15.

Per spiegare il numero molto basso dei musulmani d'Algeria richiedenti l'accesso alla piena nazionalità, la ragione più correntemente invocata è la scelta della maggioranza di conservare lo statuto personale dettato dal Corano. E' vero infatti che il Senato-consulto del 1865 non obbliga il musulmano d'Algeria a rinnegare la propria religione - può continuare a considerarla come codice morale e fonte di precetti religiosi - , ma, sottomettendolo al rispetto del Codice Civile francese, gli nega la pratica delle cinque usanze che con esso sono incompatibili: la poligamia; il diritto di djebr, che permette a un padre musulmano di far sposare il proprio figlio fino a una certa età; il diritto di rompere il legame coniugale a discrezione del marito; la teoria dell'enfant endormi, che permette di riconoscere la filiazione legittima di un figlio nato da più di dieci mesi e fino a cinque anni dopo la dissoluzione di un matrimonio; infine, il privilegio degli uomini in materia di successione16.

Si sarebbe potuto naturalizzare i musulmani d'Algeria dichiarandoli pienamente francesi ma permettendo loro di mantenere il proprio statuto personale. Per ragioni di opportunità ciò non viene fatto, non certo per principio, dal momento che tale riconoscimento era già presente nel diritto coloniale francese17. Oltretutto, in alcuni casi, il semplice fatto di

rinunciare allo statuto personale di musulmano non era sufficiente ad acquisire la piena nazionalità. La prova ci viene fornita dagli studi di André Bonnichon18 sui musulmani

convertiti al cattolicesimo. La maggior parte di essi saranno naturalizzati, mentre ad alcuni verrà impedita la conversione a causa dell'età, inferiore a ventun'anni, necessaria per accedere alla procedura di naturalizzazione. In questi casi, il convertito non naturalizzato resta considerato un indigeno musulmano sottomesso al codice dell'indigenato. Per giustificare tale regola, la corte d'appello di Algeri ha statuito nel 1903 che il termine

15 Proposizione del 16 Giugno 1887 da parte dei due deputati di sinistra Michelin e Gaulier; proposizione

del 21 Luglio 1890 del deputato Martineau. Ibidem.

16 Rapporto fatto in nome della commissione affari esteri, dei protettorati e delle colonie da Marius Moutet;

allegato n° 4383, sessione del 1 Marzo, Doc. Parl. Ch., p. 330. C.d. « Rapporto Moutet »; citato in Weil P. (2005), p. 101.

17 Gli abitanti di quattro comuni francesi del Senegal erano divenuti francesi per la combinazione delle leggi

del 24 Aprile 1833 e sull'abolizione della schiavitù del 1848; gli indigeni di cinque città francesi dell'India si erano visti accordare il diritto di voto, seppur limitato al territorio della colonia, indipendentemente dal loro statuto personale. Weil P. (2005), p. 102.

18 Bonnichon A., La conversion au Christianisme de l’Indigène Musulman Algérien et ses Effets Juridiques (Un cas de

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musulmano « n'a pas un sens purement confessionnel, mais qu'il désigne au contraire l'ensemble des individus d'origine musulmane qui, n'ayant point d'être admis au droit de cité, ont nécessairement conservé leur statut personnel musulman sans qu'il y ait lieu de distinguer s'ils appartiennent ou non au culte mahométan »19.

L'indigeno è dunque considerato convertito solo se naturalizzato: il carattere etnico-religioso dell'essere musulmano viene a costituire elemento etnico-politico di decisione ad appannaggio dell'autorità pubblica, chiamata a istituire la classica procedura di naturalizzazione, gestita dal ministero della Giustizia, per decidere dello statuto personale del richiedente, come fosse uno straniero. Da notare che il Senato-consulto del 1865 non impiegava il termine naturalizzazione poiché i musulmani d'Algeria erano francesi. Procedura tutt'altro che facile, la naturalizzazione implicava diversi passaggi: il dossier doveva essere costituito da otto parti differenti, tra le quali un certificato di bonne vie et bonne mœurs, dalla dubbia legittimità oggettiva; l'indigeno doveva presentarsi davanti al sindaco o all'autorità amministrativa e dichiarare di abbandonare il suo statuto personale per essere regolato dalle leggi civili e politiche francesi; un'inchiesta amministrativa era effettuata sulla moralità, gli antecedenti e soprattutto sulla situazione familiare del richiedente; infine, il dossier era trasmesso, col parere del prefetto e del governatore, al ministero della Giustizia, poi al Consiglio di Stato, fino alla firma del decreto da parte del Presidente della Repubblica.

La procedura era resa ancora più difficile dalla volontà contraria dell'amministrazione locale, che non esitava a dissuadere i richiedenti e a tralasciare dossier per anni. Risultato: in cinquant'anni (dal 1865 al 1915), 2.396 musulmani d'Algeria sono naturalizzati francesi, ove la maggior parte sono militari, funzionari o musulmani convertiti al cattolicesimo20.

Secondo l'espressione di Zouhir Boushaba, la procedura di naturalizzazione illustrata è una dénaturation de la notion de nationalité21. De jure, il musulmano d'Algeria è francese. La

nazionalità è, però, svuotata dei suoi principali attributi e non può che divenire piena attraverso una procedura riservata nel diritto francese allo straniero meno assimilato. De facto, i musulmani d'Algeria erano cittadini dell'origine straniera più indesiderata, della quale si lasciavano entrare i membri col contagocce.

19 Pronuncia del 5 Novembre 1903; citata in ibidem, p. 103. 20 Weil P. (2005), p. 105.

21 Zouhir Boushaba (1992), Etre Algérien Hier, Aujourd’hui et Demain, Alger, Editions Mimouni, p. 45. Citato

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Da sujet a citoyen. L'ironia dell'uguaglianza retroattiva

Agli inizi del '900 si aprono nuove prospettive per la questione degli indigeni musulmani. Nel 1908 e 1909, quando nella metropoli si pone la questione di aprire il servizio militare ai musulmani d'Algeria, il movimento Jeune Algérien - ispirato dal movimento dei Giovani Turchi e composto da vecchi studenti delle scuole francesi, insegnanti, commercianti o industriali - è favorevole, perché pensa di ottenere in cambio l'uguaglianza progressiva delle libertà pubbliche e dei diritti dei cittadini. Parallelamente, a Parigi, nel 1911, la Revue Indigène pubblica l'opinione di molteplici professori di Diritto che invocano la naturalisation dans le statut22, divenuta, secondo il direttore di questa rivista, Paul Bordarie, une necessité inéuctable.

Dopo i decreti del 31 Gennaio e del 3 Febbraio 1912, che allargano ai musulmani il reclutamento militare, nel Giugno 1912, nove delegati si recano a Parigi e consegnano al governo il documento conosciuto come Manifeste Jeune Algérien, ove si rivendica la fine del regime dell'indigenato, l'uguaglianza fiscale, una migliore rappresentanza dei musulmani nelle assemblee dell'Algeria e della metropoli, e inoltre il diritto di naturalizzazione nello statuto attraverso semplice dichiarazione, per coloro i quali avranno soddisfatto l'obbligo del servizio militare.

Una nuova procedura d'accesso alla nazionalità viene creata con la legge del 4 Febbraio 1919, ma le condizioni fissate sono per certi aspetti più restrittive del Senato-consulto del 1865. Oltre alla monogamia o al celibato è richiesta la residenza di due anni nello stesso comune; il procuratore della repubblica o il governatore possono opporsi alla domanda pour cause d'indignité, ossia per una non convenienza del provvedimento.

L'effetto della legge è dunque debole. Tra il 1919 e il 1930, 1.204 musulmani sono naturalizzati a fronte di 1.547 domande; vi si aggiungono 760 naturalizzati con la procedura del Senato-consulto del 1865, che ha permesso principalmente ai militari, ai residenti nella metropoli e ai giovani con meno di 25 anni di sfuggire ai controlli locali e alle restrizioni della procedura del 191923.

Il passo avanti della nuova legge consiste nel creare un corpo elettorale musulmano, esente dal codice dell'indigenato, e dunque le premesse di una cittadinanza algerina. Essa dispone che i consiglieri musulmani - che potranno costituire 1/3 del consiglio municipale in luogo del quinto precedente - parteciperanno all'elezione del sindaco e l'accesso al diritto di voto viene allargato, restando comunque notevolmente esiguo24.

22 Espressione che indica la naturalizzazione come dichiarazione dei musulmani d'Algeria pienamente

francesi, permettendo loro di conservare il proprio statuto personale, conforme ai precetti del Corano.

23 Weil P. (2005), p. 106.

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Nel 1936 il governo Blum, ispirato dal vecchio governatore Maurice Viollette, propose che un gruppo di musulmani (24.000) potessero ottenere il diritto di voto, conservando il proprio statuto personale. Progetto criticato sia dai coloni - i quali rifiutano la trasgressione del principio di distinzione tra citoyen e sujet -, che da movimenti e partiti politici algerini, per la modestia della richiesta, esso venne accantonato.

Il 7 marzo 1944 il Comité français de libération nationale, futuro Gouvernement provisoire de la République française, adottata un'ordinanza che prevede all'articolo 3 la creazione di una nuova categoria di persone: i citoyens français à titre personnel. L'articolo dispone che questi nuovi cittadini siano iscritti sulle stesse liste elettorali dei cittadini non musulmani e che partecipino agli stessi scrutini. Questo testo non concerne evidentemente l'insieme dei colonizzati, ma qualche categoria di “francesi musulmani”, di cui ci si sarà assicurati che abbiano testimoniato la loro adesione alle istituzioni del paese colonizzatore e alla sua politica. Su 7 milioni di indigeni, solo 65.000 sono presi di mira da questo dispositivo25.

Ben più espressiva e rivelatrice della specificità dei meccanismi messi in opera in Algeria è la seconda restrizione, interamente contenuta nell'espressione à titre personnel. La nuova cittadinanza si specifica come legata a una certa qualità appartenente singolarmente alla persona. Il carattere personale di questa cittadinanza implica la decisiva conseguenza della sua non trasmissibilità.

La legge Lamine Guèye del 17 Maggio 1946 riconosce che « tous les ressortissants des territoires d'outre-mer ont la qualité de citoyen au même titre que les nationaux français de la métropole ou des départements d'outre-mer26».

Lo Statuto dell'Algeria del 20 Settembre 1947 afferma il principio dell'uguaglianza politica e civile e l'eguale accesso per tutti alle funzioni pubbliche. Istituisce però il sistema del “doppio collegio”, dove il primo è riservato agli europei, il secondo agli indigeni. Dal punto di vista elettorale, un milione di europei equivale a otto milioni di algerini27.

La Costituzione del 4 Novembre 1958, all'articolo 77, istituisce una cittadinanza della comunità che sarà effimera e la decisione del 19 Febbraio del 1959 proclamerà una sola cittadinanza28. Inutile dire quanto sia tardi.

Per ironia della storia, a partire dal 1962 il doppio jus soli applicabile nella metropoli

dei musulmani con più di 25 anni; il 43% per quanto concerne i consigli municipali dei comuni di pieno esercizio. Ivi, p. 107.

25 Barkat S. M. (2005), p. 45.

26 Le colonie divengono dipartimenti e territori d'oltre mare (Dom-Tom) con la creazione dell'Union

Française, a opera della Costituzione del 27 Ottobre 1946.

27 Stora B. (1992), Aide-mémoire de l'immigration algérienne, L'Harmattan, Paris, p. 20. 28 Ivi, p. 21.

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permette a tutti i nati in Francia, da un genitore nato in Algeria, di essere francesi dalla nascita, senza distinzioni d'origine. Tutti gli abitanti dell'Algeria - francesi, soggetti ebrei o musulmani - sono oggi uguali, retroattivamente.

2.2 Le immagini dell'Altro: un razzismo popolare e coloniale

La costruzione di un soggetto Altro è necessaria alla colonizzazione fin dal suo inizio, dovendo costituire la fondamentale argomentazione della conquista, prima, e della “missione civilizzatrice” propagandata dalla Terza Repubblica, poi. L'immaginario differenzialista sull'Altro accompagna e, in alcuni casi precede, la spinta coloniale delle metropoli europee. Come se, al momento della colonizzazione, fossero già state predisposte le condizioni culturali e mentali della sottomissione all'impresa imperiale, grazie all'inferiorizzazione sistematica di interi gruppi umani29.

“La plus grande France” costruisce la propria idea coloniale attorno al concetto di missione civilizzatrice, sfruttando abilmente la frontiera invisibile tra due umanità, di cui una di natura superiore - che può e deve colonizzare - e l'altra di natura inferiore - che può e deve essere colonizzata -, per rendere il proprio dominio naturale, anzi, doveroso30. E'

proprio questo accostamento tra diritto e dovere che caratterizza il colonialismo à la française. Il carattere universalista del progetto repubblicano operava una sostituzione del vocabolario, usando il termine “civilizzazione” al posto di “colonizzazione”31.

Il processo di giustificazione del rapporto di dominazione si inscrive nel profondo legame - anche se spesso celato - tra storia coloniale e storia nazionale, ove la prima ha risposto alle esigenze della seconda. Sconvolto dai progressi della scienza e dalle brusche trasformazioni sociali dalla metà del XIX° secolo al XX°, lo Stato-nazione perde i propri punti di riferimento spaziali, temporali, sociali e culturali, andando così a edificare l'eurocentrismo come identità/modello, in un più ampio processo di rassicurazione e riaffermazione del proprio ruolo. In questo senso, creare un Altrove e la figura dell'Altro, attraverso la gerarchizzazione delle razze come realtà biologica, permette di ricostruire un'identità occidentale32.

E' con l'era dell'imperialismo che ha inizio la diffusione di un razzismo popolare,

29 Bancel N., Blanchard P., Boëtsch G., Deroo É., Lemaire S. (a cura di) (2003), Zoo umani. Dalla Venere

ottentotta ai reality show, Ombre Corte, Verona, p. 8.

30 Per una ricostruzione sistematica del discorso coloniale francese si veda Girardet R. (1972), L'idée coloniale

en France de 1871 à 1962, La Table Ronde, Paris.

31 Si veda Costantini D. (2006). 32 Ibidem.

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supportato dall'oggettivazione del razzismo scientifico, attraverso la stampa e tutti i grandi media, che veicolano un chiaro messaggio gerarchico con funzioni egemoniche33.

Gli zoo umani: la République e l'alterità

In questo contesto nascono gli spettacoli etnologici, le esibizioni dell'Altro “sezionato, spettacolarizzato, scenografato, secondo le aspettative di un Occidente bisognoso di certezze circa il proprio ruolo di guida del mondo e di civiltà superiore”34.

Citando le parole dei curatori di Zoo umani, l'opera che ricostruisce un quadro approfondito e globale delle dinamiche di tali fenomeni,

primo vero e proprio contatto di "massa" tra i mondi cosiddetti esotici e ampie frange della popolazione europea (da Parigi a Mosca) e americana, le esibizioni antropozoologiche hanno stabilito, per molti decenni, dei rapporti con l'Altro basati sulla sua oggettivazione e dominazione. Questo processo contribuisce, attraverso una rappresentazione del mondo in cui netta è la distinzione tra selvaggi e civilizzati, alla legittimazione dell'impresa coloniale e della xenofobia interrazziale35.

L'idea di promuovere uno spettacolo zoologico che mettesse in scena popolazioni esotiche nasce contemporaneamente in diversi paesi europei nel corso degli anni '70 del XIX° secolo, sulla scia degli spettacoli “razziali” statunitensi firmati P.T. Barnum36. In primo luogo in Germania dove, fin

dal 1874 Karl Hagenbeck, mercante di animali selvatici e futuro promotore dei principali zoo europei, decide di esporre dei samoa e dei lapponi come popolazioni puramente naturali a visitatori avidi di sensazioni37.

Geoffroy de Saint-Hilaire, direttore del Giardino zoologico di Parigi, alla ricerca di attrazioni per far

33 La teorizzazione scientifica della “gerarchia delle razze”, fondata su pretese evidenze di carattere biologico

(razzismo scientifico), viene concretamente messa in atto con gli zoo umani e attraverso la costruzione sociale di un immaginario sull'altro, facendo presa sull'opinione pubblica (razzismo popolare). Per approfondimenti si veda Bancel N., Blanchard P., Boëtsch G., Deroo É., Lemaire S. (2003), in particolare pp. 51-59.

34 Bancel N., Blanchard P., Boëtsch G., Deroo É., Lemaire S. (2003), p. 7. 35 Ivi, p. 51.

36 La donna afroamericana Joice Heth, finirà la sua “condanna” alle esibizioni in quanto “esemplare” di 160

anni, su una tavola chirurgica nel City Saloon di New York, tra le mani del Dottor L.Rogers, che sezionerà il corpo dell'anziana donna sotto gli occhi di affascinati spettatori. Ivi, pp. 36-43.

37 Ivi, pp. 61-69.

Affiche esposizione etnologica nel Jardin zoologique d'acclimatation. Fonte: Bancel N., Blanchard P. (1998), De l'indigène à l'immigré.

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fronte alla delicata situazione finanziaria dell'istituzione, nel 1877 decide di organizzare due spettacoli etnologici, presentando nubiani ed esquimesi ai parigini. Il successo è folgorante. Il numero dei visitatore raddoppia e il giardino registra quell'anno un milione di entrate a pagamento. I parigini accorrono in massa per scoprire ciò che la stampa del tempo definisce “branco di animali esotici, accompagnati da individui non meno singolari”. Tra il 1877 e il 1912 si organizzarono a Parigi, nel Jardin zoologique d'acclimatation, una trentina di esposizioni etnologiche di questo tipo con un successo costante38.

Questi “spettacoli” contribuiscono in maniera determinante alla divulgazione dell'idea coloniale al popolo francese, soprattutto alla fine della Prima Guerra mondiale, quando la propaganda ufficiale si consolida. Il diretto coinvolgimento del governo francese nelle esposizioni etnologiche di indigeni testimonia la sua volontà di gestire e controllare l'immagine dell'Impero e dei suoi “soggetti”, non lasciandola più alla sola iniziativa degli imprenditori privati.

Le esposizioni vengono adattate a fini più politici, non rivelandoci evidentemente nulla sulle “popolazioni esotiche”, ma costituendo uno straordinario strumento “educativo”. Nella madrepatria si dimostra che laggiù ci sono solo selvaggi appena usciti dalle tenebre, si mette sotto gli occhi di tutti una realtà costruita che, rispecchiando gli stereotipi diffusi anche in precedenza, è molto facile da credere. Si istituisce una disuguaglianza giuridica, politica ed economica tale da creare un razzismo endemico all'Impero, che può così portare avanti il proprio disegno39.

Questi zoo sono la prova più evidente del divario tra discorso e pratica della République, ai tempi della costruzione degli imperi coloniali,

Al di là del suo significato etimologico principale (mettere degli uomini, come delle bestie, in spazi riservati agli animali, principalmente zoo e "circhi itineranti"per essere mostrati al pubblico), l'espressione [zoo umani] permette anche una definizione più propriamente sociologica di questo tipo di esibizione. In realtà, mettere un uomo in uno spazio specifico ricostituito affinché sia visto non per ciò che "fa" (l'artigiano, ad esempio), ma per ciò che "è" (attraverso la lente deformante di una alterità reale o presunta), costituisce a nostro avviso la definizione più precisa degli zoo umani40.

Già nell'esposizione universale parigina del 1889 - quella della Tour Eiffel -, vi era un village nègre e 400 comparse indigene tra le attrazioni principali. Ma il primo grande esempio di propaganda del dopoguerra e la prima grande esposizione coloniale francese fu quella di Marsiglia del 1922. Non assumendo le precedenti forme di bazar o di spettacolo esotico, la

38 Ivi, p. 52. 39 Ivi, p. 57. 40 Ivi, p. 185.

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sua struttura e il suo contenuto rispondevano alle esigenze del discorso ufficiale, che voleva attrarre per la sua serietà e per la qualità della documentazione offerta. La gestione e il controllo da parte dei funzionari dell'amministrazione coloniale inauguravano uno stadio più elaborato nell'esibizione dell'alterità41.

Ciò annunciava un altro evento, già previsto, ma a lungo rinviato: l'Esposizione parigina. Intervenendo subito dopo le celebrazioni per il centenario dell'Algeria francese, tenutesi tra il 1 Gennaio e il 30 Giugno, l'Esposizione internazionale coloniale del 1931 costituisce il punto più alto della propaganda imperiale in Francia. Grande investimento finanziario e psicologico, l'Esposizione proponeva “Le tour du monde en un jour!”.

Nella Guide officiel de l’Exposition, André Demaison ricorda ai visitatori l'obiettivo: « Vous êtes ici en dehors de la curiosité, parce que vous avez senti qu’aujourd’hui cette grande collectivité humaine qu’est la France a des horizons plus larges que ceux que vous avez été accoutumés à voir sur une carte de l’Europe »42.

Per questa impresa titanica, che si estendeva su centodieci ettari di terreno intorno al lago Daumesnil, nel bosco di Vincennes, è necessario prolungare la linea 8 della metropolitana, costruire il museo permanente delle colonie alla Porta Dorée, ricostruire in scala il tempio di Angkor Vat (5.000 metri quadrati e 55 metri di altezza) e la moschea di Djenné, realizzare padiglioni per ciascuna colonia e paese invitato, e immaginare un parco

41 Ivi, p. 128.

42 Bancel N., Blanchard P., Lemaire S., « 1931! Tous à l’Expo... », Le Monde Diplomatique, janvier 2001. Affiche Expo Marseille 1922.

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zoologico per accogliere gli animali dei luoghi lontani43.

Mutazione più perfetta dello zoo umano sotto l'apparenza di missione civilizzatrice, di buona coscienza coloniale e di apostolato repubblicano, l'Esposizione del 1931 non resta altro che l'immagine rovesciata della ferocia della stessa conquista coloniale.

La “cultura coloniale” dell'Impero

L'affiche che pubblicizzava l'evento del 1931 è significativa del messaggio che si voleva far passare: un'enorme Impero pacificato. Quattro visi, diverse sfumature di colore. E se il concetto di controllo non passasse, a ricordarcelo c'è la bandiera francese che sventola sul minareto, simbolo dell'islam, sullo sfondo. L'Impero è al di sopra delle culture, delle religioni44. Il colonialismo è anche questo, un'affaire d'image.

Attraverso le esibizioni, la stampa, le immagini e la letteratura si costruisce quel diritto a colonizzare cui l'Occidente non ha ancora rinunciato. Si crea una potente cultura coloniale, che travalica l'atto coloniale in senso stretto.

L'Agenzia generale delle colonie - creata nel 1919 dal Ministero delle colonie e divenuta Agenzia della Francia d'oltremare dal 1945 - controlla più dell'80% delle immagini provenienti dalle colonie francesi45. Parallelamente vengono costituite delle Agenzie

economiche delle colonie, rappresentanti i grandi gruppi dell'Impero (Africa Orientale Francese, Africa Equatoriale Francese, Madagascar, Togo, Camerun e Indocina), al fine di favorire gli scambi economici tra metropoli e colonie. Raccogliendo le informazioni delle Agenzie economiche e dei governi locali, l'Agenzia diffonde brochure e dépliant sui paesi e i prodotti coloniali; trasmette articoli da inserire sulla stampa; sovvenziona numeri speciali; propone conferenze; fornisce l'iconografia...

Vengono diffusi anche documenti e materiali utili all'insegnamento: corsi su prodotti coloniali, carte geografiche, riproduzioni di quadri coloniali, libri di lettura, quaderni, francobolli, figurine. Un immaginario semplicistico viene veicolato dai giochi per bambini: puzzle, soldatini, gioco dell'oca favoriscono la scoperta del mondo coloniale e permettono la familiarizzazione con esso. I fumetti prendono l'Africa coloniale come sfondo di molte avventure, mettendo in scena personaggi stereotipati come il cacciatore bianco e il suo servitore indigeno46.

Tra il 1880 e il 1914 sono realizzate diverse migliaia di cartoline postali, raffiguranti

43 Bancel N., Blanchard P., De l'indigène à l'immigré, Découverte Gallimard, Luçon, 1998, p. 39. 44 Considerazioni tratte dall'intervista a Nicolas Bancel in Les trois couleurs de l’Empire (2001), cit. 45 Bancel N., Blanchard P. (1998), p. 31.

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indigeni fotografato o disegnati nell'ottica di accentuare le diversità fisiche, fino a renderle inquietanti, quasi mostruose47. Le caratteristiche, distorte dalle caricature, sono associate

all'idea di inferiorità e sottolineano spesso l' “evidente” incapacità di integrazione di questi popoli.

Neanche la Prima Guerra Mondiale modificherà realmente l'immagine dei popoli dominati. Nonostante il reclutamento di Algerini, Tunisini e Marocchini costituisca circa il 50% dell'effettivo delle truppe coloniali e una delle chiavi della vittoria francese del 1918 - le truppe d'Africa vengono riservate all'assalto e subiscono enormi perdite -, se ne approfitterà per mettere in luce esclusivamente la capacità assimilatrice della République. Essi restano percepiti come un pericolo per la coesione dell'esercito e per l'unità dell'Impero, a causa del nazionalismo nascente in Africa, dell'islam e sopratutto dello stereotipo persistente dell' “Arabo”48.

E' possibile individuare alcune fasi nella percezione e diffusione delle immagini dell'Altro, utili a delineare, di pari passo, i cambiamenti della società francese rispetto alla questione coloniale. Il primo approccio consiste nell'invenzione dell'indigeno, supportata dall'affermazione scientifica del concetto di “razza”, per offrire legittimità ideologica alle imprese coloniali. Dopo la visione differenzialista del periodo della conquista, l'iconografia coloniale rappresenta tutte le popolazioni dell'Impero attraverso quello che possiamo chiamare il “paradigma dell'indigeno”. Al di là delle classificazioni razziali e culturali, egli è innanzitutto soggetto dell'Impero.

Questa evoluzione è sintomatica del discorso coloniale francese, diviso tra concezioni politiche contraddittorie, quali i valori universali e le idee nazionaliste. Si accetta l'assimilazione territoriale ma resta una forte linea divisoria tra l'Altro colonizzato e il modello di repubblicano, bianco, europeo, francese, cattolico49.

47 Ivi, p. 21. 48 Ivi, p. 29. 49 Ivi, p. 33.

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Dall'indigeno all'immigrato: tra necessità e rifiuto

Alla prima ondata migratoria, tra il 1920 e il 1930, il mito dell'indigeno si consolida nelle coscienze e nella pratica politica, tutto l'immaginario sull'immigrazione non desiderata è già intimamente legato a quello sulle popolazioni coloniali. La stampa populista o nazionalista accusa “lo straniero” e denuncia l'invasione degli “indesiderabili”, dei meteci50, dei bicots

(spregiativo di magrebini), dei bamboula (spregiativo di negri)51...

Il governo francese tenta di controllare queste popolazioni attraverso diverse strutture: la Moschea di Parigi (inaugurata nel 1926), l'ospedale franco-musulmano di Bobigny (1935) e il Servizio Affari indigeni nord-africani, dei quali parleremo meglio in seguito.

La xenofobia dilagante coesiste con una fascinazione sempre più grande per l'arte africana e con Joséphine Baker (nell'affiche sopra) prende vita il mito della “Venere nera”. E' la prima volta che un “indigeno” occupa tale posto nell'universo grafico francese.

Nel 1936, l'arrivo del Fronte popolare al potere sembra annunciare una rottura nella politica coloniale, ma di fatto la priorità politica è rivolta alla lotta contro il fascismo in Europa e in campo coloniale viene mantenuto lo statu quo. La destra francese ne approfitta comunque per legare al tema coloniale la propria propaganda anticomunista (vedi manifesto sopra).

Con il regime di Vichy la politica coloniale viene profondamente modificata (abrogazione Decreto Crémieux, separazione delle “razze” sui mezzi pubblici di trasporto,

50 Nell'Atene classica, i meteci erano lavoratori e commercianti stranieri, ammessi come residenti ma privi di

diritti politici e soggetti al pagamento di particolari imposte.

51 Bancel N., Blanchard P. (1998), p. 52. Affiche Joséphine Baker.

Fonte: Bancel N., Blanchard P. (1998).

Manifesto anticomunista del 1930.

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emanazione di più di 200 leggi e decreti...); le Agenzie economiche sono riunite in un solo organismo nel 1941; si rilancia la propaganda ufficiale in favore della salvaguardia dell'Impero, che per il regime di Vichy rappresentava la speranza di conservare un ruolo di grande potenza, malgrado la sconfitta, e che resterà elemento centrale nelle negoziazioni con le truppe di occupazione.

Come nel 1914, la Francia trova nell'Impero i suoi combattenti: saranno 200.000 a venire dall'AOF, dall'AEF e dal Madagascar, 320.000 dall'Africa del Nord. La propaganda ha avuto, anche in questo caso, un ruolo fondamentale.

Durante il periodo di Vichy si assisterà inoltre alla Settimana della Francia d'oltremare, 15-21 Luglio 1941; alla Quinzaine impériale e ai Jeux de l’Empire nel 1942; all'esposizione delle colonie dal 1941 al Luglio 1944.

L'immagine delle popolazioni indigene veicolata è complessa: da un lato il regime glorifica l'unione delle “razze”, al fine di conservare l'unità dell'Impero; dall'altro, si mette esplicitamente in atto una politica segregazionista che si appoggia sull'élite locale.

Il documento più rappresentativo di tale ideologia e che fornirà alla Repubblica coloniale il suo più grande slogan è quello promosso nel 1941 dal Segretariato delle Colonie: “Trois couleurs, un drapeau, un Empire” (vedi immagine).

Fonte: Bancel N., Blanchard P. (1998).

Quinzaine impériale 1942.

Fonte: Bancel N., Blanchard P. (1998).

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Il numero tre è la chiave della composizione: lo slogan imperiale è distribuito su tre linee, al centro i tre personaggi e, in alto, i tre colori nazionali. La bandiera che sventola proietta i suoi colori su tutto il manifesto e sui i tre visi dell'Impero - ossia il Magreb, l'Indocina e l'Africa -, rivolti verso destra, ovvero verso il futuro. Il loro allineamento esprime l'uguaglianza, la convergenza degli sguardi traduce l'unione. L'uomo bianco è assente semplicemente perché di natura superiore, dunque non rappresentabile sullo stesso piano52.

La Seconda Guerra mondiale marca una rottura storica: l'anticolonialismo dichiarato di Stati Uniti e Urss, la tribuna offerta dall'Organizzazione delle Nazioni Unite ai paesi di recente indipendenza, come l'India e l'Indonesia, il rafforzamento dei partiti nazionalisti in tutte le colonie francesi, sono i segni del declino del sistema coloniale. Nuove immagini dell'Impero e delle sue popolazioni sono diffuse. Dopo la scoperta dei campi di concentramento e la sconfitta del regime hitleriano, i discorsi e le immagini esplicitamente inegualitari sono respinti nell'inconscio della cultura europea. Se immagini paternalistiche o sprezzanti persistono, specialmente nelle pubblicazioni per bambini e nella pubblicità, le immagini ufficiali abbandonano ogni referenza razziale53.

Il discorso coloniale diviene di autogiustificazione, inseguendo il mito dell'assimilazione riuscita, e la propaganda esalta i progressi economici e sociali, dei quali i colonizzati sarebbero i principali beneficiari. L'Agenzia economica della Francia d'Oltremare persegue la propaganda mettendo all'attenzione del pubblico l'opera economica del colonialismo, attraverso pubblicazioni ufficiali e semi-ufficiali sotto il suo controllo. Nelle colonie, i centri culturali (170 sono costruiti tra il 1954 e il 1957) accolgono le esposizioni dell'Agenzia. Ogni ponte, ogni strada, ogni ospedale, ogni scuola è fotografata e descritta; al contrario, i conflitti coloniali vengono censurati o comunque sono poco presenti nelle pubblicazioni. In Algeria, le giornate che seguono l'armistizio del Maggio 1945 sono marcate dalla brutale repressione delle rivolte di Sétif e di Guelma, ma l'opinione pubblica francese resta molto poco informata54. Pesanti silenzi anche sui rastrellamenti contro il Rassemblement démocratique 52 Bancel N., Blanchard P. (1998), p. 54.

53 Ivi, p. 62.

54 Si veda S.M. Barkat (2005), per un'analisi del corpo del colonizzato come corps d'exception, che permette di

rendere conto della violenza di cui esso è stato oggetto in tali massacri. Fonte: Bancel N., Blanchard P. (1998).

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africain (RDA) in Congo tra il 1950 e il 1956, e sulla repressione in Camerun del 1955. La Liberazione è comunque un momento di svolta, essa rende evidente la necessità di ripensare la politica coloniale, seppur con molti limiti. Alla Conferenza di Brazzaville, nel 1944, De Gaulle traccia prospettive riformiste: non si parla d'indipendenza, né di autonomia, come stipula il preambolo delle raccomandazione della Conferenza, ma semplicemente di attuare una politica di partecipazione dei colonizzati alle istituzioni locali e dunque alla vita politica. Il principio del voto separato di coloni e colonizzati viene mantenuto, nonostante l'accesso alle responsabilità locali sia esteso grazie alla possibilità di partecipazione di eletti autoctoni alle assemblee territoriali.

L'indigeno resta dunque un cittadino di seconda categoria, ma la gerarchizzazione non riposa più sulla diseguaglianza razziale, bensì sull'organizzazione economica, sul possesso di tecnica e capitale. L'Unione francese, della quale la Conferenza pone le fondamenta, non è altro che un “rimpiazzo” delle precedenti istituzioni coloniali, mantenendo intatto il rapporto di dominazione tra Europei e colonizzati.

La forte crescita economica, che fa seguito alla guerra, obbliga la metropoli a fare appello agli immigrés de l'Empire, che accorrono numerosi, portando al passaggio dalla figura dominante dell'indigeno a quella dell'immigrato55.

La presenza della nuova manodopera è indubbiamente percepita come provvisoria e accanto alla tradizionale xenofobia anti-immigrati, si assiste a una reazione di rigetto nuova, che prende forza dai pregiudizi anti-Arabi, da sempre aleggianti e risorti con vigore con la Guerra d'Algeria. E' perlopiù immediato il passaggio diretto di “bagaglio coloniale” dal soggetto indigeno dell'Impero al soggetto sfruttato e marginalizzato nella metropoli.

Gli immigrati non possono e non devono far parte della nazione, il loro ruolo deve limitarsi a partecipare allo sviluppo economico della nazione. Questo è il pensiero dominante. Essi di conseguenza non appaiono praticamente mai nelle immagini, dandoci prova, con l'assenza, della mancanza di prospettive a lungo termine che sono loro offerte in Francia.

La visibilità della Guerra d'Algeria è invece, contro ogni ipotesi, molto vasta: la Guerra d'Indocina aveva toccato poco i francesi, mobilitati attorno alla ricostruzione, e la diffusione di immagini fu debole e controllata dalla censura governativa.

La realtà del conflitto algerino viene mostrata da molti giornali, seppur sostenitori della politica francese, e finisce per toccare il territorio della metropoli con gli attentati

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dell'OAS56. Nonostante ciò e la conseguente mobilitazione contro le torture perpetrate

dall'esercito francese in Algeria, il clima di rigetto non si attenua; il punto culminante sarà raggiunto il 17 Ottobre 1961, quando, nel corso di una manifestazione a Parigi, la polizia uccide decine - centinaia, secondo alcuni - di algerini pro FLN.

Il lavoratore immigrato è dunque, incontestabilmente, l'ex colonizzato, ma la sua presenza, le condizioni di vita, non saranno sentite come una questione fondamentale da affrontare fino agli anni '70. Quest'ultimo, percepito come esterno alla comunità nazionale, non è visibile neanche nello spazio urbano, dal quale è relegato ai margini, in attesa di ripartire verso il paese d'origine quando la metropoli lo vorrà.

Nel corso degli anni '70 la sindacalizzazione di una parte degli immigrati e la loro partecipazione ai movimenti di sciopero li renderà anche “nemici di classe”, definizione che si va ad aggiungere agli stereotipi coloniali descritti. Questo passaggio fa tuttavia accedere il migrante alla vita nazionale, in quanto egli rivendica qualcosa.

Il movimento antirazzista che si creerà sarà affiancato da un forte umanitarismo e si reggerà su discorsi essenzialmente etici per opporsi alle tesi razziste del Front National. Questo lo renderà vittima dell'incomprensione della natura storica delle rappresentazioni degli immigrati ex-colonizzati, senza accennare ai paesi d'origine di queste popolazioni, dei quali i militanti del movimento ignorano pressoché tutto57.

La volontà di dimenticare questo pezzo di storia è evidente, dopo più di trent'anni, nello spazio ridotto accordato al colonialismo nei manuali scolastici, l'assenza di grandi documentari – eccetto sui momenti epici di crisi di Indocina e Algeria – e più generalmente per l'assenza di una riflessione collettiva sulla questione. La percezione delle popolazioni dell'ex Impero continua a essere profondamente intrisa di archetipi coloniali.

Le immagini, che per più di un secolo hanno disegnato l'immaginario sull'Altro, non sono state decostruite, perché la Francia non ha ancora riaperto questa pagina di storia58.

Negli ultimi anni i dibattiti invadono lo spazio pubblico, ma

cette apparition sur le devant de la scène de la « question coloniale » et de son inévitable corollaire, la question postcoloniale [...], n'est pas un accident, un hasard, mais bien le symptôme d'un « retour du refoulé » : la longue occultation

56 L'Organisation de l'armée secrète era una organizzazione clandestina francese, creata nel 1961 con l'obiettivo di

promuovere il mantenimento della presenza coloniale francese in Algeria. La sigla OAS comparve sui muri di Algeri il 16 Marzo 1961; l'emblema era la croce celtica e lo slogan L'Algérie française. Perpetrò sia in Francia che in Algeria numerosissimi attentati e assassinii: tra il maggio 1961 e il settembre 1962, l’OAS aveva ucciso 2.700 persone, di cui 2.400 Algerini.

57 Pascal Blanchard e Nicolas Bancel si riferiscono, in questi toni, a movimenti antirazzisti quali il MRAP, il

GISTI, la LICRA e SOS-Racisme. Bancel N., Blanchard P. (1998), p. 85.

58 Cfr. Bancel N., Blanchard P., Lemaire S. (sous la direction de) (2005), La fracture coloniale. La société française

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de ce pan de l'histoire nationale explique le caractère désordonné et compulsif de son dévoilement, qui se déploie aujourd'hui dans la confrontation de mémoires concurrentes, chacune tentant d'imposer sa « part de vérité ». Mais ce ressac va bien au-delà de la concurrence des mémoires: l'histoire coloniale et les mémoires qui socialement la construisent touchent la France dans sa propre identité collective, remettant en question les manières dont est représentée notre histoire nationale; mais aussi, en partie, la mythologie de la supposée spécificité du « génie français », composé de valeurs révolutionnaires et de mission universelle, de droiture républicaine et de tolérance indifférencié à l'Autre, de « mission civilisatrice » et de peur de la différence59.

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