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Il tempo ritrovato Traduzione di Plain Jane MacAllister di Joan Elliott Pickart

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Academic year: 2021

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Il tempo ritrovato

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Prologo

Finalmente a casa, pensò Mark, appoggiando a terra la valigia pesante. Era finalmente tornato a Boston dopo aver vissuto e lavorato a Parigi per un anno, un anno che si era rivelato piuttosto lungo.

Il progetto di ricerca al quale l'avevano invitato a collaborare era stato appassionante, una vera sfida, e per lui parteciparvi era stato un grande onore. Il problema con il soggiorno parigino era stato che i preconcetti nutriti dalla maggior parte degli americani sulla città in questione si erano mostrati del tutto veri. Ovunque si girasse, gli sembrava di essere circondato da coppiette innamoratissime.

Magari era così anche a Boston, ma di certo lui non se n'era mai accorto. Probabilmente lo stato mentale con cui era partito per Parigi l'aveva reso più suscettibile alle smancerie amorose che si vedevano ovunque. E con suo sommo disgusto, si era anche ritrovato a essere riportato al tempo in cui un dolce sorriso e dei brillanti occhi marroni gli avevano rubato il cuore e l'innocenza della sua gioventù.

Avevano progettato un futuro insieme, un “per sempre”, parlando per ore della casa che avrebbero condiviso, dei bambini che avrebbero avuto, della felicità finché morte non li avesse separati.

Ma nessuno di questi sogni era stato vero... almeno, non per lei.

Gli aveva frantumato il cuore, lasciandolo stordito, amareggiato e ben deciso a non innamorarsi mai più.

Si era convinto di aver affrontato quei fantasmi dolorosi con successo, di non ricordarsi più ormai né di lei, né di quel che gli aveva fatto. Ma, circondato da

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schiere di coppiette felici per le strade parigine, i vecchi ricordi lo avevano sommerso, facendogli capire che in realtà non l'aveva mai né dimenticata né perdonata.

Attraversò il soggiorno ed entrò in cucina. Durante la sua assenza aveva affittato l'appartamento all'amico e collega Eric, che gli aveva lasciato qualcosa da mangiare in frigo e, in un angolo della cucina, delle riviste e pubblicità arrivate per posta.

Mark si mise a strapazzare quattro uova in padella, aggiungendo formaggio e pancetta, e inspirò l'aroma delizioso; poi corrugò la fronte, mettendo le uova su un piatto e appoggiandolo al tavolo di cucina. Si versò un bicchiere di latte, si sedette e finalmente cominciò a mangiare.

Eh sì, pensò, dopo un pasto caldo e nutriente e una bella dormita si sarebbe risvegliato di nuovo il buon vecchio dottor Mark Maxwell che aveva lasciato Boston un anno prima.

Così fissava il vuoto, mangiando sovrappensiero. Il buon vecchio dottor Mark Maxwell, si ripeté.

Il dottor Mark Maxwell, che per quattordici anni non si era lasciato coinvolgere in nessun tipo di relazione seria con una donna.

Il dottor Mark Maxwell, che si era immerso nel lavoro, e che all'età di soli trentadue anni era un ragazzo prodigio nel campo della ricerca medica.

Il dottor Mark Maxwell, che era tanto solo a Boston come lo era stato a Parigi, sebbene fino a questo momento non l'avesse mai ammesso neanche a se stesso.

«Oh, accidenti» disse ad alta voce. Era talmente sfinito da sentirsi vulnerabile da un punto di vista sia emotivo che mentale. Sembrava non essere in grado di riconoscere che non aveva mai trovato il tempo per dedicarsi a una relazione con una donna perché si era focalizzato soltanto sulla carriera.

Le speranze professionali erano diventate una realtà oltre i suoi sogni. Ma emotivamente? Era costretto ad accettare ciò che non poteva più negare: sotto sotto era ancora un ragazzino diciottenne, ferito e inesperto, disincantato, amareggiato e incavolato nero.

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«Fantastico, davvero» sbottò Mark, scuotendo la testa con disgusto. «E ora che fai, Maxwell? Come pensi di liberarti di questo fantasma?»

Non ne aveva idea. Ma ce l'avrebbe fatta, accidentaccio, una volta che si fosse ristorato con una bella dormita, perché non aveva nessuna intenzione di trascorrere il resto della vita da solo per colpa sua. Nessunissima.

«Ne riparliamo più tardi» si disse, alzandosi in piedi. «Altroché, se ne riparliamo. Ma per ora non ci penso più perché non ho proprio la testa.»

Si avvicinò allo scatolone delle riviste, afferrò la prima della pila e guardò la copertina.

«Across the USA» lesse, rimettendosi a sedere e cominciando a sfogliarla.

Mentre finiva le uova, Mark girò una pagina e, fissando il titolo di un articolo, si irrigidì improvvisamente.

«Ventura, California: Due concittadine sposano cugini regali in una favola diventata realtà» lesse a voce alta.

Quasi gli si fermò il cuore nel vedere l'immagine a colori di una folla di gente identificata nella didascalia come le due famiglie, quella reale dell'Isola di Wilshire e quella di Ventura, California.

Ed eccola lì.

Si trovava dietro alle due coppie appena sposate. Era lei.

Lo sguardo inchiodato alla fotografia, Mark si alzò così di scatto che non sentì neanche il rumore della sedia che cadeva a terra.

Una cosa assurda, veramente inquietante, pensò in preda al panico. Era in pieno conflitto emotivo per colpa di quella donna ed ecco che se la ritrovava davanti in foto?

Riprenditi, Mark, si disse, accasciandosi sulla sedia che nel frattempo aveva rimesso a posto. Forse non era assurdo. Forse era... sì, un segno, un'indicazione che l'unico modo per liberarsi davvero di lei era rivederla un'ultima volta, mettere per sempre una pietra su quel che era successo così tanto tempo prima. E finalmente avrebbe potuto superare la cosa, trovare l'anima gemella, riempirsi la

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vita di amore e gioia, avere una casa, dei figli… e dimenticarsi del gelo della solitudine che lo consumava.

Ci avrebbe dormito su, pensò. Ma se anche al suo risveglio l'idea gli fosse sembrata ancora così convincente, se ne sarebbe tornato a Ventura, diamine. Avrebbe attraversato gli Stati Uniti per riprendersi il cuore, visto che lei era riuscita, in qualche modo, a tenerselo per tutti questi anni.

Mark riprese in mano la rivista e si concentrò sulla foto, guardando il sorriso che conosceva così bene, i capelli castano scuro e gli occhioni marroni e le labbra... ah, quelle labbra che sapevano d'ambrosia.

Accidenti, com'era bella, pensò. Ormai era una donna matura, non più una ragazza di diciassette anni. Negli anni aveva messo su qualche chilo, ma stava bene e... ed era così bella e...

Sbatté nuovamente la rivista sul tavolo e puntò un dito contro il viso sorridente della donna.

«Stai per ricevere una visita» disse con voce un po' brusca. «Preparati alla resa dei conti, Emily MacAllister.»

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«Nonna» gridò Emily dalla cucina luminosa. «Ti ho portato i fiori come avevo promesso, e sono veramente belli. Puoi supervisionare dal patio mentre li pianto. Nonna?»

«Sono in soggiorno, cara» rispose Margaret MacAllister.

Emily entrò in soggiorno dalla sala da pranzo più formale, con un sorriso affettuoso per l'adorata nonna stampato sul viso.

Poi si fermò di colpo, sentendosi sbiancare in volto mentre il cuore cominciava a galoppare all'impazzata.

In quel breve, brevissimo istante, fissando l'uomo alto e slanciato che si era alzato in piedi al suo ingresso, il suo mondo - tutto ciò che conosceva - cessò di esistere.

Non aveva trentun anni ma diciotto.

Non era una donna grassoccia con le guance paffute e un accenno di doppio mento; era una teenager snella e dal fisico invidiabile.

Non era vestita come una barbona; indossava jeans firmati all'ultima moda, con la marca cucita sulla tasca del fondoschiena sodo.

Emily fu scossa da un improvviso capogiro, e si aggrappò a una poltrona mentre la stanza le girava intorno.

Tutto questo non stava succedendo, pensò in preda al panico. Era solo un incubo, e fra poco si sarebbe svegliata per iniziare la sua giornata come al solito.

Mark Maxwell non si trovava, non poteva trovarsi dall'altra parte della stanza con un'espressione indecifrabile sul viso. No.

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tornato a trovarci dopo tutti questi anni.»

Non... è... vero, pensò Emily. Ma perché non suonava la sveglia?? No, no, no, Mark Maxwell non è qui.

«Ciao, Emily» disse Mark a voce bassa.

E invece sì, pensò lei, portandosi una mano alla fronte. Ma non era il Mark Maxwell secco, mingherlino, teneramente ridicolo di una volta. Proprio no. Questo Mark era alto almeno un metro e ottanta, con i lineamenti marcati e affascinanti, le spalle larghe e con addosso pantaloni scuri fatti su misura.

Dov'era finito l'adorabile portapenne da taschino in plastica sempre stracolmo? E il ciuffo ribelle fra i capelli castano scuro che formava quel ricciolino carinissimo? E le braccia, le gambe, i piedi enormi, troppo lunghi per il corpo ancora in crescita?

«Emily?» disse Margaret. «Non saluti neanche? Mi rendo conto che il modo in cui vi siete lasciati è stato, ecco, poco chiaro per tutti noi, ma suvvia, sono passati tanti anni. Storia vecchia ormai. Anzi, preistoria, come direbbero i giovani. E non salutare è piuttosto maleducato.»

«Ah.» Emily, che fino a quel momento non si era accorta di aver smesso di respirare, riprese fiato. «Scusate. Ecco... sì. Ciao... Mark.» Il suo sguardo si fece sospettoso. «Cosa diavolo ci fai qui?»

«Per l'amor del cielo, Emily» disse Margaret. «Come ti viene in mente di essere così scortese?»

«Non fa niente, Margaret. Sicuramente il mio arrivo imprevisto è stato un po' uno shock per lei.»

Emily. Il suo nome gli rimbombava nella testa. Eccola. Non riusciva quasi a credere di trovarsi lì, proprio di fronte a lei.

Ecco i liscissimi capelli scuri che aveva accarezzato così spesso; ora erano ondulati e le ricadevano appena sopra le spalle.

Ecco i classici occhi marroni dei MacAllister, che aveva visto brillare d'allegria, scurirsi per il desiderio, luccicare di lacrime quando era particolarmente felice oppure in preda alla tristezza.

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Era vestita come uno straccio ambulante, pesava di più, sembrava non essersi messa neanche un filo di trucco e si vedeva addirittura spuntare un dito dalle scarpe da tennis che cadevano a pezzi.

Oh, sì, era lei. Emily.

Ed era bellissima.

Voleva andare da lei, prenderla in braccio, baciarla come non aveva mai fatto e poi...

Altolà, Maxwell, pensò. Stavano parlando di Emily MacAllister, colei che ancora teneva in pugno il suo cuore. E lui, accidentaccio, era tornato a Ventura a riprenderselo.

«Mark è appena tornato da un anno a Parigi, Emily» disse Margaret. «Lì faceva parte di un prestigioso team di ricercatori medici. Mentre era via, la sua posizione a Boston è stata assegnata a un altro ricercatore, ma prima di decidere quale sarà il suo prossimo passo si sta prendendo una ben meritata vacanza, e ne ha approfittato per fermarsi a Ventura per salutarci. Non è gentile da parte sua?»

«Gentilissimo» borbottò Emily, accasciandosi poi sulla poltrona dal momento che le sue gambe tremanti minacciavano di cedere da un momento all'altro.

Mark si rimise a sedere sul divano e incrociò le gambe. Emily non riusciva a distogliere lo sguardo dai muscoli tesi che s'intravedevano sotto i pantaloni mentre eseguiva quel gesto tanto maschile. Sbatté le palpebre e si mise a fissare invece le unghie della mano come se fossero una cosa avvincentissima.

«Mi sono fermato a Ventura per un paio di ragioni» disse Mark. «Innanzitutto, Margaret, volevo scusarmi con te e Robert per non essere rimasto meglio in contatto con voi. Mandare un biglietto d'auguri a Natale non basta.

«Se non mi aveste accolto in casa l'ultimo anno del liceo, quando mio padre è morto in quell'incidente, chissà cosa mi sarebbe capitato con i servizi sociali o in una famiglia affidataria. Vi devo molto, e non credo di avervi mai veramente ringraziato abbastanza.»

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«E anche se avessimo avuto una sfera di cristallo per sapere cosa sarebbe successo fra te e...»

«Nonna» la interruppe Emily. «Non mi pare il caso di iniziare con i ricordi, no?» Guardò Mark. «Hai detto che ci sono un paio di motivi per cui sei tornato a Ventura?»

Mark annuì, ed Emily aspettò che continuasse. Un secondo, due, tre...

«Giochiamo a indovinello?» gli chiese alla fine, accigliata. «Hai intenzione di dirci cos'è quest'altra... missione?»

«Ogni cosa a suo tempo» cominciò Mark, e poi disse: «Margaret mi ha raccontato che hai una carriera molto stimolante, Emily, e che non lavori più da casa, che da poco ti sei trasferita in uno studio in centro.

«A quanto ho capito, svolgi ricerche storiche su vecchi edifici e case. Lo trovo affascinante. Margaret mi ha detto anche che fai un sacco di lavoro per conto della divisione restauro della MacAllister Architects, così possono ristrutturare vecchi edifici in modo da registrarli poi con la società storica. E non solo; a quanto pare la tua reputazione comincia a diffondersi per tutta la costa occidentale».

Emily fulminò la nonna con lo sguardo. «Magari gli hai detto anche quante volte al giorno mi lavo i denti, nonna?»

Margaret si mise a ridere. «Non essere sciocca. Mark mi ha chiesto come stavi, cosa facevi, e gliel'ho detto. Le nonne orgogliose hanno il diritto di vantarsi. Fa parte del mestiere. Eravamo già passati all'argomento eccitante dei matrimoni di Maggie e Alice e della loro nuova vita sull'Isola di Wilshire.»

«Ottima idea» disse Emily. «Un paio di matrimoni reali sono proprio quello che ci vuole per ravvivare un po' il tran tran quotidiano.

«Si è sposata anche Jessica, sai, Mark? Ora è un avvocato di successo, innamoratissima di un detective di nome Daniel, e sposandolo ha anche acquistato un'adorabile bambina, Tessa. Ultimamente noi MacAllister abbiamo avuto parecchi matrimoni, e...»

«Ma tu non ti sei mai sposata?» la interruppe Mark a voce bassa, guardandola dritto negli occhi.

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«Io?» chiese Emily, una mano sul petto. «Santo cielo, no. Quando ero giovane e immatura, una ragazzina ingenua, pensavo di volere quello stile di vita, ma poi all'improvviso ho capito che non faceva per me e...»

Scrollò le spalle. «Be', tutto questo lo sai perché siamo stati inseparabili da quando ti sei trasferito a Ventura a quando sei partito alla ricerca di ricchezze e gloria a Boston, e... be', che sciocchi che eravamo, così sicuri che fosse vero am... Eravamo così giovani e sciocchi, vero, Mark? Oh, sì. E ora basta con quest'argomento.»

Bastava, pensò Mark, a ferirlo profondamente, sentire nelle parole di Emily l'eco di ciò che aveva scritto in quella lettera che gli aveva mandato a Boston così tanti anni fa.

All'epoca il suo primo impulso era stato di riprendere un aereo per Ventura, per confrontarla, sentirsi ripetere in faccia il contenuto della lettera. Ma non aveva praticamente un centesimo, figuriamoci i soldi per un biglietto aereo. E poi da quell'orribile, maledetta lettera si capiva che Emily non voleva più saperne di lui, e quindi a cosa sarebbe servito?

E adesso si trovava qui, nella stessa stanza, oltre dodici anni più tardi, a sentirsi dire tutte quelle cose in faccia. E faceva ancora male. Dio, quanto faceva male.

Be', aveva ottimizzato i tempi, no? Non appena aveva incontrato Emily, il primo giorno di ritorno a Ventura, lei gli aveva fatto capire chiaro e tondo che poteva benissimo riprendersi il suo cuore, che le era indifferente.

Eppure... quello che gli aveva detto suonava un po' strano. Come se avessero deciso di comune accordo che ciò che li legava non era vero amore – ma le cose non erano assolutamente andate così.

Lui era partito per Boston giurando di mandarla a chiamare non appena avesse trovato il modo di mantenerla mentre faceva l'università grazie alla borsa di studio che aveva vinto. Ed Emily a sua volta aveva promesso di aspettarlo per tutto il tempo necessario, ma un mese più tardi gli aveva scritto quella lettera sconvolgente, e...

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«Sono venuto a scavare come da richiesta.» Emily balzò in piedi, gli occhi sgranati.

«Ah, no. Oggi niente giardinaggio. Scusa, nonna, ho un mal di testa spaventoso, quindi rimandiamo a domani. Vado a dirlo a... Ciao, Mark, goditi la vacanza, e...»

In quel momento entrò in soggiorno un ragazzo adolescente. «Oh, no» sussurrò Emily. «Oddio...»

«Ciao» disse il ragazzo. «Non mi avete sentito? Ho visto il tuo messaggio quando sono tornato dalla piscina, mamma, e allora ho preso la bici e sono venuto subito. Ciao, Bis. Dai che ci mettiamo a scavare un po' di terra e a piantare un po' di piante, forza, al lavoro.» Finalmente si accorse dello sconosciuto che si stava alzando in piedi. «Oh, ciao. Scusatemi. Non sapevo ci fosse un ospite.» Lanciò un'occhiata interrogativa alla madre.

«Sì, be'» disse Emily, che faticava a respirare, «Io, ecco... Mark, ti presento mio...» fece un respiro affannoso «mio... figlio, Trevor. Trevor MacAllister. Trevor, saluta il dottor Mark Maxwell. È un vecchio... compagno di scuola.»

«Fico» disse Trevor, annuendo. «Piacere.»

«Tu sei... il figlio di Emily?» chiese Mark, fissando Trevor, con una voce che suonava strana persino a lui.

«Esatto. La sua prole di livello superiore. Noti come sono già più alto di lei. Fico, eh?»

«Fichissimo» rispose Mark. «Senti, Trevor... quanti anni hai?» No! Non rispondere! pensò Emily, avvicinandosi a Trevor. «Sì, è arrivato il momento» sussurrò Margaret tra sé e sé.

«Ho dodici anni, quasi tredici» disse Trevor. «Anzi, diciamo tredici. Sto per diventare un teenager vero e proprio.»

Un teenager che era tale e quale era stato Mark stesso a quell'età, pensò l'uomo, sconcertato. Uno spilungone con i piedi enormi, le braccia e le gambe sproporzionate al corpo non ancora sviluppato, occhi marroni, capelli castano scuro con un ciuffo ribelle che gli si arricciava in testa.

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metteva in dubbio, certo che no, ma porca miseria, era molto più che il figlio di Emily.

Non aveva alcun dubbio.

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Quella sera, poco dopo le dieci, Emily, guardandosi allo specchio a figura intera montato sul retro della porta di camera sua, fece un sospiro profondo.

Cicciona, pensò mestamente. I jeans e la blusa che portava la facevano sembrare un ippopotamo con tanto di guance grassocce.

Nonostante i capelli appena lavati e un leggero strato di trucco che le accentuava gli occhi MacAllister, niente poteva nascondere o cambiare il fatto che pesava una decina di chili di troppo.

Era stata così fiera di sé per i quindici chili che aveva già perso negli ultimi mesi, ma stasera i dieci che ancora doveva perdere le appesantivano tantissimo cosce, pancia e fondoschiena, per non parlare del viso a forma di luna piena.

«Bleah» disse Emily, tirando un colpo all'interruttore e uscendo di camera. Vagò per il corridoio e finì nel piccolo salotto, notando che non si sentiva più lo stereo di Trevor e che aveva spento la luce di camera sua.

E Mark avrebbe bussato alla porta da un momento all'altro, pensò, lasciandosi affondare nel divano. Non serviva essere un'indovina per capire che sarebbe comparso non appena si fosse assicurato che Trevor... che suo figlio... fosse andato a letto.

Ricordandosi l'espressione di Mark quando aveva visto Trevor quel pomeriggio – una copia carbone di se stesso da ragazzo spilungone – Emily rabbrividì. Stringendosi in se stessa si piegò in avanti, rasente il bordo del cuscino.

Provava una sensazione davvero strana, come se fosse al di fuori di sé, osservando lo spiegarsi scena per scena di uno spettacolo teatrale senza avere idea di come sarebbe andato a finire.

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L'inizio della storia aveva come protagonisti una bella ragazza esile ed elegante e un adolescente un po' sfigato. Erano innamorati persi e insieme avevano generato un figlio, un bambino di cui l'eroe ignorava l'esistenza.

Avanti fino al presente, atto secondo. L'eroe adesso era un medico ricercatore rinomato a livello internazionale, mentre l'eroina si era trasformata in una donna sovrappeso e poco attraente, che si sforzava di mantenere quel minimo di autostima che aveva lottato disperatamente per ottenere.

E per quanto riguardava il fatto di essere “innamorati persi”?

Una parte del suo cuore sarebbe sempre appartenuto al Mark Maxwell che aveva lasciato Ventura per seguire i suoi sogni.

Quel Mark che era stato così determinato a ottenere il successo professionale per poterla mantenere nel modo che riteneva necessario, visto che era cresciuta in una famiglia piuttosto benestante.

Quel Mark che non le aveva creduto quando aveva detto di non volere né una casa elegante né tanti beni materiali, che voleva solo essere sua moglie, nel bene e nel male, in ricchezza e in povertà.

Già, rifletté Emily. Quel Mark Maxwell non aveva mai smesso di amarlo, non del tutto.

Ma il dottor Mark Maxwell sul palco nell'atto secondo? Non sapeva neanche come parlare con uomini del genere... era così bello, con un fisico mozzafiato; trasudava disinvoltura e successo, poteva avere qualunque donna volesse. Un uomo così non avrebbe mai degnato di uno sguardo una cicciottella come lei.

Innamorati persi? Come no. Probabilmente il Mark che stava per bussarle alla porta la odiava con un'intensità pari alla passione con cui un tempo l'aveva amata.

Qualcuno bussò piano alla porta ed Emily sussultò.

«Mark ha letto il copione» si disse, sentendo l'accenno d’isterismo nella voce. «Ora arrivano la scenata, le parole dure, le accuse, e...»

Bussarono di nuovo.

Emily chiuse brevemente gli occhi, inspirò a fondo e poi si diresse verso la porta, parlando già mentre la apriva.

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«Ciao, Mark» disse, discostandosi per farlo entrare. «Ti aspettavo.»

«Immagino» le rispose in modo brusco, entrando in casa e poi girandosi a guardarla mentre chiudeva la porta. «Sono rimasto qua fuori in macchina finché non si è spenta quella che immaginavo fosse la luce di Trevor, poi ho aspettato altri venti minuti per assicurarmi che dormisse. Mio figlio sta dormendo, vero?

Emily annuì, all'improvviso così sfinita che le costò fatica attraversare la stanza e sedersi in poltrona. Mark si mise sul sofà e la fissò, torvo. Trascorsero vari secondi in silenzio, e l'aria si fece pesante. Emily respirava di nuovo a fatica.

«Una domanda» disse Mark alla fine. «Ti faccio una domanda sola, Emily. Perché? Perché mi hai nascosto il fatto che ho un figlio? Perché pensavi di avere il diritto di fare una cosa del genere?»

Perché ti amavo più di quanto non amassi me stessa, pensò Emily, agitatissima. Perché ero così giovane, così spaventata, quando ho scoperto di essere incinta, avevo bisogno di te ma temevo che avresti rinunciato ai tuoi sogni per fare la cosa giusta – sposarmi, occuparti di nostro figlio... avresti perso tutto ciò per cui avevi lavorato per colpa mia, e avresti finito per odiarmi.

«Pensavo fosse la cosa migliore per tutti» rispose in tono calmo. «Tra noi era tutto finito, e...»

«Eh no, aspetta un attimo» la interruppe Mark, alzando una mano. «Ci hai già provato oggi da tua nonna con questa storia. Parli come se avessimo deciso di comune accordo di lasciarci. Non è andata così e lo sai benissimo, Emily.

«Ma è quello che ha pensato la tua famiglia in tutti questi anni, non è vero? Che ci siamo lasciati prima che partissi? Glielo hai detto per evitare che mi inseguissero in puro stile MacAllister per far sì che ti sposassi, o no?»

«Sì» rispose lei, alzando il mento. «Mio padre ti avrebbe riportato qui anche con la forza, se fosse stato necessario, ma gli ho detto che... che non ci amavamo più, che era tutto finito tra noi.»

«Hai mentito» disse Mark, socchiudendo gli occhi. «Perché?»

«Non era proprio una bugia. Te l'ho scritto nella lettera, Mark. Ti ho scritto che ero troppo giovane per capire cosa fosse davvero l'amore. Stare lontana da te mi

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aveva fatto scendere dalle nuvole e ammettere che... che era meglio finirla, e... «... ed è vero che ho detto ai miei che anche per te era lo stesso, ma... ecco, non puoi capire cosa stavo passando, Mark. Proprio non puoi.»

Non sopportavo l'idea che tu finissi per odiarmi, Mark, non capisci? proseguì tra sé e sé. Avevo solo te e ti amavo così tanto; mi facevi sentire speciale, importante, bella, amata. Il tuo odio mi avrebbe distrutta.

Non sono mai stata sicura di me come Jessica, non avevo la sua disinvoltura, la sua capacità di fare amicizia semplicemente rimanendo se stessa. E non ho mai avuto il coraggio di essere una ribelle, un'originale come Trip... cioè, Alice. Ero solo Emily, la più tranquilla delle tre gemelle MacAllister, quella sorridente, placida, che voleva solo accontentare tutti in modo da essere accettata da loro, e poi... e poi sei arrivato tu, Mark, e mi amavi, proprio me, e...

«Se ora non fossi tornato a Ventura» disse Mark, riportandola bruscamente al presente «non avrei mai saputo di avere un figlio, non è così? Ma porca miseria, Emily MacAllister, non avevi alcun diritto di nascondermi la sua esistenza.»

«Io...»

«Be', sai che c'è?» continuò Mark «adesso sono io a decidere. Ho pienamente intenzione di dire a mio figlio che sono suo padre. Mi sono perso i primi tredici anni della sua vita, ma d'ora in avanti le cose cambieranno.»

Emily si sentì gelare il sangue nelle vene.

«Oh, Mark, ti prego, non puoi farlo» disse, scuotendo la testa. «Non puoi spuntare dal nulla e dire a un dodicenne... è troppo piccolo per affrontare una cosa del genere, e poi, Mark... Trevor crede che amassi suo padre, che era un giovane meraviglioso e che ci saremmo sposati se... se non fosse... rimasto ucciso in un incidente automobilistico.»

Mark sentì uno strano ronzio nelle orecchie, come se fosse improvvisamente finito in mezzo a uno sciame d’api. Scosse leggermente il capo, cercando di placare il rumore, per poi accorgersi del battito furioso del cuore.

Non riusciva a credere alle proprie orecchie. Era morto? Emily l'aveva tranquillamente eliminato dalla faccia della terra con quelle poche parole ben

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scelte? Eh sì, Trevor, tuo padre era uno in gamba, peccato che sia crepato in quell'incidente. Già, e così anche te sei diventato uno dei tanti bambini tirati su da una mamma single perché il tuo papà è morto, morto, morto.

Dio, pensò Mark, il viso tra le mani, non solo Emily non aveva mai veramente ricambiato il suo amore, ma era stata capace di annullare la sua esistenza. Lontano dagli occhi... lontano dal cuore. Quel cuore che a quanto pare non gli era mai appartenuto.

«Assurdo» disse Mark, scuotendo la testa. «E quand'è che avresti raccontato questa bella bugia a mio figlio?»

Emily sospirò. «Trevor ha sempre avuto parecchie figure paterne, visto quant'è grande la famiglia MacAllister. Cominciò a chiedersi perché aveva degli zii e non un papà solo quando iniziò la scuola.»

«Quindi diciamo che sono morto quando aveva più o meno cinque anni» disse Mark a denti stretti.

«Sì. La mia famiglia promise di stare al gioco, anche se non erano d'accordo. Ho spiegato anche che non avrei mai rivelato il tuo nome a Trevor, che gli avrei semplicemente detto di pensare che suo padre era un angelo speciale in cielo che vegliava su di lui. E per fortuna non ha mai più accennato all'argomento.»

«Comodo per te, eh?»

Mark si passò una mano fra i capelli. Quel gesto, segno che Mark era teso o stressato, era tanto familiare quanto caro a Emily... ed era lo stesso gesto compiuto da Trevor quando si sentiva turbato per qualche motivo.

«Non mi hai mai amato davvero, non è così?» chiese Mark, furioso. «Jessica era la reginetta della scuola, la cheerleader, la presidentessa del consiglio studentesco e via dicendo. Trip viveva nel suo piccolo mondo di ribellione per non essere considerata solo una delle celeberrime gemelle MacAllister. E tu eri lì nel mezzo, che volevi compiacere tutti, che cercavi di... non so, trovare la tua strada, il tuo spazio, quel che era.

«E poi sono arrivato io, al penultimo anno del liceo. Il povero, buffo Mark Maxwell, con la madre che l'aveva abbandonato da piccolo e un padre alcolizzato

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che alla fine è riuscito a schiantarsi contro un albero mentre guidava ubriaco fradicio.

«Hai trovato un obiettivo, una buona causa. Provare pietà per il ragazzino nuovo, fidanzarti con lui, ti avrebbe dato uno status tutto tuo. E in più ti faceva comodo avere una relazione, visto che sia Jessica che Trip erano single all'epoca. Per non parlare del fatto che avresti perso la verginità prima di loro. Eh sì, tanti punti per Emily!»

«Mark, ti prego...» Emily senti che gli occhi le si riempivano di lacrime. «Io ti amavo davvero... per quanto ne possa sapere una diciassettenne dell'amore. Non rendere squallido ciò che c'è stato tra noi. Non era così, non era una cosa di cui vergognarsi.»

«Ah no?» rispose lui. «Mi sembra che tu non abbia avuto problemi a uccidere quell'amore dopo che me ne sono andato. Poi cinque anni dopo sono morto in un incidente e sono diventato un angelo? E io dovrei credere che mi amavi? Ridicolo. Mi hai usato, Emily, per sentirti speciale, per avere qualcosa che le tue sorelle non avevano. Hai proprio superato te stessa... sei anche diventata una ragazza madre. Né Jessica né Trip potevano fare di meglio.»

«Basta» sussurrò Emily. «Ti prego.»

«La verità fa male, eh? Guarda che qui di verità ce ne sono ancora tante. La verità è che sono il padre di Trevor... che sono vivo e vegeto... e che ho intenzione di dirlo a mio figlio.»

Emily si alzò di scatto e iniziò a camminare su e giù, fermandosi al centro della stanza con le mani premute contro lo stomaco.

«Per favore, Mark, ascoltami» disse con la voce che le tremava. «Capisco che mi odii, ma non sconvolgere mio... nostro figlio per questo. So che non ti posso tenere lontano da Trevor, ma non potresti almeno imparare a conoscerlo, diventare suo amico? E poi, una volta che avete stabilito un rapporto, troveremo un modo per dirgli che... Dio mio, come faccio a dire a mio figlio che gli ho mentito?»

«Perché non gli scrivi una bella lettera?» disse Mark a denti stretti, facendo per alzarsi.

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«Mark, ti prego, non distruggere il mondo di Trevor, non farlo. Pensa a come si sentirebbe lui se tu venissi fuori con una notizia del genere. Pensa a Trevor.» Due lacrime le rigarono lentamente il viso. «È solo un bambino, Mark, per favore...»

Mark fissò a lungo il soffitto, le mani sui fianchi, prima di guardare di nuovo Emily.

«D'accordo» disse. «Facciamo a modo tuo... per ora. Per Trevor. E che sia chiaro, Emily – lo faccio per mio figlio. Non ti devo proprio niente.»

Emily annuì in modo convulso. «Domani sera cenerò con voi.» «Come hai detto?»

«Mi hai sentito. Hai invitato il tuo vecchio – com'è che mi hai chiamato? – compagno di scuola – a cena da te. È una cosa perfettamente normale. Io e Trevor possiamo chiacchierare a tavola, in modo da rompere il ghiaccio. A che ora?»

«Io...»

«A che ora, Emily?»

«Alle sei» si arrese lei. «Ceniamo sempre alle sei.» «D'accordo, ci sarò» disse lui, dirigendosi verso la porta. «Prendi ancora il tè col miele anziché con lo zucchero?»

Mark si voltò di scatto. «Non ci provare neanche, Emily. Non provare a raggirarmi con il giochetto del “ti ricordi”, perché con me non attacca, e...» Si fermò, corrugando la fronte. «Ma poi perché ti ricordi una stupidaggine del genere, che preferisco il miele allo zucchero nel tè?»

Perché ti amavo, cretino, pensò Emily. Non ti piacciono i tovaglioli di stoffa. Mangi i semi del cocomero perché ti fa fatica sputarli. Il tuo colore preferito è rosa pallido, come l'interno di una conchiglia, ma dicevi sempre che era blu perché ti vergognavi. Ti piacciono le patatine fritte ma detesti le patate arrosto. Non sono stupidaggini, idiota... sono ricordi. I miei ricordi. Per sempre.

«Lascia stare» disse Mark, aprendo la porta. «Buonanotte, Emily. Anzi, no. Non è stata per niente buona. Ci vediamo domani alle sei.»

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come se avesse subito un colpo fisico. Scesero altre due lacrime e si strofinò gli occhi, sedendosi di nuovo in poltrona e fissando la porta.

Poi balzò in piedi e si diresse in cucina; con le mani tremanti aprì il freezer in cerca di qualcosa di consolatorio da mangiare, come il gelato. Ma ritrasse subito le mani come se le avesse bruciate, sbattendo lo sportello con molta più forza del necessario.

Si precipitò in camera e dal cassetto del comodino tirò fuori uno specchio in madreperla di squisita fattura, che si strinse al petto mentre si sedeva ai bordi del letto.

Chiuse gli occhi e tornò con la mente a quel giorno di gennaio in cui suo nonno le aveva chiesto di incontrarlo nello studio per ricevere il regalo speciale di cui aveva parlato a Natale; Robert MacAllister aveva scelto per ciascun nipote un regalo particolare da consegnarsi in privato. Avrebbero scelto loro poi se parlarne o no con gli altri.

Emily, sfiorando il contorno dello specchio con un dito, si ricordò di com'era rimasta meravigliata dalla bellezza dello specchio quando aveva scartato il regalo.

Era di mia madre, le aveva detto Robert MacAllister, e occupava un posto d'onore sul suo comodino perché glielo aveva regalato mio padre. E adesso voglio che diventi tuo, Emily, per un motivo ben preciso.

Emily aveva rivolto uno sguardo interrogativo al nonno.

Con quello specchio, proseguì Robert, mia madre mi ha insegnato a vedere al di là delle apparenze, per conoscere e capire che tipo di uomo stavo diventando, e non perdere di vista il vero Robert MacAllister. Ed è questo che voglio che tu faccia con lo specchio, Emily cara. Guarda il tuo riflesso quando sei da sola; scopri chi sei veramente dietro a quel sorriso stampato sulle labbra e sotto quei chili che hai messo su per allontanare il mondo da te.

Oh, nonno, aveva risposto Emily, con gli occhi che le si riempivano di lacrime, è che dà sicurezza essere grassi e brutti, è più facile nascondermi e sorridere e far finta che vada tutto bene e... Scosse la testa, la voce soffocata dalle lacrime.

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modo di nasconderti. Ma è ora di cambiare, Emily. Lo specchio ti aiuterà a fare quello che devi fare. Ti voglio bene, mia dolce Emily. Esci dall'ombra, cammina alla luce del sole.

Sei così saggio, nonno. È un regalo meraviglioso e lo terrò sempre con me. E ti prometto che farò quello che mi stai chiedendo. Lo farò.

E così aveva fatto, pensò Emily, sollevando lo specchio per guardarsi. Appena finite le vacanze natalizie era andata a farsi visitare da sua zia Kara, un medico ormai vicino alla pensione, chiedendole poi di stilarle una dieta equilibrata e una scheda di attività fisica. Kara aveva stabilito che c'erano circa venti chili da perdere, cosa di cui Emily in effetti era consapevole. Sapeva anche che Trevor si vergognava quando i suoi amici vedevano la sua mamma grassa.

A poco a poco i chili erano scomparsi, uno alla volta; adesso ne mancavano una decina.

«Sembri ancora la sorella di Porky Pig» disse Emily alla sua immagine riflessa. «Mark si sarà disgustato nel vedere come ti sei lasciata andare.» Poi sospirò. «Come non detto. A Mark non importa un fico secco del mio aspetto. È troppo preso a odiarmi perché...»

Emily si alzò in piedi e ripose lo specchio nel cassetto.

Era inutile tormentarsi ripensando al lungo elenco di accuse fattele da Mark. Era convinto che non l'avesse mai amato, ma non era così.

Assolutamente.

Non aveva mai smesso di amare il Mark Maxwell di tanti anni fa. Si era nascosta in casa, avvolta nei suoi rotoli di grasso, e quando la solitudine si faceva troppo forte si avvolgeva anche nel ricordo di quell'amore, ripensando a tutto quello che c'era stato fra lei e Mark.

Ma ora era diverso. Due mesi fa aveva affittato un ufficio in centro ed era una donna d'affari di successo, che accoglieva i clienti con disinvoltura e una nuova autostima.

E ogni sera Trevor, il suo adorabile Trevor, si portava il dessert in camera per non mangiarlo davanti a lei. Stava imparando a uscire dall'ombra, proprio come le

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aveva detto il nonno. E se non se la sentiva di sorridere, non lo faceva.

Stava andando tutto così bene, rifletté Emily mentre si preparava per andare a dormire. Fino a che non era riapparso Mark per sconvolgerle la vita. Un Mark furente. Un Mark che si era fatto bello e sicuro di sé; la intimidiva, facendola sentire grassa e sciatta, vulnerabile...

Era come, rifletté Emily, prendendo in mano la camicia da notte e dirigendosi verso il bagno, se in qualche modo Mark l'avesse punta con una spilla invisibile, creando un forellino da cui fuoriusciva lentamente tutta l'autostima che aveva lottato così tanto per conquistare... e non sapeva come reagire.

Emily si fermò alla porta della stanza; tornò indietro per aprire di nuovo il cassetto e riprendere in mano lo specchio, guardando la sua immagine riflessa senza sorridere.

«Forza e coraggio, Emily MacAllister» si disse, giurandosi che non avrebbe mai e poi mai permesso a Mark di distruggere l'Emily che era diventata. No; avrebbe raddrizzato le spalle, tenuto in alto la testa... doppio mento compreso... e avrebbero deciso insieme il modo migliore per affrontare suo – no, il loro – figlio.

Non avrebbe più implorato, supplicato; non si sarebbe più comportata come la ragazzina che era stata quando si erano amati anni prima. Adesso non lo amava più, nel modo più assoluto, dunque non sarebbe stata ostacolata dalle sue emozioni nel decidere ciò che era meglio per Trevor.

No, non provava più niente per il Mark Maxwell che era tornato a Ventura dopo tutti questi anni.

Proprio niente. Oppure sì?

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3

Se prendeva ancora il tè col miele anziché con lo zucchero. «E dacci un taglio, Maxwell, accidenti a te» disse Mark al buio.

Lanciò un'occhiata all'orologio sul comodino della suite dove alloggiava e sbuffò quando vide che erano le due di mattina passate. Cercava invano di addormentarsi già da qualche ora.

La sua mente confusa continuava a ripercorrere tutte le notizie sconvolgenti che aveva appreso quella sera da Emily.

«Sì, Emily» disse con la testa fra le mani, «prendo ancora il tè col miele»

Anche se le si era scagliato contro quando gliel'aveva chiesto, lo sguardo di Emily e il modo in cui era trasalita sentendolo urlare dimostrava che non era un giochetto, che la sua domanda era una reazione sincera alla notizia che avrebbero cenato insieme.

Dopo tutti questi anni Emily si ricordava che beveva il tè col miele.

E per qualche motivo che non riusciva proprio a spiegarsi, questo fatto gli riscaldava il cuore.

«Sto impazzendo» disse a voce alta, lasciando cadere le braccia.

Senza dubbio nel giro delle poche ore – neanche un giorno intero! - in cui era stato a Ventura aveva appreso troppe notizie da immagazzinare facilmente.

Aveva un figlio.

Trevor MacAllister, che avrebbe invece dovuto portare il nome di Trevor Maxwell.

Era ora che Trevor sapesse la verità... finalmente.

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genere a un ragazzino di quell'età senza nessun preavviso. Ma non era solo l'esistenza di Trevor, per non parlare della serie di bugie che Emily aveva raccontato alla famiglia, a tenerlo sveglio nonostante morisse di sonno.

No, era Emily stessa. Mark sospirò.

Era ancora così bella, così... Emily. In tutti i suoi viaggi non aveva mai visto occhi marroni incantevoli come i suoi. Non aveva mai visto labbra così perfette, così baciabili. E le sue mani delicate che svolazzavano come bellissime ali di farfalla quando si animava. Non aveva mai visto –

«Hai tre secondi per piantarla, Maxwell» disse, la voce roca per la rabbia e la frustrazione. «O ti strangolo con le mie stesse mani.» Si girò sullo stomaco, colpì il guanciale con molta più forza del necessario e poi, completamente esausto, scivolò in un sonno irrequieto e disturbato da incubi.

«Ma perché metti un vaso di fiori in tavola, mamma?» chiese Trevor. «Non pensavo si facesse quando viene a cena un uomo. Non è roba un po' da femmine?»

«Un ospite è un ospite» disse Emily, controllando il forno. «Sto solo apparecchiando con un po' più di cura perché abbiamo invitato qualcuno a cena.» Si raddrizzò e guardò Trevor. «E tu, caro mio, devi fare una doccia e cambiarti prima che arrivi Mark. Forza! E lavati anche i capelli, perché se non ci togli il cloro dalla piscina, ti diventeranno verdi.»

«Davvero? Wow!» «Trevor!»

«Ok, vado, vado» le rispose, dirigendosi con passo pesante verso la porta. «Cavoli, quante storie solo per un tipo che andava a scuola con te. Neanche fosse qualcuno d'importante!»

Emily si appoggiò al banco di cucina, sospirando. Importante? Mark Maxwell? Ma no, Trevor. Si tratta solo di tuo padre, l'uomo che credi morto, un angelo in cielo. L’uomo che a breve ha intenzione di informarti della sua identità.

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già un forte mal di testa.

Dette un'occhiata all'orlo di fiori a colori vivaci in fondo al vestito bianco che indossava, sistemandosi poi la gonna sui fianchi che sapeva essere ben troppo larghi.

Aveva pensato di mettersi un vestito a maniche lunghe, ma la sera di luglio era piuttosto calda. E quindi si ritrovava con una scollatura rettangolare e senza maniche, con le braccia paffute messe in mostra per tutti. Per Mark.

«E allora?» disse a voce alta, spostandosi. «Vuol dire che c'è più da abbracciare. Non che ci sia una fila di ammiratori che vogliono abbracciarmi, ma... e dai, Emily, piantala.»

Guardando l'orologio da parete, vide che erano esattamente le sei proprio nel momento in cui suonava il campanello.

Tipico di Mark, pensò. Era fissato con la puntualità. Aveva imparato a non farlo aspettare quando passava a prenderla, perché lo innervosiva. Una volta era rimasto ad aspettarla fuori dalla porta sotto un diluvio tremendo, perché riteneva che arrivare in anticipo fosse maleducato quanto arrivare in ritardo.

Emily esitò vicino alla porta; fece un respiro profondo per calmarsi e la aprì. Oh, accidenti, pensò. Mark era così bello, così indubbiamente maschile... pantaloni neri, un'elegante camicia grigia senza colletto e – ma perché non aveva più il ciuffo ribelle? Se nascevi con il ciuffo ribelle, ce l'avevi a vita... non è che potevi decidere di non avercelo più, e...

«Che fine ha fatto il tuo ciuffo?» chiese Emily, inclinando appena la testa. Un istante più tardi si accorse di aver parlato a voce alta, e si sentì avvampare per la vergogna.

«Lascia stare» farfugliò. «Entra, Mark. Sei puntualissimo, ovviamente. Volevo dire... sei puntualissimo, e... Oh, entra e basta.»

Mark la seguì in casa, ridacchiando. Emily avvertì uno strano brivido di calore lungo la schiena nel sentire quel suono così maschile e sexy. Dette uno spintone alla porta e arrossì di nuovo quando sbatté rumorosamente.

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che succedesse a donne della nostra età. È molto carino.»

«Eh sì» disse Emily, alzando gli occhi al cielo. «Com'è carino. Sappi che non si usa la parola carino, Mark, riferita a una donna che pesa quanto me. Non ho comunque intenzione di suggerirti una serie di aggettivi più adatti, nossignore.»

«Stai benissimo, Emily. Quel vestito ti dona molto e penso che tu sia molto bella.»

«Grazie, io...» cominciò Emily, dimenticandosi il resto della frase quando il suo sguardo incontrò quello di Mark.

Era davvero bella, pensò, incantata, e lui era così robusto e affascinante, e... oh, cielo.

Emily era splendida, pensava Mark nel frattempo. E arrossiva ancora, le guance come pesche bagnate dalla rugiada, e...

All'improvviso suonò il timer del forno, ed Emily sobbalzò.

«È pronta la cena» disse, con il respiro lievemente affannato. Siediti pure sul divano mentre la porto in tavola.

«Trevor sarà qui a momenti. Pensava di non doversi fare una doccia visto che ha trascorso quasi tutto il giorno in piscina. L'ho iscritto al programma estivo alla piscina comunale, così so dov'è quando sono al lavoro, visto che ormai è grande per una babysitter ma non mi va che stia da solo e... mi sa che sto parlando a vanvera.»

Mark annuì. «Appena un po', sì.»

«Be', sono nervosa, Mark» disse lei, alzando le braccia. «Se per caso ti lasci sfuggire la cosa sbagliata Trevor potrebbe fare due più due prima che riteniamo che sia il momento giusto e...»

«Non succederà, Emily» disse Mark in tono calmo. «Non ho nessuna intenzione di fargli del male.»

«D'accordo, bene. Va bene» Emily si spostò verso la cucina. «Siediti.» «Emily?»

Si fermò, girandosi a tre quarti per guardarlo con aria interrogativa.

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capito, fisicamente sono maturato tardi. Dopo aver lasciato Ventura sono cresciuto sia in altezza che in massa muscolare. Mi si sono anche infoltiti i capelli, il che ha fatto sparire i ricciolini. Direi che anche per Trevor sarà così, a giudicare da quello che vedo.»

Emily sorrise e si toccò i fianchi generosi. «Anch'io sono… cresciuta… tardi, ma sono sulla via della “decrescita”, o qualcosa del genere.» Corrugò la fronte. «Ma perché te lo dico? Non ne ho idea.» Si girò per tornare in cucina, scuotendo la testa.

Mark sprofondò sul divano, fissando la porta dalla quale era sparita Emily. L'aveva sentito, pensò. Il calore del desiderio che si era risvegliato nel suo corpo quando aveva guardato gli incantevoli, familiari occhi marroni di Emily era stato rovente, una fiamma intensa di passione e bisogno.

In quell'istante durato un'eternità si era ricordato com'era fare l'amore con Emily, la donna alla quale aveva donato il suo cuore per sempre.

Maledizione. Era ancora capace di sconvolgerlo, di turbarlo, di farne ciò che voleva. E non lo faceva neanche apposta, ne era convinto. Emily si riteneva grassa e sciattona, o qualche stupidaggine del genere, e non stava certo tentando di sedurlo in modo da riprendersi il controllo della situazione. No, Emily non stava giocando con lui, era semplicemente se stessa. Ma lui non poteva assolutamente permettersi di dimenticare che Emily non l'aveva mai amato, non quanto l'aveva amata lui.

Trevor entrò in salotto, indossando larghi pantaloncini gialli che gli arrivavano alle ginocchia ossute e un'enorme T-shirt marrone. I capelli erano ancora umidi e il ciuffo si stava gradualmente arricciando.

«Ciao» disse Trevor, stravaccandosi in poltrona. «Ciao» disse Mark. «Come va?»

«Così» fece Trevor, scrollando le spalle. «Lei?»

«Così» echeggiò Mark, con lo stesso gesto. «Ma dammi pure del tu. Ho sentito che ti piace nuotare.»

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scuola quest'autunno. Mi toccherà mantenere i voti alti, solo A e B, perché è la regola scolastica, ma nessun problema, sono bravo. Solo che non lo so mica se mi piacerà avere un allenatore che mi dice quante vasche devo fare eccetera, anziché fare come mi pare in piscina come adesso. Mi segui?»

«Capito» annuì Mark. «Magari potresti testare la teoria, vedere come ti piace.» «In che senso?»

«Be', io non ho niente da fare in questi giorni. Ho noleggiato un SUV. Potrei venire in piscina con te; supponiamo che sia il tuo allenatore e ti faccio fare qualche allenamento tosto. Capiresti ben presto cosa ne pensi di avere qualcuno che ti dà ordini in piscina.»

«Lo faresti per me?» chiese Trevor, un po' perplesso. «Perché?»

Perché sei mio figlio, Trevor, pensò Mark, mangiandosi il ragazzo con gli occhi. Sono tuo padre, e ti amo già con tutto me stesso, è un amore speciale, viscerale, che non sapevo neanche di riuscire a provare.

«Perché no?» disse a voce alta. «Ci stai?»

«Ci sto!» esclamò Trevor, alzando un pugno in aria. «Fico. Ma te ne intendi, voglio dire davvero, del nuoto e roba del genere?»

«Come no» rispose Mark. «Facevo parte della squadra della Ventura High School nel Paleolitico.» Perché nuotare gli aveva permesso di svuotare la mente e non pensare al padre sempre ubriaco. «Anzi, ero la stella della squadra. Prova a chiederlo a tua madre.» Emily era sempre stata sugli spalti a fare il tifo per lui. Sempre. «Probabilmente se lo ricorda.»

In quel momento Emily apparve sulla porta. «È pronta la cena, quindi...»

«Mamma, mamma, indovina un po'!» esclamò Trevor, balzando in piedi e inciampando sulle sue scarpe da tennis. «Mark fingerà di essere il mio istruttore di nuoto così posso...»

Ascoltando le parole agitate ed eccitate del figlio, Emily si sentì rabbrividire e si strinse in se stessa. E così, è cominciato, pensò. Mark si stava già dando da fare per conoscere il figlio, per stabilire un rapporto con lui. E tutta questa situazione, per motivi che non le erano del tutto chiari, cominciava a farle paura.

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Sì, era preoccupata all'idea della reazione di Trevor quando gli avrebbero raccontato la verità. Ma non si trattava più solo di questo, e si sentiva stringere lo stomaco per l'ansia.

Era davvero così egoista, così gelosa del figlio da volerlo tutto per sé? Temeva forse che Trevor avrebbe preferito la compagnia del padre alla sua?

Vivere con un medico che in un mese senza dubbio guadagnava più di quanto non facesse Emily in sei mesi avrebbe implicato la fine del budget limitato, dell'insicurezza economica. Questo poteva essere molto importante per un adolescente che voleva indossare abiti alla moda come gli amici e avere gli ultimi video e giochi per il computer. Una volta superato lo shock iniziale per la notizia, Trevor avrebbe deciso di andare a vivere col padre?

Basta così, Emily, si disse. Era inutile essere così precipitosa, immaginarsi una serie di problematiche struggenti che magari non si sarebbero neanche verificate.

Doveva fare un passo alla volta... a partire dal fatto che la cena si stava raffreddando in tavola.

«Fantastico, Trevor» disse, riuscendo ad abbozzare un sorriso, quando Trevor si fermò per riprendere fiato. «Ora però mettiamoci a tavola prima che debba riscaldare tutto.»

Poco dopo, Trevor e Mark si erano riempiti i piatti con pollo fritto croccante, purè e pannocchie di mais di produzione locale.

Mark corrugò la fronte notando che Emily invece si era servita solo un pezzo piccolo di pollo, metà pannocchia e quattro spicchi di pesca. «Non mangi nient'altro, Emily?»

«La mamma è a dieta» commentò Trevor, poi assaggiò il pollo. Masticò il boccone, lo mandò giù e fece un cenno di approvazione. «Niente male davvero. La mamma è bravissima, Mark; è molto meno grassa di prima.»

«Grazie» sorrise Emily. «Almeno credo.»

«Ma così non dimagrisci» obiettò Mark «muori di fame. Per non parlare dell'indebolimento delle energie e della resistenza alle malattie... Guarda lì, stai mangiando il mais senza metterci neanche un po' di burro e sale. Chi è che ha

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inventato questa tua cosiddetta dieta?»

«Mia zia Kara. La dottoressa, te la ricordi?» «Ah» annuì Mark. «Allora dovrebbe andar bene.»

«Ti ringrazio infinitamente per la tua approvazione, dottor Maxwell.» Emily lo fulminò con lo sguardo. «Se non hai altri dubbi sulla mia capacità di seguire per bene una dieta, gradirei che ti facessi gli affari tuoi.»

«Cavolo.» Trevor girava la testa verso Emily, poi Mark, poi di nuovo verso la madre. «Dovevate essere davvero buoni amici al liceo. Cioè, visto che potete ancora litigare senza problemi.»

«Sì» disse Mark piano. «A quei tempi io e tua madre eravamo davvero ottimi amici. Almeno... credo che fossimo amici.»

«Ma sì, certo che lo eravamo.» Emily distolse lo sguardo da quello di Mark, sentendosi invasa da un'ondata di calore.

«E mio padre lo conoscevi, Mark?» chiese Trevor, allungandosi verso le pannocchie.

Emily lasciò cadere il pezzo di pannocchia che aveva in mano con un tonfo sordo, sbiancando in volto.

«Trevor» cominciò, e le tremava la voce, «sono anni che non parliamo di tuo padre. Perché chiedi a Mark se...» si zittì all'improvviso, scrutando il figlio.

«Solo perché non vuoi mai parlare di mio padre» la voce di Trevor cominciò ad alzarsi «e non mi hai mai nemmeno detto come si chiama, il che se permetti mi sembra abbastanza stupido, non vuol dire che io non ci pensi mai.

«Ci sono tante cose che vorrei sapere, ma tutti in famiglia fanno finta di niente se tiro fuori l'argomento. Non sono più un bambino, mamma. Da cosa cerchi di proteggermi? Non è che il tipo era solo uno stronzo? Sono tutte cavolate i discorsi su quanto era in gamba eccetera?»

«Piano, giovanotto» disse Mark fermamente. «Che ne dici di un po' di rispetto? Non mi va che alzi la voce con tua madre, Trevor.»

«Scusa» bofonchiò Trevor. «Ma cavolo, non mi sembra di pretendere troppo, e... vabbe', al diavolo, lasciamo stare.»

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«Modera il tono» lo ammonì Mark.

«Sì, ok» disse Trevor, sospirando. «Scusa, mamma. Non volevo essere maleducato. Non avrei dovuto nominare mio padre, perché diventi sempre triste quando ne parli, quindi non ne parliamo, e a me sta bene così. È solo che ora c'è Mark, ed eravate buoni amici, e pensavo che sapesse chi frequentassi a quei tempi e... non importa. Cosa c'è per dessert?»

«Brownies al cioccolato» rispose Emily, a cui tremava ancora la voce. «Io... non avevo idea che ti facessi delle domande su tuo padre, Trevor. Pensavo fosse un capitolo chiuso, che tu fossi contento di essere una squadra, io e te...»

«Certo che lo sono, mamma» si affrettò a rispondere Trevor. «Va tutto bene. Sul serio. Fa' come se non avessi detto niente. Ce l'hai messa la glassa sui brownies?»

«Ovvio che sì, e ho aggiunto anche le gocce di cioccolato.»

«Quindi ci conviene sbrigarci a finire tutto» disse Mark «così possiamo goderci il dolce. Trevor, non so te, ma io vorrei un altro pezzo di quel pollo delizioso. Che ne dici?»

«D'accordo» sorrise Trevor.

Mentre Trevor si serviva un enorme pezzo di pollo, Mark guardò Emily.

«È giunto il momento, fece il Tricheco» recitò da Alice nel Paese delle Meraviglie «di parlar di molte cose...»

«Sì, penso che tu abbia ragione» sussurrò Emily. «Eh?» chiese Trevor.

«Occhialini da piscina» disse Mark. «Trevor, ce li hai degli occhialini regolamentari?»

«No» rispose Trevor, scuotendo la testa.

«Be', in quanto tuo nuovo istruttore, pretendo che tu li abbia» disse Mark. «Facciamo che ti passo a prendere verso le nove domattina, e ci fermiamo in negozio prima di andare in piscina, così te ne compro un paio? Sempre che tua madre sia d'accordo, chiaramente. Emily?»

«Che c'è? Ah, sì, va benissimo» rispose lei, con un cenno spasmodico del capo. «È molto gentile da parte tua, Mark. Trevor, non hai niente da dire?»

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«Oh, scusa» fece Trevor. «Grazie.»

«Tutto a posto allora» disse Mark. «Emily, non hai quasi toccato quel poco che hai nel piatto.»

«Io...»

«Lascia spesso metà della roba. Dice che da quando ha iniziato questa mega dieta le si è ristretto lo stomaco o qualcosa del genere.»

«Non credo che Kara ne sarebbe entusiasta» disse Mark. «Mangia, Emily, e non mi dire di farmi gli affari miei. Non voglio che tu stia male perché... be', ci tengo a te e... Insomma, finisci quella cena patetica che hai nel piatto, va bene?»

«Io... sì, va bene» fece Emily, incontrando lo sguardo di Mark. Riprese in mano la pannocchia. «Finirò la cena, ma il dolce rimane off-limits.»

«Un giusto compromesso» disse Mark, sorridendo.

Continuarono a fissarsi negli occhi per un lasso di tempo che nessuno dei due sarebbe riuscito a misurare.

Trevor guardò di nuovo prima la madre, poi Mark, inarcando le sopracciglia. «Fico» disse, soffocando una risata con una forchettata di purè.

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4

Durante il corso della cena, Mark volle sapere di più su Maggie e Alice MacAllister che si erano unite in matrimonio con la famiglia reale dell'Isola di Wilshire. Margaret aveva accennato all'argomento il pomeriggio precedente, disse, ma era stata più interessata a sapere di lui.

L'isola era un vero paradiso, gli raccontò Emily, e le cerimonie stesse una favola. Trevor si intromise per dire che era contento di essere rimasto a Ventura con Jacob, il migliore amico, piuttosto che sorbirsi dei matrimoni melensi e mielosi dove tutti si abbracciavano, si baciavano e piangevano.

«Melensi e mielosi?» Mark si mise a ridere. «Non ho mai sentito una descrizione del genere per un matrimonio, Trevor. È davvero così?»

«Come no! Quando mia zia Jessica ha sposato il poliziotto, Daniel, che ora è mio zio ed è un tipo davvero in gamba... è un detective e va in giro con la pistola e tutto quanto... Insomma, non ho mai visto tanti baci, abbracci e lacrime in vita mia.

«Alla fine mi è toccato andare in giro portandomi in braccio Tessa, la bambina dello zio, così non mi beccava nessuno per baciarmi. I matrimoni fanno schifo!» Trevor lanciò un'occhiata di soppiatto a sua madre e poi a Mark. «Be', forse dipende da chi si sposa, se mi seguite.»

«Non proprio» disse Emily, infilandosi in bocca l'ultimo spicchio di pesca. «Diciamo che se fossi te a sposarti, mamma, ti abbraccerei e ti darei un bacio e via dicendo, ma scordati che mi metta a piangere, perché non succederà mai.»

A Emily andò di traverso la pesca e cominciò a tossire. Mark si alzò per darle una pacca sulla schiena.

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«Ah, molto meglio» fece Emily, dandosi un colpetto sul petto. «Grazie.» «Bevi un sorso di tè» le disse Mark, rimettendosi a sedere. «Col miele.»

«Lo prendo senza niente» rispose Emily con aria distratta, fissando Trevor. «Il miele ha troppe calorie. Per tua informazione, Trevor, non ho intenzione di sposarmi. Né ora, né mai.»

Perché no? pensò Mark. «Perché no?» chiese Trevor.

«Perché... la mia vita mi piace così com'è» disse Emily, giocherellando col tovagliolo. «Non voglio cambiare niente.»

«Non ti senti mai sola?» chiese Mark a voce bassa.

«No» gli rispose, guardandolo negli occhi. Sì. Ma quando succedeva, si avvolgeva nei suoi ricordi finché non svaniva il gelo della solitudine. «Ho troppo da fare per sentirmi sola.»

«Ma fammi il piacere» rise Mark, incredulo. «Spesso lavoro anche diciotto ore al giorno, eppure ce l'ho il tempo di sentirmi solo.»

«Ti senti solo?» chiesero Emily e Trevor all'unisono, fissandolo.

«Ecco, io...» cominciò Mark, poi si fermò per schiarirsi la gola. «Va bene, sì, a volte io... Ehi, era solo per fare due chiacchiere, nient'altro!»

«Ti serve una moglie, Mark» disse Trevor in tono deciso. «Non ho mai pensato che gli adulti potessero sentirsi soli, ma in effetti perché no... Quindi datti una mossa.» Lanciò un'altra occhiata di sfuggita alla madre. «Trovati una donna gentile, simpatica, che sappia cucinare e che ride spesso, fatevi un bel matrimonio melenso e mieloso e sei a posto! No?»

«Dunque, qualcuno è pronto per il dessert?» intervenne Emily.

«Non è così semplice, Trevor» disse Mark, ignorandola completamente. «Due persone devono amarsi davvero, ma servono anche fiducia, lealtà, compromesso e tutta una serie di cose come base solida di una relazione prima che ci si possa sposare. Cose che richiedono veramente tanto impegno.»

Lo sguardo di Mark si posò lentamente su Emily, facendosi più serio. «Ci sono persone che non sono proprio tagliate per queste cose. Non ti risulta che sia così,

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Emily?»

«Brownies al cioccolato con glassa» disse Emily, alzandosi in piedi e fulminando Mark con lo sguardo. «Quello che mi risulta, dottor Maxwell, è che è ridicolo avere una conversazione del genere con un ragazzino di dodici anni a cui -»

«Ho quasi tredici anni.»

«A cui» proseguì Emily, ignorandolo, «non verrà neanche in mente l'idea di innamorarsi, impegnarsi in una relazione e avere un matrimonio melenso e mieloso per molti, molti anni.»

Prese il suo piatto e lo sbatté sul banco di cucina, poi si rigirò verso il tavolo. «E quindi» gridò «cambiate argomento!»

Mark e Trevor rimasero entrambi a bocca aperta per la sua esplosione; poi si arruffarono i capelli in perfetta sincronia. Emily, vedendoli, sgranò gli occhi e si appoggiò al banco, una mano alle tempie.

«Non ce la faccio» borbottò.

«Wow» disse Mark. «A quanto pare in questi dodici anni hai imparato a dire – o gridare – la tua, Emily. Una volta sorridevi e annuivi e basta.»

«Quello era ieri, mio caro» disse Emily, puntandogli un dito addosso. «Oggi è diverso. Io sono donna...» recitò, scoppiando a ridere. «Sentimi ruggire!»

«Fidati, Mark» disse Trevor, alzando gli occhi al cielo. «La mamma è davvero brava a ruggire. Dovresti sentirla quando lascio per terra il costume bagnato.»

Mark rise di gusto. «Spacca il soffitto, eh?» «No, ma quasi.»

«Ora basta, voi due» disse Emily, sorridendo mentre portava in tavola i dolcetti di cioccolato. «Due contro uno non vale. Notate che il vassoio ce l'ho ancora io; sono sempre in tempo a farlo sparire.»

«Cara, cara mammina» disse Trevor a mani giunte «tu che non alzi mai la voce per quanto io faccia i dispetti, per favore, posso avere un delizioso dolcetto al cioccolato?»

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implorare sul serio?»

«Direi adesso» rispose Trevor sottovoce. «Ti prego, ti prego, ti prego» dissero in coro.

Emily si mise a ridere e passò il vassoio a Mark. «Tieni. Siete pazzi, uno peggio dell'altro.»

E li amava entrambi così tanto.

Da dov'era uscito quel pensiero? si chiese Emily in preda al panico, riportando il vassoio del pollo in cucina. Certo che amava il figlio più della sua stessa vita, ma non amava, non era innamorata del Mark Maxwell che sedeva lì, spiritoso e divertente, a interagire con suo... con il loro figlio.

Lei aveva amato il Mark di anni fa, anzi, forse lo amava ancora – non che facesse alcuna differenza, dato che quel Mark non aveva niente a che fare con questo Mark e quindi...

«I brownies sono buonissimi, mamma» disse Trevor, prendendone un altro. «Deliziosi» fece Mark.

«Posso andare in bici da Jacob? Gli voglio raccontare di Mark che mi farà da istruttore.»

«Posso andare in bici da Jacob per favore?» lo corresse automaticamente la madre.

«Non ce l'hai una bici te» ghignò Trevor. «Dai, scherzo. Posso andare... per favore?»

«Dopo che hai sparecchiato, visto che sai benissimo che tocca a te, e devi tornare a casa appena fa buio.»

«Ok» disse Trevor, continuando a ingozzarsi. «Mmm. E posso portargli un brownie... per favore?»

«Se ne è rimasto qualcuno.» Emily dette un’occhiata al vassoio da cui continuavano a sparire i dolcetti al cioccolato.

«Stasera ci penso io a sparecchiare, Trevor» si offrì Mark.

«Perfetto, grazie!» fece il ragazzo, alzandosi da tavola e incartando un dolcetto da portare all'amico. «Vado.»

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«Ci vediamo domattina alle nove.» «Ci sarò» rispose Trevor. «Ciao.»

Trevor uscì dal retro e in cucina calò il silenzio. Emily sciacquò il vassoio, lo mise in lavastoviglie e tornò a prendere degli altri piatti. Mark le prese la mano per fermarla.

«Tocca a me stasera» le disse, guardandola. «Non ti ricordi?»

Quello che si ricordava, pensò Emily, incapace di distogliere lo sguardo da quello di Mark, era il tocco al tempo stesso forte e delicato di quella mano sulla sua. Si ricordava il calore del desiderio che le si agitava dentro, una cosa che non sentiva da anni. Si ricordava l'indescrivibile e profondo amore che aveva provato per l'uomo che le stava davanti.

«Gli ospiti» disse, respirando a fondo, «non devono lavorare in questa casa.» «Non mi sento un ospite. Ho preso parte a una cena di famiglia, una cosa che non mi succede da quando i tuoi nonni mi hanno accolto dopo la morte di mio padre. È stata proprio una bella serata. Sono stato molto bene, Emily, e tu sei un'ottima cuoca. Grazie... di tutto.»

«Prego. Si vede che tu e Trevor andate d'accordissimo.»

«È un inizio. Lo hai tirato su proprio bene, Emily, è un ragazzo fantastico. Un ragazzo fantastico che sta crescendo e ha l'appetito di...»

«Suo padre.» Emily cercò di liberare la mano dalla stretta di Mark.

Mark si alzò in piedi, lasciando finalmente la mano di Emily, e la prese per le spalle, mantenendo una breve distanza tra di loro.

«Stasera mi sono davvero reso conto di quanto mi sono perso della vita di Trevor. Vorrei esserci stato per il primo sorriso, il primo dentino... vorrei aver visto i suoi primi passi e sentito le sue prime paroline...

«Maledizione, Emily, cos'è successo? A noi, a te e a quel che provavi per me? Tra di noi c'era qualcosa di speciale, e proprio non capisco. In tutti questi anni non sono mai riuscito a capirlo. Come hai potuto smettere di amarmi così? Spiegamelo.»

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così giovane quando te ne sei andato, così immatura, che... No, basta così. La mia famiglia voleva che ti dicessi della gravidanza, ma...»

«E perché non lo hai fatto?» chiese, stringendola con più forza. «Sarei tornato subito a Ventura. Non avresti dovuto affrontare tutto da sola. Sarei voluto stare qui con te, con nostro figlio.»

E avresti abbandonato i tuoi sogni professionali, pensò Emily. Si sarebbe dovuto accontentare di un qualunque lavoro per mantenerli, e prima o poi – inevitabilmente – l'avrebbe odiata per aver distrutto tutto ciò che aveva sempre voluto. Lo amava troppo per fargli una cosa del genere, e non avrebbe sopportato che il suo amore per lei si trasformasse prima in risentimento e poi in puro odio.

«Non avrebbe mai funzionato» disse, fissandogli il petto per non guardarlo negli occhi. «Non basta un bambino a mantenere in vita un matrimonio quando uno dei due genitori non... non ama l'altro. Mark, basta così. Ti prego.»

«Guardami, Emily.»

Lentamente alzò la testa per incontrare lo sguardo di Mark.

«Quando sono partito per Boston hai pianto per ore perché stavamo per separarci. Mi hai ripetuto mille volte che mi amavi, che ti sarei mancato, che avresti aspettato che fossi in grado di provvedere a te.»

«Smettila» sussurrò Emily, sentendo già il bruciore delle lacrime che cominciavano rigarle le guance.

«Mi ricordo ancora» proseguì Mark, inesorabile, «il sapore del sale sulle tue labbra l'ultima volta che ti ho baciata; ci ho sofferto tantissimo. Per giorni, settimane, addirittura mesi continuavo a sentire il sapore salato di quelle lacrime, perché era per colpa mia che piangevi.» Abbassò lentamente la testa verso quella di Emily. «Ti ricordi di quel bacio, Emily? Te lo ricordi?»

«Sì, ma...» Sgorgarono due lacrime, seguite da altre due, ed Emily tacque. «Un bacio che sapeva di lacrime salate» disse Mark, la voce roca per l'emozione. «Proprio come questo.»

La sua bocca si impadronì di quella inumidita dalle lacrime di Emily, esplorandone le profondità alla ricerca della lingua. La strinse vicino a sé ed

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Emily chiuse lentamente gli occhi, sollevando allo stesso tempo le braccia per cingergli il collo. Mark intensificò ancor di più il bacio e allora Emily si abbandonò totalmente a lui, assaporando il fuoco delle sensazioni che la travolgevano come un fiume in piena.

Proprio come nel momento in cui si erano rivisti l'altro giorno in casa di Robert e Margaret MacAllister, Emily e Mark furono riportati indietro nel tempo.

Erano giovanissimi e così innamorati, e non esisteva niente e nessuno al di fuori di loro due.

Avevano anche parlato pigramente, dopo aver fatto l'amore, di come un giorno sarebbero rimasti seduti in veranda a salutare i figli e i nipoti venuti a trovarli.

Si erano immaginati tutta una serie di gloriose scene della loro vita insieme, con riverenza, come se fossero preziosi tesori.

Mark interruppe il bacio, sollevando appena la testa per riprendere fiato, ma prima che potesse impadronirsi di nuovo delle labbra di Emily, lei ritornò bruscamente alla realtà.

«No, Mark» disse, posandogli la mano sul petto. «No.»

Mark la lasciò andare ed Emily fece un passo indietro, incrociando le braccia sul petto e scuotendo la testa.

«Non avresti... non avremmo dovuto farlo» gli disse, facendo un profondo sospiro nel tentativo di riprendersi il controllo sul corpo ancora in fiamme.

«Perché no?» le chiese, perplesso. «Abbiamo appena scoperto che proviamo ancora lo stesso desiderio di una volta l'uno per l'altra, no? Cosa significa secondo te?»

«Niente!» quasi gli urlò lei. «Niente di niente, perché questo bacio non ce lo siamo scambiati adesso, Mark. Ci ha riportati indietro nel tempo a quando eravamo tanto giovani e ingenui da credere che tutti i nostri progetti e sogni si sarebbero realizzati. Non siamo più dei ragazzini, ora siamo adulti.»

«Siamo due adulti» replicò lui, alzando a sua volta il tono di voce, «che hanno condiviso appieno un bacio. Il desiderio che sento dentro non è quello di quattordici anni fa, Emily MacAllister. Lo sento qui, adesso, e non provare a dirmi

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