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CAPITOLO 3 OSTACOLI E STRATEGIE DI INNOVAZIONE

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CAPITOLO 3

OSTACOLI E STRATEGIE DI INNOVAZIONE

L’innovazione è un fattore critico di successo per mantenere e rinnovare nel tempo le condizioni di vantaggio competitivo necessarie per la creazione durevole di valore economico, ma non è un procedimento così semplice.

Esistono degli ostacoli al cambiamento, il maggiore dei quali è dato dall’esistenza di forti blocchi all’innovazione. La resistenza al nuovo da parte delle aziende può costituire una forza, in quanto consente alle organizzazioni di non essere in balìa degli eventi, ma di conservare una propria forte capacità di reazione e una decisa identità nei confronti della volatilità dell’ambiente. Questa capacità di resistere costituisce però anche il principale limite all’innovazione e al cambiamento pur laddove questi sono necessari all’impresa.

Da tutto questo si trae che per innescare processi di cambiamento è necessario rimuovere i blocchi che impediscono il cambiamento stesso. Questi blocchi sono tre:

• il successo passato; • la struttura esistente; • la cultura dominante.

Un’organizzazione che ha grande successo diviene più resistente al cambiamento di un’altra che è in una situazione di crisi; un prodotto di successo viene abbandonato con difficoltà, al contrario di un prodotto che non ha riscontrato il gradimento del mercato. Il successo è, infatti, un potente inibitore del cambiamento: è molto difficile immaginare di cambiare una strategia che funziona o di modificare un assetto organizzativo efficace. Appare dunque evidente che la creatività e l’innovazione sono più facili in condizioni di scarso successo e sono più difficili laddove le cose funzionano.

Un secondo blocco al cambiamento è rappresentato dalla struttura esistente. Vi sono delle strutture organizzative che facilitano il cambiamento e altre che lo ostacolano. Non esiste una regola generale, ma si può dire che le strutture ove è consentita una maggiore integrazione tra le persone e ove è possibile lavorare con persone di volta in volta differenti in relazione ai problemi da affrontare, consentono maggiore creatività e producono livelli più elevati di innovazione.

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Quindi la struttura esistente rappresenta un blocco importante al cambiamento e ciò significa che, ogni qualvolta si voglia intraprendere un forte processo innovativo o si voglia realizzare un cambiamento significativo, è necessario modificare le strutture esistenti.

Il terzo blocco riguarda la cultura dominante. La cultura è un forte collante dell’organizzazione: rappresenta quel legame che esiste all’interno dell’organizzazione e che consente un’azione coordinata anche in assenza di vincoli, di procedure e di meccanismi burocratici di funzionamento. Se la cultura è un meccanismo di coordinamento molto più flessibile delle norme scritte e delle procedure, tuttavia costituisce un potentissimo blocco all’innovazione. Essa è infatti uno schema all’interno del quale ci si può muovere con grande flessibilità, però ha lo svantaggio di non essere modificabile in tempi brevi. Ne emerge che quanto più è solida la cultura di un’organizzazione, tanto più essa costituisce un potente blocco al cambiamento.

Poiché non è possibile e non è conveniente rinunciare ad avere una forte cultura aziendale, il problema diventa possedere una cultura orientata all’innovazione e al cambiamento.

3.1 Le strategie innovative

Tenendo conto delle limitazioni che bloccano il cambiamento, le imprese possono adottare nei confronti del problema dell’innovazione approcci differenti, in funzione della posizione che occupano nel mercato, della dimensione assoluta, delle competenze disponibili, dell’immagine posseduta e degli obiettivi di lungo periodo e in relazione alla propria missione. Le principali strategie innovative sono:

- offensive - difensive - imitative - dipendenti - tradizionali.

Le strategie di tipo offensivo sono quelle delle aziende che per prime introducono l’innovazione. Alcune imprese basano la propria crescita nel lungo termine sulla

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capacità di innovare continuamente, prima dei concorrenti. Esse debbono quindi investire sistematicamente in attività di R&S.

Le strategie di tipo difensivo sono tipiche delle imprese che preferiscono lasciare il costo e il rischio dell’innovazione a un’impresa first mover, che tuttavia sono pronte a seguire non appena il nuovo prodotto dimostri di avere successo. Talvolta questo approccio si rivela vincente, in quanto consente di correggere gli inevitabili errori iniziali e di comprendere con maggiore chiarezza l’evoluzione futura del mercato. Un’impresa che adotta questo tipo di approccio solitamente deve investire pesantemente in attività di sviluppo del prodotto, in quanto le modifiche da apportare all’innovazione lanciata dal first mover sono così sostanziali da richiedere forti spese.

Nelle strategie di tipo imitativo il follower tenta di copiare in ogni aspetto l’approccio dell’impresa innovatrice. L’impresa imitatrice prende a modello il first mover che ha avuto successo tentando di riprodurne gli elementi fondamentali. Generalmente si tratta di imprese senza grandi capacità strategiche e capaci di replicare, a costi inferiori, il prodotto innovativo. Esse fondano la propria capacità competitiva sull’uso di materiali meno costosi, su una disponibilità di manodopera meno qualificata, sul forte risparmio delle spese in R&S e dei costi di marketing connessi al lancio e alla diffusione dell’innovazione.

Le strategie dipendenti sono quelle adottate da imprese che introducono innovazioni esclusivamente sulla base di una richiesta esplicita e talvolta estremamente dettagliata da parte della clientela. Si tratta di solito di fornitori satelliti dei grandi clienti, i quali nell’ambito di propri programmi di innovazione chiedono ai fornitori lo sviluppo di componenti o di sistemi sulla base di specifiche predeterminate.

Un’impresa adotta una strategia di tipo tradizionale sostanzialmente quando decide di non avere un approccio innovativo al mercato perché vuole mantenere un proprio posizionamento nel mercato nell’ambito dei prodotti esistenti. Anzi, in qualche caso, vuole proprio caratterizzarsi come un’impresa che non abbandona la tradizione e che tende alla specializzazione nei prodotti che costituiscono da sempre la storia di una certa categoria.

In riferimento ai first mover occorre precisare che è vero che si assumono gli oneri di sviluppare per primi un nuovo prodotto e sopportano i rischi derivanti dall’esplorazione

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di un territorio ancora sconosciuto, ma allo stesso tempo hanno dei vantaggi significativi che permettono loro di avere una posizione competitiva molto forte.

3.2 Le strategie per conservare i profitti

Perché si possano mantenere profitti per un tempo significativamente lungo è necessario che le imprese mettano in atto strategie adeguate, che possono essere così classificate1:

 Le strategie di protezione. Sono quelle strategie in cui un’impresa tenta di impedire o perlomeno ritardare il più possibile l’ingresso dei concorrenti nel nuovo mercato o comunque l’imitazione del nuovo prodotto.

Il modo migliore per prevenire l’ingresso nel nuovo mercato all’imitazione o da parte di un concorrente è quello di possedere e mantenere un differenziale nelle capacità necessarie per progettare, produrre o distribuire il nuovo prodotto. Nella fase di progettazione le conoscenze possono essere poco diffuse oppure, nel caso di accordi esclusivi con un’università, può essere difficile accedere alle conoscenze disponibili. Quando le conoscenze sono invece ampiamente disponibili, parti del prodotto possono essere brevettate al fine di impedirne l’imitazione.

Talvolta non è possibile limitare l’imitazione in quanto le varie fasi della catena del valore possono essere largamente riproducibili. In questo caso un impedimento all’imitazione o all’ingresso di un nuovo concorrente può essere dato dalla capacità di creare nei concorrenti un’aspettativa di bassi profitti. Ciò è possibile rendendo molto alti i costi necessari per acquisire le capacità indispensabili per operare con il nuovo prodotto o nel nuovo mercato.

È chiaro che le strategie di protezione sono efficaci solo quando sia perfettamente chiaro al potenziale entrante quali potranno essere le reazioni dopo l’ingresso.

 Le strategie di velocità. Non sempre una minaccia è sufficiente per scoraggiare l’imitazione o l’ingresso da parte di un nuovo concorrente. In questi casi le strategie di protezione possono essere poco efficaci quindi è preferibile adottare le strategie di velocità, mediante le quali l’impresa cerca di mantenere l’iniziativa continuando a innovare e sfidando essa stessa i suoi prodotti innovativi e le proprie capacità. Ciò significa che mentre i concorrenti stanno tentando di imitare il nuovo prodotto, deve

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essere pronta un’ulteriore innovazione che costringerà i nuovi entranti a ricominciare daccapo l’inseguimento.

 Le strategie di team up. In queste strategie l’impresa accetta l’ingresso dei concorrenti cercando di controllarli e condizionarli attraverso la cessione dei propri brevetti, dei diritti o delle licenze. L’impresa innovatrice tende a incoraggiare piuttosto che scoraggiare l’ingresso di altre aziende. I motivi per cui ciò accade sono quattro. Il primo riguarda la possibilità di dominare lo standard di mercato. In questi casi adottare una tecnologia aperta o comunque consentire l’utilizzo delle tecnologie a terzi, aiuta a creare le economie di rete indispensabili per ottenere la leadership in un certo mercato. Il secondo motivo ha a che fare con la possibilità di incrementare la domanda dei prodotti a monte della filiera produttiva, cedendo la tecnologia indispensabile per creare un vasto mercato più a valle.

Un ulteriore motivo è quello di acquisire capacità e competenze mancanti perché il prodotto possa avere un rapido ed esteso successo.

Un ultimo motivo è collegato al tema della compatibilità: soprattutto in alcuni mercati è fondamentale per il cliente che l’uso di un certo prodotto sia compatibile con altri prodotti presenti nel mercato.

Talvolta i tre tipi di strategie non corrispondono a una distinzione così netta ma la scelta migliore risulta essere una combinazione tra di esse. Per esempio, nella fase di introduzione di un prodotto, prima che emerga un dominant design, un’impresa può cercare di favorire la massima diffusione del prodotto, aprendo la tecnologia a terzi. Essa può poi superare i propri partner/competitor con una strategia di velocità nel lancio di sempre nuove versioni del prodotto. Infine, essa può anche tentare di proteggere la propria capacità competitiva attraverso l’affermazione di un forte brand, magari che sia sinonimo della nuova categoria di prodotto.

3.3 Le strategie di protezione

In riferimento alle strategie di protezione, Teece (1986) propone di affrontare il problema distinguendo tra due insiemi di elementi fondamentali: gli strumenti legali e la natura della tecnologia . Nel primo caso rientrano i brevetti, i diritti d’autore e i segreti

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commerciali. Nel secondo caso è opportuno distinguere tra tecnologia del prodotto e tecnologia di processo, nonché tra conoscenze codificate e conoscenze tacite.

Per quanto riguarda gli strumenti legali, sicuramente i brevetti sono indicati come la soluzione più utilizzata e più utile per la protezione di idee innovative di natura tecnologica.

Il processo di brevettazione è piuttosto complesso e richiede il sostenimento di alcuni costi, necessari da un lato alla codificazione della conoscenza e dunque alla produzione della documentazione necessaria, e dall’altro a tasse e oneri necessari per l’assistenza di tipo professionale. Una volta ottenuto il brevetto ha una durata pluriennale, per esempio nel caso italiano ed europeo il brevetto per invenzione industriale ha durata ventennale. La tutela legale ottenuta tramite il brevetto consente uno sfruttamento esclusivo, sanzionabile nelle violazioni accertate secondo diversi criteri, che si configura per il potenziale investitore come il premio disponibile alla fine degli sforzi di ricerca.

Alcuni strumenti legali simili nella struttura degli incentivi ai brevetti sono i premi all’innovazione e i contratti di ricerca. In entrambi i casi l’obiettivo è stimolare l’innovazione attraverso la disponibilità di un ritorno economico elevato, in cambio della cessione dei diritti di sfruttamento e diffusione dell’innovazione, per evitare un controllo monopolistico dei risultati o per assicurarsi un diritto di sfruttamento esclusivo.

Per quanto riguarda i contratti di ricerca, si tratta di soluzioni molto frequenti sui mercati tra soggetti privati, soprattutto per programmi di ricerca temporalmente limitati e focalizzati all’ottenimento di risultati molto vicini allo stadio applicativo.

A differenza dei contratti di ricerca i premi di ricerca si prefiggono lo scopo di rendere pubblici i risultati della ricerca. Hanno però delle limitazioni importanti; in primo luogo chi concede il premio deve essere in grado di valutare attentamente le proposte presentate. In secondo luogo, una volta effettuata tale valutazione, si deve essere in grado di proteggere con successo il proprio diritto alla libera diffusione dei risultati. In molti settori si utilizzano altre strategie di protezione dell’innovazione. Fra quelli legali troviamo i “segreti commerciali”, che individuano una conoscenza che viene mantenuta segreta dopo il suo sviluppo e che può successivamente essere ceduta in licenza sotto il vincolo di non divulgazione. Il problema fondamentale è legato alla definizione di segretezza che consente una tutela solo se si è in grado di dimostrare che

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la violazione è avvenuta a seguito di imitazione e non grazie ad uno sviluppo indipendente. Non prevedendo alcuna registrazione, il segreto commerciale richiede e chi promuova una causa l’onere della prova della violazione della segretezza del soggetto chiamato in causa. Nella pratica ciò si traduce in oneri elevati e basse probabilità di successo legale.

La soluzione alternativa agli strumenti legali si riferisce ai casi in cui la conoscenza associata ai processi innovativi non sia codificabile per limiti oggettivi dei soggetti coinvolti oppure per la rilevanza del contesto di applicazione2.

Nel primo caso il problema è legato da un lato all’economicità della codifica della conoscenza, che potrebbe portare ad una struttura dei costi eccessiva, dall’altro all’effettiva capacità dei soggetti coinvolti nel rendere disponibili tutte le informazioni necessarie. Nel secondo caso il problema è legato all’impossibilità di replicazione delle caratteristiche accessorie del processo di sviluppo al di fuori del contesto specifico nel quale le conoscenze sono state sviluppate.

Un esempio tipico è legato ai fattori di esperienza che emergono nel caso di sviluppo ed implementazione di innovazioni dei processi produttivi e che derivano dalle condizioni di un particolare impianto, rendendo necessaria un’attività di supporto formalizzata realizzata mediante servizi di assistenza specialistici.

3.4 Il brevetto

I brevetti sono certamente lo strumento più utilizzato per la protezione delle innovazioni aventi natura tecnologica e può essere definito come un titolo giuridico in forza del quale viene conferito un monopolio temporaneo di sfruttamento dell’invenzione in un territorio e per un periodo ben determinati, al fine di impedire ad altri di produrre, vendere o utilizzare la propria invenzione senza autorizzazione3.

Ogni paese ha sviluppato un proprio regime di tutela attraverso un brevetto nazionale, cui si affiancano anche brevetti internazionali, come per esempio il brevetto europeo. Il titolare del brevetto può utilizzarlo direttamente oppure può disporne, trasferendo ad altri il diritto con un contratto di licenza; quest’ultima può essere esclusiva se il titolare del brevetto rinuncia ad ogni possibilità di utilizzare la propria invenzione.

2 Sobrero M. “La gestione dell’innovazione.Strategia, organizzazione e tecniche operative”.Carocci. 2003 3 Bianchi F. “Il brevetto per invenzioni industriali” in PMI Vol.15 n.4. 2009

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Per quanto concerne il corrispettivo della licenza esso può consistere in somme fisse o percentuali relative al fatturato realizzato dal licenziatario, sottoforma di royalties. In Italia la normativa sui brevetti è disciplinata dal Codice Civile, in particolare dal Titolo IX del Libro Quinto intitolato “Dei diritti sulle opere dell’ingegno e sulle invenzioni industriali”.

L’art.2585 c.c. definisce l’oggetto del brevetto come segue: “Possono costituire oggetto di brevetto le nuove invenzioni atte ad avere un’applicazione industriale, quali un metodo o un processo di lavorazione industriale, una macchina, uno strumento, un utensile o un dispositivo meccanico, un prodotto o un risultato industriale e l’applicazione tecnica di un principio scientifico, purché sia di immediati risultati industriali…”

Un’invenzione può essere brevettabile solo nei casi tassativamente indicati dal legislatore ed in particolare se presenta i requisiti di:

1. industrialità: l’attitudine ad essere utilizzata nel processo industriale in modo immediato;

2. originalità: tale invenzione deve contenere un certo elemento creativo e non costituire una mera applicazione di conoscenze già acquisite;

3. novità: si deve trattare di un’invenzione che non sia già stata divulgata;

4. liceità: sono brevettabili solo ed esclusivamente le invenzioni che non contrastano con l’ordine pubblico o il buon costume.

Il titolo legale conferito, dà il diritto, al titolare, di escludere gli altri dal fare tipologie di prodotti o di processi che ricadano sotto la protezione legalmente acquisita.

A fronte di questo monopolio legale temporaneo, generalmente 20 anni, lo Stato ottiene la rivelazione dell’invenzione: elemento fondamentale, infatti, della domanda di brevetto è la spiegazione delle caratteristiche dell’invenzione al fine di consentire la riproduzione della stessa.

Oltre a dover svelare la sua invenzione, il proprietario del brevetto affronta dei costi non indifferenti: egli dovrà, infatti, pagare sia per presentare la domanda di brevetto, sia per rinnovare, fino a scadenza, il brevetto stesso.

A fronte di queste osservazioni occorre domandarsi quando è il caso di brevettare. Un tentativo di fornire dei criteri guida per la brevettabilità delle invenzioni è stato compiuto in un saggio di Sydney Winter (1985) il quale ha cercato di mettere in luce i

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fattori che occorre prendere in considerazione quando si vuole elaborare una strategia brevettuale4.

 In primo luogo, affinché una domanda di brevetto si trasformi in un brevetto rilasciato, occorre che la conoscenza scientifica e tecnica in esso contenuta sia comprensibile ed articolabile; una parte delle conoscenze tecnologiche “tacite”, che sono il risultato di processi di apprendimento quali il learning by doing, il learning by

using o il learning by failing, mal si prestano ad essere codificate in un documento

brevettuale. Se invece la conoscenza tecnologica dell’invenzione è facilmente articolabile, essa si presta meglio ad essere codificata in un documento e ad essere difesa contro eventuali violazioni della proprietà industriale.

 Il secondo criterio è quello di chiedersi se gli eventuali concorrenti potrebbero, tramite processi di reverse engineering (ossia “smontando” i prodotti della concorrenza e riuscendo a carpire la natura dell’innovazione), impossessarsi delle medesime conoscenze. Nel caso in cui si ritenesse che le innovazioni introdotte non possano essere copiate dalla concorrenza, può essere preferibile tutelarsi tramite il segreto industriale. Si è visto che il brevetto viene in media considerato più efficace per proteggere le innovazioni di prodotto, più facilmente osservabili dalla concorrenza.

 Occorre poi interrogarsi sui tempi di sfruttamento commerciale di un’invenzione. In campi nei quali il progresso tecnologico è molto rapido, una innovazione, anche se protetta da tutela brevettuale, deve essere sfruttata entro brevi periodi di tempo. Bisogna sincronizzare la domanda di brevetto con l’introduzione dei prodotti innovativi sul mercato. Ma, soprattutto, occorre tutelare le invenzioni ed innovazioni prodotte nel passato continuando ad innovare, fornendo sul mercato prodotti che siano costantemente sulla frontiera tecnologica.

 Non tutte le invenzioni sono indipendenti da altre invenzioni, spesso già brevettate. Nel caso in cui un’invenzione sia chiaramente distinta da altre invenzioni, l’ottenimento e la difesa del brevetto risulta più agevole. Al contrario, se un’invenzione è strettamente connessa ad invenzioni di altre imprese, la sua protezione brevettuale diventa più complicata.

4 Archibugi D. e Malaman R. “Il brevetto come strumento di appropriazione dell’attività inventiva e

innovativa: l’insegnamento delle indagini empiriche” in “Brevetto e politica dell’innovazione.

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 La rilevanza scientifica e tecnologica dell’invenzione incide profondamente sulla strategia brevettuale. Se un brevetto è di natura incrementale, può essere facile per i concorrenti brevettare invenzioni ad esso simili (inventing around). Se invece l’invenzione è considerata un fondamentale avanzamento delle conoscenze tecnologiche, una maggiore protezione dell’invenzione può essere ottenuta tramite un portafoglio di brevetti, mirati a proteggere non solo l’innovazione introdotta sul mercato, ma anche a prevenire l’introduzione di innovazioni ad essa complementari.  Occorre stabilire in quali paesi estendere il brevetto quindi bisogna valutare quali sono i mercati in cui si intende commercializzare il prodotto. L’interesse ad estendere un brevetto in un paese dipende dalla rilevanza economica del suo mercato tuttavia è spesso opportuno estendere i brevetti non solo nei paesi nei quali si intendono esportare i prodotti connessi alle invenzioni brevettate, ma anche in quelli dove sono locate le imprese che potrebbero commercializzare prodotti concorrenti.

3.5 La valutazione del brevetto

Una volta individuati i fattori per la brevettabilità di una nuova invenzione occorre passare alla valutazione del brevetto. Non esiste un unico metodo per la valutazione; i metodi maggiormente utilizzati sono5:

 Il Metodo del costo che si propone di misurare il complesso dei benefici futuri generati dal possesso del bene in oggetto di stima attraverso la determinazione delle risorse monetarie che si dovrebbero impiegare per riprodurre o sostituire quel bene con uno del tutto analogo in termini di caratteristiche, potenzialità e idoneità ad offrire il medesimo servizio. Accanto alla tecnica del “costo di sostituzione”, si ricorre in alcuni casi alla tecnica del “costo storico aggiornato” che si basa sulla riespressione a valori correnti dei costi, degli investimenti sostenuti in passato per disporre di una determinata attività immateriale e realizzare il bene immateriale.

 Il Metodo del reddito che considera le potenzialità del bene a produrre reddito. Si assume in generale che il valore del bene sia determinabile calcolando il valore attuale

5 Giordani S. “ Piattaforma di analisi per la valutazione economico-finanziaria” in Valutazione economico

finanziaria dei brevetti allegato al protocollo di intesa MSE, ABI, Confindustria e CRUI del 21 ottobre

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del beneficio economico netto nell’arco di vita del bene. I metodi che rientrano in questa categoria sono per lo più basati su un calcolo o previsione dei flussi di cassa che possono derivare dal brevetto, da attualizzare poi secondo un opportuno tasso di attualizzazione/discount rate (Discounted Cash Flow, DCF – Net Present Value, NPV o Valore Attuale Netto, VAN).

 L’approccio di mercato che riflette semplicemente il valore ottenuto per transazioni e/o compravendite di beni simili o assimilabili al bene oggetto di stima.

Il metodo del costo e il metodo del reddito rimangono i più utilizzati ma in contesti di business tecnologici per la valutazione dei brevetti e altri titoli di proprietà industriale occorre combinarli con degli altri metodi specifici:

 Industrial Standards. Questo metodo si richiama all’approccio di valutazione che è stato indicato come approccio di mercato. Standard dell’industria o standard di settore industriale fanno riferimento alla costruzione di una banca dati che contiene dati rilevanti e significativi degli accordi di licenza per ciascun settore.

 Rating & Ranking. È uno dei metodi più utilizzati dal marketing alla finanza per stabilire un elenco di merito, per elaborare tramite una griglia di criteri, parametri, pesi e indicatori un’analisi obiettiva della tecnologia, dell’invenzione o del brevetto.

 Monte Carlo. È una tecnica avanzata di valutazione. Si basa sul metodo dello sconto dei flussi di cassa (Discounted Cash Flow Method – DCF) e il calcolo del Valore Attuale Netto (VAN o Net Present Value, NPV) e la differenza rispetto a quest’ultimo sta nell’approccio probabilistico anziché deterministico delle variabili chiave, considerando la possibilità che le variabili possano assumere i valori contenuti in un determinato range secondo una funzione di probabilità associata.

I motivi per cui può essere necessario per un’azienda procedere ad una valutazione del brevetto sono diversi, inclusi fattori di carattere contabile, concessioni di licenze, fusioni o acquisizioni, vendita o acquisto di attivi immateriali oppure raccolta di capitali.

Per quanto riguarda la contabilità, il Codice Civile non fissa dei criteri particolari di valutazione dei diritti di brevetto come invece accade per gli oneri pluriennali (costi di impianto e ampliamento; costi di ricerca, sviluppo e pubblicità), o per l’avviamento. Di conseguenza occorre far riferimento ai criteri generali stabiliti per tutte le immobilizzazioni.

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Dunque la valutazione andrà fatta al criterio del costo (di acquisto o di produzione a seconda della modalità di acquisizioni del bene immateriale). Trattandosi di immobilizzazioni la cui utilizzazione è limitata nel tempo, il costo dovrà essere ammortizzato sistematicamente in relazione con la residua possibilità di utilizzazione. Nel caso in cui l’azienda ottenga direttamente il brevetto, il costo di produzione da iscrivere in bilancio deve essere determinato tenendo conto dei costi direttamente sostenuti, quindi anche i costi relativi al personale nella attività di ricerca e sviluppo, le quote di ammortamento relative a cespiti utilizzati nelle attività di ricerca e sviluppo, quote di spese generali e amministrative, interessi passivi relativi a finanziamenti contratti e impiegati per attività di ricerca e sviluppo. A questi costi si possono aggiungere anche i costi accessori relativi alla domanda ed all’ottenimento del brevetto. I costi sostenuti successivamente all’iscrizione iniziale del brevetto posso essere capitalizzati solamente se da essi potranno derivare ulteriori benefici economici e nella misura in cui ciò sarà possibile.

Nel caso di acquisto del brevetto da terzi, il costo da capitalizzare è il costo di acquisto aumentato degli oneri accessori, inclusi i costi di progettazione e i costi per gli studi di fattibilità necessari per l’adattamento del brevetto e per la sua effettiva implementazione nel contesto operativo e produttivo dell’impresa.

Per quanto riguarda il calcolo delle quote di ammortamento di norma si preferisce considerare la durata legale del brevetto, a meno che non ci siano situazioni tali che facciano ritenere si possa avere una rapida obsolescenza tecnica del brevetto. Le quote devono essere calcolate in modo costante e al termine di ogni esercizio occorre effettuare un’analisi del valore residuo del brevetto e verificare se ci sono ancora le condizioni che giustificano una sua iscrizione in bilancio. In caso contrario occorre procedere ad una loro svalutazione.

La valutazione del brevetto può essere fatta anche per concedere in licenza il brevetto stesso affinché sia utilizzato da altri. In questo caso il proprietario (il licenziante) concede il permesso ad un altro soggetto (il licenziatario) di utilizzare l’invenzione brevettata per scopi concordati reciprocamente6. La concessione di una licenza è

particolarmente utile se l’azienda che possiede l’invenzione non si trova nella

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condizione di produrla del tutto o in quantità sufficiente per soddisfare una certa esigenza di mercato o coprire una determinata area geografica.

Nei contratti di concessioni il proprietario del diritto generalmente è remunerato con pagamenti forfettari e/o attraverso la riscossione di royalties, che si possono basare sul volume di produzione del prodotto in concessione oppure sulle vendite nette.

Esistono tre tipi di accordi di licenza che dipendono dal numero di coloro che potranno sfruttare commercialmente il brevetto:

- Licenza esclusiva: un solo concessionario ha il diritto di utilizzare la tecnologia brevettata, la quale non può essere usata dal proprietario del brevetto;

- Licenza unica: un solo concessionario, unitamente al proprietario del brevetto, ha il diritto di utilizzare la tecnologia brevettata;

- Licenza non esclusiva: diversi concessionari, spesso in aree diverse, ed il titolare del brevetto hanno il diritto di utilizzare la tecnologia brevettata.

In ogni caso i diritti di esclusiva concessi da un brevetto conferiscono al legittimo titolare il diritto di impedire a terzi non autorizzati di sfruttare l’invenzione. Infatti succede spesso che quando viene immesso sul mercato un prodotto nuovo o comunque migliore e lo stesso riscuote successo, i concorrenti prima o poi cercheranno di fabbricare prodotti con caratteristiche simili o uguali al prodotto originale.

A questo punto far valere i propri diritti, quando si ritiene che la propria invenzione brevettata sia stata copiata, può essere determinante al fine di mantenere la competitività, la posizione di mercato ed i profitti.

Posto che sia stata giuridicamente accertata l’esistenza di una violazione, si pone il problema del corretto risarcimento del danno economico eventualmente subito dal titolare del brevetto7. Tale danno si identifica nell’entità dei profitti perduti da

quest’ultimo nel periodo della violazione. Nel processo di stima dei profitti andati perduti una indagine preliminare attiene alla verifica dell’esistenza sul mercato di prodotti e/o beni che, senza configurare una violazione del brevetto, rappresentino sostituti soddisfacenti di quelli del titolare. Se tale condizione è assente, è ipotesi ragionevole concludere che le vendite realizzate dal contraffattore sono l’effetto della

7 Renoldi A.G. “Violazione di brevetto: riflessioni in merito alla stima del risarcimento” in La valutazione

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illecita sottrazione di vendite al titolare e un risarcimento, a titolo di profitti perduti, è sicuramente dovuto.

In sostanza emerge che un brevetto di per sé non è garanzia di successo commerciale. Esso è uno strumento che aumenta la capacità di un’azienda di beneficiare delle proprie invenzioni ma perché possa fornire un beneficio tangibile, deve essere sfruttato efficacemente; esso produrrà profitti solo se il prodotto incontrerà i favori del mercato oppure se aumenterà la forza ed il potere contrattuale dell’impresa stessa.

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