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Concentrandosi sulla materia oggetto di questo lavoro di tesi è opportuno

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Academic year: 2021

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2. A PPROCCIO METODOLOGICO

2.1 Caratterizzazione del sito

Nella caratterizzazione ambientale di un sito, finalizzata ad individuare la contaminazione delle matrici ambientali, è opportuno descrivere le principali attività antropiche che vi si sono svolte, le caratteristiche delle componenti ambientali sia all’interno del sito che nell’area da questo influenzata e localizzare l’estensione della eventuale contaminazione. Una volta definite le possibili fonti di inquinamento e la sua entità è necessaria l’elaborazione preliminare del modello concettuale che costituisce la base di partenza per il successivo modello concettuale definitivo. Il piano di investigazione fornirà i dati analitici indispensabili per l’elaborazione del modello.

In questo studio il sito da caratterizzare è rappresentato da una discarica di rifiuti solidi urbani ed inerti, ubicata in provincia di Pistoia, nel Comune di Agliana. Le discariche di rifiuti rappresentano dei siti di variabile estensione all’interno dei quali sono presenti molteplici specie chimiche inorganiche ed organiche, distribuite in fase liquida, solida e aeriforme, in concentrazioni tali da rappresentare delle elevatissime “anomalie geochimiche” rispetto alle caratteristiche medie dello specifico contesto ambientale. La presenza di specie chimiche tossiche e nocive rappresenta quindi un rischio certo e potenziale situazione di pericolo in caso di diffusione. La degradazione della materia organica che costituisce il rifiuto, unita all’inevitabile infiltrazione di acqua piovana all’interno del corpo rifiuti porta alla formazione di percolato e di biogas. La dispersione nell’ambiente circostante di questi prodotti determina un forte impatto sulle falde idriche e sull’aria.

Concentrandosi sulla materia oggetto di questo lavoro di tesi è opportuno

ricordare che uno strumento indispensabile per valutare il potenziale impatto

di una discarica sui corpi idrici circostanti è rappresentato dall’indagine

idrogeochimica dell’area, finalizzata alla identificazione delle caratteristiche

chimico-fisiche, chimiche ed isotopiche delle acque e del percolato. Tutto questo

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dovrà necessariamente essere accompagnato da una conoscenza delle condizioni idrogeologiche del territorio in cui si inserisce la discarica. Poiché nessuno dei parametri chimici, fisico-chimici ed isotopici ha un significato idrogeologico univoco, la corretta interpretazione dei dati è di fatto subordinata alla conoscenza di una serie di elementi di base quali, litostratigrafie, idrostrutture, piezometrie e principali direzioni di flusso delle acque sotterranee, circolazione superficiale, ecc..

La composizione chimica delle acque naturalmente presenti sul territorio è il risultato di molteplici processi, che derivano principalmente dall’interazione delle acque meteoriche con il suolo prima e, successivamente, con le rocce formanti l’acquifero; tale interazione comporta tutta una serie di reazioni di tipo chimico e chimico-fisico, come dissoluzione, precipitazione, scambio ionico, adsorbimento ed anche fenomeni di mescolamento di acque di diversa origine e composizione. In generale tutti questi fenomeni possono essere evidenziati utilizzando le variazioni di concentrazione di specie chimiche che ci possono fornire utili informazioni per risalire all’origine ed alla storia delle masse di acqua.

Le specie chimiche comunemente studiate sono i cosiddetti ioni

fondamentali (cloruri, solfati, bicarbonato, sodio, calcio e magnesio), ai quali

generalmente si aggiungono i nitrati, il potassio, lo ione ammonio ed i nitriti. Le

acque di scolo di discariche di rifiuti solidi urbani (RSU), percolando attraverso

il corpo rifiuti acquisiscono specifiche caratteristiche chimiche, come valori

elevati di cloruri e ammoniaca, che le rendono facilmente distinguibili da quelle

delle acque naturali. Ciò costituisce un aspetto favorevole ai fini

dell’individuazione di una contaminazione dei corpi idrici da parte di un

percolato; tuttavia, in molti casi le concentrazioni chimiche naturali nelle acque

risultano di per sé elevate a causa di una lisciviazione di particolari tipologie di

terreni (quali ad esempio i terreni argillosi, limo sabbiosi, di origine marina ecc.)

che rende difficile se non impossibile, l’individuazione di contaminazioni

dovute a minime quantità di percolato. Inoltre, è comunemente presente una

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più o meno marcata contaminazione legata alla presenza umana, ad esempio per attività agricola, che contribuisce ad impedire una semplice interpretazione del dato analitico.

Un aiuto in tal senso può essere fornito dai metodi isotopici che costituiscono un potente mezzo per la valutazione dei rapporti tra discariche ed acque sotterranee oltre che a contribuire in maniera rilevante alla definizione del quadro idrogeologico generale. In particolare l’analisi degli isotopi stabili dell’acqua (ossigeno-18 e deuterio) permette di ottenere informazioni per identificare l’area di ricarica di un acquifero e soprattutto consentire lo studio di fenomeni di miscelamento di acque di diversa origine. I contenuti di 18 O ed in particolare in 2 H nel percolato sono di norma distinti da quelli delle acque di origine meteorica, comprese anche le acque di falda, soprattutto a causa dei processi di scambio isotopico con i gas durante la fermentazione anaerobica che avviene in discarica; grazie a queste proprietà il percolato di discarica presenta caratteristiche isotopiche ben distinte da quelle delle risorse idriche sul suolo e nel sottosuolo ed una sua interferenza con queste ultime risulta spesso meglio evidenziabile tramite analisi isotopiche di quanto sia possibile con i consueti parametri chimici; questa particolarità è essenziale in situazioni in cui i valori di fondo naturale di certi parametri come COD e ammoniaca sono elevati, come accade in presenza di limi o argille [Cervelli, 2006; Doveri et al., 2008a]; in tali casi l’utilizzo dei parametri chimici risulterebbe inefficace nella identificazione di potenziali contaminazioni. Un altro parametro isotopico utilizzabile è il trizio, isotopo radioattivo dell’idrogeno, che permette di determinare l’età di un acqua e di tracciare il percolato, nel caso in cui questo ne sia arricchito; i contenuti in trizio nel percolato, anche se variabili da discarica a discarica, si attestano mediamente su valori compresi tra le 200 e le 2.000 U.T. ed, in alcuni casi, raggiungono svariate migliaia di U.T. [Doveri et al., 2008a,b; Mutch et al.

2007, Robinson & Gronow, 1995c, 1996]. I contenuti di trizio nel percolato sono

principalmente dovuti alla presenza di rifiuti aventi sostanze artificialmente

arricchite in questo isotopo. I contenuti naturali nelle acque meteoriche e di

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falda non raggiungono le 15 U.T. e generalmente sono ben al di sotto delle 10 U.T.. Molto utile è anche lo studio del carbonio-13 nelle specie carbonatiche inorganiche disciolte. Tale parametro, a causa della fermentazione della materia organica che si verifica in discarica, assume nei percolati, valori intorno a +15 / +30 δ‰, facilmente distinguibili rispetto a quelli delle acque naturali dove il carbonio-13 presenta valori intorno a –25 e 0 δ‰, in funzione delle formazioni litologiche, dei suoli e/o delle caratteristiche dell’acquifero [Doveri et al., 2008b;

Hackley et al., 1996; Atekwana & Krishnamurthy, 2004].

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2.2 Chimismo delle acque

Al momento del prelievo, il campione subisce importanti modifiche che possono determinare variazioni nella sua composizione. Per questo motivo è necessario misurare immediatamente i parametri chimico-fisici temperatura, pH, conducibilità elettrica e determinare l’alcalinità.

La temperatura (°C) fornisce informazioni relative alla circolazione delle acque; se i valori misurati nei vari periodi dell’anno corrispondono alla temperatura media dell’ambiente superficiale circostante, la circolazione dell’acqua avviene a livello dello strato omotermico cioè quello strato alla cui profondità non si risente delle oscillazioni stagionali della T atmosferica e si registrano pressappoco i valori medi di quest’ultima; tale strato si colloca a profondità di circa 30-40 metri nelle rocce e di circa 20 metri nei terreni sciolti.

Quando le temperature sono costantemente maggiori di quelle medie dell’ambiente esterno, significa che l’acqua si approfondisce oltre il suddetto strato ed infine, in caso di variazioni di temperatura legate ai periodi stagionali, siamo in presenza di una circolazione vicina alla superficie.

Il pH è definito come il logaritmo del reciproco dell’attività idrogenionica ossia pH=-log 10 [H + ] ed esprime l’acidità di una soluzione; nelle acque sotterranee è generalmente prossimo alla neutralità, compreso tra 6.5 e 8.0. I valori di pH possono subire variazioni importanti per: perdita di CO 2 dalla soluzione con conseguente aumento del pH e del contenuto di CO 32- e possibile precipitazione del CaCO 3 ; per ossidazione del ferro (II) a ferro (III) con conseguente precipitazione degli idrossidi di ferro, accompagnata da una diminuzione del pH; presenza di processi fotosintetici che consumano CO 2 e quindi aumentano il valore del pH; processi di respirazione da parte di eventuali microrganismi aerobi presenti nell’acqua, che producono CO 2 e quindi abbassano il pH.

La conducibilità elettrica (µS/cm) rappresenta la capacità di condurre

elettricità da parte di una soluzione; serve per conoscere il contenuto salino di

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una soluzione acquosa ed è direttamente proporzionale alla salinità dell’acqua ovvero al suo TDS (Total Dissolved Solids). Essa aumenta al crescere della quantità di cariche ioniche presenti in soluzione, dipende dal tipo di ioni e dalla temperatura. Per quest’ultimo motivo, per essere confrontabili, i valori convenzionalmente sono riferiti a temperature standard (in genere 20°C o 25°C).

L’alcalinità (espressa in meq/l o mg/l di CaCO 3 ) rappresenta la capacità di un’acqua di neutralizzare un acido. L’alcalinità totale è data dal contributo di tutte le basi deboli presenti in soluzione. Generalmente, nella stragrande maggioranza dei casi il contributo all’alcalinità delle acque naturali è fornito dagli ioni carbonato e bicarbonato (alcalinità carbonatica). Convenzionalmente l’alcalinità totale è espressa dalla seguente relazione:

Alc = [HCO 3- ] + 2 [CO 3- ] + [OH - ] - [H + ]

Esistono tuttavia varie specie chimiche inorganiche e organiche che possono contribuire all’alcalinità totale di una soluzione acquosa, come ad esempio gli ioni bisolfuro, ortofosfato, borato, l’ammoniaca, acidi organici e fulvici.

I costituenti inorganici contenuti in soluzione nelle acque di falda possono essere suddivisi in tre gruppi [Chiesa, 2002]:

1. Costituenti principali o ioni fondamentali (concentrazioni maggiori di 10 mg/l), quasi sempre presenti. Fanno parte di questo raggruppamento i cloruri (Cl - ), i solfati (SO 4 2- ), i bicarbonati (HCO 3 - ), il sodio (Na + ), il calcio (Ca 2+ ) e il magnesio (Mg 2+ ).

2. Costituenti minori (concentrazioni in genere <10 mg/l): potassio (K + ), nitrati (NO 3 - ), carbonati (CO 3 2- ), ione ammonio (NH 4 + ) e ferro (Fe 2+ ).

3. Elementi in traccia con concentrazioni dell’ordine del µg/l o inferiori

(Pb, Cr, Cu, ecc…)

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Nel caso in cui si voglia valutare l’eventuale sversamento di percolato e quindi evidenziarne il miscelamento con le falde acquifere circostanti è necessario esaminare, oltre agli elementi sopra citati, gli elementi che più lo caratterizzano. Tra questi la scelta ricade su: nitriti, ammoniaca, COD metalli pesanti (Fe, Mn, Cu, Zn, Ni, Cr, Pb, Cd, Al, B, As, Hg). Tali elementi fungono da traccianti della contaminazione in quanto, normalmente, sono presenti nel percolato in concentrazioni elevate o, anche se in tracce, con concentrazioni significativamente più alte del fondo naturale [Christensen et al., 1994, 1998, 2000, 2001; Jensen & Christensen, 1999; Kruempelbeck & Ehrig, 1999; Siegel et al., 1990; Robinson, 1995a,b, 2007].

Fonti bibliografiche riportano la composizione del percolato come caratterizzata dalla presenza di 4 principali gruppi di inquinanti: materia organica disciolta, macrocomponenti inorganici, metalli pesanti e composti organici xenobiotici [Christensen et al., 1994; Kjeldsen et al., 2002].

I macrocomponenti inorganici all’interno del percolato derivano dalla degradazione della materia organica presente nei rifiuti; alcuni ioni come Ca 2+ e Mg 2+ (tabella 1.3 al paragrafo 1.2.1) risultano in concentrazione minore durante la fase metanigena rispetto a quella acida, a causa dell’aumento del pH che comporta la formazione di complessi tra la materia organica ed i metalli. Altri ioni invece (Cl - , Na + e K + ) mantengono concentrazione pressoché costanti nelle due fasi poiché non sono influenzati da fenomeni di assorbimento, complessazione e precipitazione; la riduzione di tali ioni nel tempo può essere dovuta alla lisciviazione del rifiuto da parte delle acque di pioggia [Ehrig H. J., 1983, 1989; Christensen et al., 1994; Kjeldsen et al., 2002].

La materia organica disciolta è espressa come domanda chimica di ossigeno

(COD) o come carbonio organico totale (TOC), inclusi il metano, gli acidi grassi

volatili ed altri composti refrattari come gli acidi fulvici e umici. Il COD

rappresenta la quantità di ossigeno richiesta per ossidare “chimicamente” la

sostanza organica presente nelle acque. Tale parametro rappresenta sia le specie

organiche ossidabili biologicamente che quelle non biodegradabili, ossidabili

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pertanto solo chimicamente [Masotti, 1993]. Il COD si misura in mg/l di O 2 . Il TOC indica la quantità di carbonio attratto con legami covalenti dai composti organici.

La concentrazione dei metalli pesanti come Cd, Cr, Cu, Zn, Pb e Ni è molto variabile anche se in letteratura si possono ritrovare valori medi [Ehrig, 1983, 1989].

I composti organici xenobiotici come idrocarburi alifatici, fenoli e idrocarburi aromatici, derivano dai prodotti chimici presenti in basse concentrazioni nei rifiuti urbani ed industriali. Inoltre la loro concentrazione tende a diminuire nel tempo in seguito alla degradazione dei rifiuti ed alla loro volatilizzazione nel biogas di discarica.

Altri componenti che si possono ritrovare nel percolato ma che sono spesso in basse concentrazioni e quindi di importanza secondaria sono B, As, Se, Ba, Li, Hg e Co [Christensen et al., 2001; Ettler et al., 2008].

In base al Decreto Legislativo n. 36/2003 ci sono anche altri parametri come azoto nitrico, nitroso e ammoniacale che devono essere monitorati per un adeguato controllo delle acque sotterranee in zone circostanti una discarica (tabella 1.3, paragrafo 1.2). Le sostanze chimiche sopra menzionate possono quindi essere considerate come traccianti della contaminazione da percolato.

Tuttavia è opportuno ricordare che uno studio volto all’identificazione di una

possibile interazione tra percolato e corpi idrici circostanti non può prescindere

dalla conoscenza delle caratteristiche chimiche generali del fondo naturale. Una

particolare composizione delle rocce o dei terreni dell’area di discarica,

l’utilizzo di fertilizzanti o la presenza di terreni adibiti al pascolo, possono

infatti trarre in inganno, determinando, rispettivamente, alte concentrazioni di

cloruri, nitrati o ammoniaca e COD nelle acque, senza l’intervento del percolato

[Cervelli 2006; Tazioli et al., 2002; Doveri et al., 2008b]. In questi casi, quindi, può

risultare fuorviante utilizzare solo i parametri chimici e si rende necessario

ricorrere ad altri traccianti come gli isotopi.

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2.3 Parametri isotopici

L’aspetto importante da sottolineare è l’effettiva differenza di filosofia relativamente all’utilizzo dei dati isotopici rispetto a quelli chimici. I primi possono essere infatti utilizzati per determinare alcune caratteristiche che la mera lettura delle concentrazioni chimiche non consente di apprezzare [Tazioli et al., 2002].

In linea generale gli isotopi si possono suddividere in due principali gruppi:

gli isotopi stabili, che in natura sono poco meno di 300, e i non stabili o radioattivi, presenti in numero di poco superiore a 1.200.

Gli isotopi stabili sono quei nuclidi che, in un sistema chiuso, conservano nel tempo inalterata la loro concentrazione a meno che non vengano prodotti da qualche elemento radioattivo. Nella geochimica degli isotopi stabili per conoscere l’abbondanza di un isotopo in un elemento o in un composto si considerano le variazioni dei rapporti isotopici relativamente ad uno standard di riferimento; tale differenza si indica con il simbolo δ (delta) dato in per mille (‰) e definito come:

δ‰ = (R camp /R std -1)*1000

dove R è il rapporto isotopico tra l’isotopo più pesante e quello più leggero misurato nel campione (R camp ) e in uno standard di riferimento (R std ). Ad esempio nel caso dell’ossigeno il rapporto di abbondanza viene espresso come (R( 18 O) = [ 18 O] / [ 16 O]) ed un valore positivo di δ indica che il rapporto isotopico del campione è più alto rispetto a quello nello standard, viceversa se è negativo.

Molecole dello stesso composto ma che contengono differenti isotopi degli

stessi elementi si comportano da un punto di vista chimico e fisico in modo

simile ma non esattamente uguale. Le diversità sono dovute al differente

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numero di neutroni nei nuclei degli isotopi che comporta differenze nella struttura interna del nucleo, e quindi nelle proprietà fisiche dipendenti dalla massa, provocando anche piccole differenze nel comportamento chimico. La diversità di massa ha influenza sull’energia cinetica delle molecole e sulla loro frequenza di vibrazione interna. Considerando che tali elementi non possiedono un elevato numero atomico, la differenza relativa nelle masse isotopiche è sufficiente a provocare in alcuni processi biologici, fisici e chimici una variazione nelle abbondanze isotopiche dei vari composti. Tale fenomeno, noto come “frazionamento isotopico”, è un processo dipendente dalla massa. Per tale ragione, a parità di altre condizioni, i frazionamenti isotopici dell’idrogeno sono più significativi di quelli del carbonio, dell’ossigeno o dello zolfo. Per coppie di isotopi con numeri atomici più elevati le differenze di massa sono minori e i frazionamenti saranno trascurabili.

Il fattore di frazionamento (α) esprime la relazione tra i rapporti di abbondanza in due fasi a-b che coesistono ed hanno l’elemento in comune:

α a-b = R a /R b

dove R a e R b sono i rapporti isotopici rispettivamente per la fase a e b.

Esistono in natura due tipi principali di frazionamenti isotopici:

frazionamenti all’equilibrio e frazionamenti cinetici [Kendall & McDonnel, 1998].

Nel caso dei frazionamenti all’equilibrio i processi di scambio che avvengono

all’equilibrio isotopico implicano una ridistribuzione degli isotopi di un

elemento tra le varie specie o composti. In seguito ai cambiamenti di fase, i

rapporti tra isotopi pesanti e leggeri tra le molecole nelle due fasi cambia, ad

esempio con la condensazione del vapore (un processo che può essere

considerato all’equilibrio), gli isotopi dell’acqua più pesanti si arricchiscono

nella fase liquida mentre gli isotopi leggeri risulteranno più abbondanti. Il

frazionamento all’equilibrio è fortemente dipendente dalla temperatura,

all’aumentare della temperatura le differenze isotopiche tra le due fasi tendono

a diminuire pur mantenendosi il valore di α prossimo all’unità.

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Molte reazioni possono avere luogo in condizioni di equilibrio oppure essere caratterizzate da un frazionamento isotopico cinetico dove le velocità di reazione dipendono dai rapporti delle masse degli isotopi. Da un punto di vista cinetico una molecola che contiene l’isotopo di massa maggiore avrà una velocità di reazione più bassa rispetto al suo analogo con massa minore. Questo comporta una maggiore reattività delle molecole con isotopo leggero rispetto a quelle che hanno l’isotopo pesante [Mook, 2000; Dongarrà & Varrica, 2004]. Inoltre i legami tra gli isotopi leggeri si rompono più facilmente degli equivalenti legami degli isotopi pesanti e quindi gli isotopi leggeri si accumulano nei prodotti causando un arricchimento in isotopi pesanti nei reagenti. E’ questo il caso del processo di metanogenesi, in cui il metano che si produrrà, sarà arricchito in isotopi leggeri ( 12 C) rispetto al composto organico da cui si origina.

Gli isotopi radioattivi sono isotopi che decadono spontaneamente, in seguito all’emissione di particelle α, β o γ, fino ad assumere una configurazione nucleare stabile secondo un processo noto come decadimento radioattivo e si trasformano in nuclidi di altri elementi. Nel tempo quindi la concentrazione di tali isotopi tende a diminuire secondo la legge del decadimento radioattivo:

N = N 0 e -λ t dove

N = numero di atomi presenti all’istante t N 0 = numero di atomi presenti all’istante zero

λ= costante di decadimento caratteristica di ogni elemento.

Dalla legge del decadimento radioattivo conoscendo N 0 e N si può ricavare l’età del sistema indagato (t = 1/λ ln N 0 /N) e nel caso in cui i nuclei radioattivi di un isotopo si riducano della metà cioè quando avremo che N = N 0 /2, si può calcolare il tempo di dimezzamento ( t 1/2 = 1/λ ln2) che come nel caso di λ rappresenta un valore caratteristico per ogni elemento.

Nelle acque naturali il principale impiego degli isotopi radioattivi è

riconducibile alla datazione delle acque, anche se in alcuni casi, come verrà

affrontato in seguito per il trizio, ci sono anche altri importanti utilizzi.

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Nelle indagini ambientali si utilizzano prevalentemente i cosiddetti isotopi ambientali che rappresentano quei nuclidi di origine naturale o antropica che hanno un’ampia diffusione nell’ambiente poiché si ritrovano nei sistemi idrologici, geologici e biologici. In sistemi acquosi gli isotopi ambientali possono essere utilizzati come traccianti idrologici ed in particolare si possono distinguere due categorie:

1. i traccianti dell’acqua stessa e cioè gli isotopi dell’ossigeno e dell’idrogeno;

2. i traccianti delle specie disciolte in fase acquosa tra i quali i più comunemente utilizzati sono gli isotopi del carbonio, dello zolfo e dell’azoto, ma anche gli isotopi dell’elio, del boro, dello stronzio e del cloro.

Per gli scopi del presente elaborato sono stati utilizzati i traccianti dell’acqua deuterio ( 2 H), ossigeno-18, trizio ( 3 H) ed il 13 C dei carbonati disciolti in soluzione.

Il deuterio e l’ossigeno 18 sono due isotopi stabili rispettivamente dell’idrogeno e dell’ossigeno e pertanto si ritrovano in tutte le acque.

L’importanza di questi due isotopi risiede soprattutto nel loro utilizzo come marcatori del ciclo idrologico dell’acqua [Gat et al., 1994, 1996]. In natura esistono ben 18 molecole d’acqua con differenti rapporti isotopici, ma di queste, per la differenza di massa, risultano significative nell’ambito della geochimica delle acque le molecole H 216 O, H 218 O, H 2 H 16 O. Durante il normale ciclo che l’acqua compie, la composizione isotopica è influenzata dai frazionamenti isotopici che avvengono in seguito ai processi di evaporazione e condensazione.

All’aumentare della temperatura i fattori di frazionamento tra le due fasi, vapore ed acqua tendono a diminuire sia per il deuterio che per l’ossigeno-18.

In seguito a questo comportamento il vapore acqueo, originato

dall’evaporazione degli oceani, risulta arricchito in 16 O e 1 H, rispetto alla fase

liquida di partenza, e secondo la notazione δ presenterà valori di δ 18 O e δ 2 H

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negativi rispetto allo standard di riferimento. Il V-SMOW (Vienna Standard Mean Ocean Water) rappresenta lo standard di riferimento per 18 O e 2 H e per definizione ha δ 18 O e δ 2 H pari a zero. Se un campione di acqua ha un δ 18 O verso il V-SMOW di –15 significa che il suo rapporto isotopico 18 O/ 16 O è più basso del 15‰ rispetto a quello dello standard. La scelta di un’acqua oceanica media (V- SMOW) come standard di riferimento nasce dal fatto che le acque oceaniche costituiscono il termine di partenza e di chiusura del ciclo idrologico.

Nei processi di condensazione la fase liquida risulta viceversa arricchita in isotopi pesanti. Come conseguenza dei continui processi di evaporazione e condensazione a cui le masse d’aria sono sottoposte, si ha un impoverimento di isotopi pesanti nelle acque di pioggia e quindi i valori degli isotopi pesanti, espressi in δ‰ risulteranno via via inferiori. Questo processo rappresenta molto bene quello che viene definito l’effetto continentalità; infatti, una massa d’aria umida che dal mare procede il suo cammino verso l’interno di un continente, nel corso di successive condensazioni, e quindi precipitazioni, tenderà ad arricchirsi sempre più in isotopi leggeri.

Altri fattori come l’altitudine, la latitudine, le stagioni e la quantità di pioggia influiscono direttamente sui frazionamenti tra ossigeno-18 e ossigeno-16 e tra deuterio e prozio.

Quando una massa d’aria umida risale i fianchi di una montagna si raffredda

per espansione adiabatica con conseguente condensazione; all’aumentare della

quota la condensazione avviene a temperature sempre più basse. Questo

comporta che le precipitazioni a quote più basse, originate dalla prima fase di

condensazione, siano più ricche in isotopi pesanti di quelle che si formeranno a

quote più elevate, dove la temperatura è minore. Tale effetto prende il nome di

effetto altitudine e può risultare molto utile in studi di idrogeologia al fine di

individuare le aree di ricarica. Naturalmente questo richiede una buona

conoscenza del gradiente isotopico verticale della zona in esame che è ottenibile

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solo con lunghi periodi di campionamento delle precipitazioni a quote differenti.

Anche con la latitudine (effetto latitudine) si ha una variazione dei contenuti isotopici nelle precipitazioni ed in particolare si rileva una diminuzione dei valori dall’Equatore verso i Poli.

Le variazioni stagionali dei contenuti isotopici determinano precipitazioni invernali con un contenuto medio più basso di isotopi pesanti rispetto alle precipitazioni estive.

Tutti gli effetti citati influenzano la composizione isotopica delle acque di infiltrazione e quindi di quelle di falda. Ad esclusione di particolari condizioni di elevate temperature in acquifero (T>200°C), durante l’interazione acqua- roccia a bassa temperatura non si hanno scambi isotopici significativi e pertanto l’ossigeno-18 ed il deuterio possono considerarsi veri e propri traccianti dei percorsi seguiti dalle acque in acquifero, nonché delle interazioni tra diversi corpi idrici, anche in condizioni di salinità e chimismo simile.

Un’altra proprietà dell’ossigeno-18 e del deuterio è rappresentata dalla loro correlazione lineare nelle acque meteoriche alla scala mondiale (figura 2.1). Tale relazione è espressa dalla seguente equazione, detta equazione della retta meteorica mondiale [Craig, 1961]:

` 2 H= 8` 18 O +10

Il valore “+10” prende il nome di eccesso di deuterio, generalmente indicato con “d”, ed assume valori variabili nelle diverse aree geografiche. Nelle aree del Mediterraneo il valore di eccesso di deuterio risulta essere pari a circa +15 [Gat

& Carmi, 1970].

Quando le acque analizzate ricadono sulla retta significa che le acque di

pioggia non hanno subito alcun tipo di alterazione isotopica. Un incremento in

ossigeno-18, con valori di deuterio costanti rispetto alla retta meteorica sono

rappresentativi di sorgenti calde e fumarole di vari campi geotermici (figura

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2.2), alimentati da acque meteoriche delle rispettive località; lo spostamento dalla retta meteorica avviene parallelamente all’asse dell’ossigeno-18 poiché le rocce sono praticamente prive di idrogeno e lo scambio isotopico acqua-roccia, che avviene solo in condizioni di elevate temperature, interessa soltanto l’ossigeno.

Figura 2.1: Diagramma δ

2

H‰ vs δ

18

O‰ [Craig H., 1961]

L’acqua di mare ha una composizione isotopica vicina a quella del V-SMOW,

ma non identica; in genere nell’acqua di mare si rilevano valori di +0,7/+0,8 e

+7,0/+8,0 rispettivamente per δ 18 O‰ e δ 2 H‰. Tali valori si differenziano

notevolmente dalle acque di falda o di scorrimento superficiale le quali

denotano valori negativi in virtù dei processi di evaporazione e condensazione

del ciclo idrologico; questo consente di utilizzare gli isotopi al fine di

evidenziare i fenomeni di intrusione marina in acquifero.

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Figura 2.2: Composizione di ossigeno 18 e deuterio di sorgenti calde, fumarole, fluidi derivati da acque meteoriche (simboli vuoti) ed acque meteoriche locali ad ogni sistema (simboli pieni) [Truesdell & Hulston, 1980]

La presenza di un ambiente anaerobico comporta processi di scambio isotopico con i gas prodotti durante la fermentazione come idrogeno e metano [Siegel et al., 1990; Hackley et al., 1996; Tazioli et al., 2002; Doveri et al., 2007, 2008b]. Durante l’ossidazione del metano, che genera acqua, avvengono frazionamenti isotopici; tali frazionamenti determinano un arricchimento in deuterio nell’acqua di neoformazione, portando il percolato ad avere valori che si discostano verticalmente e verso l’alto rispetto alla linea delle acque meteoriche. I microrganismi, infatti, quando producono il metano, prediligono l’isotopo leggero dell’idrogeno ( 1 H) e quindi il rimanente idrogeno nel mezzo acquoso risulta arricchito in deuterio [Hackley et al., 1996; Fuganti et al., 2003].

La limitata evaporazione, che talvolta accompagna i suddetti processi,

determina invece un arricchimento in 18 O nel percolato anche se di entità

inferiore rispetto a quanto si osserva per il deuterio. La combinazione di questi

processi determina sul diagramma δ 2 H‰ vs δ 18 O‰ uno spostamento del

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percolato in diagonale ed al di sopra della retta delle acque meteoriche mondiali e del mediterraneo centrale (figura 2.3) [Doveri et al., 2008b].

-55 -50 -45 -40 -35 -30 -25 -20 -15 -10 -5 0 5 10 15 20 25

-7.5 -7.0 -6.5 -6.0 -5.5 -5.0 -4.5 -4.0

δδδδ 2 H δ

δ δ δ 18 O‰

percolati di discariche RSU

acque superf iciali e di f alda circostanti alle discariche RSU retta meteorica Mediterraneo centrale

retta meteorica mondiale

Figura 2.3: Diagramma binario δ

2

H‰ vs δ

18

O‰ relativo a percolati di discariche RSU ed a corpi idrici ad esse circostanti (dati inediti riferiti ad esperienze di studio fatte in Toscana). [Doveri et al, 2008b].

L’arricchimento in deuterio all’interno della discarica può risultare anche di circa +30÷+60‰ rispetto alle precipitazioni locali; tali valori indicano un grado di maturità della discarica piuttosto elevato, poiché tipici di una fase di metanogenesi avanzata.

Il trizio ( 3 H) è l’isotopo radioattivo dell’idrogeno. La sua abbondanza media

naturale nelle acque meteoriche annue, prima degli esperimenti nucleari degli

anni ’50, si aggirava sulle 3-6 unità trizio (l’unità trizio, U.T., equivale ad un

atomo di 3 H ogni 10 18 atomi di idrogeno oppure a 0.118 Bq/l di acqua). La

presenza naturale di trizio è dovuta all’interazione tra la radiazione cosmica e

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l’azoto presente nella parte superiore dell’atmosfera secondo la seguente reazione:

14 N + n → 3 H + 12 C

In particolare il massimo trasferimento del trizio dalla stratosfera alla troposfera avviene in primavera e quindi i contenuti di trizio sono massimi nelle precipitazioni di fine primavera inizio estate.

In seguito agli esperimenti nucleari verificatisi tra gli anni ’50 e ’60 si è avuto un incremento di tale isotopo in atmosfera e quindi nelle precipitazioni meteoriche [Gat et al., 1994, 1996; Egboka et al., 1983]. A causa degli elevati contenuti di radionuclidi nelle acque di pioggia (anche 10.000 U.T.), dal 1960 iniziò la moratoria nucleare con conseguente decremento di trizio nelle precipitazioni fino a tornare sui valori naturali nella prima metà degli anni ’90 [Mook, 2000].

Per poter effettuare questa datazione è necessario attualizzare i contenuti di trizio poiché tale isotopo, dal momento della sua formazione, decade attraverso l’emissione di particelle β - :

3 H → 3 He + e -

L’attualizzazione dei contenuti di trizio si effettua attraverso la legge di decadimento radioattivo (N = N 0 e -λ t ) precedentemente menzionata; nel caso del trizio il tempo di dimezzamento corrisponde a 12,43 anni.

Dal 1968 il trizio è continuato a scendere e attualmente i valori nella pioggia dell’Europa Centrale e delle Alpi sono attorno a 9-10 U.T., per quanto concerne le acque sotterranee tali valori sono inferiori alle 10-20 U.T..

In genere valori medi molto bassi (1-3 U.T.) competono ad acque sotterranee

con lungo tempo di permanenza nel sottosuolo, valori tra 4 e 8 U.T. ad acque

con brevi o medi tempi di permanenza, valori tra 9 e 13 U.T. acque con

brevissimi tempi di permanenza, spesso qualche mese appena. Valori di trizio

nelle acque sotterranee superiori a 15-16 U.T. indicano molto probabilmente la

presenza di fonti esterne; una di queste fonti è sicuramente una discarica, che

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ha contenuti in trizio spesso centinaia di volte più elevati di quelli naturalmente presenti nell’ambiente [Calestani et al., 1999; Fuganti et al., 2003; Rank et al., 1992; Tazioli et al., 2004]. Il trizio è parte integrante della molecola dell’acqua, per cui non è sottoposto a reazioni chimiche di alcun tipo né viene assorbito dai terreni. Il suo utilizzo come tracciante è legato al fatto che in numerosissime discariche il tenore in trizio è sensibilmente più elevato di quello naturalmente presente nelle acque sotterranee [Fuganti et al., 2003; Tazioli et al., 2004; Mutch et al., 2007]. Il rapporto risulta anche diverse centinaia di volte superiore.

Quindi se anche una piccola parte di percolato fuoriuscisse dalla discarica, mentre con le analisi chimiche sarebbe difficile individuarla, per mezzo delle analisi di trizio sarebbe possibile rintracciarla. Infatti è sufficiente avere piccole variazioni (superiori ai valori normalmente presenti nell’ambiente) di trizio nelle acque sotterranee per essere certi di una contaminazione esterna.

Il metodo per determinare la presenza o meno di inquinamento da parte di discariche si basa quindi sul verificarsi di anomalie nella concentrazione di trizio nelle acque sotterranee o superficiali circostanti la discarica. Una volta stabiliti, infatti, i valori di fondo degli isotopi e del trizio, è possibile confrontare i valori riscontrati nei diversi corpi idrici con quelli pertinenti al percolato, e definire se esiste o meno una correlazione. Tale metodo è fondato sulla considerazione che l’unico input naturale di trizio è rappresentato dall’acqua di pioggia, ed esistono quindi andamenti ben definiti nel corso dell’anno idrologico, per cui per ogni zona è possibile individuare un minimo (invernale) ed un massimo (estivo) nella concentrazione di trizio.

Le fonti principali di trizio, secondo studi effettuati in alcune discariche in

Scozia, sono riconducibili principalmente all’interramento di orologi e sveglie

con lancette contenenti GTLDs (Gaseous Tritium Lights Devices che possedeva

una radioattività superiore a 80 GBq), bussole, tubi elettronici, segnalatori di

percorso (Hicks et al., 2000). Il trizio in passato era presente nelle vernici

luminescenti ed oggi è fortemente utilizzato nei display od in altri oggetti a

cristalli liquidi, che comunemente sono presenti nei rifiuti smaltiti in discarica

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[Kisalu et al., 1991; Hicks et al., 2000]. L’alterazione e degradazione di questi materiali porta ad arricchire enormemente in trizio il percolato che, di conseguenza, è ben tracciabile. Oggi, a seguito del naturale decadimento, si riscontra un contento di trizio nelle acque sotterranee naturali inferiore a 10÷20 U.T. mentre nei percolati di discarica, i valori sono mediamente compresi tra 20 e 1.500 U.T. [Rank et al., 1992; Calestani et al., 1999; Fuganti et al., 2003; Tazioli et al., 2004], raggiungendo in alcuni casi valori anche di 10.000 U.T. [Doveri et al, 2007, 2008b; Mutch et al., 2007]. Questa netta differenziazione consente di rilevare anche basse percentuali di mescolamento del percolato con le acque.

La potenzialità di tale strumento viene bene evidenziata dalla figura 2.4 che si riferisce ad una discarica localizzata in un’area pianeggiante nei pressi di Parma, posta su terreni alluvionali, alternativamente limosi e limoso sabbiosi.

Quello che viene messo in evidenza è un’ampia migrazione di percolato verso l’ambiente sottostante [Calestani et al.,1999]. I valori attuali di trizio nell’atmosfera variano infatti, per le nostre latitudini, da un minimo di 3-4 U.T.

nei mesi invernali ad un massimo di 13-14 U.T. nei mesi primaverili ed estivi;

contenuti maggiori a 16 U.T. sono certamente dovuti ad altre fonti.

Figura 2.4: Sezione geologica schematica con indicazione dei contenuti in trizio. 1:

rifiuti; 2: argilla limosa e sabbiosa; 3: sabbia e ghiaia [Tazioli et al., 2002].

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Il carbonio possiede tre isotopi di cui 2 stabili, 12 C, 13 C e uno radioattivo 14 C.

Le abbondanze dei due isotopi stabili sono rispettivamente 98.9% e 1.1% per il

12 C e 13 C, cosicché il rapporto 13 C/ 12 C è circa 0.011. Gli isotopi del carbonio subiscono frazionamenti durante i vari processi naturali come la fotosintesi, le reazioni di dissoluzione della CO 2 in acqua, la precipitazione dei carbonati ed anche durante i processi degradativi che si verificano nelle discariche.

Ai fini del presente elaborato è stato indagato il contenuto di δ 13 C nel carbonio inorganico disciolto (Dissolved Inorganic Carbon, DIC) ovvero nei carbonati (CO 3= ), bicarbonati (HCO 3 ) ed anidride carbonica (CO 2 ) disciolti nelle acque. I valori di δ 13 C nelle acque sotterranee si aggirano tra –15‰ e –10‰

rispetto allo standard PDB (Pee Dee Belemnite, che corrisponde ad un carbonato biogenico marino dalla formazione Pee Dee nel South Carolina), mentre per le acque superficiali possono essere anche leggermente più elevati [Clark & Fritz, 1997].

L’attività batterica che si sviluppa nelle discariche crea un intenso frazionamento isotopico che porta il δ 13 C a valori fortemente positivi, generalmente compresi in un intervallo di +15‰/+30‰, per cui è possibile, una volta noto il fondo locale dell’ambiente, verificare l’esistenza o meno di inquinamento da percolato [Atekwana & Krishnamurthy, 2004; North et al., 2006; Doveri et al., 2008b; Van Breukelen et al., 2003]. Durante la riduzione della CO 2 i microrganismi prediligono il carbonio leggero per produrre il metano e quindi la CO 2 rimanente ed i carbonati e bicarbonati che da essa derivano, saranno arricchiti in carbonio-13 mentre il metano risulterà impoverito di tale isotopo. Il 13 C può dare quindi indicazioni utili sullo stato di maturazione del rifiuto [Hackley et al., 1996]. La CO 2 che si forma nel corpo rifiuti, e conseguentemente i DIC da essa originati, saranno più o meno arricchiti in 13 C in funzione della composizione isotopica del 13 C della materia organica di partenza [Hackley et al., 1996]. In particolare valori che approssimano quelli del materiale organico di partenza, circa -15‰ ÷ -30‰ di carbonio leggero [Clark &

Fritz, 1997], tendono a caratterizzare le fasi aerobiche iniziali e soprattutto

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terminali, mentre valori più elevati corrispondono alla fase prettamente

anaerobica del degrado [Barker & Fritz, 1981]. La significativa differenza del

δ 13 C nel DIC delle acque e del percolato, fino a qualche unità percentuale,

permette di utilizzare validamente tale parametro per monitorare un’eventuale

contaminazione da percolato anche se la sensibilità di questo parametro non è

così elevata come nel caso del trizio. Inoltre alcuni fenomeni di riequilibrazione

e scambio con l’ambiente circostante tendono a mascherare il segnale isotopico

dato dal percolato [Kerfoot et al., 2003].

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