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1.2 Definizione di dipartimento

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Academic year: 2021

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Premessa

Il profondo mutamento introdotto con il processo di aziendalizzazione della sanità italiana si è tradotto in importanti cambiamenti strutturali.

Uno di questi è stato, senza dubbio, l’introduzione della logica dipartimentale nell’organizzazione delle articolazioni funzionali dell’ospedale, quelle che, una volta, si chiamavano divisioni, sezioni e servizi.

L'aumento di efficienza ed efficacia dei servizi è stato fra le principali finalità dell’organizzazione dipartimentale. Per raggiungerle è stato indispensabile superare la frammentazione dell’assistenza sanitaria in specialità, con l’obiettivo di fornire una risposta integrata alla domanda di salute, che ha sempre più evidenziato il bisogno di interventi pluridisciplinari con un occhio di riguardo al risparmio nell’utilizzo di risorse sempre più scarse, mai a discapito di prestazioni di alta qualità. In pratica, unendo unità operative simili o con simili obiettivi, è stato più semplice risolvere i problemi di integrazione, riuscendo ad erogare un servizio finalmente unitario ed omogeneo, che ha visto coinvolti nella sua erogazione una molteplicità di attori, tutti coordinati e finalizzati ad un unico obiettivo, quello di soddisfare un bisogno di natura sanitaria.

Il dipartimento, favorendo il coordinamento dell’intero percorso di cura e lo sviluppo di comportamenti clinico-assistenziali basati sull’evidenza, ha costituito l’ambito privilegiato nel quale poter contestualizzare le attività di governo clinico ovvero la misurazione degli esiti, la gestione del rischio clinico, l’adozione di linee-guida e di protocolli diagnostico-terapeutici, la formazione continua, il coinvolgimento del paziente e l’informazione corretta e trasparente.

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2 Per rendere attuabile questo processo è stato indispensabile coinvolgere tutto il personale e, in particolare, è stata importante la creazione di percorsi specifici per i neoassunti e per i neoacquisiti al fine di garantire un corretto ed efficace inserimento all’interno del dipartimento. E' , quindi, stato necessario mettere in atto una serie di processi, corsi di formazione, aggiornamenti ai quali hanno preso parte sia gli operatori “esperti” che il personale neoassunto o neoacquisito e che li ha portati ad uno sviluppo delle competenze professionali.

E' in un quadro così complesso che hanno acquisito importanza le figure gestionali intermedie ovvero i referenti infermieristici dipartimentali (R.I.D.).

Il R.I.D. per sua natura possedendo competenze avanzate manageriali, di cui il coordinatore di Unità Operativa non è in possesso, e ricoprendo una posizione intermedia fra il Dirigente Infermieristico Aziendale e i coordinatori di U.O.

stessi, è diventato la figura principe in grado di mettere in atto azioni strategiche nel campo dell’integrazione assistenziale all’interno del dipartimento. L’aspetto che lo ha caratterizzato e ancora oggi lo caratterizza è stata senza dubbio la gestione delle risorse umane. Gestione che ha previsto in prima istanza una attenta analisi organizzativa delle strutture con successiva valutazione del fabbisogno e allocazione del personale nelle diverse unità operative.

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CAPITOLO 1

L’ORGANIZZAZIONE SANITARIA

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1.1 Normativa

Con la Legge n.132 del 12/02/1968 inizia un processo di profonda trasformazione negli ordinamenti ospedalieri, che, pur confermando l’articolazione in Divisioni , Sezioni e Servizi offre la possibilità di attuare nuovi modelli organizzativi.

Tale nuova articolazione si può schematicamente riassumere in:

a) affermazione del diritto alla tutela della salute ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione e del superamento del criterio caritativo – assistenziale ;

b) costituzione degli Enti Ospedalieri, con definitivo abbandono del concetto storico di enti di assistenza e beneficenza;

c) scelta elettiva (diretta o indiretta) dei componenti dei consigli di amministrazione;

d) istituzione del Consiglio dei Sanitari quale supporto tecnico – scientifico delle amministrazioni ospedaliere ;

e) le regioni vengono chiamate ad assumere la direzione effettiva di tutta l’attività ospedaliera, grazie al decentramento dei compiti e delle funzioni in materia di assistenza ospedaliera. Ad esse spetta, infatti, il compito di istituire, fondere e concentrare gli enti ospedalieri, di esercitare il controllo su di essi e di programmarne l’attività entro i limiti fissati dalla legge statale, nel pieno rispetto delle proprie autonomie;

f) inserimento dell’attività ospedaliera nel quadro della programmazione sanitaria , al fine di eliminare squilibri, dispendi inutili e disfunzioni dei presidi sanitari, ospedalieri e territoriali.

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5 Nell’ atto delegato , D.P.R. 27/03/1969 n.128 “Ordinamento interno dei servizi ospedalieri” viene introdotta , per la prima volta nel nostro Paese, la possibilità di realizzare “strutture organizzative a tipo dipartimentale tra divisioni, sezioni e servizi complementari, al fine della loro migliore efficienza operativa , dell’economia di gestione e del processo tecnico e scientifico”. L’organizzazione di tali strutture è deliberata dal Consiglio di Amministrazione dell’Ente e la direzione delle stesse è affidata ad un comitato del quale fanno parte il direttore sanitario, i primari, gli aiuti capi di sezione e di servizi autonomi e una rappresentanza degli aiuti e degli assistenti…”

Il successivo atto delegato D.P.R. n. 129 del 27/03/1969 all’art. 1 stabilisce che: ”L’ordinamento interno dei servizi di assistenza delle cliniche e degli istituti universitari di ricovero e cura deve essere adeguato all’ordinamento interno dei servizi ospedalieri e deve prevedere una organizzazione analoga a quella dei corrispondenti servizi ospedalieri.”

Tali propositi non sono, però, stati seguiti da significative esperienze e, nel 1975, l’argomento è stato ripreso dalla Legge 18 Aprile 1975 n.148, che, nel confermare i concetti della normativa del 1969, introduce la questione del collegamento con altre istituzioni sanitarie extraospedaliere, stabilendo che, nel previsto comitato di Dipartimento, siano inseriti i responsabili sanitari delle strutture esterne collegate.

La legge 148/75 demanda ad un successivo decreto la relativa normativa, emanata, poi, con il D.M. 8 Novembre 1976. In tale decreto era previsto che le Regioni promuovessero, con gradualità, l’istituzione dei Dipartimenti , al fine di garantire la convergenza di competenze ed esperienze nei diversi campi

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6 dell’assistenza, della ricerca e della didattica, favorendo l’aggiornamento professionale ed i collegamenti con le strutture extraospedaliere e consentendo, nel contempo, il superamento di molte disfunzioni, anche attraverso un maggior grado di umanizzazione all’interno delle strutture.

In particolare, l’articolo 1 riporta quali obiettivi del Dipartimento:

a) “la convergenza di competenze e di esperienze scientifiche , tecniche ed assistenziali di gruppi e di singoli operatori sanitari, per consentire l’assistenza sanitaria completa al malato;

b) l’incremento della ricerca ed il collegamento tra didattica ed assistenza, secondo la legislazione universitaria ed ospedaliera;

c) il miglioramento delle tecniche sanitarie a livello interdisciplinare;

d) l’aggiornamento ed il perfezionamento professionale degli operatori sanitari di ogni livello, ai fini di un’assistenza sanitaria sempre più qualificata e paritaria per tutti i cittadini;

e) il superamento delle disfunzioni che determinano tempi lunghi o inutili di degenza;

f) l’umanizzazione dei rapporti tra strutture sanitarie , operatori sanitari, utenti del servizio sanitario e loro familiari;

g) la corresponsabilizzazione di tutti gli operatori sanitari sul piano professionale , in relazione alle rispettive mansioni o funzioni anche con riguardo alle esigenze organizzative;

h) i collegamenti tra le competenze ospedaliere e quelle di altre istituzioni e strutture socio- sanitarie del territorio, per quanto attiene agli interventi di tipo preventivo, curativo e riabilitativo e dell’educazione sanitaria”.

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7 Inoltre, per quanto riguarda gli orientamenti, l’articolo 10 specifica:

“i Dipartimenti:

a) potranno rispondere ai criteri della gradualità ed intensità delle cure e del tipo di intervento;

b) potranno essere definiti per settori nosologici o per gruppi di età, garantendo la globalità dell’intervento sanitario;

c) potranno essere definiti per settori specialistici, compreso quello psichiatrico nonché d’organo e di apparato;

d) i Dipartimenti di ogni altro tipo che colleghino strutture affini, complementari ed anche diverse dell’ospedale e di eventuali istituzioni e strutture sanitarie del territorio, potranno essere istituiti purché finalizzati ad obiettivi assistenziali, didattici e di ricerca comuni” .

Di fatto, non si è, però, assistito a nessun rilevante cambiamento.

La Legge 23/12/1978 n. 833 istitutiva del S.S.N. ha rappresentato l’atto conclusivo di un lungo dibattito culturale e politico svoltosi in un decennio molto difficile per il nostro paese (contestazione studentesca, crisi petrolifera, delitto Moro) ; si ritiene che la riforma sanitaria del 1978 rappresenti uno dei “ prodotti simbolo” dei governi di solidarietà nazionale e del consociativismo politico, che andava diffondendosi in quegli anni.

Sotto il profilo tecnico le più importanti innovazioni nell’istituzione del S.S.N.

sono rappresentate:

a) dall’unificazione dei numerosi enti che in epoca pre - riforma assicuravano la prevenzione, la cura e la riabilitazione, passate, ora, con la riforma, alla competenza delle Unità Sanitarie Locali;

b) dalla priorità accordata alla prevenzione;

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8 c) dal potenziamento dei servizi assistenziali di primo livello con la

creazione del Distretto sanitario di base.

La legge 833/78, pur dedicando poche righe ai problemi ospedalieri nel loro complesso, stabiliva, tuttavia, all’art. 17, che le Regioni “disciplinano con legge l’articolazione dell’ordinamento degli ospedali in Dipartimenti, in base al principio dell’integrazione tra le divisioni, sezioni e servizi affini e complementari, a quello del collegamento tra i servizi ospedalieri ed extraospedalieri…… nonché a quello della gestione dei Dipartimenti stessi sulla base dell’integrazione delle competenze…”

Il D.P.R. 11/07/1980 n. 382 tratta il Dipartimento in riferimento al riordinamento della docenza universitaria. Tuttavia, le iniziative riguardanti l’attuazione dei Dipartimenti si sono rivelate del tutto occasionali ed isolate.

Si arriva, così, nel 1985, con l’emanazione della Legge 23/10/1985 n. 595,

“Norme per la programmazione sanitaria e per il Piano Sanitario triennale 1986 – 1988”, ad una vera e propria svolta nell’organizzazione ospedaliera . Con tale legge, infatti:

a) viene stabilito il contenimento dei posti letto per unità di popolazione , fissandolo in 6,5 per 1000 abitanti, di cui 1 per 1000 per la riabilitazione e la lungodegenza post – acuzie;

b) vengono modificati , proprio nel senso del contenimento dei posti letto, gli effetti di quanto disposto dalla L. 132/68. E’ stabilito, infatti, che si può derogare ai parametri ivi previsti, nel dimensionamento di divisioni, sezioni e servizi;

c) infine, modificando in qualche modo la struttura tendenzialmente espansiva e rigida della precedente organizzazione dei servizi di

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9 assistenza ospedaliera, vengono introdotti concetti nuovi, come quello di aree funzionali omogenee, in quanto capaci di meglio realizzare il contenimento dei posti letto, pur mantenendo elevata la capacità operativa, anche attraverso l’ospedalizzazione a ciclo diurno, che, per la prima volta, compare tra le attività effettuabili proprio attraverso la riconversione degli spazi.

In particolare, con l’art.10, viene prevista : “la ristrutturazione , nel triennio 1986/1988, in deroga a quanto previsto dagli artt. 36 e seguenti della Legge 12 Febbraio 1968 , n. 132, e dai D.P.R. 27 Marzo 1969, n. 128 e n.129, delle degenze ospedaliere in aree funzionali omogenee afferenti alle attività di medicina , di chirurgia e di specialità, che, pur articolate in divisioni, sezioni e servizi speciali di diagnosi e cura, anche a carattere pluridisciplinare, siano dimensionate in rapporto alle esigenze assistenziali e rappresentino misure di avvio all’applicazione dell’art. 17 della Legge 23 Dicembre 1978, n. 833”.

In realtà, forse anche per la carenza di elementi esplicativi riguardanti i limiti concettuali ed applicativi delle aree funzionali omogenee e dei Dipartimenti, bisogna attendere la Legge 30/12/1991, n.412 che, all’art. 4, fa obbligo alle Regioni di “attuare a modifica di quanto previsto dalla Legge 12/02/1968 n.132, il modello delle aree funzionali omogenee con presenza obbligatoria di day hospital, conservando alle unità che vi confluiscono l’autonomia funzionale in ordine alle patologie di competenza, nel quadro di una efficace integrazione e collaborazione con altre strutture affini e con uso in comune delle risorse umane e strumentali”.

I contenuti della Legge 412/91 sono stati riaffermati dal D. Lgs. 30/12/1992 n.502 e successive modifiche ed integrazioni che, all’art. 4, comma 8, prevede

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10 che le Regioni “provvedono alla riorganizzazione di tutti i presidi ospedalieri sulla base delle disposizioni di cui all’art. 4 della L. 30/12/1991 n. 412, organizzando gli stessi Presidi in Dipartimenti”. E, inoltre, nello stabilire i criteri per la individuazione degli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione, prevede che questi debbano avere una “organizzazione funzionalmente accorpata ed unitaria di tipo dipartimentale di tutti i servizi che compongono una struttura di alta specialità”.

Tale concetto ribadisce quanto riportato anche dal Decreto del Ministero della Sanità 29 Gennaio 1992: “ Elenco delle alte specialità e fissazione dei requisiti necessari alle strutture sanitarie per l’esercizio delle attività di alta specialità”, nell’ambito delle norme organizzative previste dall’articolo 4.

Il contenuto del D.Lgs. 3/02/1993 n.29 - D.P.R. 1/3/1994 – P.S.N. 1994/96 che definisce che “ l’organizzazione interna degli ospedali deve osservare il modello dipartimentale”, è riportato anche dalla legge di accompagno alla legge finanziaria 1996, e cioè dalla Legge 28 Dicembre 1995 n.549: “ Misure di razionalizzazione della finanza pubblica “, che sottolinea come tale modello organizzativo sia in grado di “consentire a servizi affini e complementari di operare in forma coordinata per evitare ritardi, disfunzioni e distorto utilizzo di risorse finanziarie “.

Infine l’art.17 bis del D.Lgs 19/06/1999 n. 229 fornisce le seguenti indicazioni:

a) l’organizzazione dipartimentale è il modello ordinario di gestione operativa di tutte le attività delle Aziende Sanitarie.

b) Il Direttore di Dipartimento è nominato dal Direttore Generale fra i dirigenti con incarico di direzione delle strutture complesse aggregate nel

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11 dipartimento; il direttore di dipartimento rimane titolare della struttura complessa cui è preposto. La preposizione ai dipartimenti strutturali, sia ospedalieri che territoriali e di prevenzione, comporta l’attribuzione sia di responsabilità professionali in materia clinico – organizzativa e della prevenzione sia di responsabilità di tipo gestionale in ordine alla razionale e corretta programmazione e gestione delle risorse assegnate per la realizzazione degli obiettivi attribuiti. A tal fine il direttore di dipartimento predispone annualmente il piano delle attività e dell’utilizzazione delle risorse disponibili, negoziato con la direzione generale nell’ambito della programmazione aziendale. La programmazione delle attività dipartimentali, la loro realizzazione e le funzioni di monitoraggio e di verifica sono assicurate con la partecipazione attiva degli altri dirigenti e degli operatori assegnati al dipartimento.

c) La regione disciplina la composizione e le funzioni del Comitato di Dipartimento nonché le modalità di partecipazione dello stesso alla individuazione dei direttori di dipartimento.

Il disegno di legge 1552/2008 su “Principi fondamentali in materia di governo delle attività cliniche”, attualmente in discussione alla Camera dei Deputati, ribadisce la centralità del Dipartimento quale strumento per il governo dei processi assistenziali nelle aziende sanitarie.

Per ciascun Dipartimento si costituiscono un Comitato di Dipartimento e un Direttore di Dipartimento. Il Comitato di Dipartimento è formato dai dirigenti delle strutture complesse aggregate nel dipartimento, mentre il Direttore di Dipartimento viene nominato dal Direttore generale tra gli stessi dirigenti delle

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12 strutture complesse aggregate e rimane titolare della struttura complessa cui è preposto.

1.2 Definizione di dipartimento

I Dipartimenti per l'assistenza sanitaria sono un sistema organizzativo per lo svolgimento integrato di funzioni complesse caratterizzate da una propria identità ed autonomia funzionale e professionale, finalizzato ad incrementare e migliorare l'efficienza, l'efficacia, l'appropriatezza e la qualità delle prestazioni e dei servizi erogati dalle strutture afferenti ed il perseguimento degli obiettivi di salute della popolazione nell'area di competenza. Il dipartimento è costituito da unità operative omogenee, affini o complementari, che perseguono comuni finalità e sono, quindi, tra loro interdipendenti, pur mantenendo la propria autonomia e responsabilità professionale. Le unità operative costituenti il dipartimento sono aggregate in una specifica tipologia organizzativa e gestionale, volta a dare risposte unitarie, tempestive, razionali e complete rispetto ai compiti assegnati, e a tal fine adottano regole condivise di comportamento assistenziale, didattico, di ricerca, etico, medico-legale ed economico. Il dipartimento, favorendo il coordinamento dell’intero percorso di cura e lo sviluppo di comportamenti clinico-assistenziali basati sull’evidenza, costituisce l’ambito privilegiato nel quale poter contestualizzare le attività di governo clinico ovvero la misurazione degli esiti, la gestione del rischio clinico, l’adozione di linee-guida e di protocolli diagnostico-terapeutici, la formazione continua, il coinvolgimento del paziente e l’informazione corretta e trasparente.

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13 L’elevata complessità del sistema ospedaliero richiede un modello organizzativo, che consenta di raggiungere i livelli di appropriatezza, efficacia ed efficienza richiesti per garantire l’attuazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).

La normativa nazionale, considerando la complessità del problema, ha inteso fornire un quadro di riferimento generale, lasciando alle Regioni e alle aziende la regolamentazione specifica, per consentire l’adozione di soluzioni diversificate rispondenti alle singole realtà.

Costituiscono parte essenziale della struttura organizzativa dei dipartimenti:

 l’assemblea, organo rappresentativo di tutto il personale che opera all’interno del dipartimento;

 il comitato, organo composto dai direttori delle unità operative complesse e da altri rappresentanti del personale secondo le indicazioni regionali;

 il direttore del dipartimento, scelto tra i direttori delle strutture complesse.

Il direttore del dipartimento è spesso coadiuvato dal coordinatore delle professioni infermieristiche/tecniche/riabilitative nella gestione delle attività quotidiane.

Esistono due livelli decisionali all’interno del dipartimento: uno deliberante e collegiale, il comitato di dipartimento, uno esecutivo e individuale, il direttore di dipartimento (D.Lgs. n.229/1999).

Il comitato di dipartimento è costituito:

a) dai responsabili di tutte le unità operative appartenenti al dipartimento;

b) dai responsabili di tutti i moduli organizzativi;

c) dal personale amministrativo assegnato dal direttore generale.

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14 Il Comitato di Dipartimento, di norma, assume decisioni nel rispetto delle direttive della Direzione Generale sui seguenti argomenti:

a) stabilisce i modelli di organizzazione del dipartimento;

b) programma la razionale utilizzazione del personale del dipartimento e propone la mobilità del personale, nell’ottica dell’integrazione dipartimentale;

c) programma la gestione delle attrezzature, dei presidi e delle risorse economiche assegnate all’area dipartimentale;

d) fornisce indicazioni per la gestione del bilancio assegnato al dipartimento;

e) adotta e/o adatta alle specifiche esigenze del dipartimento le linee guida utili per un più corretto indirizzo diagnostico e terapeutico;

f) stabilisce i modelli per la verifica e la valutazione della qualità dell’assistenza fornita;

g) propone i piani di aggiornamento e riqualificazione del personale, programma e coordina le attività di didattica, di ricerca scientifica e di educazione sanitaria;

h) stabilisce gli obiettivi da realizzare nel corso dell’anno;

i) programma i fabbisogni di risorse sia di personale che di dotazione strumentale, valutandone le priorità;

j) invia al direttore generale, tramite il capo dipartimento, alla fine di ogni anno, un resoconto tecnico-economico sulle attività svolte ed il programma degli obiettivi scientifici, che il dipartimento intende realizzare nell’anno successivo, con le proposte motivate di finanziamento e le priorità di realizzazione;

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15 k) propone i gruppi operativi interdipartimentali;

l) invia al direttore generale i nominativi dei dirigenti di II livello per la nomina del capo dipartimento;

m) valuta e propone, tramite il capo dipartimento, al direttore generale, l’eventuale inserimento di unità operative nel dipartimento e/o l’istituzione di moduli;

n) regolamenta l’attività libero-professionale, secondo le direttive generali stabilite dall’azienda e le possibilità logistiche esistenti all’interno del dipartimento o più in generale nell’azienda;

o) valuta altresì ogni altra proposta o argomento che gli venga sottoposto dal capo dipartimento o da singoli appartenenti al dipartimento stesso, in relazione a problemi ed eventi di particolare importanza.

Il capo di dipartimento è un dirigente di II livello (primario) ed è titolare della responsabilità di un’unità operativa. È scelto dal direttore generale tra una terna di nominativi fornita dal comitato di dipartimento. La funzione è aggiuntiva a quella di responsabile di unità operativa, ovvero il capo di dipartimento dovrà gestire anche l’unità operativa dalla quale proviene.

Le funzioni del livello esecutivo, ossia quelle del capo di dipartimento, sono:

a) assicurare il funzionamento del dipartimento, attuando i modelli organizzativi stabiliti dal comitato di dipartimento;

b) promuovere le verifiche periodiche sulla qualità, secondo il modello prescelto dal comitato di dipartimento;

c) controllare l’aderenza dei comportamenti con gli indirizzi generali, definiti dal comitato di dipartimento, nell’ambito della gestione del personale, dei piani di ricerca, di studio e di didattica;

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16 d) rappresentare il dipartimento nei rapporti con il direttore generale, il direttore amministrativo, il direttore sanitario e con organismi esterni, ove sia previsto che il dipartimento operi in coordinamento o collegamento con gli stessi;

e) gestire le risorse attribuite al dipartimento secondo le indicazioni del comitato di dipartimento;

f) presiedere il Comitato di dipartimento.

Per ciascun dipartimento deve essere predisposto apposito regolamento deliberato dal Direttore Generale dell’Azienda Sanitaria, su proposta del Direttore Sanitario, sentito il Consiglio dei Sanitari.

Il suddetto regolamento deve definire l’organizzazione ed il funzionamento del dipartimento stabilendo:

a) le funzioni assistenziali che afferiscono a ciascuna area dipartimentale ; b) la qualità, la quantità e le dimensioni delle unità operative e/o servizi

appartenenti a ciascun dipartimento;

c) la puntuale definizione dei rapporti tra le strutture organizzative del Presidio Ospedaliero;

d) le modalità di elezione del comitato, la sostituzione dei componenti e le supplenze;

e) la formalità per l’adozione delle decisioni.

I relativi atti costitutivi e regolamentari dei dipartimenti sono sottoposti all’approvazione della Giunta Regionale, che si esprime nel merito entro 60 giorni dalla ricezione degli atti.

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17 Trascorso il primo anno dalla costituzione del dipartimento e, in ogni caso dalla data di approvazione del regolamento , il Direttore Generale provvede a relazionare alla Giunta Regionale, in merito ai risultati raggiunti.

Il Direttore di dipartimento è affiancato da un responsabile amministrativo di dipartimento (R.A.D.) che lo coadiuva nella parte amministrativo/strategica della gestione del dipartimento.

Esistono due tipi di risorse assegnate al dipartimento:

 le risorse dell’unità operativa:

a) il personale medico e professionale laureato;

b) gli spazi occupati dal personale della lettera precedente per le attività esclusive dell’unità operativa;

c) le attrezzature utilizzate esclusivamente dall’unità operativa;

 le risorse del dipartimento:

a) il personale infermieristico e quello tecnico, nonché altre figure professionali necessarie alla funzionalità della specifica tipologia del dipartimento;

b) gli operatori tecnici dell’assistenza;

c) gli spazi operativi, di degenza e di supporto;

d) le attrezzature utilizzate da più di una unità operativa;

e) i programmi, i progetti, i piani di dipartimento;

f) le risorse economiche necessarie per raggiungere gli obiettivi fissati.

Per l’effettiva implementazione del modello dipartimentale sono fondamentali il consenso e la partecipazione del personale.

A tal fine, possibili ostacoli sono:

• comportamenti routinari dettati dall’abitudine e dalla tradizione;

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• timore verso le novità e i cambiamenti di modalità e di articolazione del lavoro;

• scarsa diffusione delle necessarie competenze organizzative utili per partecipare attivamente ai processi di programmazione, gestione e valutazione:

• mancanza/carenza di una cultura partecipativa;

• abitudine a lavorare secondo schemi rigidi e regole imposte e/o prefissate;

• opinione che l’atto medico sia un processo individuale;

• scarsa abitudine al coordinamento e all’integrazione con gli altri operatori;

• preoccupazione del venir meno di un ruolo o di una posizione acquisita;

• difficoltà da parte dei dirigenti di motivare gli operatori e di assicurarne il coinvolgimento.

Vi sono, inoltre, ostacoli di tipo amministrativo e logistico, quali:

• eccessiva rigidità e burocratizzazione;

• scarsa cultura manageriale nel settore sanitario;

• struttura architettonica di alcuni tipi di ospedali non adeguata alle attività che vi si svolgono.

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1.3 Criteri di aggregazione e classificazione

Tra i diversi criteri di aggregazione dei dipartimenti, adottati per soddisfare specifiche esigenze locali, si rilevano:

• aree funzionali omogenee;

• settore /branca specialistica;

• età degli assistiti;

• organo/apparato;

• settore nosologico;

• momento di intervento sanitario/intensità e gradualità delle cure.

I dipartimenti vengono suddivisi in amministrativi e clinici. Per quanto riguarda le tipologie, le più frequenti sono:

 strutturale, caratterizzata dall’omogeneità, sotto il profilo delle attività o delle risorse umane e tecnologiche impiegate, delle unità organizzative di appartenenza (criterio centrato sulla produzione sanitaria); il termine strutturale viene inteso come aggregazione funzionale e fisica, coinvolgendo unità collocate nella stessa area ospedaliera; ciò favorisce la gestione comune delle risorse umane, degli spazi, delle risorse tecnico-strumentali ed economiche assegnate;

 funzionale: aggrega unità operative non omogenee, interdisciplinari

semplici e/o complesse, appartenenti contemporaneamente anche a dipartimenti diversi, al fine di realizzare obiettivi interdipartimentali e/o programmi di rilevanza strategica (criterio centrato su obiettivi comuni da realizzare);

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 verticale, intesa come organizzazione con gerarchie e responsabilità ben definite rispetto alle unità che le compongono;

 orizzontale, costituita da unità operative appartenenti a diversi

dipartimenti verticali, anche appartenenti ad aziende diverse, con la funzione di coordinare unità di uno stesso livello gerarchico.

In base all’assetto di governo i dipartimenti si definiscono:

 forti, se vi è una gestione gerarchica delle unità operative (semplici e complesse) di appartenenza;

 deboli, se vi è un coordinamento trasversale delle unità operative, che mantengono una propria autonomia.

I dipartimenti, inoltre, possono essere:

 aziendali, costituiti da unità operative della stessa azienda;

 interaziendali, derivati dall’aggregazione di unità appartenenti ad aziende sanitarie diverse.

Il dipartimento aziendale può essere:

 ospedaliero, costituito esclusivamente da unità operative appartenenti all’ospedale;

 transmurale, costituito da unità intra ed extra ospedaliere facenti parte della stessa azienda;

 ad attività integrata o mista, costituito da unità ospedaliere ed universitarie.

Il dipartimento interaziendale può essere:

 gestionale, dove si realizza la gestione integrata di attività assistenziali appartenenti ad aziende sanitarie diverse;

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 tecnico-scientifico, con scarsa integrazione operativa e gestionale, ma

con un ruolo di indirizzo e di governo culturale e tecnico di alcuni settori sanitari.

Ovviamente non esiste un criterio di aggregazione unico, che consenta di risolvere tutti i problemi di relazione fra le varie unità operative ed i dipartimenti, anche tenendo conto delle differenziate situazioni locali. Occorre, pertanto, fare delle scelte e, in particolare, occorre scegliere quali relazioni privilegiare con una integrazione dipartimentale.

Occorrerà, comunque, tener conto nella aggregazione:

a) della realtà presente;

b) del maggior livello di interdipendenza tecnica fra le unità operative;

c) degli obiettivi strategici dell’azienda sanitaria (se, ad esempio, un’azienda sanitaria ha fra gli obiettivi strategici lo sviluppo dei trapianti, allora, in quel caso, può essere più utile il dipartimento d’organo; se, invece, si intende privilegiare l’aspetto gestionale e dell’efficienza allora il criterio più corretto potrebbe essere quello di aggregare unità operative dell’area medica o dell’area chirurgica).

L’individuazione dei dipartimenti da attivare è una specifica competenza dell’azienda sanitaria. L’azienda sanitaria, infatti, ha autonomia organizzativa, seppur nel quadro di quanto previsto dal D. Lgs. 502/92 e successive modificazioni e dalle norme e direttive regionali di attuazione.

L’autonomia organizzativa, come è noto, è “ il potere di identificare autonomamente la struttura organizzativa dell’apparato aziendale, intesa come l’insieme degli elementi che compongono il sistema organizzativo interno (alta

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22 direzione, staff di supporto, linea operativa)”. Spetta, dunque, al direttore generale dell’azienda provvedere all’individuazione dei dipartimenti. La procedura prevede che la decisione venga presa su proposta del Direttore Sanitario e sentito il Consiglio dei Sanitari.

1.4 Compiti, attività e finalità del dipartimento

Complessivamente, i compiti del Dipartimento possono riassumersi in : - prevenzione ed assistenza;

- didattica;

- ricerca;

- educazione ed informazione sanitaria.

Le attività del Dipartimento possono, in particolare, essere ricondotte a:

a) l’utilizzazione ottimale degli spazi assistenziali, del personale e delle apparecchiature, che deve essere finalizzata ad una migliore gestione delle risorse a disposizione al fine di consentire una più completa assistenza al malato unitamente ad una razionalizzazione dei costi;

b) il coordinamento con le relative attività extraospedaliere per una integrazione dei servizi dipartimentali con quelli del territorio e, in particolare, con i Distretti e con i medici e pediatri di base, ai quali spetta sia il compito di rappresentare il punto d’ingresso dell’assistito nel circuito ospedaliero che quello di raccordo tra ospedale e territorio, nella dimissione del paziente e nella gestione degli interventi domiciliari e di assistenza medica nelle RSA. Una delle caratteristiche principali del

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23 Dipartimento è, infatti, costituita dalla possibilità, offerta ai pazienti, di garantire loro la continuità assistenziale;

c) lo studio, l’applicazione e la verifica di sistemi per conferire la maggiore possibile omogeneità alle procedure organizzative, assistenziali e di utilizzo delle apparecchiature;

d) la promozione di iniziative finalizzate alla umanizzazione dell’assistenza all’interno delle strutture dipartimentali,

e) lo studio e l’applicazione di sistemi integrati di gestione, anche attraverso il collegamento informatico all’interno del Dipartimento e tra Dipartimenti, allo scopo di consentire l’interscambio di informazioni ed immagini , nonché l’archiviazione unificata e centralizzata dei dati;

f) l’individuazione e la promozione di nuove attività o di nuovi modelli operativi nello specifico campo di competenza;

g) l’organizzazione della didattica;

h) la gestione del bilancio assegnato al Dipartimento;

i) la valutazione e la verifica della qualità dell’assistenza fornita;

Tali ed altre attività potranno essere assicurate attraverso specifiche modalità organizzative ed operative, nell’ambito delle risorse assegnate al Dipartimento

Nella prospettiva della introduzione del Governo Clinico, le finalità perseguite dall’organizzazione dipartimentale possono essere così schematizzate:

sinergie per l’efficacia: l’integrazione ed il coordinamento delle diverse professionalità, che possono utilizzare risorse da loro scelte ed organizzate, aumentano la probabilità della efficacia nell’assistenza;

valutazione dell’outcome: la misura degli esiti dei trattamenti deve essere prevista nell’ambito del Dipartimento per assicurare i risultati migliori in

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24 termini di salute, nel rispetto delle risorse economiche disponibili e tramite l’implementazione e la manutenzione sistematica di linee guida nazionali e internazionali;

 continuità delle cure: i percorsi assistenziali, con la presenza di

professionisti che hanno condiviso scelte organizzative e diagnostico- terapeutiche, nonché momenti formativi, con la conseguente riduzione di trasferimenti e prese in carico del paziente da parte delle diverse unità operative, favoriscono l’ integrazione e la continuità delle cure;

 integrazione inter-disciplinare: l’ elaborazione condivisa di percorsi

assistenziali e linee guida favorisce la reciproca conoscenza e valorizzazione dei professionisti delle diverse discipline, incrementando, di conseguenza, l’ efficacia e l’efficienza;

 orientamento al paziente: nel dipartimento, la visione complessiva delle

problematiche del paziente (garantita dalla presenza di tutte le professionalità necessarie ad affrontarla), favorisce l’impiego di percorsi assistenziali mirati, favorendo l’orientamento al paziente di tutti i processi e la migliore gestione della persona in assistenza;

 sicurezza dei pazienti: la progettazione di strutture e percorsi integrati, l’impostazione interdisciplinare e multi professionale della cura, l’integrazione ed il coordinamento delle risorse sono componenti fondamentali di un sistema volto alla sicurezza del paziente;

 valorizzazione e sviluppo delle risorse umane: la crescita professionale e

la gratificazione degli operatori sanitari sono sostenute dal confronto sistematico delle esperienze e dalla condivisione delle conoscenze attraverso l’elaborazione di percorsi diagnostico-terapeutici, la

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25 formazione e l’aggiornamento su obiettivi specifici con verifiche collegiali delle esperienze;

ottimizzazione nell’uso delle risorse: la gestione comune di personale, spazi ed apparecchiature facilita l’acquisizione e la più alta fruizione di tecnologie sofisticate e costose e favorisce l’utilizzo flessibile del personale, consentendo soluzioni assistenziali altrimenti non praticabili;

essa permette, altresì, l’attivazione di meccanismi di economia di scala con la conseguente riduzione della duplicazione dei servizi e razionalizzazione della spesa;

 responsabilizzazione del personale: la valutazione del personale sui

risultati, con verifiche periodiche, è uno strumento di garanzia per la qualità dell’assistenza, la piena valorizzazione del personale e l’attuazione di una gestione efficiente;

 responsabilizzazione economica: gli operatori sanitari vengono coinvolti

attraverso la gestione diretta delle risorse assegnate (e la loro partecipazione nella realizzazione degli obiettivi del dipartimento);

 organizzazione e sviluppo della ricerca: l’organizzazione dipartimentale

amplia le possibilità di collaborazione a progetti di ricerca biomedica e gestionale e favorisce l’applicazione dei risultati nella pratica quotidiana;

 implementazione delle conoscenze nella pratica clinica: rappresenta il

contesto ideale per il trasferimento delle conoscenze scientifiche nella pratica clinica, favorendo i cambiamenti comportamentali degli operatori e l’utilizzo gli strumenti più efficaci messi a disposizione dalla ricerca.

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26 Per la realizzazione delle finalità del dipartimento è essenziale l’adozione dei seguenti strumenti:

 valutazione degli esiti/outcomes clinici: attività di monitoraggio, tramite specifici indicatori di esito delle cure erogate;

 linee guida: raccomandazioni elaborate in modo sistematico per

supportare i medici, gli altri operatori sanitari e i pazienti nelle decisioni relative alle modalità di assistenza più appropriate da adottare in specifiche circostanze cliniche;

 percorsi assistenziali: piani assistenziali integrati, che delineano il

processo di assistenza dall’ammissione alla dimissione dei pazienti per specifiche condizioni cliniche. Essi includono anche gli aspetti organizzativi legati al processo assistenziale, adattati alla realtà locale;

favoriscono la continuità, il coordinamento e l’integrazione interdisciplinare ed intersettoriale, riducendo la variabilità nella pratica clinica;

 formazione del personale: strategie per il monitoraggio sistematico dei

bisogni formativi e per assicurare che le competenze del personale siano adeguate rispetto alle responsabilità assegnate;

 sistema informativo integrato: garantisce la raccolta, elaborazione e

trasferimento tempestivo delle informazioni necessarie per le decisioni assistenziali ed organizzative;

 sistema di budget: programma di previsione volto al raggiungimento di

specifici obiettivi in un definito periodo di tempo, con stima delle risorse da impiegare e dei relativi costi. La presenza di un budget unico di dipartimento assume un forte connotato strategico e a tal fine è

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27 fondamentale il ruolo del direttore di dipartimento, al quale viene affidato il compito di negoziare lo stesso.

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28

CAPITOLO 2

REFERENTE INFERMIERISTICO

DIPARTIMENTALE

(29)

29

2.1 Chi è il Referente Infermieristico Dipartimentale:

norme e formazione

La funzione di referente infermieristico di dipartimento (R.I.D) ha una storia recente e strettamente connessa al processo di aziendalizzazione avvenuto nella sanità. Il R.I.D. è una figura nuova, che si va creando sulla base delle caratteristiche e finalità del management presente nelle singole realtà in cui è nominato, piuttosto che per una reale volontà normativa innovativa del legislatore.

La possibilità di poter disporre di ruoli di referente infermieristico di area omogenea o di unità operativa complessa, dunque non solamente di unità operativa semplice, è ritornata oggi in auge, pur disattesi gli O.d.G. collegati alla legge 251/2001 che prevedevano, espressamente, la dirigenza infermieristica

“intermedia” e di dipartimento.

Oggigiorno, grazie all’implementazione dell’organizzazione di tipo dipartimentale, prevista a suo tempo dalla legge 421/92 e dalla legge 549, si richiedono nuovi modelli gestionali allo scopo di assicurare il massimo impulso allo sviluppo di una logica organizzativa su base fiduciaria, imperniata sulla funzione di coordinamento di compiti e risorse e sulla valutazione del personale, per il miglioramento dell’efficienza operativa, dell’economia di gestione e del progresso tecnico scientifico.

Queste premesse hanno posto le basi per la creazione della figura del R.I.D.

all’interno delle realtà aziendali, professionalità idonea a svolgere una più ampia e autonoma funzione manageriale rispetto al coordinatore di unità operativa

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30 semplice: a tal fine si è reso opportuno programmare dei percorsi specifici di selezione e di formazione.

A seguito di quanto previsto dagli artt. 20 e 21 del CCNL 07/04/1999 Comparto Sanità, le aziende possono assegnare l’incarico di posizione a coloro i quali sono nominati per ricoprire il ruolo di coordinatore infermieristico di dipartimento. Tramite l’approccio del marketing interno, come modalità per avere le domande dei candidati alla selezione, si procede all’emissione di un bando, esplicitando il profilo ed i prerequisiti richiesti ai candidati. Il direttore del servizio infermieristico (o il responsabile dell’ufficio) è la figura titolare deputata a fornire tutte le informazioni e i chiarimenti relativi alla descrizione del ruolo che si va ricoprire.

Certamente, l’eventualità di poter ricoprire tale incarico di funzione è interessante, motiva e gratifica i coordinatori di unità operativa, ma, affinché sia poi funzionale al dipartimento stesso, è necessario che chi va a ricoprire l’incarico possegga le competenze e le attitudini per svolgerlo.

2.2 Requisiti per l’attribuzione dell’incarico

A tal fine, la finora scarsa letteratura, rimanda agli art. 20 e 21 del CCNL 07/04/1999 Comparto Sanità. Oltre all’assegnazione dell’“incarico di posizione”, successivo – e non preventivo - alla “nomina” vera e propria, al fine di poter ricoprire il ruolo di R.I.D. è necessaria una specifica graduatoria, formulata a seguito di un procedimento selettivo di valutazione. Quest’ultimo, in teoria, si ritiene che debba essere almeno pari, se non più articolato e complesso,

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31 rispetto a quello per l’assegnazione delle funzioni di coordinamento di unità operativa semplice (ufficio o reparto).

Dai dati emersi in un’apposita ricerca, i requisiti emanati sui bandi interni di selezione, ritenuti imprescindibili per la presentazione delle domande, contemplano il possesso dei seguenti titoli:

a) esperienza di cinque anni come Collaboratore Professionale Sanitario Infermiere in categoria D, di cui almeno due presso il dipartimento interessato;

b) possesso del certificato Abilitazione alle Funzioni Direttive (AFD) o diploma universitario di scuola diretta ai fini speciali o Master in management, laurea Specialistica o Magistrale;

c) i successivi punti che concorrono ad una valutazione complessiva ai fini dell’assegnazione dell’incarico di funzione, prendono poi in considerazione altri items oggettivabili, inerenti all’area delle conoscenze (titoli di studio), dell’insegnamento (docenze/tutorship), della ricerca scientifica (pubblicazioni), delle esperienze di coordinamento (curriculum vitae) nonché della formazione (partecipazione a corsi attinenti alle funzioni e allo specifico ambito del dipartimento, anche come relatore).

Inoltre il curriculum vitae è uno strumento importante per la selezione in quanto permette di evidenziare competenze relazionali e sulle motivazioni, ma anche sull’impegno individuale del candidato nella vita professionale.

L’attribuzione dell’incarico di referente infermieristico di dipartimento può aggiungersi alle funzioni già ricoperte dal candidato come coordinatore di unità operativa semplice oppure, in altri casi, lasciare la precedente funzione ad un

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32 collega di nuova nomina; inoltre, il R.I.D. risponde gerarchicamente al direttore di dipartimento per le funzioni specifiche all’attività dipartimentale attribuitigli e funzionalmente al direttore del servizio infermieristico (oppure, se mancante, all’ufficio infermieristico).

2.3 Funzioni del R.I.D.

Il R.I.D. occupa una posizione intermedia fra il dirigente infermieristico aziendale e i coordinatori di unità operativa e svolge un ruolo fondamentale di tipo gestionale nel Servizio Infermieristico.

Il R.I.D. garantisce una risposta assistenziale adeguata al tipo di struttura e di utenza centrata sulla persona poiché ciò costituisce un fattore determinante per la qualità delle prestazioni erogate e la qualità percepita dagli utenti.

Le strategie che il R.I.D. può mettere in atto per creare una cultura di integrazione assistenziale dipartimentale possono essere identificate nelle seguenti:

• omogeneizzare i percorsi assistenziali con l’adozione in tutte le unità operative di procedure, linee guida e protocolli costruiti dagli stessi operatori e periodicamente revisionati e valutati;

• omogeneizzare le procedure relative all’organizzazione inerenti l’ospedalizzazione, l’accoglienza del paziente, il trasferimento presso altre strutture, la dimissione protetta;

• sviluppare una rete informatica;

• implementare una documentazione infermieristica comune come una cartella infermieristica dipartimentale, una scheda terapeutica integrata,

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33 un modulo per le prescrizioni diagnostico-terapeutiche e la registrazione dei parametri, schede per il programma di cure infermieristiche alla dimissione;

• sostenere i coordinatori di unità operativa ed i loro operatori nella promozione di progetti di lavoro per la standardizzazione e nel contempo a realizzare programmi finalizzati ad erogare un’assistenza sempre più personalizzata al singolo;

• adottare sistemi di controllo della qualità assistenziale con l’impiego di indicatori relativi alla soddisfazione del paziente e alla motivazione degli operatori.

Il R.I.D. nel campo della formazione e dell’aggiornamento deve garantire la pianificazione e l’organizzazione delle iniziative formative: perché aumentare il livello di professionalità degli operatori è di fondamentale importanza per migliorare la qualità delle prestazioni ed è un insostituibile meccanismo integrativo tra le diverse unità operative.

Egli dovrà quindi:

• individuare le necessità di formazione prioritarie;

• programmare, sulla base del fabbisogno formativo rilevato, un piano di aggiornamento annuale (costituito da seminari, giornate di studio, riunioni sulla base degli obiettivi dipartimentali ed aziendali e nell’ambito del budget assegnato al dipartimento).

Nel campo della didattica il R.I.D. deve garantire l’utilizzo di strumenti che possano assicurare modalità di tutoraggio formalizzate e condivise in riferimento agli studenti dei corsi di base, ma anche a quelli dei master e dei corsi di specializzazione.

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34 In quest’area il R.I.D. potrà avvalersi di referenti, opportunamente preparati, all’interno delle varie unità operative che svolgeranno le funzioni di tutor clinico e si faranno garanti di un processo di apprendimento da parte degli studenti.

Per quanto riguarda l’aspetto della ricerca il R.I.D. deve essere in grado di raccogliere le proposte delle unità operative estendendole alle altre afferenti al dipartimento, creando un momento di integrazione e promovendo i progetti maggiormente significativi ovvero in grado di produrre risultati.

L’area della gestione delle risorse materiali e umane è l’aspetto più caratterizzante del R.I.D. Per quanto riguarda le risorse materiali deve:

• formulare, in ambito dipartimentale, delle procedure volte alla manutenzione e sostituzione delle attrezzature che dovranno essere adeguatamente catalogate e utilizzate all’interno delle unità operative;

• realizzare protocolli per la gestione di tutto il materiale sanitario, compreso il controllo delle scadenze e dei quantitativi;

• creare un’organizzazione degli armadi dei farmaci e del materiale sanitario per agevolare il personale negli eventuali spostamenti all’interno del dipartimento;

• partecipare, o individuare i protagonisti che partecipano alle varie commissioni per scelte e valutazioni dei presidi sanitari.

La gestione della risorsa umana è un obiettivo fondamentale infatti il R.I.D. deve essere in grado di:

 collocare in base a criteri oggettivi (carichi di lavoro, fabbisogno di

personale), la distribuzione alle singole UU.OO. delle risorse di personale infermieristico, addetto all' assistenza ed ausiliario sanitario assegnato al Dipartimento;

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35

 coordinare l’inserimento delle nuove unità infermieristiche e di supporto;

 individuare i sistemi premianti e di motivazione del personale con percorsi di valutazione adeguati agli standard aziendali;

 collaborare con i coordinatori di U.O., nella gestione del piano ferie, delle

sostituzioni, dei trasferimenti interni tra le UU.OO. del dipartimento e dell'avvicendamento del personale infermieristico ed ausiliario.

Inizialmente il R.I.D. identifica il dimensionamento dell’organico grazie all'ausilio di una analisi organizzativa della struttura e delle relative posizioni funzionali, e alla valutazione delle competenze e del ruolo delle diverse figure assistenziali (infermieri, OTA, OSS, e ausiliari). In seguito determinerà il fabbisogno del personale in base alla domanda e provvederà alla sua allocazione nell’ambito delle diverse unità operative, collaborando al reclutamento e alla selezione dello stesso.

Nell’ambito dell’informazione e dell’educazione sanitaria il R.I.D. provvede a:

• concretizzare gli interventi informativi ed educativi nei confronti dei pazienti e di provvedere al monitoraggio degli stessi;

• curare la comunicazione con schede informative sul dipartimento, l’accessibilità e il coinvolgimento dei clienti, ascoltandone lamentele e proposte ed informandoli dei problemi di funzionamento;

• farsi promotore di campagne per l’utilizzo delle strutture sanitarie e di diffusione di strumenti informativi come la Carta dei Servizi Sanitari in stretta collaborazione con il servizio infermieristico aziendale.

Ai fini di una reale integrazione nei singoli dipartimenti tra le diverse componenti professionali e tra le unità operative afferenti, è fondamentale che il referente infermieristico di dipartimento possa esercitare un concreto potere

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36 organizzativo, con una forte responsabilizzazione del ruolo di coordinamento, derivante sia dai vertici aziendali sia dal direttore del dipartimento e dal direttore del servizio infermieristico.

2.4 Con chi interagisce

Al fine dell’efficace esplicitazione delle proprie funzioni, il R.I.D. deve poter contare su una perfetta collaborazione dei caposala di unità operativa: se la prima figura deve essere attenta a non entrare troppo in merito alle decisioni clinico assistenziali e ai carichi di lavoro, i coordinatori devono, invece, essere preparati a fornire un supporto continuo, preciso e puntuale e dei report mensili in merito all’attività gestionale della propria struttura.

I R.I.D sono generalmente posizionati in “line” gerarchica e funzionale con il direttore del servizio infermieristico: quest’ultimo riunisce a cadenza programmata tutti i referenti infermieristici di dipartimento per promuovere e verificare l’attinenza dei modelli gestionali e di lavoro con gli obiettivi aziendali.

Inoltre, specifiche riunioni sono indette per verificare l’andamento dei programmi di aggiornamento professionale, di ECM e per il controllo dei processi di accreditamento e di verifica della qualità assistenziale.

Estemporaneamente sono previsti degli incontri con il direttore generale, tanto più necessari oggi, nel frangente attuale, in cui s’inizia a delineare anche l’attività libero professionale intra-moenia (legge 1/2002).

In attesa della definizione dei nuovi assetti organizzativi dei dipartimenti ospedalieri, il Responsabile Infermieristico di Dipartimento opera in posizione di

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37 staff al Direttore di Dipartimento, con autonoma responsabilità nella gestione del personale infermieristico, tecnico e ausiliario.

2.5 Punti di forza e di debolezza del R.I.D.

Partendo dal presupposto che il concetto di fidelizzazione sia fondamentale nell’ottica manageriale aziendalistica, così come il risparmio di risorse per mezzo di una migliore integrazione e flessibilità operativa, allora si può concludere che l’opportunità di implementare la funzione di R.I.D. diventa una

“conditio sine qua non” per raggiungere l’obiettivo. Al momento, le esperienze in atto hanno dato risultati lusinghieri, garantendo qualità, continuità e uniformità dell’assistenza infermieristica, anche in situazione di carenza, migliorando la comunicazione tra servizi, reparti e uffici che, diversamente, rimarrebbero a

“tenuta stagna”, sempre più orientati verso pericolose spirali operative autopoietiche e autoreferenziali.

Certamente, la nuova figura del R.I.D. ha avuto un avvio difficile, scarso riconoscimento formale da parte dei colleghi e, talvolta, un insufficiente supporto da parte dei superiori gerarchici. In alcune realtà, l’aspetto incentivante e valutativo non sempre è stato all’altezza richiesta. Ciò ha comportato distorsioni nelle aspettative di ruolo e, a volte, anche conflitti tra ruoli di coordinamento.

Per questo motivo, parimenti alla pubblicazione di articoli, che menzionano delle sperimentazioni organizzative molto positive, si è a conoscenza di R.ID.

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38 che hanno rassegnato l’incarico oppure che hanno intrapreso delle scelte professionali diverse.

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39

CAPITOLO 3

INSERIMENTO DEL PERSONALE

NEOASSUNTO E NEOACQUISITO

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40

3.1 Chi è il personale neoassunto

Il personale neoassunto è il personale che stipula per la prima volta un contratto di lavoro a tempo determinato o indeterminato con l’Azienda.

Esistono due categorie di infermieri neoassunti:

a) gli infermieri neo-laureati (o, comunque, in cerca della prima occupazione) che possono avere un’idea ancora confusa del lavoro in un’azienda, che offre servizi sanitari; quando si programmerà il loro inserimento si dovrà tener conto della necessità di un addestramento relativo anche alle procedure di carattere generale, che riguardano il funzionamento dell’organizzazione; l’inserimento potrà generare problemi di adattamento al lavoro infermieristico così come viene svolto nell’unità operativa, ma porterà all’azienda il vantaggio di poter contare su persone ancora fresche di studi e interessate ad esperienze nuove;

b) gli infermieri desiderosi di cambiare lavoro per più motivi: insoddisfazione per l’ambiente, frustrazione, esaurimento delle energie, volontà di compiere nuove esperienze: si tratta di persone che hanno già un’esperienza di lavoro, di solito di qualche anno; il loro inserimento sarà più agevole per la parte generale di orientamento alla struttura, ma potrà dare maggiori problemi, rispetto al caso precedente, per l’adattamento alla nuova unità operativa, perché si dovranno conciliare le esperienze e le aspettative del neoassunto con quelle del personale dell’unità stessa.

Il personale infermieristico neoassunto rappresenta un’importante risorsa per le aziende sanitarie, in quanto la qualità del servizio offerto dipende anche dalle competenze individuali del personale. Obiettivo del sistema sanitario è garantire

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41 la qualità dei servizi e, per realizzarlo, occorre passare anche attraverso la valorizzazione delle risorse umane e della loro professionalità. Tra le caratteristiche principali del neoassunto troviamo l’entusiasmo, la disponibilità a collaborare e la facilità ad adattarsi all’unità operativa. Queste sono caratteristiche molto importanti per garantire un servizio professionale all’utente:

a tal fine dobbiamo investire sulla formazione costante del personale neoassunto. La formazione può aiutare a colmare parte della mancata esperienza. Non bastano entusiasmo e disponibilità: in ogni reparto è necessario guadagnare esperienza. Questo implica da parte del coordinatore fiducia, ma, allo stesso tempo, anche rigore. Non dobbiamo dimenticare che lo scopo del lavoro di ogni infermiere è l’assistenza professionale al malato, che si raggiunge tramite un lavoro serio e responsabile. È responsabilità del coordinatore vigilare sull’inserimento del neoassunto e sulla collaborazione di tutto il personale del reparto affinché tale inserimento risulti proficuo e soddisfacente.

3.2 Distinzione tra personale neoassunto e neoacquisito e loro caratteristiche comuni

In primo luogo è necessario definire chi è il personale neoassunto e chi è il personale neo acquisito, in quanto il loro percorso all’interno dell’azienda durante la fase di inserimento sarà diverso.

Per personale neoassunto s’intende il personale, che stipula per la prima volta un contratto di lavoro a tempo determinato o indeterminato con l’azienda, mentre, invece, il personale neoacquisito è il personale già dipendente

(42)

42 dell’azienda, che entra per la prima volta nella struttura lavorativa di assegnazione. Il personale neoacquisito conosce già molto bene la normativa e la modulistica aziendale quindi il percorso di inserimento seguirà una sequenza differente e avrà una durata inferiore rispetto al neoassunto. Il personale neoacquisito dovrà impegnarsi al fine di rendere proprie le competenze specifiche dell’unità operativa della quale è entrato a far parte.

Ci sono delle caratteristiche che possono essere comuni tra il personale neoassunto e quello neoacquisito. Tra queste caratteristiche troviamo l’entusiasmo, il desiderio di raggiungere degli obiettivi, la collaborazione e la comunicazione.

L’entusiasmo è una delle principali caratteristiche, che si può riscontrare nel personale neoassunto e neo acquisito: è proprio l’entusiasmo, che li spinge a dare il meglio di sé per poter dimostrare le proprie capacità.

L’entusiasmo viene perfettamente definito in un testo tratto da un discorso di Luigi Einaudi:

“Gli uomini falliscono, non per mancanza d’intelligenza, ma per mancanza di passione…Si può fare tutto con l’entusiasmo.

L’entusiasmo è il lievito che fa si che le vostre esperienze arrivino alle stelle. L’entusiasmo è la scintilla del vostro sguardo, lo slancio nella vostra andatura, la forza nella vostra mano, l’irresistibile esplosione della vostra volontà e l’energia nell’eseguire quello che avete deciso. Gli entusiastici sono dei lottatori. Hanno la forza della fermezza. Con l’entusiasmo ci sono realizzazioni, senza entusiasmo ci sono solo alibi.”

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43 Sia il personale neoassunto e che quello neoacquisito si presenta entusiasta perché ha degli obiettivi chiari e ben definiti da raggiungere. Per obiettivo s’intende ciò che si vuol raggiungere nella vita, nel lavoro o in qualsiasi altro ambito. Nel momento in cui vengono definiti gli obiettivi si devono tener presenti determinate caratteristiche riassunte nell’acronimo “SMART”, che significa:

“Specifico, Misurabile, Accessibile, Realistico e legato al Tempo”. Di seguito una breve descrizione di queste caratteristiche:

 specifico: l’obiettivo dovrà essere definito in modo chiaro e preciso descrivendo il cosa, il dove, il quando e il come.

 misurabile: significa che un obiettivo ben strutturato deve consentire di

capire in termini quantitativi se è stato raggiunto o quanto manca al suo raggiungimento.

 accessibile: dovrà essere possibile raggiungere l’obiettivo. E’ molto

importante che si pensi che l’obiettivo sia raggiungibile. Non conta per quale motivo si pensi: se si crede di poterlo raggiungere nel cervello partiranno una serie di processi consci e inconsci, che porteranno verso l’obiettivo. Se l’obiettivo sembra troppo grande, si può suddividerlo in obiettivi parziali più piccoli, per rendere raggiungibile ogni parte dell’obiettivo.

 realistico: individuare i margini di realizzazione di un progetto richiede

capacità e intuito. L’obiettivo deve dipendere da chi lo deve raggiungere.

Solo gli obiettivi su cui si ha una diretta influenza ci permettono di non avere scuse. Se l’obiettivo è legato a qualcun altro è molto facile, prima o poi, declinare le responsabilità e sentire l’impegno e la motivazione decrescere.

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44

 tempo: determinare il periodo di tempo necessario a raggiungere

l’obiettivo. Stabilire entro quando l’obiettivo sarà raggiunto e come si saprà di averlo raggiunto. Se non si mette la scadenza si può tendere a rimandare o a non aver soddisfazione dall’obiettivo raggiunto. È necessario stabilire delle verifiche, che confermino con sicurezza il raggiungimento dell’obiettivo.

Altre caratteristiche che dovrebbero possedere il neoassunto e il neoacquisito sono la collaborazione e le capacità comunicative. Frequentemente non ne sono in possesso neppure gli operatori esperti ed è per questo che, a volte, risulta indispensabile che tutti gli operatori siano educati e formati a lavorare in team.

Collaborare significa lavorare in modo armonico ed efficace: affinché ciò sia possibile si deve imparare a comunicare con chiarezza, a comprendere ed esprimere positivamente le emozioni. In ogni contesto organizzativo risulta fondamentale la gestione della comunicazione, secondo uno stile assertivo ovvero una efficace modalità comunicativa, che prevede un successo personale, non basato sulla "sconfitta dell'altro", bensì sulla sua valorizzazione, un successo insieme e grazie agli altri. Se iniziamo a vedere le differenze dell'altro come qualcosa di prezioso e non minaccioso per noi, diventa naturale cercare di trovare soluzioni, che soddisfino entrambi e una buona comunicazione diventa, pertanto, un'occasione per comprendersi. Infatti, se entrambi gli interlocutori rivestono la stessa importanza diventa coerente ricercare vantaggi per ciascuno e la comunicazione diviene l'opportunità di generare comprensione e valore, anche quando si trova nascosta in divergenze che sembrano insanabili.

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45 La comunicazione assertiva tende non solo a generare un guadagno per gli interlocutori, ma, talvolta, è capace di andare al di là delle aspettative dei diretti interessati.

La comunicazione assertiva, pertanto, si incentra su due dimensioni di fondo:

 ascoltare e rispettare l'altro;

 esprimere con chiarezza (ma senza asprezza) ciò che si desidera

(bisogni) e ciò che si sente (vissuti).

L'atteggiamento assertivo è sempre collaborativo, ma si deve stare attenti a non incorrere né in uno stile acritico, accondiscendente, imitativo, passivo né in uno stile aggressivo, impositivo, egocentrico, manipolativo. Quando, infatti, si utilizza uno stile passivo, si tende a non dare valore e riconoscimento ai propri bisogni e/o desideri, magari rinunciando a chiedere, creando, così, possibili fraintendimenti; mentre se ci riconosciamo in uno stile aggressivo perdiamo completamente l'ascolto dell'altro, percepito come un nemico da vincere o un ostacolo da evitare.

Il neoacquisito possiede il desiderio di collaborare, ma non basta, però, il solo desiderio. Bisogna imparare a collaborare. La collaborazione richiede, oltre alle competenze relative al compito, anche adeguate competenze di tipo relazionale.

Per imparare a collaborare la letteratura propone la pratica del team building, indicando i sette elementi indispensabili per il suo funzionamento.

Il primo è l'obiettivo, che dev'essere:

 raggiungibile, cioè costruito su fatti e dati osservabili, basato su risorse disponibili e articolato in compiti;

 chiaro e condiviso da tutti i membri del gruppo.

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