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Procedimenti speciali – Giudizio abbreviato – Contestazioni suppletive

La decisione

Procedimenti speciali - Giudizio abbreviato – Integrazione probatoria – Mo- difica imputazione – Contestazioni suppletive – Fatti già desumibili degli atti di indagine – Ammissibilità - Limiti (Cost. artt. 3, 24, 97, 111, 112; C.p.p. artt.

423, 438 co. 5, 441 co. 5, 441-bis)

Nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria a norma dell’art. 438 co. 5 c.p.p. o nel quale l’integrazione sia stata disposta a norma dell’art. 441 comma 5 c.p.p. è possibile la modifica dell’imputazione solo per i fatti emergenti dagli esiti istruttori ed entro i limiti previsti dall’art.

423 c.p.p.

CASSAZIONE PENALE,SEZIONI UNITE, 13 febbraio 2020 (ud. 18 aprile 2019), – CARCANO, Presidente – DE CRESCIENZO, Relatore – IACOVIELLO, P.M.

(conf.) – Andriy, ricorrente.

Le sezioni unite ridimensionano il potere di emendatio libelli nel giudizio abbreviato condizionato

Il giudizio abbreviato è caratterizzato dall’accettazione da parte dell’imputato di un giudizio “allo stato degli atti” e cioè della riduzione delle garanzie del giudizio dibattimentale a fronte di un trattamento sanzionatorio di favore. A ciò consegue che il pubblico ministero può procedere ad adeguare l’imputazione attraverso contestazioni suppletive unicamente con riferimento ai fatti nuovi emersi nel corso del giudizio e non con riguardo a fatti già desumibili dagli atti delle indagini preliminari e non collegati all’esito dei predetti atti istruttori.

The United Sections downsize the power of emendatio libelli in conditional abbreviated judgment

The abbreviated judgment is characterized by the defendant's acceptance of a "state of the proceedings"

judgment, that is, a reduction in the guarantees of the trial judgment against a favorable sanctioning treatment. From this derives the consequence that the public prosecutor can proceed to adjust the charge through supplementary disputes only with reference to the new facts that emerged during the trial and not with regard to facts already deduced from the preliminary investigation documents and not connected to the outcome of the aforementioned investigative documents.

SOMMARIO: 1. La questione di diritto sottoposta alla Corte e le ragioni del contrasto. – 2. La decisione delle Sezioni Unite: le implicazioni della scelta del rito sull’imputazione. – 3. Il principio di completezza delle indagini e il diritto alla stabilità dell’imputazione. – 4. Le ricadute della decisione sui procedimenti già definiti.

1. La questione di diritto sottoposta alla Corte e le ragioni del contrasto. La pronuncia in commento rappresenta il necessario punto di chiusura di un contrasto tra Sezioni semplici in ordine alla legittimità della modifica

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viato condizionato e conseguente a circostanze già in atti del processo e non riportate nell’addebito originario.

Prima di esaminare il ragionamento ricostruttivo delle Sezioni unite e ai fini di un inquadramento sistematico è utile, pertanto, ripercorrere a grandi linee gli orientamenti delle Sezioni semplici sul tema, evidenziando come entrambi – paradossalmente – pongano a fondamento della loro tesi il dato testuale, che tuttavia è al contempo ritenuto all’origine dei dubbi interpretativi.

Un primo orientamento suggeriva un'esigenza costituzionale di dilatazione del perimetro di ammissibilità delle contestazioni suppletive anche in assenza di integrazioni probatorie disposte dal giudice e sulla base di atti e circostanze già in atti e noti all'imputato1. Secondo tale indirizzo, nello specifico, sarebbe- ro applicabili anche al giudizio abbreviato gli stessi principi validi per l’udienza preliminare e cristallizzati nell’art. 423 c.p.p. legittimanti la modifica dell'imputazione da parte del pubblico ministero mediante contestazione suppletiva, anche quando i fatti oggetto della nuova contestazione erano già emersi nel corso delle indagini preliminari. Tale argomentazione poggiava sul contenuto della direttiva di cui il detto art. 423 c.p.p., co. 1, costituisce attua- zione (Legge Delega n. 81 del 1987, art. 2, punto 52), prevedendo quest’ultima, nel punto che qui interessa, semplicemente il potere del Pubbli- co Ministero "nell'udienza preliminare" di modificare l'imputazione e proce- dere a nuove contestazioni, senza assoggettarlo a particolari limitazioni o con- dizioni. Secondo tale posizione, dunque, nel giudizio abbreviato sarebbero dovuti valere gli stessi criteri non solo in relazione al principio di tassatività delle nullità, ma anche in rapporto ai principi generali che ispirano il tema delle contestazioni suppletive2. In plurimi casi, la legittimità delle contestazio- ni suppletive relative a elementi già presenti negli atti di indagine veniva addi- rittura data per scontata, affermandosi che la previsione di cui all'art. 441-bis c.p.p. - stabilendo che, in sede di giudizio abbreviato l'imputato a fronte della contestazioni di cui all'art. 423 c.p.p. possa chiedere che il processo prosegua con il rito ordinario - «non si applica se le nuove contestazioni non derivano da nuove emergenze, ma riguardino fatti o circostanze già in atti e, quindi, noti all'imputato allorché ebbe ad avanzare la richiesta di rito abbreviato»3. La Sezione rimettente, al contrario, non riteneva di condividere tale orienta-

1 Si tratta di Cass. Sez. II, 9 maggio 2005, Scozzari, in Mass. Uff., 231993; Id., Sez. IV, 27 novembre 2008, Rehinard, ivi, 242962 e Id., Sez. VI, 15 novembre 2017, Ribaj, ivi, 272214;

2 Così Cass., Sez. IV, 26 settembre 2017, Squillante, in Mass. Uff., 271293; v. anche Id., Sez. I, 17 mag- gio 2012, ivi, 255049.

3 Così Cass., Sez. VI, 15 novembre 2017, Ribaj, cit.; nello stesso senso Id., sez. V, 17 settembre 2018, L., in Mass. Uff., 274159-01.

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mento, non trovando quest’ultimo giustificazione né sul piano dell’interpretazione letterale delle norme che disciplinano il rito speciale, né su quello logico-sistematico. In primo luogo, si osservava che la assimilazione, ai fini della modifica dell'imputazione, tra giudizio abbreviato e udienza pre- liminare appariva in contrasto con la disciplina positiva del rito speciale.

L’ordinanza di rimessione sottolineava, inoltre, che la giurisprudenza di legit- timità è ferma nel ritenere che, nell'ambito del giudizio abbreviato “semplice”

non sia permesso al pubblico ministero di procedere a modificazioni dell'im- putazione o a contestazioni suppletive e, pertanto, aderire alla tesi della legit- timità di queste ultime relativamente a fatti già noti ed in atti condurrebbe ad una inevitabile discrasia tra le due forme dello stesso rito speciale. Del resto - osservava il Collegio rimettente - nel momento in cui la l. 16 dicembre 1999 n. 479 (c.d. Legge “Carotti”) dispose l’ampliamento dell’ambito di operatività del giudizio “a prova contratta”, introdusse certamente delle limitazioni alle attività istruttorie. Altrettanto vero è che la sopravvenienza di nuovi elementi di prova rendeva anche possibile che gli stessi fossero acquisiti, qualora capaci di incidere sulla ricostruzione dei fatti al vaglio del giudice, rendendo necessa- rio l’adeguamento dell'imputazione alle sopravvenienze storiche4. Tuttavia, a dire dei Giudici rimettenti, è ugualmente evidente la connessione tra la dero- ga così introdotta e la sua ratio giustificatrice, ovvero l’emersione di elementi di novità dall’attività istruttoria espletata, a cui deve correlarsi strettamente la modifica dell’imputazione.

Infine, a dire della Corte rimettente, un’interpretazione legittimatrice delle contestazioni suppletive sulla base di atti e circostanze già in atti e noti all'im- putato si porrebbe in antitesi rispetto a quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale sul tema, la quale aveva già chiarito che «il pubblico ministero possa effettuare le nuove contestazioni solo quando affiori la necessità di adat- tare l'imputazione a nuove risultanze processuali, scaturenti da iniziative pro- batorie assunte nell'ambito del rito alternativo; rimanendo con ciò escluso che dette iniziative - tanto più se rimaste «prive di seguito» - possano rappresenta- re una patente di legittimazione per rivalutare, a scopo di ampliamento dell'accusa, elementi già acquisiti in precedenza e, fino a quel momento, non posti ad oggetto di azione penale»5. Infatti, con la richiesta di giudizio abbre- viato l'imputato accetta di essere giudicato con rito semplificato in rapporto ai reati già contestatigli dal pubblico ministero, rispetto ai quali solo egli esprime

5 Così Corte cost., 24 marzo 2010, n. 140 in Giur. Cost., 2010, 1668 con commento di SPANGHER, Giudizio abbreviato e nuove contestazioni emergenti dagli atti del procedimento.

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l'apprezzamento della convenienza del rito stesso: sicché «non sarebbe costi- tuzionalmente accettabile che egli venisse a trovarsi vincolato dalla sua scelta anche in relazione agli ulteriori reati concorrenti che [...] potrebbero essergli contestati a fronte delle «evenienze patologiche» di cui si è detto»6.

In questo contesto si inquadra la decisione delle Sezioni Unite in commento, la quale recepisce integralmente le perplessità della Sezione rimettente in or- dine alla disinvolta legittimazione – da parte della giurisprudenza di legittimità – di meccanismi volti a supplire alle carenze di atti di indagine, riproponendo il problema delle nuove contestazioni nell’ambito del rito alternativo.

2.La decisione delle Sezioni Unite: le implicazioni della scelta del rito sull’imputazione.

Il potere del pubblico ministero di procedere alla modifica dell’imputazione e di formulare nuove contestazioni inerenti ai fatti oggetto del giudizio deve ne- cessariamente prevedere adeguate garanzie per la difesa. Tale principio, stabi- lito già dall’art. 2, n. 78 della legge delega n. 81 del 1987, fa parte del gioco di delicati equilibri fra i grandi principi che connotano il codice di rito: da un lato la natura fluida e perfettibile dell’imputazione, che consente e in qualche caso esige i necessari aggiustamenti nel corso del processo7; dall’altro la riper- cussioni di tale principio sul diritto di difesa dell’imputato, il quale può vede- re compresso il diritto a definire il proprio processo tramite procedure alter- native al dibattimento, vantaggiose sia in termini temporali che sanzionatori. È imbrigliata tra tali due principi la natura intrinsecamente premiale e deflattiva del giudizio abbreviato, con la cui scelta l’imputato volontariamente decide di essere giudicato in funzione degli atti contenuti nel fascicolo, apprezzati alla luce del tenore dell’accusa mossa8.

Su tale terreno scivoloso si innesta, allora, la decisione della Corte in com-

6 Corte cost., 24 marzo 2010, n. 140, cit.

7 Sul tema v. CALAMANDREI, Diversità del fatto e modifica dell’imputazione nel codice di procedura penale del 1988, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1996, 643. Sul punto si è affermato che «solo di rado il tema del processo può apparire delineato nei suoi precisi contorni sin dalle prime battute dell'accer- tamento. Spesso, anzi, la sua configurazione definitiva si manifesta in momenti molto avanzati del pro- cesso stesso, rivolgendosi quest'ultimo esclusivamente ad avvenimenti del passato, evocati sempre attra- verso la riesumazione e la lettura dei segni che ciascuno di essi lascia nel mondo circostante», così FER-

RAJOLI, Diritto e ragione, Bari, 1996, 25; v. anche RAFARACI, Le nuove contestazioni nel processo pe- nale, Milano, 1996, 94.

8 Si verifica, si è osservato in dottrina, una cristallizzazione dei dati conoscitivi raccolti durante le indagini o udienza preliminari «in risultanze pienamente efficaci per fondare la pronuncia sul merito dell’imputazione», così UBERTIS, La prova penale. Profili giuridici ed epistemiologici, Torino, 1995, 21 nonché CORDERO, Procedura penale, Milano,2003, 876, 877; Cfr. ZACCHÉ, Il Giudizio abbreviato, Milano, 2004, 66.

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mento, chiamata – come anticipato - a verificare l’ammissibilità delle modifi- cazioni dell’imputazione e delle contestazioni suppletive con riferimento a fatti già desumibili dagli atti delle indagini preliminari e non collegati agli esiti dell’integrazione probatoria oggetto di condizione del rito abbreviato o dispo- sta ex officio. In realtà – come evidenziato dalla Sezione rimettente - la que- stione era stata già stata risolta dalla Corte costituzionale, sia con riferimento alle contestazioni suppletive c.d. “patologiche”, cioè relative a fatti che già ri- sultavano dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale9, sia con riferimento alle contestazioni suppletive “fisiologiche”, cioè inerenti a fatti emersi nel corso dell’istruzione dibattimentale, ad azione penale già eser- citata10. Con riferimento a queste ultime, nello specifico, la giurisprudenza co- stituzionale ha trovato assestamento a seguito di un lungo e accidentato per- corso ermeneutico sul tema della correlazione tra modifica dell’imputazione e scelta dei riti alternativi quale esplicazione del diritto di difesa, in un primo momento riconosciuto solo con riguardo al c.d. patteggiamento.11 In relazione alla questione oggetto specifico del sindacato della Corte, poi, la Consulta aveva respinto con decisione la tesi secondo cui nell'abbreviato con integra- zione probatoria, la contestazione suppletiva possa prescindere dagli esiti di quest'ultima ed effettuarsi sulla base di circostanze già risultanti dagli atti12. Il trait d’union delle menzionate decisioni sta nella scarsa lungimiranza o nel- la sua scarsa diligenza del p.m. nel formulare correttamente l’imputazione che non può giustificare la menomazione dei diritti della difesa dell’imputato, tra cui è ricompreso l'accesso ai riti alternativi.

Sullo sfondo, quindi, si staglia la garanzia della stabilità dell’imputazione.

Ebbene, il ragionamento della Corte prende avvio dalla valorizzazione del dato codicistico il quale, antecedentemente all’introduzione del rito condizio- nato ad integrazione probatoria, escludeva espressamente che nel giudizio speciale potesse trovare applicazione l’art. 423 in tema di modifica dell’imputazione13. Alle lacune determinate da tale assetto14, anche a seguito

9 Corte cost., 18 dicembre 2009, n.333, in Giur. It., 2010, 6, 1279.

10 Corte cost., 26 ottobre 2012, n. 237, in Giur. It., 2013,7, 1516 con nota di MASTROMATTEI.

11 Si tratta di Corte cost., 22 giugno 1994, n. 265, in Giur. Cost., 1994, 2166 con nota di RETICO, Conte- stazione suppletiva e limiti cronologici per il «patteggiamento», la quale aveva rigettato la questione di costituzionalità sull’art. 517 c.p.p. in riferimento al giudizio abbreviato.

12 Così Corte cost., 24 marzo 2010, n. 140, cit.

13 Tale esclusione era giustificata, secondo la dottrina, dalla necessità di salvaguardare la garanzia dell’imputato, il quale aveva accettato di esser giudicato allo stato degli atti, con un’imputazione già cri- stallizzata. Sul punto v. RAFARACI, Le nuove contestazioni nel processo penale, cit., 505.

14 «La possibilità di modifiche anche radicali alla piattaforma conoscitiva... rende imprescindibile l’operatività di meccanismi di adeguamento dell’imputazione ai risultati dell’istruzione», così CATALA-

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dell’introduzione del rito “condizionato” ad integrazione probatoria, il legisla- tore ha cercato di porre rimedio attraverso il co. 5 dell’art. 441, che consente l’applicabilità dell’art. 423 nelle ipotesi di integrazione probatoria ex officio e con l’art. 441bis, con cui si è «attribuito all’imputato il controllo circa la “flui- dità dell’accusa”: l’interessato non è gravato dai rischi derivanti dalla modifi- cazione della res iudicanda, potendo rivedere l’opzione per la procedura sommaria, qualunque ne sia la ragione»15.

La problematica viene poi affrontata dalla Corte tenendo conto da un lato, dei dettami della menzionata giurisprudenza costituzionale e, dall’altro, delle peculiarità del rito abbreviato ove si innesta il ragionamento sull’art. 423 c.p.p., elementi dai quali non può prescindersi nella risoluzione del quesito.

Il rito speciale de quo, osserva la Corte, è caratterizzato dall’accettazione da parte dell’imputato di un giudizio “allo stato degli atti” e cioè della riduzione delle garanzie del giudizio dibattimentale a fronte di un trattamento sanziona- torio di favore. Tale assetto di base non muta neanche a seguito della possibi- lità di ampliamento del materiale conoscitivo da parte dello stesso imputato ex art. 438 comma 5 o per iniziativa del giudicante ex art. 441 co.5 c.p.p.

Ne deriva che nel giudizio abbreviato non avrebbe modo di riproporsi la di- cotomia, tipica della fase dibattimentale, fra le nuove contestazioni c.d. fisio- logiche e quelle c.d. patologiche16.

NO, Il giudizio abbreviato, in Giudice unico e garanzie difensive, a cura di AMODIO e GALANTINI, Mi- lano, 2000, 133. Sul punto v. Anche NEGRI,Il “nuovo” giudizio abbreviato: un diritto dell’imputato tra nostalgie inquisitorie e finalità di economia processuale, in A.A.V.V., Il processo penale dopo la rifor- ma del giudice unico, a cura di Peroni, Padova, 2000,487. Occorre segnalare, sul punto, che la dottrina unanime ha stigmatizzato l’inadeguatezza del rinvio all’art. 423 c.p.p. allo scopo di tutelare il diritto di difesa una volta aggiornata l’imputazione; all’uopo v. MARZADURI, Subito altri strumenti per raddrizzare gli squilibri, in Guida dir., 2000, n. 15, 66.

15 Così ZACCHÉ, Il giudizio abbreviato, cit., 148; v. Anche DI CHIARA, sub art. 441-bis, in Codice di procedura penale commentato, a cura di GIARDA,SPANGHER, Milano, 2001, II,756. In dottrina si parla di un vero e proprio diritto potestativo al ripristino dell’iter ordinario. V. CASSIBBA, L’imputazione e le sue vicende, Milano, 2016, 130.

16 In tal senso si esprime la dottrina maggioritaria: v. BONETTI, Il giudizio abbreviato, in I procedimenti speciali in materia penale, a c. di PISANI, Milano,2003, 74; E.M.CATALANO, Il giudizio abbreviato,cit., 133; LAVARINI, Il nuovo giudizio abbreviato, in Riv. dir. proc., 2001, 766; MAFFEO, Il giudizio abbrevia- to, Napoli, 2004, 308; MARANDOLA, Giudizio abbreviato senza integrazione probatoria e modica dell’imputazione, in Giur. cost., 2010, 1680; ORLANDI, Procedimenti speciali, in Compendio di proce- dura penale, a cura di Conso, Grevi, Padova, 2000, 732 ss.;PISTORELLI,BRICCHETTI, Giudizio abbre- viato, in Procedimenti speciali. Giudizio. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocra- tica, IV, tomo I, Procedimenti speciali, a cura di FILIPPI, in Trattato di procedura penale, diretto da SPANGHER, Torino, 2009, 284-285; SASO, La trasformazione dell’udienza preliminare in giudizio ab- breviato, inAPRILE,SASO, L’udienza preliminare, Milano, 2005, 340; SPANGHER, Giudizio abbreviato e nuove contestazioni emergenti dagli atti del procedimento, in Giust. Pen., 2010, I, 161-162. In giuri- sprudenza, v. Cass., sez. II, 29 gennaio 2014, D’Alba, ined.; Cass., sez. II, 17 settembre 2010, Percuo-

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In altri termini, la valutazione del compendio probatorio di base su cui si fonda la scelta del rito condiziona sia l’opzione, sia l’integrale svolgimento del procedimento speciale, di talché è illegittimo concedere al rappresentante dell’accusa la possibilità di “allargare” la piattaforma probatoria recuperando aspetti già desumibili dal fascicolo delle indagini in prospettiva accusatoria17. Invero, occorre rilevare che la tesi è stata messa in discussione dalla dottrina più recente, che ha evidenziato perplessità in ordine a tale soluzione, definita fin troppo “drastica”. Da un lato, infatti, la cristallizzazione del materiale co- gnitivo al momento della richiesta di abbreviato semplice non implicherebbe – necessariamente – un divieto da parte del pubblico ministero di rivalutare il quadro probatorio in vista della nuova contestazione, non essendovi incompa- tibilità strutturale tra rivalutazione del contenuto del fascicolo e aggiornamen- to dell’accusa.18 Dall’altro, l’assenso dell’imputato alla definizione del proce- dimento nelle forme del rito semplificato non rappresenterebbe condizione ostativa all’esercizio del potere di nuove contestazioni fuori dai casi di am- pliamento della piattaforma cognitiva. In altri termini, il consenso, l’imputazione e il quadro probatorio ad essa sotteso sarebbero legati a doppio filo: se è vero che nel rito “secco” il divieto di nuove contestazioni trova ra- gione nell’assenza totale di integrazioni probatorie, nel rito condizionato le nuove contestazioni avrebbero la funzione di garantire la costante corrispon- denza tra il quadro probatorio e l’oggetto del giudizio delimitato dall’imputazione, non essendovi ragioni per ritenere che il consenso «possa disporre della regiudicanda, cristallizzandone i confini»19. In sostanza, non sarebbe in discussione tanto la possibilità da parte del pubblico ministero di procedere a nuove contestazioni, quanto il diritto dell’imputato di revocare il consenso sul rito già prestato, che dovrebbe essere sempre garantito20.

co, in Cass. pen., 2012, p. 1059, 331.

17 Tale aspetto era stato già rilevato dalla dottrina, precisandosi che è vero che «il legislatore ha sempre privilegiato un modello tendente a rendere fluida l’imputazione, ma ciò, per evidenti ragioni di garanzia, deve essere circoscritto alle sole ipotesi in cui ciò serva per adeguare le geometrie del fatto alle emer- genze gnoseologiche e non certo per colmare delle lacune del titolare della funzione d’accusa». Così GIUNCHEDI, La giustizia penale differenziata. I procedimenti speciali, I, coord. da GIUNCHEDI,Torino, 2010, 705.

18 Non si spiegherebbe altrimenti, secondo tale orientamento, il tenore dell’art. 441bis co. 1 cod. proc.

pen., che salda la nuova contestazione solo all’evoluzione del compendio probatorio. Cfr. CASSIBBA, L’imputazione e le sue vicende, cit., 131; v. anche LAVARINI, Il nuovo giudizio abbreviato, cit., 766;

RAFARACI,Le nuove contestazioni nel processo penale, 505.

19 Così CASSIBBA,L’imputazione e le sue vicende, cit., 133.

20 La critica è rivolta all’indirizzo giurisprudenziale citato nella nota n.2 del presente scritto, che esclude l’applicazione dell’art. 441-bis nell’ipotesi in cui la nuova contestazione non derivi da nuove emergenze probatorie ma riguardi atti noti e già in atti.

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Tale impostazione, tuttavia, non convince, non foss’altro per il significato che attribuisce al consenso dell’imputato nell’ambito del rito semplificato, che sembra predominante rispetto alle legittime esigenze di adeguamento dell’imputazione al quadro probatorio. In altri termini, la volontà dell’imputato di definire il processo nelle forme del rito semplificato incide in maniera preponderante sul thema probandum, su cui l’imputato esercita un vero e proprio potere dispositivo. Il concetto stesso di premialità, connesso alla scelta delle modalità di celebrazione del processo e la centralità della vo- lontà dell’imputato nel tipo di definizione diversificata e anticipata dello stes- so, «rappresenta una proiezione del potere dispositivo in ordine alla prova ed alle modalità di formazione della stessa»21. Infatti, il possibile ampliamento del materiale conoscitivo, se inserito all’interno di un modulo procedimentale a prova ab origine limitata, rischierebbe di vanificare i vantaggi derivanti dalla scelta stessa del rito da parte dell’imputato il quale, analizzati gli elementi fino a quel momento raccolti dal pubblico ministero, decida di esser giudicato allo stato degli atti. Il pericolo che il rappresentante dell’accusa recuperi, successi- vamente, carenze probatorie da lui stesso consapevolmente calcolate, al fine di reintrodurre prove che sarebbero inibite dalla natura stessa del rito prescel- to, è concreto e certamente non auspicabile in un sistema che non subordina (anzi, non subordina più) la definibilità allo stato degli atti alla «scelta discre- zionale del pubblico ministero di svolgere indagini più o meno approfondi- te»22. Non essendo più soggetta la possibile instaurazione del rito a preventivi consensi del pubblico ministero e, nella sua forma incondizionata, a prelimi- nari valutazioni di ammissibilità da parte del giudice, può parlarsi di un «vero e proprio diritto»23 alla celebrazione del giudizio con le forme di cui all’art.

438 c.p.p. ss., che appare ragionevole preservare, stante il ruolo rivestito dell’organo inquirente e l’esigenza di completezza che deve orientarne le scel- te investigative nel corso delle indagini.24 Un rischio prevedibile, dunque, ma arginabile facendo riferimento, in ogni caso, agli stessi principi che presiedo-

21 Così LA ROCCA, La scelta del rito da parte dell’imputato: sopravvenienze e vizi della volontà, in Ar- chivio Penale, 2015, 2, 586.

22 SIRACUSANO, La completezza delle indagini nel processo penale, Torino, 2005, 139 e ss.

23 Così KOSTORIS, Udienza preliminare e giudizio abbreviato, snodi problematici della riforma, in Nuo- vi scenari del processo penale alla luce del giudice unico, a cura di NOSENGO, Milano, 2002, 47; prima dellariforma del 1999, nello stesso senso v. FERRUA, La giustizia negoziata nella crisi della funzione cognitiva del processo penale, in ID., Studi sul processo penale, vol. III, Declino del contraddittorio e garantismo reattivo, Torino, 1997, 159; sulla riforma del giudizio abbreviato v. anche MAFFEO, Il giudi- zio abbreviato, in Le recenti modifiche al codice di procedura penale, a cura di NORMANDO, III, Mila- no, 2000, 58.

24 V. Corte cost., 7 maggio 2001, n. 115, in Mass. Uff., 26175.

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no alla regolamentazione dell’attività di indagine del pubblico ministero.

Del resto, la fisionomia del rito che emergerebbe da una diversa interpreta- zione, sarebbe non più quella di un giudizio dell’imputato, ove è quest’ultimo a delimitare – per libera scelta collegata non solo a benefici di tipo premiale – il materiale utilizzabile ai fini della decisione, in ciò consistendo il motivo stesso della scelta del rito; si tratterebbe, al contrario, di un giudizio “a sorpre- sa”, ove l’imputato dovrebbe sottostare al possibile sconfinamento in terreni probatori ultronei rispetto al recinto conoscitivo dato dallo “stato degli atti”.

Lo snaturamento del rito a prova contratta, così ragionando, sarebbe evidente in quanto il giudizio abbreviato si trasformerebbe in una roulette russa, do- vendosi assumere l’imputato il rischio che nuove prove vengano assunte fuori dal suo controllo: la scelta consapevole di delimitare l’ampiezza della piatta- forma probatoria su cui andrà ad innestarsi la decisione, per ragioni premiali e di deflazione processuale, sarebbe svuotata di significato, essendo il potere del rappresentante dell’accusa, di fatto, illimitato.

Tra l’altro, la paventata trasformazione della natura stessa del rito abbreviato da giudizio deflattivo allo stato degli atti a rito con accettazione del rischio, ove l’imputato è consapevole che la piattaforma probatoria da lui delimitata potrà subire consistenti dilatazioni officiose anche in malam partem, pone serie problematiche in punto di scelta del rito alternativo ed eventuali vizi del- la volontà.25 Con tale scelta, nello specifico, l’imputato rinuncia alla fase dibat- timentale del processo ed alle garanzie ad essa associate, per effetto di uno specifico atto di volontà da esprimere – non a caso – personalmente o mezzo di procuratore speciale26. Orbene, la possibilità di condizionare la richiesta del rito ad una integrazione probatoria, unitamente ai poteri officiosi (o su solleci- tazione delle parti) che il giudice del giudizio abbreviato può esercitare ex art.

441, co. 5, c.p.p., consente di inglobare nel patrimonio valutativo apporti gno-

25 In tema di vizi del consenso, con riferimento specifico ai riti alternativi, v. compiutamente FONTI, Vizi della volontà e giustizia penale negoziata, in La giustizia penale differenziata, a cura di GIUNCHEDI, SANTORIELLO, Torino, 2010, 277 ss. nonché LA ROCCA, La scelta del rito da parte dell’imputato: so- pravvenienze e vizi della volontà, cit., 586. Dell’incidenza dei vizi della volontà sugli atti processuali penali si è occupata la dottrina sotto la vigenza del codice Rocco: v. PETROCELLI, I vizi della volontà nel processo penale, in Saggi di diritto penale, Padova, 1952, 537; RICCIO, La volontà delle parti nel pro- cesso penale, Napoli, 1969, 142; FLORIAN, Nuovi appunti sugli atti giuridici processuali penali (i vizi della volontà), in Riv. it. dir. proc. pen., 1920, I, 1; PANNAIN, Le sanzioni degli atti processuali penali, Napoli, 1933, 193

26 CARINI, voce Errore e rimedi, in Dig. Pen., Agg. IV, I, Torino, 2008, 277. Come rilevato a più riprese dalla Corte costituzionale, la tassatività delle forme si ricollega alla natura del rito, poiché «si tratta di un istituto in grado di provocare una non reversibile disposizione di fondamentali diritti», così Corte cost., 13 gennaio 2005, n. 57, in Dir. Pen. e Processo, 2005, 3, 279.

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seologici ulteriori e nuovi rispetto a quelli in suo possesso e conosciuti dall’imputato, oltre che dal pubblico ministero. E proprio da ciò derivano «le tangibili problematiche in punto di sopravvenienze in grado di inficiare l’originaria scelta dell’imputato».27 Tanto premesso, occorre considerare altre- sì che la volontà dell’imputato nel rito de quo subisce già un netto tempera- mento in conseguenza dei poteri di integrazione probatoria esercitabili d’ufficio dal giudice ex art. 441, co.5 c.p.p., dal cui uso (od abuso) viene a di- pendere l’eventuale mutamento del quadro probatorio originario su cui si è innestata la scelta del rito. Anche solo considerando tale dato, è inevitabile interrogarsi sull’opportunità di un ripensamento dell’imputato in ordine alla propria scelta processuale.28 Ebbene, se a ciò si aggiungesse finanche l’ammissibilità delle contestazioni suppletive pure in assenza di integrazioni probatorie disposte dal giudice e sulla base di atti e circostanze già in atti e noti all'imputato, le menomazioni in punto di diritto di difesa sarebbero tan- gibili. Tanto vale almeno nella misura in cui non gli sia offerta la possibilità di revocare la propria richiesta, pur a fronte di uno stato degli atti diverso da quello che aveva giustificato la sua rinuncia al dibattimento, senza trascurare le limitate possibilità di esercizio del diritto alla prova contraria.29

3. Il principio di completezza delle indagini e il diritto alla stabilità dell’imputazione.

La completezza del compendio investigativo, cui si collega inscindibilmente la stabilità del quadro accusatorio, vale «ad orientare le scelte “in rito” delle parti private, nell’ambito di un sistema che sembra erigere “ponti d’oro” a chi opta per una rapida fuoriuscita dal circuito processuale, garantendo una congrua concentrazione dei tempi e conferendo maggiore efficienza all’intero siste- ma».30 Il principio è ben saldo, nella giurisprudenza costituzionale, nonché

27 LA ROCCA, La scelta del rito da parte dell’imputato. Sopravvenienze e vizi della volontà, cit., 586.

28 PATANÈ, Giudizio abbreviato e consenso, in Eccezioni al contraddittorio e giusto processo, a cura di DI CHIARA, Torino, 2009, 111.

29 In proposito, LA ROCCA, La scelta del rito da parte dell’imputato, cit. 586, la quale evidenzia che «se non si ritiene possibile la revoca della scelta per il rito alternativo, dovrebbe garantirsi, quanto meno, la possibilità di esercizio del diritto di difesa, nella sua fisionomia di diritto alla prova contraria, a fronte del mutamento sopravvenuto del quadro probatorio originario». Contra, BRICCHETTI, PISTORELLI, Giudizio abbreviato, cit., 281; LOZZI, Giudizio abbreviato e contraddittorio: dubbi non risolti di legitti- mità costituzionale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2002, 1090.

30 Cfr. SIRACUSANO, La completezza delle indagini nel processo penale, cit, 150. Essendo poi la comple- tezza «un concetto non certo predicabile in astratto, ma visualizzabile solo con riferimento alle singole fattispecie concrete, il dovere d’indagare è, a sua volta, una fattispecie discrezionale, che rende doverosi tutti gli atti investigativi indispensabili a completare (quanto meno) il quadro cognitivo disegnato dalla notitia criminis». Così le valutazioni di VALENTINI C., La completezza delle indagini, tra obbligo costitu-

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strettamente legato al concetto di continuità delle indagini31: l’addebito deve rappresentare un grado di completezza e di approfondimento delle indagini idoneo persino a scongiurare il proscioglimento dell’imputato qualora egli formuli una richiesta semplice di giudizio abbreviato.32 Occorre osservare, pe- raltro, come nella tematica in esame venga in rilievo la necessità di garantire il rispetto di plurimi principi, tracciati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: i diritti dell’accusato come delineati dall’art. 6 e i diritti delle vit- time, evidenziati negli stessi artt. 2 e 3 della Convenzione33. In proposito, infat- ti, non basta che l’ordinamento interno dello Stato preveda opportune norme incriminatrici, ma è necessario anche un apparato investigativo che consenta l’accertamento delle circostanze del reato.34 Il principio di completezza delle indagini, dunque, unito alla intrinseca natura del giudizio abbreviato quale rito “allo stato degli atti” ha condotto le Sezioni Unite alla risoluzione della questione prospettata nel senso che «ritenere che il pubblico ministero possa, nel rito abbreviato condizionato, modificare ad libitum l’imputazione origina- ria perché ritenuta non adeguata rispetto a quanto già è agli atti del processo vorrebbe dire minare una garanzia dell’imputato e indirettamente la bontà delle decisioni del giudice nella fase di ammissione al rito». Il diritto

zionale e (costanti) elusioni della prassi, in Archivio penale, 2019, 3, pag. 749 e ss., che aggiunge che «è evidente che la scelta di adottare o meno dati atti d’indagine diventa essa pure violazione di un dovere, tutte le volte in cui detta scelta porti a trascurare questa o quella parte della situazione concreta circo- stanziata nella notitia criminis e/o evidenziata dagli svolgimenti successivi». In tema, v. anche POTETTI, Sommaria enunciazione del fatto, imputazione, modica dell’imputazione: interconnessioni tra gli artt.

415-bis comma 2, 417 lett. b) e 423 c.p.p., in Cass. pen., 2002, 1479; VARRASO,Le indagini «suppleti- ve» ed «integrative» delle parti. Metamorfosi di un istituto, Padova, 2004, 14; ALONZI, Le attività del giudice nelle indagini preliminari. Tra giurisdizione e controllo giudiziale, Padova, 2011, 40 ss.

31 Corte cost., ord. 12 marzo 1998 n. 58, in Giur. cost., 1998, 561 ss.; Id., sent. 3 febbraio 1994, n. 16, ivi, 1994, 120 ss., con nota di MACCHIA.

32 Cfr. Corte cost., sent. 9 maggio 2001 n. 115 in Giur. cost., 2001, 933-934. Sul punto, la Corte Costitu- zionale ha chiaramente affermato che il dovere d’agire ha come presupposto il dovere d’indagare in modo puntuale e completo, su cui v. Corte cost., 15 febbraio 1991, n. 88, in Mass. Uff., 16996.

33 Con riferimento alla giurisprudenza europea, sulla completezza delle indagini, v. Corte EDU, 2 marzo 2017, Talpis c. Italia; Id., 11.06.2015, Mashenko c. Ucraina; Id., 20.12.2012, Masneva c. Ucraina. In dottrina, v.PARLATO, Effettività delle indagini ed “equità processuale”. Il punto su investigazioni scienti- fiche sulla persona e operazioni sotto copertura, in GAITO,CHINNICI (a cura di), Regole europee e processo penale, Cedam, 2016, 70. In relazione agli obblighi procedurali derivanti dall’art. 3 CEDU, si veda Corte EDU, 6.4.2000, Labita c. Italia, in cui la Corte europea, riconoscendo l’assenza di indagini approfondite ed effettive, ha ritenuto che vi sia stata una violazione procedurale dell’art. 3 CEDU; ana- logamente, Corte EDU, 18.10.2001, Indelicato c. Italia.

34 Da ciò discende che le indagini sui fatti di reato siano: « a) avviate ex officio; b) tempestive e che si concludano prima dell’intervento della prescrizione; c) approfondite ed effettive; d) improntate a dili- genza; e) idonee a identificare e punire i colpevoli; f) improntate a trasparenza», cosìMONTAGNA, Ne- cessità della completezza delle indagini, in I principi europei del processo penale, Roma, 2016, 351.

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dell’imputato alla stabilità dell’accusa, direttamente discendente dalla garanzia della completezza investigativa, dunque, viene elevato a garanzia insopprimi- bile, sia nel caso di giudizio abbreviato “secco”, sia nell’ipotesi di rito condi- zionato ad integrazione probatoria. Diversamente opinando, infatti, si an- drebbe incontro ad una illogica disarmonia di sistema dato che, mentre è as- solutamente pacifico che in caso di rito abbreviato “semplice” il pubblico mi- nistero non possa operare alcuna modificazione dell’imputazione neppure per recuperare una contestazione più adeguata allo stato degli atti, tale facoltà gli sarebbe inspiegabilmente riconosciuta nel caso in cui l’imputato abbia op- tato per il rito condizionato attraverso una lettura asistematica dell’art. 423 c.p.p. che non tenga conto delle caratteristiche proprie del rito abbreviato.

Tale principio vale altresì nel caso di integrazione istruttoria ex officio, giac- ché la decisione del giudice, di ampliare il quadro probatorio, non può costi- tuire l’ “occasione” per il pubblico ministero di mutare e adeguare il tenore dell’accusa rispetto a quanto già in atti così pervenendosi ad una disparità di trattamento rispetto al caso in cui il giudice non senta alcuna necessità di al- largare la piattaforma probatoria.

E’ la doverosa stabilità dell’imputazione – fatti salvi i necessari aggiustamenti a seguito della scoperta di “fatti nuovi” – che funge da guida sia per le scelte dell’imputato, sia per la decisione del giudice. A ciò consegue che, per poter svolgere le sue funzioni peculiari, l'imputazione deve necessariamente essere formulata in modo ”chiaro e preciso”: una descrizione del fatto generica o, comunque, insufficiente a fissare i profili essenziali dell'episodio storico de- dotto non consentirebbe la corretta individuazione del tema del processo, impedendo all'imputazione di identificare esattamente l'azione pena- le esercitata e di fissare l'imprescindibile riferimento per la successiva esplica- zione delle attività difensive.35 La completezza delle indagini preliminari, da cui dovrebbe derivare l’accusa stabile, quindi, permette di optare per la stra- tegia processuale più conveniente attraverso una valutazione oggettiva.36 Si tratta, infatti, di un fondamentale criterio di giudizio sia per il pubblico mini- stero, sia per l’imputato. Le investigazioni del rappresentante dell’accusa de-

35 OVI, sub art. 423, in Codice di procedura penale commentato, a cura di GAITO, IV ed., Torino, 2012, 2731; v. anche CAIANIELLO, Alcune considerazioni in tema di imputazione formulata in modo alternativo, in Cass. pen., 1997, 1361, 2471; CESARI, Modifica dell'imputazione e poteri del giudice dell'udienza preliminare, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1994, 297; DELLA SALA,GARELLO, L'udienza pre- liminare, Roma, 1989, 133.

36 «La funzionalità del sistema e la stessa praticabilità del giudizio abbreviato puntano proprio sulla

“completezza” delle indagini preliminari», così SIRACUSANO, Per una revisione del giudizio abbreviato, in Cass. pen., 1994, p. 476.

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vono, pertanto, andare oltre l’acquisizione degli elementi necessari a verifica- re la non superfluità del processo al fine di consentire, per converso, all’imputato di definire il procedimento attraverso un rito alternativo37, diritto che non può essere certamente vanificato dalla possibilità per il pubblico mi- nistero di allargare a dismisura la piattaforma probatoria nel rito de quo.

Emerge dunque, dalla pronuncia in commento, come la completezza dell’indagine possa necessariamente costituire una premessa per la scelta del giudizio abbreviato e non il risultato dell’eventuale integrazione probatoria del giudice38 o di indiscriminate contestazioni suppletive del pubblico ministero svincolate dal novum probatorio.

Naturalmente, non occorre cadere nell’equivoco di ritenere l’imputazione un dato immutabile e non perfettibile: è l’innesto nel giudizio speciale che de- termina l’esigenza di stabilità, dovendo necessariamente tener conto della vo- lontà dell’imputato quale premessa indefettibile dell’instaurazione del rito semplificato. In prospettiva generale, è fuor di dubbio che l’imputazione co- stituisca «il parametro, formalizzato ma non per questo definitivo, che serve a contenere il discorso probatorio entro limiti accettabili».39 Tale aspetto è stato evidenziato dalla dottrina con riferimento alla fase dibattimentale: «niente as- sicura che l’ipotesi di accusa fissata nell’imputazione, una volta illuminata dal contraddittorio, risulti poi quella davvero coerente con il quadro probato- rio».40 Con riguardo all’udienza preliminare, invece, si ritiene che le maglie del mutamento dell’addebito siano più strette, stante la natura della decisione in tale fase, di regola, “allo stato degli atti” 41: la modifica dell’imputazione, in udienza preliminare, resterebbe evenienza fisiologica della fase, deputata alla

“stabilizzazione” contenutistica dell’imputazione, purché essa sia stata analiti- camente enunciata dal pubblico ministero.42 La deviazione si verifica, allora,

37 Tale concetto di completezza «si discosta da quello ricavabile dalla lettura congiunta degli artt. 326 e 358 c.p.p. e va oltre i recinti segnati dall’art. 112 Cost.», così SIRACUSANO, La completezza delle indagi- ni, cit., 152.

38 Il giudice, infatti, può far fronte «all’inerzia o negligenza del p.m. e, al contempo, contrastare eventuali tentativi dell’imputato di approfittare, a proprio vantaggio, di tale insufficienza investigativa», CASCONE, I poteri istruttori del giudice nel “nuovo” rito abbreviato, in Dir. giust., 2000, n.8, 10.

39 RAFARACI, Le nuove contestazioni nel processo penale, cit., 98-99.

40 Così efficacemente CASSIBBA, L’imputazione e le sue vicende, cit., 117.

41 LEO, Problemi dell’udienza preliminare, in Ind. pen., 1996, 504; PARLATO, Modica dell’imputazione per fatti già conosciuti in sede di indagini preliminari, in Cass. pen., 1999, 251 ss.;

SCALFATI, L’udienza preliminare. Proli di una disciplina in trasformazione, Padova, 1999, 62-63.

42 Sul punto v. Cass., sez. IV, 17 settembre 2013, De Palma, in Mass. Uff., n. 256211. In dottrina, FRI-

GO,Art. 423, in Commento al codice di procedura penale, coordinato da CHIAVARIO, IV, Torino, 1990, 647 ss.; GARUTI,La verica dell’accusa nell’udienza preliminare, Padova, 1996, 255; RAFARACI, Le nuove contestazioni nel processo penale, cit., 482; più di recente, GIANGIACOMO, L’attività del GUP

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quando da un’imputazione “integrabile” si passa disinvoltamente ad un’imputazione “modificabile” ad libitum, perché non corrispondente al con- tenuto degli atti probatori43. Tale vulnus si appalesa con maggiore evidenza se valutato all’interno di un rito a natura probatoriamente contratta, qual è il giudizio abbreviato, ove il perimetro della prova è delimitato dalla volontà preponderante dell’imputato. La natura peculiare del giudizio speciale, dun- que, costituisce la ragione della sussistenza di una “variabile dipendente” tra il principio di completezza delle indagini e la stabilità dell’accusa, che non è ravvisabile – invece – nel giudizio dibattimentale, ove la ricchezza di contribu- ti conoscitivi generata dall’escussione dialettica di fonti solo sommariamente considerate nelle indagini preliminari ben può fare emergere la necessità di modificare l’imputazione in senso ampio. Del resto, anche la Corte costitu- zionale ha – a suo tempo - valorizzato i poteri probatori dell’imputato nel rito speciale, rilevando che questi «si trova ad affrontare il rischio di un giudizio (e di una possibile conseguente condanna)»44 basato sugli atti raccolti dal pubbli- co ministero. Ciò, in altri termini, giustifica il surplus probatorio a lui spettan- te - finalizzato al proscioglimento o all’applicazione di circostanze attenuanti45– che ha valenza “compensativa” rispetto ad una situazione di prevalenza - nell’orizzonte cognitivo del giudice - del materiale raccolto dal pubblico mini- stero. In tale contesto, il principio di completezza delle indagini – cui si corre- la necessariamente il principio della imputazione stabile - ne esce esaltato46 e

«le stesse indagini finiscono per subire un mutamento rispetto alla loro origi- naria funzione, proiettate ora, non soltanto verso la soluzione dell’alternativa tra azione ed inazione, ma anche verso la decisione sul merito in sede di ab- breviato, su richiesta dell’imputato».47

4.Le ricadute della decisione sui procedimenti già definiti.

nell’udienza preliminare tra poteri di sollecitazione e integrazione, in Dir. pen. proc., 2012, 236; VA-

LENTINI, Imputazione e giudice dell’udienza preliminare, in Giur. it., 2002, 438; VIRGILIO,Proli ideo- logici ed evolutivi dell’udienza preliminare, Napoli, 2007, 146-147.

43 Ciò creerebbe una indiscutibile lesione al diritto di difesa, v. SCALFATI, La riforma dell’udienza preli- minare tra garanzie nuove e scopi eterogenei, in Cass. pen., 2000, p. 2821.

44 V. Corte cost., 9 maggio 2001, n. 115, in Cass. pen., 2001, 2603 ss.; per un commento alla decisione, v. GARUTI, La Corte costituzionale promuove la struttura del “nuovo” rito abbreviato, in Giur. cost., 2001, 936 ss.

45 V., ante Legge Carotti, le riflessioni di D.SIRACUSANO,Per una revisione del giudizio abbreviato, in Cass. pen., 1994, 476.

46 In questo senso, POTETTI, Mutazioni del giudizio abbreviato. In particolare il giudizio abbreviato condizionato, in Cass. Pen., 2001, 343.

47 Così PARLATO, La rinuncia alla prova nel giudizio abbreviato su richiesta “condizionata”, in Dir. Pen.

Proc., 2005, 8,1030.

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Così analizzata la tematica oggetto della decisione della Corte, è necessario chiedersi quali conseguenze possano derivare dal principio ermeneutico san- cito dalle Sezioni Unite. Quid iuris, con particolare riguardo ai casi analoghi a quello deciso dalla Corte di legittimità già definiti con sentenza passata in giu- dicato? Il riferimento, come ovvio, è alle sentenze finora pronunciate, in rito abbreviato, nell’ambito di procedimenti nei quali il pubblico ministero ha proceduto a contestazioni suppletive riferibili a circostanze già desumibili da- gli atti di indagine. Ci si trova, evidentemente, dinanzi a un novum giurispru- denziale processuale di estrema rilevanza, che suggerisce allo studioso la ri- cerca di strumenti idonei per estendere la portata di tale pronuncia anche alle sentenze definitive, stante la rilevanza dei valori processuali, nonché costitu- zionali, in gioco. Il tentativo di risoluzione della questione non può prescin- dere dalla necessità di garantire il bilanciamento tra grandi principi, come la ragionevolezza, l’uguaglianza e la stabilità del giudicato. E’ anche vero, d’altro canto, che è la prepotente necessità di alcuni “bisogni” a dover plasmare la portata delle regole, proprio perché i principi (astratti e idealmente immutabi- li) non vivono di luce propria, ma sono destinati a realizzarsi attraverso il tes- suto normativo, chiamato a “vivere” nel concreto e, quindi, a storicizzarsi. E allora, occorre capire se il vulnus determinato di fatto dalla pronuncia delle Sezioni Unite, che involge le sentenze finora pronunciate, in rito abbreviato, nell’ambito di procedimenti nei quali il pubblico ministero ha proceduto a contestazioni suppletive riferibili a circostanze già desumibili dagli atti di inda- gine, possa essere considerato rispettoso dei principi summenzionati. Orbe- ne, se il giudizio di ragionevolezza attiene alla razionalità, vista come «non contraddittorietà interna del sistema giuridico»48, a tale categoria sarebbero ascrivibili anzitutto i casi di incompatibilità tra norme, ma anche i casi «ingiu- stificatezza dell’eccezione rispetto alla regola»49: se il principio di diritto affer- mato dalla pronuncia in commento è di ritenere che il pubblico ministero non possa, nel rito abbreviato condizionato, modificare ad libi- tum l’imputazione originaria, occorre interrogarsi sulla ragionevolezza della cristallizzazione delle sentenze pronunciate a seguito di un processo condotto in violazione di tale principio, in quanto si porrebbero in termini di eccezio- nalità rispetto alla disciplina ordinaria. Si tratterebbe, forse, di una disparità di trattamento che, tuttavia, potrebbe trovare un decisivo sbarramento nel prin- cipio della stabilità del giudicato, posto a presidio della certezza delle situa-

48 ZAGREBELSKY, Su tre aspetti della ragionevolezza, in AA.VV., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della corte costituzionale, Milano, 1994, 180 ss.

49 ZAGREBELSKY, Su tre aspetti della ragionevolezza, cit., 183.

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zioni giuridiche. Sul punto, non si può peraltro negare che si assiste ormai da tempo ad una progressiva e continua erosione di tale dogma a causa di inter- venti non soltanto di natura legislativa, ma anche giurisprudenziali. La “cede- volezza” del giudicato potrebbe lasciare spazio all’interprete nella ricerca di soluzioni alla problematica in esame, sulla scia della considerazione in base alla quale qualsiasi rapporto, pur coperto dal giudicato, non dovrebbe conti- nuare a subire l’applicazione di un principio abolito di fatto dalla Corte di legittimità nella sua massima composizione.

Si impone, allora, uno sguardo attento alle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, con particolare riferimento al principio di legali- tà penale di cui all'art. 7, così come interpretato dalla giurisprudenza europea.

Per effetto dell'esplicito riferimento al "diritto" ("law") - e non soltanto alla "leg- ge" - contenuto nell'art. 7, la giurisprudenza di Strasburgo, infatti, ha inglobato nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa che quello di de- rivazione giurisprudenziale, riconoscendo al giudice un ruolo fondamentale nella individuazione dell'esatta portata della norma penale, il cui significato è reso esplicito dalla combinazione di due dati, quello legislativo e quello inter- pretativo.50 In definitiva, «il sistema convenzionale, pur dando grande risalto al principio di legalità, non ne assolutizza l'ambito valoriale, con la conseguente prevalenza del dato formale su quello propriamente giurisprudenziale, ma, nella prospettiva di salvaguardare la specificità delle tradizioni costituzionali all'interno di un sistema di diritto comune tendenziale, ritiene complementari i due dati, che si integrano tra loro, con la conseguenza che gli elementi quali- tativi dell'accessibilità e della prevedibilità di cui parla la Corte si riferiscono non tanto all'astratta previsione legale quanto alla norma "vivente", risultante dall'applicazione e dall'interpretazione dei giudici»51. La posizione della Corte europea sulla portata e sui margini di legittimità del cd. "diritto vivente" non sembra, d'altra parte, discostarsi molto da quanto in proposito affermato dalla Corte Costituzionale. Il Giudice delle leggi, in tempi non sospetti, aveva fatto ricorso per la prima volta al sintagma "diritto vivente" per focalizzare, con inci- siva sintesi lessicale, una figura già elaborata in precedenti decisioni, e più esattamente quella della "norma non quale appare proposta in astratto, ma quale è operante nella quotidiana applicazione dei giudici" e "come vive nella realtà concreta".52 E' al "diritto vivente", infatti, che la Corte costituzionale ha

50 Corte EDU, 24 aprile 1990, Kruslin c. Francia; Id., 12 febbraio 2008, Kafkaris c Cipro; Id., 15 no- vembre 1996, Cantoni c. Francia; Id., 25 maggio 1993, Kokkinakis c. Grecia.

51 In questi termini Cass., Sez. Un., 21 gennaio 2010, n. 18288, in Mass. Uff., 246651;

52 Corte cost., 11 dicembre 1974, n. 276, in Mass. Uff., 7522; Id., 29 dicembre 1972, n. 198, ivi, 6457;

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sempre fatto riferimento, per definire propriamente l'oggetto del sindacato di costituzionalità, rinunziando a imporre la propria libertà interpretativa e rite- nendosi vincolato all'esegesi dei giudici ordinari.

Fatte tali necessarie premesse e partendo da quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza in commento, secondo cui «la modificazione dell’imputazione in violazione della norma in esame (l’art. 441, comma 1 c.p.p., ndr), ex art. 178, comma 1, lett c) c.p.p., è causa di nullità generale a regime intermedio della sentenza pronunciata all’esito del giudizio», occorre- rebbe allora ragionare se e in quale sede sia possibile eccepire tale nullità. Per circoscrivere il campo, si tratta di tentare di comprendere se nella fase esecu- tiva sia consentito emendare un errore di diritto - nella specie, l’ammissione – nei procedimenti in rito abbreviato - di contestazioni suppletive in violazione del disposto dell’art. 441 co.1 c.p.p. e il conseguente pronunciamento giudi- ziale da ciò originato.

Resterebbe escluso, secondo la giurisprudenza di legittimità, il ricorso al giu- dice dell’esecuzione giacché, in executivis, il giudice deve limitare il proprio accertamento alla regolarità formale e sostanziale del titolo su cui si fonda l'e- secuzione, non potendo attribuire rilievo alle nullità eventualmente verificate- si nel corso del processo di cognizione in epoca precedente al passaggio in giudicato della sentenza, che devono essere fatti valere con i mezzi di impu- gnazione.53 Occorre, dunque, volgere altrove lo sguardo, giacché

«l’ordinamento prevede, con i mezzi di impugnazione straordinaria (revisione e ricorso straordinario ai sensi dell'art. 625 bis c.p.p.), istituti processuali fina- lizzati alla eliminazione, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di con- danna, di decisioni determinate da un erroneo giudizio»54. Il ricorso straordi- nario, tuttavia, riguarda unicamente le sentenze di legittimità, mentre la revi- sione, che concerne le sentenze di merito, è limitata ai casi in cui potrebbe derivare il proscioglimento del condannato e non una rideterminazione, in melius, della pena (art. 631 c.p.p.). E' poi previsto lo strumento processuale dell’art. 673 c.p.p. per eliminare la sentenza di condanna che risulti, per ef- fetto di mutamento legislativo ovvero per declaratoria di incostituzionalità, pronunciata in relazione a un fatto che non è più previsto come reato. Nel caso in esame, tuttavia, siamo di fronte ad un’ipotesi diversa, ovvero la possi- bilità di intervento, nella fase esecutiva, su un profilo di illegalità cd. origina- ria, determinata direttamente dall'accertamento compiuto nel giudizio di co-

Id., 23 giugno 1956, n. 3, ivi, 18.

53 Concetto ribadito di recente da Cass. pen. Sez. I, 23 febbraio 2018, E.C., in Mass. Uff., 272604.

54 Cass. pen. Sez. I, 04 luglio 2018, N.N., in Mass. Uff., 274532-01.

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gnizione: non un sopravvenuto mutamento normativo, ma un novum giuri- sprudenziale processuale.

Si potrebbe allora analizzare l’eventuale operatività dell’art. 670 c.p.p. nella sua portata generale, in relazione ad una possibile inesistenza del titolo esecu- tivo in senso ampio. Per evitare incomprensioni interpretative, è imprescindi- bile una premessa di genere che circoscriva, generaliter, gli ambiti operativi dell'incidente d'esecuzione attivabile ai sensi della detta disposizione. Ebbene, nel genus delle doglianze di cui può essere investito il giudice degli inciden- ti ex art. 666 c.p.p. rientrano, a seconda dei casi, errori in cui siano incorsi gli organi esecutivi; richieste che per accidenti procedurali o sopravvenienze re- golamentari non potevano farsi in precedenza; questioni sull'esistenza, la vali- da formazione, l'eseguibilità, la portata applicativa del titolo. Sono contenute, dunque, nel novero delle questioni sul titolo esecutivo, rilevanti ex art. 670 c.p.p., esclusivamente le vicende d'esecuzione concernenti l'esistenza (mate- riale e giuridica) e l'eseguibilità del titolo. In altri termini, il giudice adito ai sensi della norma richiamata è chiamato a controllare la validità del titolo ese- cutivo sia sotto il profilo dell'esistenza del provvedimento, sia della sua esecu- tività. In estrema sintesi, si può affermare che «in executivis non sono deduci- bili questioni concernenti la fase della cognizione, considerato che il giudice non può attribuire rilievo a nullità o, più in generale, a disfunzioni invalidanti occorse nel corso del processo, che avrebbero dovuto essere sollevate con i mezzi di gravame "spendibili" per legge»55.

Occorre quindi capire se, nel caso di specie, il novum giurisprudenziale inter- venuto possa essere considerato o meno causa di inesistenza del titolo esecu- tivo, per rendere operativo il meccanismo di cui all’art. 670 c.p.p. Volendo procedere per tale via, potremmo analizzare quell’orientamento del Supremo Collegio secondo cui non è suscettibile di modifica in sede esecutiva la con- danna a pena illegittima contenuta in una sentenza irrevocabile, a meno che ricorra un caso di assoluta abnormità della sanzione, risultato di un errore macroscopico non giustificabile56.. Nella pronuncia citata, infatti, la Corte spe- cifica come si debba doverosamente distinguere tra la pena illegale irrogata senza alcuna giustificazione rinvenibile nella sentenza (per mero ed esclusivo errore macroscopico), e quella cui si pervenga in esito ad un (per quanto di- scutibile) apparato argomentativo. Solo la prima ipotesi ricade nell'errore non sopportato dal sistema, dunque emendabile anche in executivis. Per la secon-

55RANALDI, Sub art. 670, in Codice di procedura penale commentato, a cura di GAITO, IV ed., II, Tori- no, 3976.

56 Cass., sez. I, 3 marzo 2009, PG. in proc. A.C., in Mass. Uff., 243742.

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