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N N La pace speranza per Aleppotra paura, fughe e solidarietà

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Academic year: 2022

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on ci voleva questa tragica notizia per l’Abruzzo e per la città di Sulmona, arrivata con la conferma della morte di Fabrizia Di Lorenzo nell’attentato a Berlino. Il telefonino ritrovato sul luogo, l’irraggiungibilità alle disperate chiamate dei familiari (poi volati a Berlino per l’esame del Dna), il realistico commento del papà di Fabrizia sulla probabilità della morte avevano da subito intristito la città di Ovidio, così risplendente, nel suo magnifico centro storico, di luminarie e di addobbi, quelli raccontati anche da Monicelli al cinema. Purtroppo non è stata neppure l’unica notizia mesta per Sulmona in quanto si è sovrapposta, in queste ore, a quella di un dipendente dell’amministrazione municipale, dai media collegato all’inchiesta sui cartellini di presenza strisciati extra orario, il quale si è tolto la vita. Triste, triste arriva questo Natale 2016 per la città, per la provincia aquilana già così provata col sisma del 2009 e per la regione tutta, interessata anche, a nord, dagli ultimi terremoti di Amatrice e Norcia nell’area tra Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo appunto. La foto di Fabrizia, che sta rimbalzando su tutti i media, non la ritrae solo bellissima. È il ritratto della gioventù e della voglia di vivere. Con quel sorriso, con quegli occhi – dallo sguardo dolce e diretto che sembra dire alla vita: fatti sotto, vediamo chi vince – è l’antitesi di ciò che le è successo. Ci sia consentita una tenerezza locale: è molto abruzzese il volto di Fabrizia, in questa forza e bellezza che esprime. E non si può non provare una stretta al cuore nel pensare che questa ragazza, se fosse andata a comprare i regalini di Natale invece che a Breitscheidplatz, in quelle bancarelle attorno alla Chiesa della Memoria dove si è schiantato il Tir, sarebbe stata viva adesso, per aver scelto uno dei tanti altri mercatini della capitale tedesca; o se solo fosse uscita prima o più tardi e si fosse trovata lì non in coincidenza, anche per un soffio, col tragico appuntamento. C’è qui un proverbio che un antico dolore – misto a una punta di fatalismo, ma anche alla combattività nel non disarmarsi mai di fronte alla vita – ha generato, e che suona così: «La morte a chi j’attocche cerca sole ’na scuse», la morte a chi è destinata cerca solo una scusa. Non è grammatica italiana, come chiunque vede: il doppio dativo è irregolare. Ma è grammatica dell’anima, grammatica universale, profondissima tra l’altro e micidiale, proprio per la sua sintesi. Fabrizia Di Lorenzo aveva trentuno anni. Dopo il diploma al Liceo Linguistico

"Vico" di Sulmona, si era laureata prima con la triennale alla Sapienza di Roma in Mediazione linguistico-culturale, poi con la magistrale all’Alma Mater di Bologna in Relazioni internazionali e diplomatiche, per completare gli studi con un master alla Cattolica di Milano in Tedesco, su Comunicazione Economica. Parlava correntemente il tedesco e dopo un’esperienza di lavoro a Vienna, si era trasferita a Berlino, lavorando prima alla Bosch, poi alla 4Flow, dove i colleghi non l’hanno vista arrivare la mattina del 21. Generazione Erasmus, generazione di cittadini d’Europa, quella di Fabrizia. Ma di un Erasmus che si prolunga a vita – in alcuni casi – col lavoro all’estero e non per allegra scelta di una permanenza universitaria di qualche mese fuori sede. L’entroterra abruzzese ha dati di disoccupazione, non occupazione e neeting altissimi. In questi giorni sia monsignor Angelo Spina, vescovo di Sulmona, sia monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti, hanno richiamato l’attenzione sul problema del lavoro per i giovani. Se il grado di civiltà di una collettività si misura da come tratta e integra le marginalità, in esse va oggi cercata quasi un’intera condizione anagrafica, i giovani appunto, soprattutto al centrosud, dove i dati sono drammatici.

Fabrizia era andata a lavorare all’estero perché, pur coi suoi brillanti titoli, non c’era lavoro qui, dice il sindaco di Sulmona Annamaria Casini; e invece ha trovato la morte, che – come dice il proverbio – "le cercava", come scusa, il lavoro. Per strapparla alla sua famiglia, ai suoi affetti, alla sua città.

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La giovane abruzzese uccisa a Berlino

FABRIZIA, SIMBOLO DI GIOVANI FORTI

di Giovanni D’Alessandro

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Venerdì

23 Dicembre 2016 Le meditazioni di Natale con Davide Maria Turoldo, Madre I D E E

Teresa, Dietrich Bonhoeffer e Charles de Foucauld.

www.avvenire.it

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di Georges Sabe

LA TESTIMONIANZA / LETTERA DALLA CITTÀ DOVE ANCORA SI COMBATTE

La pace speranza per Aleppo tra paura, fughe e solidarietà

Macerie ovunque, ma c’è una strada per ricominciare a vivere

el momento in cui sto scrivendo questa lettera, la grande maggioranza dei quartieri di Aleppo occupati dai ribelli sono stati liberati, le strade sono state ripulite da tutto quello che impediva la comunicazione tra una parte e l’altra della città. Molti ribelli armati hanno approfittato dell’amnistia concessa e si sono arresi, ma nonostante tutti i richiami (mondiali e locali) all’evacuazione di Aleppo, un nucleo di terroristi (specialmente dal fronte Al-Nusra) rifiuta di arrendersi. Essi perseverano e intensificano il

bombardamento dei quartieri ovest della città. Assistiamo a un nuovo spostamento: migliaia di famiglie lasciano i quartieri orientali della città e vengono a rifugiarsi in zone più sicure. Da gionti più voci si levano per annunciare che per Natale tutta la città di Aleppo sarà riunificata. Speriamo che ciò comporti la fine delle ostilità, la fine dell’incubo, la fine della paura e soprattutto l’instaurazione della pace tanto attesa da quasi cinque anni ad Aleppo.

olto resta ancora da fare per quanto riguarda il lato umano degli abitanti di questa città. Come aiutare le persone a tornare, a sistemarsi, ad avere fiducia nell’altro, ad accettare una riconciliazione? Quali parole dire ai genitori dei martiri, ai feriti, a quelli che hanno visto le loro case distrutte?

Che sguardo gettare su quello che si sospetta essere stato il nostro nemico? Bisogna avere fiducia in un futuro di pace?

Quale garanzia offrire agli sfollati e alle persone che hanno lasciato tutto e sono andati a trasferirsi all’estero e hanno costruito lì la loro vita? Che rispondere a coloro che diffidano, a coloro che dubitano, a quelli che annunciano altre

disgrazie? Siamo pronti a iniziare un percorso nuovo? Se la pace tanto attesa si installa tra noi, come risvegliare la gente alle loro responsabilità, ai loro doveri civili e sociali? Tutti questi problemi e molti altri attraversano il nostro Spirito.

Forse è troppo presto per rispondere ma dobbiamo

condividerli e iniziare a pensarci. In questi giorni, gli abitanti di Aleppo Ovest sono in procinto di uscire in strada per andare altrove, là dove era pericoloso e vietato. Alcuni scoprono la realtà di ciò che è stato il loro negozio, la loro casa o il loro luogo di culto. La guerra è passata lasciando la sua impronta: tutto è rubato, tutto è distrutto, a volte sfigurato o addirittura scomparso.

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i fanno delle foto, ci si indigna, si piange... Si cerca di vedere se c’è qualcosa da recuperare: un ricordo, un libro, una cosa qualsiasi dimenticata che i signori della guerra non hanno portato via. La gente immaginava l’entità dei danni, ma la realtà supera spesso la fantasia e fa

loro scoprire l’atrocità dei crimini commessi. Resta ancora il problema delle mine. Una decina di bambini ha cercato di giocare in un giardino pubblico. Una mina ha avuto ragione della loro vita... bisogna evitare alcune zone dove ci sono stati dei combattimenti. I quartieri ovest della città continuano a ricevere quotidianamente razzi, colpi di mortaio e missili. La morte continua a creare scompiglio. La paura non cessa mai di crescere. Tre settimane fa una scuola primaria è stata colpita da un missile.

Almeno 8 alunni sono morti e più di 100 persone sono state ricoverate in ospedale. Il dottor Nabil ci ha invitati a essere vigili: «La

disinformazione continua: alcuni media riferiscono che

"Aleppo è caduta" invece di dire "Liberata"».

er coloro che ascoltano gli sfollati provenienti dalle zone est della città, per quelli che stanno loro vicino, la realtà della liberazione non basta per esprimere la fine dell’incubo in cui vivevano. Erano presi in ostaggio dalle truppe armate.

Era vietato loro di uscire, di andarsene. Quando è arrivato

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l’esercito, hanno potuto sentirsi al sicuro. Volevano andarsene il più presto possibile. Come fare perché i media riflettano la realtà così com’è? Il team di animazione dei Maristi azzurri si è recato il 30 ottobre scorso da quattro famiglie tra le più povere dei nostri beneficiari. L’iniziativa è stata seguita da un momento di condivisione e di preghiera. Abbiamo insistito sull’importanza dell’ascolto e del rispetto di ogni persona per rivolgerci sempre di più verso le famiglie maggiormente bisognose. Il governo di Navarra, in Spagna, ci ha assegnato il

«XIV Premio Internazionale della Solidarietà-2016». Miguel Induráin, membro della giuria, aveva spiegato le ragioni di questa scelta: «In riconoscimento dell’opera a favore della pace dei Maristi azzurri in una delle zone più colpite dalla guerra in Siria, nella città di Aleppo, e per la loro difesa di uno dei diritti fondamentali della persona umana, il diritto alla vita e per la loro collaborazione con altre organizzazioni».

ratello Giorgio ha incontrato gli studenti delle scuole superiori di 3 centri educativi. Ha incontrato gli adulti e le persone interessate alla situazione in Siria. Ha spiegato loro la realtà del vissuto quotidiano nella città e ha presentato tutta l’opera dei Maristi azzurri. Una domanda si è ripetuta più volte: «Dove trovate la forza per continuare la vostra missione?». La nostra forza si radica nella nostra fede, la fede in Gesù Cristo, amico dei poveri e dei disperati. Un Gesù che ci invita ad andare incontro all’altro, soprattutto il più afflitto,

il più ferito, il più straziato. Fratello Giorgio, nella sua parola di ringraziamento, annuncia che questo premio fa onore, è vero, ai Maristi azzurri, ma noi lo

dedichiamo, anche, a tutte le vittime della guerra... Il premio arriva nel momento in cui la città di Aleppo continua a soffrire.

Questa solidarietà internazionale ci stimola a resistere e continuare la nostra missione.

l nostro ringraziamento è una promessa:

«Restare, continuare, essere molto vicini alle persone che soffrono». Noi godiamo di una vasta rete di amici che ci sostengono e pregano per noi. Colgo l’occasione per ringraziarli. Alla fine di novembre, abbiamo offerto a ogni persona delle famiglie che sosteniamo, (e sono migliaia) un paio di scarpe e vestiti nuovi. In questi giorni, la situazione caotica dei bombardamenti ci ha obbligato a prendere, per ragioni di sicurezza, la decisione di fermare temporaneamente i nostri due progetti: "Imparare a crescere" e "Voglio imparare". Un giorno di novembre, dopo che un missile è caduto proprio vicino al centro di

distribuzione del nostro programma "Goccia di latte", i vetri sono andati tutti in frantumi. Nient’altro, per fortuna, che danni materiali. Le squadre di distribuzione dell’acqua non si fermano mai. In pieno inverno, nonostante la liberazione della stazione di pompaggio dell’acqua che si trova

all’interno dei quartieri liberati dall’esercito siriano, l’acqua rimane tagliata come l’elettricità. Il programma di

formazione di cento ore "come elaborare un piccolo progetto", al quale hanno partecipato 20 persone, è terminato.

partecipanti hanno scritto i loro progetti e toccherà alla giuria del Mit valutare i migliori e sceglierne due che saranno sostenuti finanziariamente dai Maristi azzurri. Un nuovo programma della Fondazione Marista per la

Solidarietà Internazionale (socio Focsiv) viene ad ampliare la nostra lista. È "Taglio e cucito". Si rivolge alle donne. Nato nel novembre 2016, ventiquattro donne vi partecipano. Per 4 mesi seguiranno una formazione al taglio e alla moda. Tutti gli altri programmi: distribuzione dei cesti alimentari e sanitari, distribuzione di coperte e materassi, distribuzione di taniche d’acqua, aiuto per l’affitto, i civili feriti di guerra e il programma medico, Skill School e lotta contro

l’analfabetismo, continuano normalmente. A nome di tutti i Maristi azzurri e di tutti i beneficiari, vi invito a metterci in cammino verso il Natale.

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La presenza e l’opera dei "Maristi azzurri" a fianco della popolazione

stremata. «La nostra forza si radica nella fede in Gesù Cristo, amico dei poveri»

l sole non si era levato all’orizzonte che le forze di sicurezza erano già sparse nel cortile della cattedrale. Man- cava una giornata alla veglia di mezza- notte, e fin sui tetti circostanti si pote- va osservare il formicolare delle divise nere, con le armi puntate a scrutare le vie sottostanti.

C’è un altro Natale nel mondo, ed è mol- to diverso da quello che siamo abituati a conoscere, a preparare e a vivere, noi avvezzi a celebrarlo nella tranquillità del- la nostra luccicante confortevole armo- nia, spesso più assoggettati al frivolo e al consumismo dei regali e dei cenoni, ad- dobbi e luminarie. C’è un altro Natale, più semplice, ancora più povero, ma an- che più fatto segno di ostilità e intolle- ranza. È il Natale dei cristiani che vivo-

no la loro fede circondati dall’insicurez- za, dalle minacce, dal fanatismo e dalla paura. Sotto il giogo di chi utilizza la re- ligione come arma d’offesa.

Per raggiungere quel Natale non oc- corre fare altro che oltrepassare posta- zioni di controllo, uomini armati, bar- riere di cemento erette per arginare, quasi mai ci riescono, gli effetti deva- stanti delle autobombe, percorrere cor- ridoi obbligati che finiscono tutti nel- l’imbuto dei rilevatori di metallo, delle armi, e degli uomini bomba, farsi per- quisire, e lo si fa anche cercando den- tro gli abiti bianchi di purezza di inno- centi neonati in braccio alle loro giova- ni madri. L’odio disprezza la vita, la mal- vagità è fertile di crudeltà.

È un Natale dove la paura ti viene in- contro ancor prima di raggiungere il tuo

posto di preghiera, e ti resta accanto tut- to il tempo, appiccicata alla tua spalla come una scimmia. Anche quando sa- rai inginocchiato in devozione davan- ti a un altare in mezzo a tanta altra gen- te e forse accanto a colui che ha medi-

tato il suo progetto micidiale e l’attac- co a tradimento.

Erano tanti, quella vigilia di Natale, gli a- genti in borghese, mischiati alla massa di fedeli che affollava il sagrato della catte- drale dedicata ai santi Pietro e Paolo, a Faisalabad, diocesi pakistana di 35mila chilometri quadrati, con 31 milioni di a- bitanti, pressoché tutti seguaci di Mao- metto e di Allah, cui detrarre 175mila fe- deli cattolici, una manciata di credenti sparsa in piccole e soffocate enclave di povertà dove si vive per lo più svolgen- do l’attività del jamadare, lo spazzino.

Ci ospitava il vescovo, monsignor Jo- seph Coutts, oggi arcivescovo di Kara- chi e presidente della Conferenza epi- scopale del Pakistan. Monsignor Cutts, barba sale e pepe, ad ogni parola pro- nunciata sapeva regalare un sorriso an-

che quando ti spiegava che «noi cristia- ni del Pakistan siamo simboli di pace, nonostante il fervore integralista ci ab- bia resi un facile obiettivo».

Il Natale, raccontava, in passato era sempre stata festa di gioia, la gente ar- rivava dai villaggi su carretti addobba- ti e trainati dai buoi. La gioia dei bam- bini accendeva il cuore delle famiglie e i canti religiosi tenevano svegli fino a tardi: «Oggi le autorità ci invitano a te- nere un basso profilo, non fate questo, attenti a fare quello. E così si sono fatti rari e più stretti i momenti di gioia con- divisa». E la vicenda di Asia Bibi, da ol- tre 2.700 giorni in carcere, è sintomo di questa tensione.

Anche Faisalabad aveva il suo piccolo mercatino di Natale, e le bancarelle per lo più esponevano oggetti della fede,

crocifissi, rosari, vangeli in lingua ur- du, libri religiosi, cd di musica natali- zia, dvd di film sulla vita di Gesù. "I die- ci comandamenti", di Cecil B. DeMil- le o il "Quo vadis?" di M. LeRoy, e il massimo del consumismo erano ca- ramelle e dolciumi. Intanto che i bam- bini inseguivano il carretto dei gelati spinto a mano, mentre i loro fratelli più grandi, con il vestito della festa "made in China", si stimavano l’uno con l’al- tro nel cercare di catturare un pudico sguardo dalle ragazze.

Eppure, nonostante la minaccia di pos- sibili azioni violente, il profumo del Na- tale era qualcosa che inebriava l’energia di quella povera gente, in attesa delle pa- role di monsignor Coutts Jesu paida hua hai, Gesù è nato.

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sulle strade del mondo

di Claudio Monici

Verso sera l’annuncio ormai scontato:

tutta Aleppo, fa sapere il comando dell’esercito siriano, «è tornata sotto il nostro controllo». La battaglia, per il governo di Damasco, è finita. Come pure lo sgombero dei civili dalla parte Est. Poche ore prima 31 osservatori dell’Onu, siriani e internazionali, erano giunti ad Aleppo: insediati nel

quartiere Ramoussa, come previsto dalla risoluzione approvata lunedì scorso, dovranno monitorare l’evacuazione dei civili e miliziani da Aleppo Est. Negli ultimi giorni – ha affermato l’inviato speciale Onu Staffan de Mistura – sono tra le 35mila e le 40mila le persone evacuate

principalmente nelle zone rurali della provincia di Idlib, controllata dai ribelli.

Pochi hanno scelto di recarsi nella zona occidentale della città sotto il controllo del governo: la priorità è ora di «ottenere l’accesso agli sfollati per poter far giungere gli aiuti umanitari».

Una tragedia, quella di Aleppo, che ha colpito in modo particolarmente pesante i minori: «Sono almeno 3mila i bambini evacuati da Aleppo Est ma ce ne sono ancora 4mila intrappolati in quel che resta della città: fra loro molti orfani o senza famiglia, che hanno bisogno di aiuto immediato o rischiano la morte. Mentre

l’evacuazione sta terminando notizie

non confermate riportano di bambini e civili morti sui bus a causa del sovraffollamento di massa. Un fatto grave, orribile. Occorre vigilare perché certi fatti, se confermati, non si verifichino: sarebbe paradossale, disumano», ha dichiarato Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef in Italia in occasione dell’#Aleppoday.

«Bisogna fare in fretta perché ad Aleppo Est sono finiti medicine, acqua e riscaldamento, case ed ospedali sono ridotti in macerie. È una corsa contro il tempo», ha concluso Iacomini. In mattinata, il presidente siriano Bashar al-Assad ricevendo una delegazione iraniana, aveva già cantato vittoria: la riconquista di Aleppo, aveva detto, è un successo anche per la Russia e l’Iran, suoi alleati.

Luca Geronico

LA GUERRA IN SIRIA

«Tutta Aleppo sotto il controllo del governo»

Le Nazioni Unite schiereranno 31 osservatori

Posti di controllo, uomini armati, barriere per arginare

le autobombe. Luoghi dove la paura viene incontro ancor

prima di raggiungere il posto di preghiera Eppure, Gesù è nato

C’è un altro Natale, più semplice ma anche più duro

Riferimenti

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