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QUADERNI DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLE MARCHE

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Academic year: 2022

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QUADERNI DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLE MARCHE

(3)

T radurre :

l arTe e il suo doppio

G

iornata seminariale sulla traduzione dalle linGue classiche e moderne

Pesaro, 25 febbraio 2011

a cura

di Chiara Agostinelli, Gianluca Cecchini, Ortensio Celeste

QUADERNI DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLE MARCHE

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Questo libro contiene gli atti di un’ iniziativa di carattere seminaria- le promossa dal liceo “Mamiani” di Pesaro. Un progetto culturale originale e stimolante. La nostra esperienza quotidiana di lettori, ci dimostra che, allorquando ci accostiamo alla lettura di testi di autori classici o di libri originariamente scritti in altre lingue, quasi mai ci avvediamo che le pagine che assaporiamo non sarebbero per noi così comprensibili se non vi fosse stato l’ essenziale intervento di una figura sottaciuta e silenziosa quale è quella del traduttore.

Quello del traduttore è, a ben guardare, un ruolo di grande impegno che comporta l’ assunzione di una notevole responsabilità; infatti, nella sua figura, le competenze del tecnico vanno a fondersi con le capacità del letterato e dello storico. Chi traduce un testo non può li- mitarsi ad adoperare complessi tecnicismi, bensì, è chiamato a fun- gere da ponte fra epoche e culture diverse e, in molti casi, lontane tra loro, nello spazio e nel tempo. Tradurre diventa quindi un lavoro di mediazione e di dialogo se solo consideriamo quanto le lingue, con la loro straordinaria varietà e ricchezza sono, nello stesso tempo, il substrato e il prodotto di condizioni storiche, sociali e culturali.

Partendo dal presupposto che le lingue sono la base e lo strumento della comunicazione, ci rendiamo conto di quanto lavorare con le lingue significhi, in realtà, lavorare con la società e con la vita, quel- la nostra e quella degli altri. Il materiale contenuto in questo volume è assai prezioso per svariati motivi. In primo luogo, perché fa emer- gere l’importanza di un filo conduttore sottotraccia che percorre la nostra cultura e che è quello, come dice il titolo del seminario, del

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rapporto che l’arte ha con il suo “doppio”. Inoltre, si dimostra come la traduzione sia essa stessa, così come lo sono le lingue che maneg- gia, un processo soggetto ad evoluzione, trasformazione, continuo affinamento ed adattamento. Le molteplici sensibilità e contingen- ze storiche e culturali che animano la parola scritta rendono ogni traduzione unica e per molti aspetti irripetibile. Da ultimo, ma non certo per ordine d’ importanza, gli atti di questo seminario sono la chiara testimonianza di un’ esperienza didattica che, coinvolgendo fianco a fianco studenti ed insegnanti, ha dimostrato l’elevato valore dalla nostra scuola, straordinariamente ricca di energie ed intelli- genze. Per tutto ciò, abbiamo accolto con entusiasmo la richiesta di inserire questo pregevole lavoro nella nostra collana editoriale “I quaderni del Consiglio”.

Vittoriano Solazzi Presidente dell’Assemblea legislativa delle Marche

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L’organizzare un convegno sul tema della traduzione nei suoi multiformi aspetti linguistici e metalinguistici rappresenta un timido tentativo, in un’epoca caratterizzata da sollecitazioni e da impulsi di basso profilo, di alimentare un dibattito capace di restituire a studenti e docenti il significato e il gusto del tradurre.

Pur consapevoli della provvisorietà e della relatività dei nostri interventi, il convegno intende riaffidare alla scuola il ruolo di labo- ratorio di ricerca per l’innovazione di metodi e strategie didattiche attraverso l’interrogazione di esperti e intellettuali che indagano sulla traduzione.

Siamo convinti della scelta operata perché l’intenzione è esclusi- vamente educativa: invogliare alla traduzione per decifrare la condi- zione umana evitando possibilmente la logica dei doppi pensieri. Se il tradurre è in certo qual senso un’arte, l’arte non ha né il compito né il dovere di migliorare la natura dell’uomo, ma deve rispondere inequivocabilmente alla ricerca della verità.

L’esercizio della traduzione bisogna esercitarlo non diventando di parte, ma stando dalla parte dell’uomo.

È l’obiettivo primario che ci siamo posti e al quale colleghiamo il nostro agire pedagogico.

Abbiamo evocato qualche tratto saliente dell’iniziativa ma essa ne nasconde tanti altri non di secondaria importanza: una in parti- colare, la pazienza del tradurre, quasi una condizione antropologica.

Ringraziamo i dipartimenti di Lettere e di Lingue, gli insigni relatori provenienti dal mondo accademico e i docenti per l’orga-

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nizzazione e la gestione della giornata; l’Amministrazione Provin- ciale per l’ospitalità nella sala della Provincia; il Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, On. Gianfranco Sabba- tini e il Responsabile di zona di Banca delle Marche, Dott. Claudio Galdenzi, per l’ospitalità nella sede del Palazzo Montani Antaldi; il Signor Prefetto, Attilio Visconti; l’Assessore alle Politiche Sociali della Provincia, dott.ssa Daniela Ciaroni; il Presidente dell’Ente Olivieri, Prof. Riccardo Paolo Uguccioni e la dott.ssa Paola Marti- nelli dell’Ufficio Scolastico Regionale delle Marche per i saluti che ci hanno voluto offrire ad apertura del convegno.

Il Dirigente Scolastico CarloNicolini

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i

ndice

OrtensiO Celeste

Introduzione ... 13 Appendice

GianluCa CeCChini

Quel che resta del testo ... 27 GianluCa CeCChini

Brevi annotazioni a margine alla traduzione

dell’Asinus di Giovanni Pontano ... 31 stella ChissOtti - Maria MOChi

Esperienza laboratoriale di latino della IIA Classico ... 41 BianCa tarOzzi

La traduzione impossibile... 47 MarGherita Ciandrini - Giada MazzOli

Esperienza laboratoriale di inglese della IVB Linguistico ... 67 elsBeth Gut BOzzetti

L’altro canto. Primi passi nella traduzione ... 77 isaBella aMBrOsini - Mervat al raMli

Esperienza laboratoriale di tedesco della IVA Linguistico ... 85 MarGherita BOzzetti - elisa COnCOrdia

MiChele de GreGOriO - GiOvanna MOrritti

Esperienza laboratoriale di tedesco della IVC Linguistico ... 89 liCia reGGiani

La traduzione alla prova della variazioni linguistiche.

L’esempio di Entre les murs ... 95

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anna Franzini - FranCesCO niCOlini - Chiara PandOlFi Traduire pour ne pas trahir. Esperienza laboratoriale

di francese della IVA Linguistico ... 109 Maria luisa vezzali

About findind form. La traduzione secondo Adrienne Rich ... 119 anna GiOrdanO raMPiOni

Nuove traduzioni per i classici latini e greci ... 125 Giada arCidiaCOnO - Mara BaCChiani - tOMMasO COCOn

CaMilla Fraternali - dennis FuCCi - silvia lazzari antOniO Olivieri - verOniCa PuzzO - GiOvanni stOrOni Variazioni sul Miles Gloriosus di Plauto. Esperienza

laboratoriale di latino della IA Classico ... 133 MOniCa lOnGOBardi

Belle, brutte, fedeli, infedeli: traduzioni

di autori classici e medievali ... 151 elena Gentiletti - Mattia GiaMMarustO - aliCe tarChiOni Esperienza laboratoriale di latino della IIC Classico

Scire nefas. Laboratorio di traduzione contrastiva ... 219 GiOvanni BOGliOlO

Tradurre (e ritradurre) i classici ... 231 APPENDICE

PaOla Orlandi

Enea, Didone e il destino. Esperienza laboratoriale

della IIB Classico ... 247

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T

radurre

:

l

arTe e il suo doppio

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a L. G. C.

Ortensio Celeste Introduzione

L’anno scolastico 2010-2011 ha segnato l’ennesimo punto di svolta nella vita scolastica del nostro paese, in quanto è partita in tutta Italia la cosiddetta Riforma Gelmini, con i suoi nuovi quadri orari, i nuovi obiettivi specifici di apprendimento e i nuovi profili d’uscita. Ciò ha ancora una volta comportato, per docenti e studenti, una riorganizzazione e una rimodulazione dell’attività didattica.

In quell’anno, nel corso delle consuete riunioni dipartimentali del nostro liceo, in cui convivono gli indirizzi classico, linguistico e delle scienze sociali, i dipartimenti cui afferiscono le discipline linguistiche hanno notato che, all’interno delle nuove indicazioni relative alle discipline, ha assunto nuova centralità la riflessione sulla lingua (italiano, latino, greco, lingua straniera) e, più in generale, la riflessione sulla varietà dei linguaggi. È evidentemente una novità significativa, non certo perché la riflessione sulla lingua non fosse già oggetto di attività didattica nella scuola italiana, quanto perché, indipendentemente dagli ordini di studi e in maniera trasversale alle discipline, viene sancita con chiarezza a livello legislativo l’impor- tanza della metalinguistica.

Parallelamente a questa novità, nelle nuove indicazioni risalta la sottolineatura dell’importanza della traduzione, e non più soltanto come pratica per verificare l’apprendimento delle lingue, quanto anch’essa come strumento e occasione per riflettere sulla lingua e sulle sue molteplici implicazioni. In particolare spicca, quando si parla ad esempio del latino al classico, la specificazione della traduzione

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come strumento di conoscenza di testi e autori, che deve essere intesa come attività ragionata e motivata. E ancora, quando si parla delle lingue straniere, risulta felice il ribadire, tra le attività da praticare, quella di riflettere sul sistema della lingua.

Sembra quindi che, dopo la fase normativa vissuta dalla tradu- zione e ormai fuori da quella puramente descrittiva nello studio sui sistemi linguistici, sia effettivamente arrivato il momento della sintesi tra queste due tendenze: la conoscenza consapevole di una lingua altra avviene nel momento in cui praticamente, cioè traducendo, si mettono a confronto di volta in volta, cioè in contesti diversi, due sistemi linguistici. La traduzione allora, da sempre croce per intere generazioni di studenti, da attività a volte vissuta come semplice inevitabilità, a volte priva di smalto, a volte addirittura margina- lizzata, ma comunque in pochi casi vissuta come creativa, diventa un momento produttivo fondamentale nella pratica didattica per l’apprendimento delle lingue1. E in effetti la traduzione è un ottimo esercizio di azione-riflessione, ovvero di riflessione sul fare mentre si fa, in quanto si configura come vera operazione di messa in gioco delle proprie competenze in cui si deve costringere la mente a operare scientificamente per ipotesi e verifica delle stesse, su materiale che però coinvolge il cuore e le sfumature del pensiero, oltre alle sfuma- ture della lingua.

È sull’onda di queste riflessioni che in quell’anno i diversi dipar- timenti hanno insieme partorito l’idea di progettare un’attività didat- tica d’istituto, in cui si mettessero in contatto mondo della scuola e mondo della cultura, nello specifico dell’università2, intorno a questo

1 Non è qui il caso evidentemente di discutere il problema della traduzione nell’attività scolastica, per cui si rimanda almeno a PORTOLANO 1992 e ai capitoli relativi alla traduzione in GIORDANO RAMPIONI 2010; BALBO 2007; FLOCChINI 2000;

TAPPI 2000; PIERI 2005.

2 In realtà anche la scelta dei relatori è stata guidata dalla decisione di avere a disposizione dei professionisti della traduzione che a questa attività ne affiancassero - costituzio- nalmente verrebbe da dire - un’altra che li obbligasse alla riflessione.

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tema specifico: pur riconoscendo la valenza di tutte le tipologie di traduzione - tutte utili nelle diverse fasi e per i diversi tempi dell’atto traduttivo -, si è deciso di concentrarsi sulla traduzione letteraria.

Il progetto però doveva rimanere caratterizzato dall’aspetto didat- tico e, nello specifico, su un piano laboratoriale e fortemente meta- cognitivo, quindi si è deciso di strutturarlo in due tempi: i relatori3 identificati per le diverse lingue (latino, inglese, francese, tedesco) hanno comunicato in precedenza i testi oggetto della loro relazione - in qualche caso addirittura discusso e presenziato alle attività labo- ratoriali - alle classi degli indirizzi classico e linguistico selezionate per l’esperienza didattica. Le classi - alcune quarte - hanno quindi svolto l’attività didattica sotto la supervisione e la guida dei docenti interni, sintetizzato i propri lavori e presentato gli stessi in coda all’intervento del relatore in un qualche modo di riferimento all’in- terno della giornata seminariale aperta al pubblico che si è svolta il 25 febbraio 2011.

Vengono quindi presentati in questo volume, dopo una premessa del Dirigente Scolastico del Liceo “Mamiani”, dott. Carlo Nicolini e nella successione cronologica degli interventi, le relazioni degli studiosi4 e quelle dei portavoce degli studenti delle classi coinvolte5. Gli interventi, tutti densi e significativi, nella loro diversità sono però tutti caratterizzati da una mescolanza, non tanto di teoria e pratica,

3 Una breve scheda sintetica sui relatori è presente in chiusura a questa Introduzione.

4 Questi si presentano in forma più o meno rimaneggiata rispetto all’intervento orale. La libertà lasciata agli autori nello scegliere la forma definitiva del proprio discorso vuole essere parallela alla libertà - non all’anarchia - con cui tutti gli attori coinvolti si sono messi di fronte alla parola molteplice della traduzione. Questa libertà è rintracciabile anche nell’organizzazione delle note e della bibliografia dei singoli interventi.

5 Va qui ribadito che il lavoro laboratoriale ha coinvolto attivamente tutti gli studenti delle singole classi, mentre la fase di relazione al convegno appartiene agli studenti indicati nell’indice. Quanto alla stesura degli elaborati che figurano nel presente vo- lume, anch’essa è stata un’attività a responsabilità più o meno diffusa (e solo nel caso della IAC a responsabilità limitata agli studenti indicati), tanto che non è possibile indicare nello specifico gli apporti offerti dai singoli alunni.

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quanto di “riflessione della traduzione su se stessa a partire dalla sua natura di esperienza”6.

Gianluca Cecchini, nell’ottica della traduzione come disposizione d’animo da assumere quando ci si mette di fronte a uno sconosciuto, capace di dare difficoltà da superare ma comunque sempre piacere, nel suo articolo ci suggerisce scelte traduttive per una serie di passi di un’opera in prosa (non esistono traduzioni italiane moderne del testo) del latino umanistico, l’Asinus di Giovanni Pontano, ovvero di un tipo di latino che non ha mai destato particolare attenzione nei programmi scolastici e che invece, proprio per la sua posizione di transito tra il latino e l’italiano, potrebbe diventare un oggetto impor- tante dell’insegnamento linguistico. Ma è soprattutto sul fronte della storia dei generi letterari nella tradizione letteraria occidentale che l’articolo di Cecchini è importante. In esso infatti egli dimostra con puntuali riferimenti ai testi - e in maniera divertente e scanzonata pari al modello di riferimento che ha guidato Pontano - come il modello linguistico fondamentale che l’umanista abbia tenuto come punto di riferimento sia stata la produzione comica di Plauto. Tutto ciò per l’autore non può che dimostrare quanto rischi di risultare superfi- ciale e scarsamente critico - quindi non fondato - uno studio della civiltà antica che prescinda dalla traduzione e di conseguenza dalla conoscenza della lingua. In ultima analisi la disposizione a una reale conoscenza dell’altro che l’atto traduttivo comporta è fondamentale per realizzare quella “competenza di cittadinanza che è uno degli obiettivi principali che la scuola deve perseguire”.

Bianca Tarozzi, smentendo il titolo della sua relazione e rifacen- dosi a un’idea definita in maniera chiara da A. Traina e sintetizzata da O. Celeste7, si sofferma sui dolori e sulle soddisfazioni che le ha

6 BERMAN 2003 (=1999), 16.

7 CELESTE 1999, 166: “Il fatto è che la traduzione è qualcosa di impossibile per definizione ma possibilissima di fatto. Dalla constatazione cioè, che chiunque può fare, che si è sempre tradotto e dalla naturale conclusione che lo si farà

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procurato la propria esperienza di traduttrice della poesia. Ella infatti sembra avere, più che un’idea problematica della traduzione, una rappresentazione di essa come strumento imperfetto ma necessario di conoscenza della realtà. Come l’arte per Platone è imitazione al secondo grado - quindi imperfetta - della realtà, in quanto quest’ul- tima è già imitazione del mondo delle idee, la traduzione è parola di secondo grado, quindi necessariamente imperfetta, in quanto ogni singola lingua, ogni singola scrittura è approssimazione della realtà.

Malgrado ciò - e anche qui platonicamente - l’eros, l’innamoramento, può essere di aiuto e spingere il traduttore alla conoscenza profonda dell’altro. Per l’autrice l’altro si identifica principalmente con la poesia, luogo in cui si gioca “la dialettica tra senso e suono”: e nell’articolo ce ne offre un saggio. Ma la realtà è fatta altresì di utili costrizioni e quindi Bianca Tarozzi ci racconta anche quali benefici abbia tratto dalla sua esperienza di traduttrice della prosa, nello specifico di Virginia Woolf, nonché del tipo di testi sui quali ha suggerito alla classe interessata di fare la propria esperienza laboratoriale.

Elsbeth Gut Bozzetti, sotto la suggestiva immagine per cui

“tradurre è una sorta di comparativo di maggioranza del verbo leggere” e l’auspicio che la lettura sia la chiave per entrare in una dimensione di pace, e sicura che la traduzione sia il nesso che lega lettura e scrittura, ci invita a riflettere, anch’ella sulla base della propria personale attività di traduttrice, sulla fluidità, la molteplicità e - direi - la necessaria instabilità, ma anche le gioie inaspettate, in cui è immerso il traduttore nella pratica del tradurre.

Licia Reggiani, in un discorso complesso e articolato, si sforza

sempre, deriva che non ha senso porsi la domanda se è possibile tradurre, ma che insolubile sul piano teoretico, il problema va spostato su quello fenome- nologico: “Come si traduce?” (Traina 1989, 115) è la domanda che bisogna porsi, cui va aggiunta quella ad essa complementare: “Perché si traduce?”

(PORTOLANO 1992, 69)”.

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di sottolineare come la storia di ogni singola lingua - nello speci- fico, del francese - ponga al traduttore problemi specifici che coin- volgono strati diversi del sistema linguistico. Per cui la traduzione risulta spesso più un’apparente frattura che una linea di continuità.

Un esempio per tutti: come conciliare un sistema linguistico che vive fortemente dello scarto tra norma e devianza da essa con una che vive di una molteplicità di dialetti? L’esemplificazione, condotta sul romanzo Entre les murs di François Bégaudeau (2006) e l’omo- nimo film di Laurent Cantet (2008), mette in luce il problema delle variazioni linguistiche e della possibilità di tradurle in una lingua altra e ci illumina sul rischio che il traduttore, contrariamente a chi in Francia ricorre all’argot, cerca sempre di evitare, ossia l’incom- prensione altrui.

Maria Luisa Vezzali, in una sorta di processo osmotico tra rifles- sioni personali e produzione/traduzione di poesia e riflessioni e produzione letteraria della poetessa Adrienne Rich, ci racconta quanto possa essere intenso e proficuo per le due parti, ma anche intimo e potenzialmente pericoloso, l’incontro di un traduttore con un autore.

Anna Giordano Rampioni, accettando senza compromessi di rimuovere l’aspetto filosofico del tradurre (si può?) e accettarne quello fattuale (come si fa) pur di non rinunciare alla sua positiva funzione pratica, ci rivela quali sono state le convinzioni che l’hanno spinta ad accettare di dirigere una recente collana di classici latini e greci (Barbera Editore). Prima fra tutte la convinzione che sono diventati sempre più necessari gli strumenti - e la traduzione sia attiva sia passiva ne rappresenta uno importante - che facilitino la conoscenza del e la convivenza con l’altro attraverso l’acquisizione di una “mente multiculturale”, che “permette l’appropriazione vera e propria di culture diverse”. Ecco allora che la negoziazione continua e la continua disposizione alla rinuncia diventano punto di forza del traduttore - e, possiamo aggiungere, del futuro cittadino.

Nello specifico delle lingue classiche emerge altresì la necessità di

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recuperare, nella pratica del tradurre, l’attenzione alla differenza

“dei codici linguistici e della forza generativa del concetto di genere letterario”, rimuovendo così dalla classicità molta della polvere che da sempre la ricopre.

Monica Longobardi, nel suo denso (e spassoso) saggio, spaziando dalle lingue romanze al latino nelle sue varie fasi, ci introduce nel proprio e nell’altrui laboratorio di traduzione, discutendo nel concreto una serie numerosa di rese linguistiche e dimostrando che l’atto della traduzione richiede sempre assunzione di responsabi- lità e disposizione al rischio e alla messa in gioco. A poco infatti vale nascondersi dietro una presunta traduzione letterale - qualsiasi cosa si voglia dire con tale espressione -, che si vuole, più o meno ingenuamente, di volta in volta di servizio8, neutra e quindi fedele e rispettosa dell’originale. Le sue premesse teoriche infatti sono chiare e - come hanno dimostrato gli studenti nei loro laboratori - condivisibili: “Noi ci affiliamo, invece, ad un atteggiamento, verso il processo della traduzione, quale gamma di operazioni diverse, fondato, argomentato e consapevole, ma che conduce al suo prodotto come ‘nuovo’ originale”. È questa secondo la Longobardi - e perso- nalmente concordo con lei - l’unica disposizione d’animo che, per quanto rischiosa, esclude rinunce a priori e permette la convivenza, il dialogo e la contrastività tra opzioni diverse.

A concludere la giornata, Giovanni Bogliolo, con un eloquio semplice e affascinante che solo la grande esperienza assicura e

8 Anche in questo caso, qualsiasi cosa si voglia intendere con tale espressione. Nel corso del dibattito che è seguito alle relazioni della seduta pomeridiana, va ripreso, a questo proposito, una felice immagine cui è ricorsa Maria Luisa Vezzali per rispondere al quesito postole da una persona del pubblico relativo a quanto si perda del messaggio originale nelle sue pur molteplici traduzioni. Nella vita bisogna accettare di buon grado - ha sostenuto la Vezzali - il fatto che nella comunicazione vi è sempre un resto, una perdita, anche quando si utilizza la stessa lingua: sin dall’inizio di un matrimonio bisogna essere consapevoli - e accettarlo - che nessuno dei due arriverà alla fine del sodalizio, della propria o dell’altrui vita in molti casi, con la certezza di poter dire che si è avuta perfetta conoscenza dell’altro.

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sull’onda dei decenni dedicati alla traduzione, sottolinea quanto il traduttore assomigli a un bravo artigiano, per il quale il fare è la prima forma di conoscenza: come l’artigiano, il traduttore non ha il tempo di riflettere sulla traduzione perché ha il compito di produrre una traduzione, ossia di risolvere i tanti problemi che di volta in volta gli si presentano perché da un testo si passi a un altro testo (e non da una lingua a un’altra lingua). Questo perché la traduzione, che si presume impossibile ma che è platealmente indispensabile, è il frutto di “una battaglia quotidiana, estremamente affascinante”.

Battaglia che però ha il merito di farci immergere di volta in volta in mondi diversi, fatti di toni, movenze, registri diversi, ma sempre appaganti e, soprattutto, sempre in un qualche modo destinati a passare. E di questa battaglia personale Bogliolo ci offre esempi illuminanti, nonché una convinzione forte: tanto è necessario l’atto del tradurre quanto sono necessarie sempre nuove traduzioni (le traduzioni “invecchiano rapidamente e irrimediabilmente, diventando dopo pochi decenni improponibili”).

Quanto ai lavori degli studenti, è chiaro che ciò che più ha contato, al di là dei risultati concreti raggiunti - che comunque sia ai docenti supervisori dei laboratori sia ai professionisti relatori al convegno sono risultati decisamente apprezzabili - è stata l’attività di laboratorio. Questa ha permesso, in quanto momento didattico che non richiedeva verifica immediata, di potenziare, nell’attività di insegnamento-apprendimento, l’azione di riflessione: sulle proprie conoscenze, sulle proprie competenze, sulla pratica della traduzione e sul confronto tra i sistemi linguistici coinvolti. Al lettore della sintesi di queste attività resti la valutazione di esse.

In appendice a questa introduzione inoltre il lettore troverà una sintesi di un’attività laboratoriale nata in margine al lavoro sulla traduzione e relativa alla messa in scena - una traduzione ormai transcodificata - di passi dell’Eneide di Virgilio, che si è svolta a conclusione della giornata nel Teatro Sperimentale di Pesaro e che

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poi ha visto una replica9 in forma minore il 7 luglio 2011, nell’am- bito del Salone della parola, il festival della filologia la cui seconda edizione si è svolta a Pesaro nell’estate del 2011.

Diciamo a questo punto che l’intera esperienza si è rivelata frut- tuosa e importante, in tutti i suoi momenti, e che tanto i relatori inter- venuti quanto le classi coinvolte hanno manifestato apprezzamento ed entusiasmo per l’esperienza vissuta. A conclusione si può affer- mare che gli obiettivi fondamentali sono stati pienamente raggiunti.

Gli studenti hanno scoperto - in alcuni casi avuto conferma - che la traduzione10 è una grande sfida, con il testo, con gli altri, in ultima analisi con sé, che essa è un’attività bella, di grande dignità, forte- mente formativa non solo sul piano cognitivo e metacognitivo, ma anche su quello etico e, secondo l’antica concezione greca, politico.

La traduzione è il mondo della contaminazione, della convivenza, del molteplice, in cui bisogna abbandonare l’idea che tradurre sia tradire (ma non la certezza che di una traduzione si è sempre insod- disfatti), o piuttosto bisogna accettarla aequo animo. Si tratta cioè di essere in un’ottica, pascoliana e pasoliniana, di plurilinguismo e di contaminazione dei sistemi linguistici. Come, nella sua stupenda semplicità, afferma Antoine Berman11 nel suo studio sulla traduzione,

“... l’ambizione della traduttologia, se non è quella di imbastire una teoria generale della traduzione (al contrario, essa dimostrerebbe piuttosto che una simile teoria non può esistere, poiché lo spazio della traduzione è babelico, vale a dire rifiuta ogni totalizzazione), è di meditare, malgrado tutto, sulla totalità delle forme esistenti

9 Di questa giornata dà conto Gianluca Cecchini in appendice alla presente Introduzione.

10 Non è possibile, e neanche opportuno nel presente lavoro, discutere il problema della traduzione. Il lettore interessato troverà utili indicazioni per approfondire il problema sia nelle bibliografie presenti nei singoli articoli (si segnala soprattutto quella contenuta nel lavoro di Monica Longobardi) sia nella bibliografia contenuta nella presente Intro- duzione. Va però segnalato che in quasi tutti gli interventi, sia degli studiosi sia degli studenti, aleggiava lo spirito del recente lavoro dedicato alla traduzione da Umberto Eco (Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano 2004).

11 BERMAN 2003 (=1999), 18 e 20.

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della traduzione. [...] la traduttologia non insegna la traduzione, ma sviluppa in maniera trasmissibile (concettuale) l’esperienza che la traduzione è nella sua essenza plurale”.

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a

PPendiCe

Gianluca Cecchini Quel che resta del testo

Il 7 luglio 2011, nell’ambito del “Salone della parola”, festival della filologia che si tiene nella nostra città in estate, alcuni dei testi esaminati nel corso del convegno sono stati portati sulla scena, nel tentativo di aprire una finestra su uno dei progetti più qualificanti della nostra scuola, a cui hanno lavorato gli studenti del quarto anno degli indirizzi classico e linguistico, sotto la guida dei loro insegnanti e di esperti provenienti dal mondo accademico. Si è dovuta operare una scelta fra tutto il materiale, presentando i lavori che meglio pote- vano, a giudizio dei curatori, rendere, nel breve tempo a disposizione, l’idea di un progetto durato un intero anno scolastico. Si è cercato di dimostrare che la traduzione, operazione che nella pratica quotidiana è spesso considerata un lavoro meccanico, asettico e improduttivo, può diventare atto altamente creativo, comunicativo e anche diver- tente. E così si sono alternate sul palco del cortile di Palazzo Montani Antaldi voci più antiche e voci a noi più vicine, fatte rivivere per un pubblico attento e generoso di applausi. La classe IV B dell’indirizzo linguistico ha proposto due testi della poetessa statunitense vivente Adrienne Rich, al primo dei quali è stato data la voce di due tradut- trici professioniste, Maria Luisa Vezzali e Roberta Mazzoni, mentre del secondo è stata presentata la traduzione “rap”, realizzata e viva- cemente interpretata dagli studenti. Antico e moderno in dialogo.

Ed ecco che l’Eneide virgiliana ci ha parlato attraverso la classica traduzione di Rosa Calzecchi Onesti nella suggestiva lettura scenica dei ragazzi della classe II B dell’indirizzo classico, ispirata a quella già da loro proposta nello spettacolo conclusivo della giornata di

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studi. Non solo dialogo fra antico e moderno, ma anche fra lingua e dialetti. E così gli studenti della I A dell’indirizzo classico hanno affrontato i celebri versi del Miles gloriosus di Plauto, in cui il soldato fanfarone Pirgopolinice enumera le sue imprese al parassita Arto- trogo, al fine di conquistarsi un sostanzioso pasto. Alla traduzione

“letterale” in lingua italiana si affianca, non meno vivace, quella in vari dialetti italiani in cui Pirgopolinice può essere tranquillamente affiancato a Brad Pitt e il ricordo di epiche contese può trasformarsi nel concorso per mister Fiumicino o in una gara di braccio di ferro.

Si è partiti dall’oggi per approdare all’antico, ed ecco che, come in un chiasmo, riemerge una voce moderna, o meglio contemporanea:

quella della band tedesca Wise Guys e della loro canzone Relativ la cui traduzione-interpretazione a cura degli studenti della classe IV dell’indirizzo linguistico è stata presentata a quattro voci. Anche in un testo apparentemente leggero, quale può essere quello di una canzone pop, si pone il problema che si presenta al traduttore di ogni tempo: quello di ascoltare ciò che l’altra lingua ha da trasmetterci, per far nascere un altro testo e “quel che resta” è proprio ciò che rende valido l’atto del tradurre.

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Biobibliografie dei relatori

Giovanni Bogliolo è stato docente e rettore dell’Università di Urbino. Si è occupato di letteratura francese (Corbière, Flaubert) e di Giovanna d’Arco, ha tradotto saggistica (Poulet, Richard, Foucault, Le Roy Ladurie, Queneau), letteratura classica (La Rochefoucauld), moderna (Potocki, Balzac, Flaubert, Zola) e contemporanea (Camus, Cohen, Le Clézio, Sartre, Simon), ha curato la Recherche proustiana per la BUR e le Opere di Gustave Flaubert per I Meridiani. Collabora a “La Stampa”.

Gianluca Cecchini, docente di Materie Letterarie, Latino e Greco presso il Liceo Classico “T. Mamiani” di Pesaro, ha svolto attività di ricerca nell’ambito dei testi della tarda antichità e dell’Umanesimo.

Anna Giordano Rampioni, è stata docente di Didattica del latino e di Letteratura latina all’Università degli Studi di Bologna, è autrice di manuali per l’insegnamento del latino nella scuola secon- daria superiore e nell’università. È stata responsabile dell’indirizzo Linguistico-Letterario nella Scuola di Specializzazione per l’Insegna- mento Secondario dell’Università di Bologna sin dalla sua istituzione.

Dirige la collana di classici greci e latini edita dalla Barbera Editore.

Elsbeth Gut Bozzetti insegna Lingua tedesca all’Università degli Studi di Urbino. Da anni traduce poeti italiani in lingua tedesca: fra questi Raffaello Baldini, Tonino Guerra, Franco Loi, Mariangela Gualtieri. All’attività di insegnante e traduttrice affianca quella di giornalista free lance.

Monica Longobardi, docente di Filologia romanza all’Università di Ferrara, provenzalista, è autrice di studi di filologia, retorica e tradu- zione letteraria. ha recentemente pubblicato, per i tipi di Carocci, un manuale di didattica dell’italiano e di ludolinguistica dal titolo Vànvere.

ha curato un’antologia di autori latini per la casa editrice Cappelli e tradotto il Satyricon di Petronio per Barbera Editore.

Licia Reggiani, è docente presso la Scuola Superiore di Lingue

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Moderne per interpreti e traduttori di Forlì (Università di Bologna).

Specialista di letteratura francofona, ha tradotto tra l’altro opere della scrittrice belga Marie Gevers. ha pubblicato studi sul teatro classico francese, in particolare Corneille e Racine, in manuali didattici editi dalla casa editrice LED di Milano.

Bianca Tarozzi, docente di letteratura anglo-americana all’Univer- sità di Verona; traduttrice (di Dickinson, Carroll, housman e altri autori inglesi e americani), critica letteraria (ha da ultimo curato i volumi sulla diaristica Giornate particolari. Diari memorie e cronache, Ombre corte 2006 e Diari di guerra e di pace, Ombre Corte 2009), e poetessa (suoi testi sono editi in volumi - fra cui Il teatro vivente, Scheiwiller 2007 - e in riviste quali «Nuovi Argomenti», «Poesia»,

«Smerilliana»).

Maria Luisa Vezzali, docente di Materie letterarie nella scuola superiore, è traduttrice di Adrienne Rich (Cartografie del silenzio, Crocetti 2000; La guida nel labirinto, ibidem, in corso di stampa) e Lorand Gaspar (Conoscenza della luce, Donzelli 2006) e autrice di poesie pubblicate in antologie, riviste e volumi (l’ultimo è linea- madre, Donzelli 2007, premio Anterem/Montano 2007). Collabora con “la Repubblica”.

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Gianluca Cecchini

Brevi annotazioni a margine alla traduzione dell’Asinus di Giovanni Pontano

Questa conversazione non ha certamente la pretesa di apportare nuovi contributi agli studi pontaniani, ai quali si sono dedicati e si dedicano studiosi molto più competenti e accreditati di noi, ma si inserisce nell’ambito di questa giornata seminariale da noi organizzata che, soprattutto nella seduta mattutina, è stata pensata per i ragazzi e con i ragazzi. Nel nostro istituto, nei suoi indirizzi classico, linguistico e delle scienze umane, sono oggetto di studio sia le lingue classiche che le lingue moderne per cui, dopo la riuscita edizione di due anni orsono della giornata di studio “Teatro e teatri”, abbiamo pensato di dedicare un convegno all’operazione del tradurre dalle lingue clas- siche e dalle lingue moderne, convinti, da una parte, dell’unitarietà di obiettivi della nostra scuola, dall’altra, che non esiste una disparità di metodo nell’approccio e, anche se diversa è la distanza temporale fra la lingua di partenza e quella di arrivo, il testo da tradurre rappresenta sempre un “altro” davanti a cui porsi con la consapevolezza dell’oggi.

Da qui il titolo della giornata. Ma venendo all’argomento specifico di cui ci accingiamo a parlare, abbiamo deciso di affrontare un testo di indubbia bellezza e interesse che di norma non si affronta a scuola - i programmi Brocca facevano riferimento alla lettura di testi della latinità medievale e umanistica, mentre le nuove indicazioni non ne parlano affatto - di cui non esiste, a tutt’oggi, una traduzione italiana moderna. Cesare Vasoli nel suo datato, ma per alcuni tratti ancora insuperato articolo su Giovanni Pontano, definisce il dialogo «una delle migliori prove del Pontano narratore e creatore di caratteri1» e,

1 C. VASOLI, Giovanni Pontano, in Letteratura Italiana. I Minori, Milano, Marzorati 1974, pp. 597-618.

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ancora, Vittorio Rossi «la più perfetta tra le prose del Pontano [...] anzi forse la più bella opera di prosa latina che abbia avuto il secolo XV2».

La vicenda dell’Asinus si dipana nel volgere di una giornata, il 10 agosto 1486, in cui viene stipulata la pace tra Ferrante d’Aragona e papa Innocenzo VIII. Gli studiosi ne hanno collocato la redazione intorno al 1488, essendo l’autore quasi sessantenne3.

Il sottotitolo dell’opera è De ingratitudine e la testimonianza, venendo da Pietro Summonte, amico e sodale di Pontano, non può essere del tutto trascurata ai fini dell’interpretazione dell’opera. Ma questo aspetto, su cui sarebbe interessante soffermarsi, esula dal presente discorso. Venendo alle traduzioni, non ne esistono, come dicevamo, delle moderne. In lingua italiana possiamo disporre di una traduzione parziale, che evita accuratamente i passi in cui il testo si fa più ardito, risalente al 1918, oramai datata e manifestamente errata in più punti4. Molto più recente è quella tedesca del 1984, curata da hermann Kiefer, anch’essa quasi inservibile, in quanto è priva di qualsiasi osservazione sul testo e non affronta alcun problema inter- pretativo, come avremo modo di vedere5.

Dunque è un caldissimo 10 agosto e in un’osteria arriva un trafelato messaggero del re che annuncia che la pace è stata conclusa, balbet- tando: «Pa... pa... pax», espressione di chiara matrice plautina, su cui torneremo più avanti. Essendosi conclusa la pace, l’oste prevede lauti guadagni per l’osteria e un giro di sonanti monete nonché l’ar- rivo del flos scortillorum, «Il fior fiore delle sgualdrinelle». Ma i suoi fausti pensieri a voce alta vengono interrotti dal potente squillo di una tromba. «Buccinam buccinatorem nec umquam vidi buccinatius

2 V. ROSSI, Il Quattrocento, Milano, Vallardi 1933 (rist. 1982).

3 La nascita di Pontano va oramai definitivamente fissata nel 1429, secondo quanto dimostrato da S. MONTI, Il problema dell’anno di nascita di Giovanni Pontano, in

“Atti dell’Accademia pontaniana” n. s. 12, 1962/63, pp. 225-252.

4 PONTANO, L’Asino e il Caronte, testo latino e traduzione italiana a cura del Prof.

Marcello Campodonico, Lanciano, Carabba 1918.

5 G. PONTANO, Dialoge Übersetzt von H. Kiefer, München, W. Fink Verlag 1984.

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inflare» esclama l’oste, che potremmo tradurre «Non ho proprio mai visto un trombettiere strombazzare una tromba così bene». Dopo che il messaggero, ripreso fiato con un bel goccio di vino, ha raccontato che gli avversari del re sono stati definitivamente sconfitti, l’oste può intonare una serenata ai suoi cassetti, ansiosi di riempirsi di «aureolos illos Venetillos», i ducati d’oro di Venezia, gli zecchini, oppure di

«Florentinulos illos ampliusculos, picturatulos, hieme etiam media inflorescentes», «quei bei fiorini un po’ più grandi, tutti dipinti, fioriti anche in pieno inverno6». Ma il clima di festosa esultanza è interrotto da una grave notizia. Il fautore della pace, Pontano, che l’ha condotta in maniera impeccabile e che tutti conoscono come vecchio virtuoso e assennato, è impazzito: se ne va in giro sulla groppa di un asino ingualdrappato e ingioiellato d’oro e d’argento, cantandogli canzoncine d’amore, per cui i tre suoi amici e discepoli più cari, Altilio, Pardo e Cariteo, si recano in campagna nella villa del vecchio a rendersi conto della situazione. Ecco che lo trovano intento in una dottissima disqui- sizione sugli innesti con il suo villico Faselione. Ma proprio quando questi stanno per ricredersi sulla pazzia del senex, incede trionfante, condotto da un giovane servitore, l’oggetto d’amore. Segue una spas- sosissima scena in cui Pontano, sfoggiando un sermo eroticus degno di un Catullo o di un poeta elegiaco, ricopre l’animale di complimenti e profferte amorose. Ma l’amato non ne vuole sapere e lo ripaga a calci. Allora il vecchio decide di rinsavire, e lo fa acquistandosi le grazie della futura moglie di Faselione, facendo felice se stesso, il villico che ci guadagnerà in denaro e regali e gli amici che potranno ritrovare il Pontano che conoscevano.

Non ci interessa qui parlare del controverso significato del dialogo, ma ci soffermeremo su alcuni aspetti della traduzione e del testo funzionali ad essa.

La redazione è avvenuta, come abbiamo detto, fra il 1488 e il 1501, anni della maturità di Pontano, che infatti viene presentato come un

6 Avevano impresso il motto «semper floreo».

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vecchio assennato e prudente. Rita Cappelletto, in un ricco e docu- mentato studio, individuò nel codice Vindobonense latino 3168, contenente le venti commedie di Plauto, la mano di Pontano, sia per quanto riguarda il testo che le note7. La studiosa ha dimostrato che Pontano copiò e postillò Plauto, probabilmente prima del 1458, tra i venti e i trenta anni. Anche ad una rapida scorsa, si nota la scrittura giovanile dell’umanista. È in questo lavoro filologico che dobbiamo individuare la genesi della lingua comica dell’Asinus che ci dovrà guidare nella traduzione. Il motivo stesso dell’asino che scalcia è annotato nel manoscritto in corrispondenza di Poen., 684: «Illud quidem quorum asinus caedit calcibus». La parola chiave da cui si snoda tutto il dialogo è la pazzia del vecchio, il suo repuerascere.

L’idea viene proprio da Plauto, e in particolare, da Merc., 290 sgg. Il verbo repuerascere è di uso rarissimo nella latinità classica (lo usa Cicerone nel De oratore, II 22 con il significato di “tornar fanciullo”

e nel Cato, 83 con quello di “divertirsi come un bambino”), ma è hapax plautino e repuerascere nell’autografo pontaniano lo vediamo trascritto a margine con scrittura corsiva in inchiostro rosso e tutto il passo in cui figura viene sottolineato con una lunga linea sinuosa preceduta da tre puntini a triangolo8. Riguardo alla traduzione, possiamo renderlo senza difficoltà «rimbambire». Lo stesso motivo di Fermentilla, la moglie del villicus di cui il vecchio si assicura le grazie, è suggerita da Plauto, Cas., 701 sgg. Al margine di questi versi nel manoscritto leggiamo: «Est apud Plautum in Casina senex qui villico ancillam tradere in uxorem studeat cum ipse tamen voluptatem ex ea sibi quaereret9. Inoltre il già osservato motivo dell’affannato messaggero che annuncia la pace lo troviamo annotato nel codice in margine al foglio 270 r., con un nota in corrispondenza di «babae

7 R. Cappelletto, La ‘lectura Plauti’ del Pontano. Con edizione delle postille del cod.

Vind. Lat. 3168 e osservazioni sull’‘Itala recensio’, Urbino, QuattroVenti 1988.

8 Ead., p. 95.

9 Ead., p. 96.

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tatae papae pax» di Stich., 771. Se plautino è il motivo che suggerisce la pazzia del senex, parimenti plautino è il motivo del suo rinsavire.

Il vecchio, convinto dai calci che gli sferra l’ingrato asino, esclama:

«... asino caput qui lavent, eos operam cum sapone amittere», ossia il proverbio «chi lava la schiena all’asino perde il ranno e il sapone», ma sempre a partire da una suggestione plautina. In Poen., 332 abbiamo infatti: «tum pol ego et oleum et operam perdidi» e in Rud., 23 «et operam et sumptum perdunt». Nel primo caso Pontano evidenzia a margine l’intera frase e nel secondo appone un nota e sottolinea l’in- tero passo con una serpentina ben disegnata, distinta da puntini10. Un traduttore deve tenere conto di questo, per non cadere nella facile suggestione di un latino contaminato nelle forme e nel lessico dal volgare. Tanto per cominciare, Pontano fa un uso limitatissimo dei neologismi - nell’Asinus abbiamo contato appena quarantaquattro forme lontane dal lessico classico - e sulla sua cautela ci soccorrono due passi. Nel primo l’autore deve usare a breve distanza stragulum, attestato negli autori classici e, poco dopo, il neologismo sagulum, per motivi prosodici. Ebbene, nel manoscritto Vat. Lat. 2840, che contiene un primo abbozzo del dialogo, si giustifica dicendo: «Non ti meravigliare se l’asino non ha detto stragulum ma sagulum: la sua dizione non è ancora (sicura)». Nell’Antonius, dialogo dedicato al suo maestro ed amico Antonio Beccadelli detto il Panormita, descrive Euphorbia che, alla maniera plautina, «clamat, inclamat, frendit, dentitonat, hinnifrenit, rixatur, furit veru pelves, patinas iaculatura, titionatur, candelabratur», ma subito aggiunge: «novis enim vocibus novus huius furor bestiae exprimendus est, atque utinam exprimi plane possit!» E più avanti, sempre nell’Antonius, per dare ragione di un vocabolo particolare, Pisatiles, sente il bisogno di precisare:

«Prae ira non Pisanas sed Pisatiles dixit». E qui non si tratta di neologismo ma di una parola rara, attestata dal lessicografo Festo11.

10 Ead., p. 97.

11 P. 321 L.

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Un altro spunto per una corretta traduzione viene ancora suggerito dal citato codice Vat. Lat. 2840. Nella scena in cui compaiono il viandante e l’oste, a quest’ultimo viene ordinato di preparare «una cena che sia una cena». Questo nell’editio princeps e in tutte quelle a seguire, ma nel citato manoscritto si legge: «Iube his apparari cenam atque id quidem videto, coena ut sit». In Isidoro, Etym., XX 2,14, leggiamo che coena indica, rispetto a cena, il pasto più sontuoso e abbondante. L’oste non comprende la sottile battuta e, riprendendo la domanda, inverte i due termini: «Quid est hoc verbi coena ut cena sit? Non intelligo» Anche qui, pur compresa la finezza della lingua pontaniana, il gioco di parole è pressoché intraducibile. Che ad uniformare i due termini sia stata una svista del primo editore e non si tratti invece di un errore del manoscritto, ce lo conferma anche l’attenzione per l’ortografia di Pontano, autore sull’argomento di un De aspiratione. E anche di questo non può non tenere conto una traduzione che voglia riprodurre la vivacità del dettato pontaniano.

Un esempio potrebbe venire dalla parodia del linguaggio erotico di Catullo e degli elegiaci in cui l’oggetto non è più una donna o un fanciullo, bensì un asino. Così suona la lettera che Pontano manda all’amico perché gli procuri tutto il nécessaire per adornare dovuta- mente l’amato. «Ti prego, Cariteo, dolcezza mia (meus ocule), comprami un pettine d’oro, ma che sia degno di un Prassitele, che quando viene passato e ripassato sul dorso tintinni per me, rallegri l’animo mio, susciti il riso e l’allegria: cosa c’è infatti di più sensibile (delicatius) del mio asinello? Vuole che lo si approvi, che gli si dicano bellissime paroline (bellissima verba). Mi fa mossettine deliziose (facit mihi delicias) mentre gli accarezzo la fronte, mente gli canticchio i miei versetti. Per farti più contento, anche questa ti racconterò: gli ho messo di fronte un pasticcio di miele: beh, non appena l’ha assaggiato, subito è venuto a darmi un bacio, così dolcemente che anch’io gli ho resti- tuito l’abbraccio e il bacio. Lui mi ha reso così felice, anch’io desidero farlo felice». E così incarica l’amico di scovare i migliori artisti che

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gli possano tessere una raffinatissima gualdrappa e un flabellum pavoninum quod sit quam oculatissimum col quale possa fare vento alla sua delizia. La traduzione diventa impervia e alcune volte quasi impossibile, quando il vecchio, oramai rinsavito, vuole accaparrarsi le grazie della futura moglie del suo fattore, nominata Fermentilla in quanto possiede la qualità del lievito, fermentum. La scena comincia con una richiesta del villico al suo padrone: vuole chiamarsi d’ora in poi, non più Faselione ma Caselione. Pontano è ben felice di accon- tentarlo e, se prima lo chiamava Faselione da faseolus (fagiolo), ora sarà ben lieto di chiamarlo Caselio, da caseus (formaggio). «Delectat me utique nominis commutatio teque ut de marra rastrisque bene- meritum donatumque Parmensi illo caseo pervetere et grandi, salvere Caselionem iubeo!». Ma il motivo è un altro: «...ducere uxorem volo neque ubi cum illa inhabitem mihi casa est ulla: haec ego a te donatus, dono ex ipso agnominari Caselio volo». Il fattore, ottenuta la casa, alza la posta chiedendo anche l’arredo che gli verrà sì concesso, ma a una condizione...«Do, volo, spondeo, hac tamen conditione, ut mihi quoque...». E questa volta è il contadino a fare finta di non capire:

«Quid est hoc verbi? Caselio ego sum, non coquus». Il gioco di parole fra quoque e coquus è, ancora una volta, di matrice classica e ricorre in Quintiliano (VI, 3, 47), quando si parla di amphibolia e ambiguitas.

Ma come renderlo? Una possibile traduzione sarebbe: «Cosa vorresti dire con questo tuo quoque? Io sono Caselione e non un cuoco», rimandando a una nota per una spiegazione e considerando che il termine quoque e il suo significato sono abbastanza presenti ai lettori.

La citata edizione di Campodonico non riporta il passo che è stato eliminato per il suo contenuto scabroso, mentre la traduzione tedesca, fra l’altro, come già osservato, priva di note, si limita a riportare il termine latino fra parentesi. Proseguendo, la trattativa si fa più serrata e così il linguaggio più ricco di calembours. Per ottenere quanto desidera, Pontano rincara la dose di regali, incalzato da Caselione che avanza sempre maggiori pretese, visto il valore dello scambio.

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«Ego haec illi omnia tibi quaeque natalitiis in sollemnibus calceos diversicolores trisque quotannis pernulas suillas (prosciutti) dabo», a cui Caselione vuole che siano aggiunte anche penulas (mantelli) con un gioco di parole anche qui intraducibile, per cui bisognerà ricorrere necessariamente ad una nota esplicativa. Il discorso poi sconfina nella più pura oscenità, ma si interrompe alla vista dei seri amici, qui definiti philosophi, non senza un’ultima battuta con cui alla dote viene aggiunto anche l’asino, con cui Pontano si assicurerà delle notti indimenticabili con Fermentilla e in cui la giovane,

«amplexa, innexa, implicita accumbet incumbetque in lecto, atque inhaerescet hederescetque» che tradurremo: si girerà e rigirerà nel letto abbracciata, attorcigliata, avvinta come l’edera (hederescere è un efficace neologismo)» in modo da formare un unico corpo, un Ermafrodito. E si potrebbero fare altri esempi.

Un ultimo cenno meritano i neologismi. Pontano, abbiamo detto, ne fa un uso molto parco, giustificandone e spiegandone a volte l’impiego e comunque agendo sempre nel solco della tradizione. Ricordiamo, fra gli altri, buccinatius, conturbatiusculus, crepitulus, delibatim, Florentinulus, labellatus femurculus, papillula, Cyprius pulvillus, tepidiusculus, Venetillus, Vernaciolus.

Quelli che abbiamo presentato sono solo alcuni esempi delle diffi- coltà e delle inevitabili cruces desperationis che comporta il tradurre l’Asinus pontaniano, ma non vogliamo nel contempo tacere il piacere di riprodurre la lingua spumeggiante dell’autore che riesce a ricreare, nel solco della più pura latinità, la vivacità del teatro plautino.

Ci siamo soffermati su questioni testuali, per dimostrare che è sempre necessario seguire un metodo filologico. Sperimentiamo tutti i giorni in classe, ad esempio, il ricorrere acritico ad Internet che è la negazione del metodo filologico. E mentre da più parti si vorrebbe nei nostri licei uno studio delle civiltà antiche che prescinda dalla cono- scenza delle lingue con cui esse si esprimono, e quindi dall’esercizio della traduzione, ribadiamo che l’approccio critico e filologico che la

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traduzione necessariamente richiede, è uno degli strumenti più validi a conseguire la padronanza non solo della lingua d’uso, ma anche dei linguaggi e delle tecniche della comunicazione che sono, come è stato detto poc’anzi da altri, la base di quella competenza di cittadinanza che è uno degli obiettivi principali che la scuola deve perseguire.

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Stella Chissotti - Maria Mochi

Esperienza laboratoriale di latino della IIA Classico1

Durante l’anno scolastico 2010/2011, avendo a disposizione un numero limitato di ore aggiuntive (20 ore) abbiamo preso in esame alcuni versi del Curculio di Plauto (atto scena II, versi 494-504), commedia nella quale emergono alcuni dei tratti salienti della scrit- tura plautina. A disposizione avevamo diverse traduzioni di questa sezione di testo, ad esclusione di versioni recenti: in lingua francese2, in italiano arcaico3 e italiano classico4. Il progetto ha avuto inizio con un’analisi dei testi, sulla base dei quali abbiamo poi elaborato una nostra traduzione, punto fondamentale dell’esperienza labora- toriale, perché siamo entrati in contatto diretto con l’operazione di traduzione in prospettiva integrata rispetto al quotidiano approccio scolastico. Non si è trattato certo di elaborare una teoria della tra- duzione, ma neppure di limitarci ad un confronto tra le traduzioni;

si è trattato piuttosto di riflettere sulla prassi della traduzione in sé, partendo dal recente lavoro di Umberto Eco5, in particolare dalle notazioni riservate dallo studioso all’intervallo di flessibilità entro cui sempre deve muoversi il traduttore, dal momento che il concetto chiave della “operazione di traduzione” (e del titolo del saggio) è nel quasi.

L’obiettivo generale è stato il prendere in analisi rapporto con il destinatario, scelta dei mezzi espressivi, elasticità della traduzione.

Il traduttore non può prescindere dal considerare il destinatario a cui sa di doversi rivolgere e necessariamente, sulla base di questa

1 Il laboratorio si è svolto con la supervisione del prof. Ortensio Celeste.

2 PLAUTE, Comédies, vol. III, a c.di A. Ernout, Les Belles Lettres, Paris 1965³.

3 PLAUTO, Le Commedie, a c. di N. E. Angelio, Antonelli Editore, Venezia 1847.

4 PLAUTO, Tutte le commedie, vol. II, a c. di M. Scandola, Rizzoli, Milano 1953.

5 U. ECO, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Bompiani, Milano 2004.

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consapevolezza, deve scegliere di fronte alle varie possibilità di resa.

L’autonomia della scelta implica che il traduttore sia slegato da un rapporto di rigida trascendenza dal testo. Di seguito si mostrano i diversi risultati del lavoro svolto dai singoli gruppi in cui la classe è stata divisa.

Testo

Egon ab lenone quicquam

495 mancupio accipiam, quibus sui nihil est nisi una lingua, qui abiurant si quid creditum est? Alienos mancupatis, alienos manu emitittis, alienisque imperatis

nec vobis auctor ullus est nec vosmet estis ulli.

Item genus est lenonium inter homines meo quidem animo 500 ut muscae, culices, cimices pedesque pulicesque:

odio et malo et molestiae, bono usui estis nulli, nec vobiscum quisquam in foro frugi consistere audet;

qui constitit, culpant eum, conspicitur vituperatur, eum rem fidemque perdere, tam etsi nil fecit, aiunt

Questo è il testo su cui abbiamo lavorato. In grassetto alcuni ele- menti caratteristici della scrittura plautina. L’efficacia della tecnica ad elencazione nella sua doppia funzionalità, al contempo semantica e ritmica. Questa struttura conferisce ai versi una cadenza ritmata che porta in primo piano le numerose figure di suono quali allitte- razioni e omoteleuti (ad esempio, vv. 500 e 503) - note di colore che permettono a Plauto di dipingere i suoi caratteri, quelle maschere fisse frutto della tipizzazione di caratteri antropologici-. Risultano infatti evidenziate dagli elementi di alto potenziale fonico le carat- teristiche essenziali dell’oggetto in discussione, in questo caso la figura del lenone, che trovano un’ulteriore sottolineatura nel fatto di essere ripetute, modulate in forme diverse (funzionalità semantica dell’elenco).

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Pur partendo con finalità coincidenti e con i medesimi materiali a disposizione, si sono intraprese tre strade che hanno portato a tre diverse letture e quindi a tre diverse traduzioni analitiche del testo. I tre percorsi sono supportati da scelte pratiche direttamente applicate ai testi.

Ecco le tre traduzioni:

GRUPPO A GRUPPO B GRUPPO C

Io? Secondo te sono uno che scende a patti con un pappone, quella feccia che ha la lingua solo per fotterti se gli metti in mano qual- cosa? Mica son vostre le persone che smerciate, che mettete in libertà solo per soldi, che sfruttate! Nes- suno si sputtana per voi, né lascia che voi lo sput- tanate. Per me la razza dei papponi tra gli uomini è al livello delle mosche, delle zanzare, cimici, piattole e pulci: siete odiosi, dannosi, seccanti, insomma non ser- vite a un bel niente! Chi ha un minimo di sale in zucca, non si sogna neanche di fermarsi con voi in piazza, chi ci prova lo sfottono, lo guardano male, se lo man- giano vivo, si sa che anche se non fa niente si gioca la faccia e la poltrona.

Dovrei forse fidarmi di un magnaccia? Gentaglia buo- na solo a sparlare, tradendo la fiducia che gli si affida?

Credete di essere padroni della gente che vendete, del- la gente che affrancate e su cui comandate? Vi sbaglia- te! Nessuno testimonia per voi, né voi lo fate per nes- suno. A mio parere la vostra specie occupa la posizione sociale delle mosche, delle zanzare, delle cimici, delle piattole e delle pulci. Siete odiosi, maliziosi e fastidio- si: dei veri buoni a nulla!

Nessun uomo che si rispetti si azzarda a parlarvi in pub- blico; un incontro innocuo comporta per chiunque cri- tiche, occhiatacce, insulti, la perdita della reputazione e dei propri beni.

Avere a che fare con un Lele Mora, io? Delinquenti che sanno solo sparare cazzate!

Le escort che voi smerciate non sono vostre. Nessuno si fida di voi o vi dà retta.

Per me, voi siete la feccia della società, scarafaggi, pidocchi, piattole e zecche.

Odiosi, dannosi, fastidiosi.

Siete completamente inuti- li. Nessun cittadino onesto osa chiacchierare con voi in pubblico. Chi lo fa viene sospettato, additato, critica- to e, anche se non hai fatto niente, vieni sputtanato.

1. Il gruppo A ha prodotto una traduzione concentrandosi sul piano concettuale del messaggio, ossia su una resa comunicativa dei contenuti alle orecchie del fruitore: il destinatario individuato infatti

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è un pubblico uditore, una platea che viene a contatto col testo attra- verso la voce recitante di un attore. La concentrazione sulla resa del messaggio è ben dimostrata da come è stato tradotto il poliptoto alienos … alienos … alienisque (vv. 496-497): la scelta di utilizzare il termine persone riproporre l’intensità che il latino esprime con la ripetizione. Persone focalizza la dimensione dell’individuo e il suo valore, connotando per contrapposizione il lenone come una figura disumana a tal punto da schiacciare la dignità personale. La recita- zione destinazione per il testo concede alcune scelte come quella di mantenere l’anacoluto (v. 503) a scapito della fedeltà alla consuetu- dine scolastica grammaticale.

La riflessione nata dall’ottica di traduzione riguarda i problemi che sorgono nel corso dell’operazione. Data l’imprescindibile elasti- cità richiesta ad un traduttore, date le esigenze di campo a cui egli deve piegarsi (sistema linguistico, pantheon etico, momento storico), è nato un confronto fra le problematiche sorte durante il momento di traduzione del gruppo stesso e quelle che verosimilmente si sono posti i traduttori autori delle versioni a nostra disposizione. Si tratta quindi di una riflessione di carattere metodologico.

2. Il gruppo B ha realizzato una traduzione piegando la compo- nente formale e strutturale alle esigenze dell’attualità, ma mante- nendo inalterati gli aspetti inerenti la civiltà latina. In una versione asettica, quasi classica, scenografia civile ed etico-culturale che fa da sfondo alla commedia di Plauto, va sovrapponendosi la patina moderna di un lessico attuale e strutture sintattiche lineari. Parti- colare attenzione a mantenere la componente di amoralità, ossia la completa assenza di intenti moralistici del teatro plautino. Il processo di attualizzazione riservato alla forma prende corpo in un lessico il più possibile neutro e non caratterizzato, in particolare l’utilizzo di gente per il latino alienos (vv. 496-497): in questa traduzione risulta una maggior fedeltà alla struttura elencativi di partenza, inoltre non

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