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Academic year: 2022

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Si può fare!

Valorizzare le migrazioni

per lo sviluppo italiano e dei paesi di origine.

Per una narrativa che vada oltre le emergenze e le paure, per un futuro positivo e sostenibile per tutti.

Rapporto del progetto Professionisti Senza Frontiere

Competenze delle diaspore per lo sviluppo economico locale

in Africa Saheliana

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Il presente Rapporto è stato realizzato nell’ambito del progetto cofinanziato dalla Ministero dell’Interno“Professionisti Senza Frontiere - Competenze delle diaspore per lo sviluppo economico locale in Africa Saheliana” CUP F87H16002070001,di cui FOCSIV Volontari nel mondo è promotore in partenariato con AIA - Associazione Ingegneri Africani, ENEA - Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, Regione Marche- PF Cooperazione allo sviluppo, COMI - Cooperazione per il Mondo In via di sviluppo, CPS - Comunità Promozione Sviluppo, CVM - Comunità Volontari per il Mondo e Movimento Shalom Onlus.

Pubblicato a novembre 2018 da FOCSIV, Via San Francesco di Sales, 00165, Roma, Italia

Il documento è disponibile anche sul sito

https://www.focsiv.it/progetti-focsiv/professionisti-senza-frontiere/

A cura di:

Andrea Stocchiero (CeSPI e Focsiv)

Si ringraziano per la collaborazione e per i contributi:

Giusy Fiorillo (FOCSIV), Ugo Melchionda (Religions for Peace Europe, consulente per OCSE), Mattia Vitiello (CNR)

Le foto ritraggono alcuni momenti delle diverse attività del progetto.

Contatti: Giusy Fiorillo - Ufficio Programmi FOCSIV (g.fiorillo@focsiv.it)

Editing e impaginazione: Giusy Fiorillo – Ufficio Programmi FOCSIV

Le opinioni espresse nella presente pubblicazione sono di unica responsabilità degli autori e in nessun caso possono considerarsi espressione delle posizioni del Ministero dell’Interno.

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Indice

Sintesi del progetto e introduzione ... 7

1. IL QUADRO DI RIFERIMENTO ... 10

1.1 La migrazione delle competenze tra brain drain, brain gain e brain waste ... 10

1.2 Lo spreco dei talenti ... 13

1.3 Quale futuro per gli studenti stranieri? ... 18

1.4 Il potenziale dei rifugiati e richiedenti asilo ... 22

1.5 Oltre l’emergenza, per una nuova narrativa ... 26

2. Le competenze, i risultati e le partnership nel progetto Professionisti senza Frontiere ... 30

2.1 Le risultanze del database ... 31

2.2 I risultati e le partnership……… ... 33

3. Conclusioni ... 37

ALLEGATO REPORT CONOSCITIVO SULLE COMPETENZE DELLE DIASPORE IN

ITALIA ... 39

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Sintesi del progetto e introduzione

È dalla consapevolezza che le competenze professionali delle diaspore possano essere una risorsa concreta per lo sviluppo dei contesti di partenza, oltre che della stessa Italia,che è nata l’idea progettuale di FOCSIV Volontari nel mondo. I migranti, infatti, non invadono, non rubano lavoro, non sono una minaccia per la sicurezza; bensì contribuiscono alla creazione di benessere per la società italiana e per le comunità di origine se esistono regole e politiche mirate alla valorizzazione della dignità umana di tutti e tutte.

Molti migranti portano con sé competenze professionali o le acquisiscono in Italia, grazie a percorsi di istruzione e formazione, e queste capacità, una volta individuate, possono essere valorizzate e risultare preziose per contribuire allo sviluppo economico e sociale italiano,così come al miglioramento delle condizioni di vita delle aree rurali dei paesi in cui sono state realizzate le attività progettuali (Costa D’Avorio, Etiopia e Senegal)di “Professionisti senza Frontiere”, e più in generale del Sud del mondo.

Da questo presupposto è scaturito, infatti, il progetto dal titolo “Professionisti senza frontiere: Competenze delle diaspore per lo sviluppo economico locale in Africa Saheliana”, cofinanziato dal Ministero dell'Interno e coordinato da un partenariato guidato da FOCSIV Volontari nel mondo insieme a: AIA - Associazione Ingegneri Africani, Associazione di immigrati con competenze, ENEA -Agenzia nazionale per le nuove tecnologie - l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, Ente di ricerca di diritto pubblico, Regione Marche - Posizione di funzione Cooperazione allo sviluppo, Ente territoriale locale, COMI - Cooperazione per il Mondo In via di sviluppo, CPS - Comunità Promozione Sviluppo, CVM - Comunità Volontari per il Mondo e Movimento Shalom Onlus, queste ultime ONG sono socie FOCSIV.

Partendo dall’analisi dei fabbisogni di sviluppo umano dei Paesi coinvolti nel progetto, condotta in collaborazione con istituzioni e associazioni locali,si sono svolti interventi nel settore agronomico e delle energie rinnovabili, Questi ambiti sono stati individuati come essenziali per contribuire a sostenere il tessuto socio-economico locale e migliorare le condizioni di vita della popolazione, attraverso il trasferimento di competenze, conoscenze e capacità professionali delle diaspore per lo sviluppo sostenibile dei Paesi di origine.

Il progetto ha individuato le competenze professionali delle diaspore di migranti presenti in Italia, in particolare nel settore agronomico e delle energie rinnovabili, e nella prima fase è stata avviata una mappatura attraverso la compilazione di un questionario online (http://bit.ly/2lqgK5S). Questo ha permesso di creare un database di profili professionali di migranti. I dati raccolti sono stati sistematizzati e resi disponibili a tutte le associazioni, imprese, agenzie di lavoro che ogni giorno cercano figure professionali da impiegare in attività in paesi africani, asiatici, latinoamericani ed europei. In particolare, nel corso del progetto, sono state selezionate le figure idonee alla realizzazione di alcune attività di consulenza specifica nei progetti di carattere agronomico e di applicazione di energie rinnovabili previsti in Costa d’Avorio, Etiopia e Senegal.

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Le azioni in cui sono state impiegate le competenze degli esperti della diaspora,nei tre paesi coinvolti,sono state le seguenti:

o Costa d’Avorio – implementazione a cura della ONG Movimento Shalom Onlus:migliorare la produttività della Cooperativa di donne Woyooban di Fronan, nella zona nord orientale del Paese, con un’economia basata su un’agricoltura estensiva (cotone e anacardio) e ortofrutta, per offrire una fonte di reddito sicura a membri e rispettive famiglie, ed accrescere la capacità di gestione delle risorse rinnovabili locali.

o Etiopia -implementazione a cura della ONG Comunità Volontari per il Mondo (CVM):

migliorare le rese agricole, nonché ripristinare ed accrescere il tasso di accesso all’acqua ad uso potabile ed agricolo, migliorando i sistemi di gestione e manutenzione degli impianti, in 4 woreda (Enebsie Sar Midir, Goncha Sisio Enese, Shebel Berenta e Enarge Enawga), nella zona Est Gojjam della Regione Amhara, identificate dal Governo come “hot spot woreda”, perché in stato di siccità critica.

o Senegal, dove sono previsti due interventi distinti:

 a Kaffrine - implementazione a cura di della ONG Cooperazione per il Mondo In via di sviluppo (COMI):migliorare l’accesso al cibo, creando nuove occasioni di lavoro e valorizzando le risorse del territorio, con un’attenzione particolare al rafforzamento della partecipazione delle donne alla vita economica

 a Yenè – implementazione a cura della ONG Comunità Promozione Sviluppo (CPS):

incentivare lo sviluppo del settore agricolo per autoconsumo e commercio e contribuire alla riduzione della povertà delle fasce sociali più deboli, con un’attenzione particolare alla partecipazione delle donne alla vita economica e al sostegno e rafforzamento dei Gruppi di Interesse Economico (GIE)

I migranti, con l’Associazione Ingegneri Africani, hanno partecipato con ENEA agli interventi indicati, al fine di rafforzare le competenze locali con attività di formazione e di assistenza tecnica, in coerenza con quella parte della politica UE di cooperazione che si propone di massimizzare gli effetti positivi della migrazione sullo sviluppo dei paesi di origine.

Inoltre, in linea con i processi di Rabat e di Khartoum che vedono impegnata l’UE in dialoghi politici con paesi situati lungo le rotte migratorie occidentali e orientali, questo progetto multipaese ha permesso di costruire e consolidare rapporti di cooperazione con i paesi di origine dei migranti grazie alle missioni istituzionali,durante le quali sono state stipulate convenzioni, lettere di intenti e accordi con partner locali in Costa d’Avorio, Etiopia e Senegal al fine di garantire azioni di follow up del progetto.

A seguito di questa breve sintesi e introduzione, il rapporto analizza il quadro di riferimento delle migrazioni di competenze affrontando le questioni del bran drain, brain gain e del brain waste nel caso italiano e con riferimento a tre profili di migranti. In questo modo è possibile contestualizzare il progetto Professionisti senza Frontiere come iniziativa pilota che per essere replicata ha bisogno di politiche adeguate, altrimenti rischia di rimanere come un caso positivo ma limitato. Vi sono, infatti, delle problematiche strutturali e delle politiche di fondo che limitano la valorizzazione dei migranti per lo sviluppo sostenibile italiano e dei paesi di origine.

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In seguito, il secondo capitolo entra nel merito del progetto mostrando i risultati del database sulle competenze dei migranti e delle attività di trasferimento di conoscenze e tecnologie per l’agricoltura, la gestione dell’acqua e la generazione di energia da fonti rinnovabili. Il progetto ha quindi creato e consolidato relazioni istituzionali che possono dare un seguito alle attività realizzate, aprendo anche nuovi spazi di collaborazione.

Infine il terzo capitolo cerca di riassumere le principali conclusioni con alcune considerazioni di ampio respiro.

Alla fine del rapporto vi è l’allegato di descrizione e commento del database delle competenze dei migranti.

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1. IL QUADRO DI RIFERIMENTO

1.1 La migrazione delle competenze tra brain drain, brain gain e brain waste

Le migrazioni hanno diverse cause che si possono riassumere genericamente nel cercare di migliorare le condizioni di vita individuali, della famiglia e delle comunità di appartenenza. I profili dei migranti, per età, genere, appartenenza socio-economica ed etnica, sono differenti a seconda dei contesti e delle storie che legano i paesi di origine a quelli di destinazione. In questo lavoro si intende approfondire l’analisi del profilo migratorio dal punto di vista delle competenze e cioè del bagaglio di conoscenze spendibili in particolare nel mondo del lavoro, dello studio e della ricerca. Queste migrazioni sono una caratteristica strutturale1 di un sistema mondo caratterizzato da squilibri nel mercato del lavoro tra paesi differenti per storia e dotazioni fattoriali; e una caratteristica permanente di un sistema in continuo cambiamento con innovazioni che modificano la composizione settoriale e intra-settoriale delle economie all’interno dei paesi e nella divisione internazionale del lavoro. In tal senso la questione non è quella di fermare questi flussi ma, per quanto possibile, di governarla in modo che i benefici e i costi siano equamente distribuiti tra le società.

L’analisi adotta un approccio fondato sui diritti umani, per cui tutti, senza alcuna discriminazione, dovrebbero essere messi nelle condizioni di poter acquisire competenze per la propria emancipazione, non solo in termini di opportunità ma anche di risultati conseguiti nel mondo del lavoro e in termini di benessere. Questo è un principio che si ritrova nel Global Compact for Migration2 e nell’Agenda 2030 sugli obiettivi dello sviluppo sostenibile (come indicato nel box 5 di seguito a pag. 28) ed è la cartina tornasole sulla cui base valutare la situazione della valorizzazione, o meno, delle competenze dei migranti nel mercato del lavoro e il ruolo che la cooperazione allo sviluppo può avere nel promuoverle.

L’analisi viene svolta secondo tre tipi di profili:

1. le migrazioni per motivi di lavoro di persone con competenze;

2. le persone che migrano per acquisire competenze (studenti e ricercatori);

3. le persone che migrano per altri motivi, in particolare rifugiati e migranti per motivi umanitari, che cercano di farsi riconoscere o di acquisire nuove competenze per integrarsi nel mondo del lavoro del paese di destinazione.

In generale,la letteratura sulle migrazioni di competenze si focalizza sul problema dei costi e dei benefici del brain drain per il paese di origine,e di un possibile brain gain quando la “fuga di cervelli” crea una dinamica per cui il paese di origine trae benefici in termini non solo di rimesse finanziarie e di trasferimenti di conoscenze, ma anche di creazione di un capitale umano che supera quello emigrato, con un effetto netto positivo per il mercato del lavoro locale.

1 Si vedaMichael A. Clemens, What do we know about skilled migration and development? Policy Brief, Migration Policy Institute, n.3 September 2013, e Clemens, Losing our Minds? New Research Directions on Skilled Migration and Development, Center for Global Development and IZA, Discussion Paper n. 9218, July 2015.

Secondo Clemens le analisi sul brain drain si sono focalizzate sui suoi effetti negativi per il paese di origine perché hanno assunto un lump of learning model che si fonda sull’assioma secondo cui l’efficienza dei migranti (il loro prodotto marginale) con competenze è più alta laddove essi sono più scarsi. Ma questo modello non tiene conto di diversi fattori di carattere più strutturale (come un regime autoritario o una prolungata crisi del mercato del lavoro) che determinano lo stock delle competenze e la loro efficienza per il paese di origine. D’altra parte diversi dati mostrano come l’effetto del brain drain sia trascurabile sullo stock e quindi sul mancato sviluppo dei paesi di origine.

2 Si veda la versione finale del Global Compact inhttps://refugeesmigrants.un.org/sites/default/files/180711_final_draft_0.pdf

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La Tabella 1, di seguito esposta, mette in rilievo i principali problemi del brain drain e le possibilità di brain gain dal punto di vista del paese di origine3, che ovviamente non si possono concretizzare nel caso in cui vi sia uno spreco delle competenze, brain waste, quando cioè le competenze non vengono riconosciute e valorizzate nel paese di destinazione.

Tabella 1. Effetti di brain drain e di brain gain per il paese di origine

Brain Drain Brain Gain

Perdita di competenze e abilità che migrano all’estero significa:

 Riduzione della produttività diretta e indiretta nel sistema produttivo locale in caso di aggravamento del labour shortage

 Perdita di investimenti pubblici in educazione

 Perdita di competenze essenziali per rispondere a bisogni e diritti locali, come nel caso della salute

 Perdita di entrate fiscali nel futuro Tali perdite saranno più o meno importanti a seconda della dimensione e della struttura dei mercati del lavoro locali4.

L’emigrazione riduce la pressione sul mercato del lavoro locale, in caso vi sia una diffusa disoccupazione e sotto occupazione, migliorando i guadagni in produttività e salari per le persone che rimangono.

Le rimesse, i ritorni e la circolazione dei migranti con maggiori abilità aumentano la produttività locale grazie ai trasferimenti di conoscenze e di capitale (soprattutto quando raggiungono una massa critica), agli effetti positivi sul commercio, e anche sulle istituzioni migliorandone la governance democratica.

L’emigrazione di competenze incentiva l’investimento in educazione, e genera un aumento della disponibilità locale di competenze che può superare quelle che emigrano, con un effetto netto positivo per il mercato del lavoro locale.

Una questione di fondo da sottolineare è che il brain drain non è la causa ma l’effetto di squilibri strutturali nel mercato del lavoro dei paesi. Semmai, in contesti particolari, può contribuire agli squilibri, ma le cause fondamentali vanno ricercate a livello nazionale nelle debolezze del sistema produttivo ed istituzionale dal lato della domanda e nelle debolezze del sistema educativo e della conoscenza dal lato dell’offerta.

Questo crea un circolo vizioso con effetti apparentemente paradossali, come quello per cui, ad esempio, mentre da un lato il personale medico formato in un paese povero cerca di emigrare dove vi sono migliori condizioni di occupazione (non solo salariali ma anche di strutture sanitarie adeguate tali da consentire un livello opportuno di soddisfazione per il proprio lavoro), dall’altro la cooperazione sostiene il lavoro di medici espatriati. E’ evidente che la questione

3 Si veda ancora Clemens per una breve disanima di problemi e opportunità (idem)

4 In linea generale più grande è la dimensione nazionale del mercato del lavoro (si pensi ad esempio a paesi come l’India, le Filippine, il Pakistan, il Bangladesh, la Nigeria,…) con una struttura senza particolari carenze di abilità (skill shortage), minore sarà il brain drain e maggiore la possibilità di brain gain. Nel documento di Intersos “I cervelli al centro della cooperazione: come evitare il brain drain e sviluppare circoli virtuosi di sviluppo grazie alle migrazioni qualificate”, gli autori citano il database

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fondamentale risiede non tanto nel brain drain di personale medico quanto nella costruzione di sistemi sanitari nazionali dignitosi nei paesi poveri, che sappiano creare nel tempo condizioni migliori per consentire ai medici locali di rimanere, pur sempre nella libertà individuale di scegliere opportunità migliori. La comunità e la cooperazione internazionale è impegnata in tal senso pur cercando anche di scoraggiare il brain drain, ovvero il reclutamento di, ad esempio, personale sanitario da paesi dove vi sono evidenti carenze di professionalità (questo è il caso del Global Code of Practice in the International Recruitment of Health Personnel promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità).

Anche il recentissimo negoziato sul Global Compact per migrazioni sicure, ordinate e regolari ha tra i suoi obiettivi quello di porre in atto azioni per “evitare il brain drain e ottimizzare il brain gain per i paesi di origine”(pag.9), e di “facilitare un reclutamento leale ed etico e condizioni di salvaguardia per assicurare un lavoro dignitoso” (pag.12), affinché i migranti possano dare un contributo socioeconomico positivo per i paesi di origine e di destinazione.

Diversi sono gli articoli del Global Compact che sottolineano l’importanza di investire nel capitale umano dei migranti, nei loro “skills”, con programmi di mobilità regolare e promuovendo il matching tra domanda e offerta. In particolare, l’obiettivo 18 è rivolto a “investire nello sviluppo delle skills e facilitarne il mutuo riconoscimento, le qualificazioni e le competenze” (pag. 25) per ottimizzare l’occupabilità e l’accesso a un lavoro regolare e dignitoso.

E per questo diversi articoli indicano l’importanza di definire accordi bilaterali, regionali e multilaterali, tra attori pubblici e privati, per stabilire standard comuni, programmi di formazione e selezione, di mobilità regolare, di scambio di studenti e ricercatori, borse di studio, stage e percorsi di inserimento nel mondo del lavoro. Inoltre, l’obiettivo 19 prevede azioni affinché i migranti e le diaspore possano contribuire pienamente allo sviluppo sostenibile di tutti i paesi, anche attraverso il trasferimento di conoscenze e skills. Il bilancio in perdita o in guadagno di capitale umano è solitamente contabilizzato per i paesi in via di sviluppo,mentre si dà quasi per scontato che i paesi di destinazione ne beneficino. L’immigrazione di talenti non può che migliorare la società e l’economia di destinazione. Ma è importante qui mettere in risalto come la questione dipenda dai contesti locali, dalla struttura e dalle dinamiche del mercato del lavoro. Non tutti i paesi perdono e non tutti vincono. Il caso italiano è particolare perché se da un lato ha visto una importante immigrazione anche di competenze negli ultimi trent’anni, dall’altro mostra una significativa emigrazione di giovani cittadini, cresciuta negli ultimi anni a causa della crisi, con un bilancio netto che appare doppiamente negativo: negativo in entrata perché le competenze in arrivo non vengono valorizzate, negativo in uscita perché le competenze che escono rappresentano una perdita certa a fronte di ritorni incerti. Ciò che emerge dall’analisi, come vedremo più avanti, è il fenomeno del brain waste.

Di seguito si analizzerà il problema del brain waste rispettivamente ai tre profili migratori prima indicati: i migranti per motivi di lavoro che portano con sé talenti e competenze costruite nei paesi di origine; studenti e ricercatori che vengono in Italia per migliorare le proprie competenze; rifugiati e migranti umanitari che hanno trovato asilo in Italia e che cercano di vedersi riconosciute o migliorate le proprie competenze per una migliore integrazione nel mercato del lavoro.

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1.2 Lo spreco dei talenti

Nel caso italiano, grazie all’analisi di Mattia Vitiello riportata nel seguente box 1, emerge la riduzione dei flussi di migranti per motivi di lavoro con, però, un relativo aumento delle persone qualificate. Questo incremento è tuttavia poco rilevante e segnala la scarsa attenzione che il nostro sistema produttivo mostra verso l’attrazione di competenze, nonostante il crescente mismatch, cioè la mancata corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro che riguarda soprattutto le competenze più elevate e i laureati5.

Vi è un problema di domanda del lavoro che deriva dalla particolare struttura produttiva italiana, composta in grandissima parte da piccole e medie imprese che in quanto tali hanno difficoltà nel definire ed attuare strategie attive nazionali ed internazionali di ricerca lavoro di media e alta qualificazione. Difficoltà che coinvolgono anche i giovani italiani, soprattutto del Mezzogiorno, che per trovare occupazioni adeguate al proprio livello di qualificazione devono riuscire a integrarsi nei sistemi produttivi locali distrettuali al Nord o emigrare in altri paesi.

A ciò si deve aggiungere la forte segmentazione6, segregazione e polarizzazione del mercato del lavoro italiano, per cui i migranti trovano occupazione in lavori sotto qualificati, nonostante molti di essi/e siano diplomati e laureati. La segregazione ha inoltre un’importante connotazione di genere sia in termini di livelli di disoccupazione e inattività 7, sia con riferimento alla questione del brain waste: si pensi al caso eclatante delle cosiddette “badanti”, donne di media e alta qualificazione che lavorano come collaboratrici familiari in condizioni servili. Questa segregazione corrisponde peraltro ad un mercato del lavoro opaco preesistente all’immigrazione, che si è rafforzato nel processo di precarizzazione anche per i lavoratori italiani a bassa qualificazione.

Nell’ultimo rapporto sugli stranieri nel mercato del lavoro in Italia8, un box di analisi è dedicato al cosiddetto fenomeno dell’educational mismatch che mostra la mancata coerenza tra competenze formali e mansioni ricoperte in particolare per i laureati. Il risultato è che: “ciò che balza all’evidenza dell’analisi è la strutturale dispersione del capitale umano laureato con cittadinanza straniera ed in particolar modo di quello in possesso di competenze tecnico- scientifiche, le più appetibili sul mercato del lavoro e teoricamente le più ricercate dalle imprese. Distribuendo gli occupati con livello di istruzione di terzo livello (diploma di specializzazione o di perfezionamento e dottorato di ricerca) per area disciplinare della laurea e classe di skills dell’impiego ricoperto, si osserva come più del 90% degli italiani con un titolo STEM9 svolga una funzione high skill e pertanto formalmente coerente così come più dell’80%

dei “Non STEM”; nel caso degli extracomunitari le percentuali scendono al 26 % in un caso e al

5 Si vedano le analisi Unioncamere e Anpal, ad esempio

https://excelsior.unioncamere.net/images/comunicati/211217_com_Excelsior2017.pdf

6 Nella sintesi delle principali evidenze dell’Ottavo rapporto annuale “Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia” del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Luglio 2018, si legge: ”La segmentazione professionale, con una netta preponderanza di profili prettamente esecutivi tra la forza lavoro straniera, è chiara e confermata dalla scarsa presenza di occupati impiegati in ruoli dirigenziali e simili: appena lo 0,4% degli occupati è dirigente e lo 0,7% quadro a fronte dell’1,9% e del 5,8% degli italiani.” (pag.4)

7 La questione di genere nel mercato del lavoro è sottolineata nel rapporto del Ministero del Lavoro (idem): “Per molte comunità la questione della condizione femminile appare centrale. Il tasso di disoccupazione delle donne tunisine (51,2%), ghanesi (50,9%), bangladesi (46,6%), egiziane (44,5%), pakistane (42,8%) è ad esempio elevatissimo, ma ben più rilevante è il fenomeno dell’inattività. I tassi per le donne originarie del Pakistan, dell’Egitto e del Bangladesh superano, infatti, l’80% a fronte di una media nazionale del 44,1% e di un valore medio delle extracomunitarie del 43,9%” (pag. 29).

8 Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, Ottavo rapporto annuale “Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia”, Luglio 2018

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24,4% nell’altro. Si è dunque in presenza di una dispersione considerevole di competenze che non vengono adeguatamente sfruttate. Ben il 47,5% dei laureati Extra UE con titolo STEM, inoltre, è impiegato in qualifiche low skill, a fronte dell’1,8% degli italiani e del 21,9% dei comunitari. A livello settoriale tale educational mismatch è ancora più elevato. Con riferimento ai laureati Extra UE, al di là del settore agricolo, commercio, costruzioni e industria in senso stretto fanno registrare una quota elevatissima di occupati sovra-istruiti rispetto alla mansione svolta.” (pag.

38 e 39). Come si vede, la questione è complessa e rappresenta un problema di carattere strutturale che coinvolge sia i migranti sia gli italiani, ma che si caratterizza in modo più generale e discriminatorio per i primi. Ne risulta un enorme spreco di talenti e quindi di potenziale di innovazione, produttività, cambiamento economico e sociale ed emancipazione. La segregazione ha infatti poche vie di uscita. La mobilità sociale risulta bloccata. Non rimane quindi che muoversi ancora alla ricerca di migliori opportunità, in Italia, in sistemi territoriali virtuosi, o all’estero. La mobilità del lavoro continua dunque a supplire ad una mancanza di opportunità di mobilità sociale nel territorio in cui si risiede. La trasformazione del mercato del lavoro al fine di offrire opportunità e risultati in termini di soddisfacimento delle ambizioni e qualificazioni sia degli italiani che dei migranti con competenze, richiede una politica di lungo periodo imperniata su due assi: da un lato la crescita del sistema di conoscenza e produzione delle piccole e medie imprese, dei distretti e dei bacini del lavoro, università e imprese che assieme qualificano e offrono ai giovani opportunità e risultati di integrazione; e dall’altro misure più attive di salvaguardia e promozione dei diritti dei lavoratori, a partire da una risposta forte allo scandalo della schiavitù agricola e del lavoro servile ove sono segregati molti e molte migranti.

Box 1 - Tendenze delle migrazioni nel mercato del lavoro italiano Contributo di Mattia Vitiello – CNR

L’Italia negli ultimi anni sta passando da una fase migratoria caratterizzata da un’immigrazione prevalentemente per lavoro, seguita dai ricongiungimenti familiari, a una nuova fase caratterizzata da flussi sempre più significativamente motivati dalla ricerca di asilo politico e protezione internazionale. Quest’ultimo decennio si è aperto con un numero di permessi di soggiorno per motivi di lavoro concessi nel 2010 pari a circa 359.000, nel 2016 sono stati concessi per lo stesso motivo poco meno di 13.000 permessi. Nello stesso periodo, i permessi concessi per motivi di asilo passavano dai 10.000 del 2010 ai più di 77.000 per il 2016.

Si rileva dunque l’emergenza di una nuova tendenza all’interno del sistema migratorio italiano. Da un lato, si registra un netto aumento dei flussi migratori composti da rifugiati, richiedenti asilo e altri gruppi vulnerabili, per contro si assiste a una netta diminuzione degli arrivi per motivi di lavoro subordinato. Inoltre, acquistano una crescente significatività numerica, politica e sociale, gli ingressi per motivi familiari che in pochi anni sono diventati il primo motivo di immigrazione in Italia. In questo quadro, alla cosiddetta migrazione economica si sovrappone, e a volte si confonde, la migrazione dei ricongiunti e dei rifugiati che sono pur sempre, in ultima analisi, migrazioni composte anche da lavoratori e per i quali l’inserimento lavorativo costituisce il motore principale dei processi di integrazione. Concentrando la nostra attenzione sulla componente rappresentata dall’immigrazione presente in Italia per motivi di lavoro, si devono distinguere ulteriori tipologie di permesso legate al lavoro, che corrispondono a procedure di ingresso e di soggiorno, con annessi diritti, strutturati in maniera differente. In particolare, nei permessi concessi per motivi di lavoro ci sono figure come

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quelle dei lavoratori qualificati, ricercatori e i permessi di tipo Blu card Ue10. Consideriamo i permessi concessi per queste figure rilasciati dal 2008 al 2016 e illustrati nel grafico 1.

Grafico 1 – Permessi concessi in Italia per tipo di attività lavorative con alta qualificazione. Anni 2008 – 2016

Fonte: Elaborazione su dati Eurostat

A fronte di un vistoso calo dei permessi concessi per lavoro, nello stesso periodo l’andamento dei permessi concessi per lo svolgimento di attività lavorative qualificate presenta un andamento migliore e difatti il loro contributo al numero totale degli ingressi per motivi di lavoro cresce significativamente. Il grafico precedente riporta sia il numero di ingressi concessi tramite la direttiva sulla Blue Card EU, sia il numero di permessi concessi ai lavoratori qualificati tramite i vari comma dell’articolo 27 del Testo unico sull’immigrazione che regola appunto l’ingresso dei lavoratori stranieri non Ue con qualifiche particolari, con la specificazione però che le Blu card Ue sono entrate a regime solamente dal 2012. Comunque, anche se il periodo preso in esame è troppo breve per poter rilevare una tendenza reale, si evidenziano i numeri più bassi dei permessi rilasciati come Blue Card UE rispetto ai permessi per lavoro qualificato rilasciati secondo gli schemi dell’articolo 27, anche se alla fine del periodo sembra che si stia realizzando una convergenza. In base a questi numeri, sembra che la Blue Card UE non riesca ancora a fare dell’Italia una meta attraente per i lavoratori stranieri altamente qualificati.

Il motivo principale della mancata attrazione dei lavoratori stranieri altamente qualificati è imputabile in misura maggiore alla domanda di lavoro straniero che è maggiore in quei settori economici dove la qualifica professionale e formativa non costituisce certo il criterio di assunzione predominante.

In Italia, contrariamente al senso comune, l’offerta di lavoro straniera presenta dei livelli di qualifica medio alti, come si può leggere nella tabella 1 che segue.

10 Lo schema della Blue Card UE è stato creato per rendere l’Europa più attraente per le persone altamente qualificate provenienti 0

500 1.000 1.500 2.000 2.500

2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016

Lavoratori qualificati Ricercatori Blu card Ue

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Tabella 1 - Occupati stranieri per sesso e titolo di studio. Anno 2016

M F % F MF

Fino a licenza elementare 145.268 62.140 30 207.409

Scuola media 585.282 365.966 38,5 951.249

Diploma 489.026 482.871 49,7 971.897

Laurea e post-laurea 104.933 165.429 61,2 270.362

Totale 1.324.509 1.076.407 44,8 2.400.916

% M % F % F su MF % MF

Fino a licenza elementare 11,0 5,8 30,0 8,6

Scuola media 44,2 34,0 38,5 39,6

Diploma 36,9 44,9 49,7 40,5

Laurea e post-laurea 7,9 15,4 61,2 11,3

Totale 100,0 100,0 44,8 100,0

Fonte: Istat 2017

Nel 2016 più del 50% degli occupati stranieri possedeva almeno un diploma, percentuale che cresce significativamente nel gruppo delle donne straniere occupate, in cui quasi il 60% possiede un titolo di studio medio alto. Infine, si segnala che sempre secondo le rilevazioni trimestrali delle forze lavoro dell’Istat, nel 2016 più del 61% degli occupati stranieri con laurea erano donne.

Queste qualifiche però non hanno garantito un adeguato inserimento lavorativo sia in termini di professione, come mostrato nella tabella 2, sia in termini di attività lavorative, come illustrato dalla tabella 3.

Tabella 2 - Occupati stranieri per sesso e professione. Anno 2016

M F % F su MF MF

Qualificate e tecniche 77.257 83.260 51,9 160.517

Impiegati e addetti al commercio e servizi 198.246 482.169 70,9 680.415

Operai e artigiani 623.424 80.920 11,5 704.344

Personale non qualificato 425.498 430.059 50,3 855.557

Forze armate 0,1 0,0 0,0 83,0

Totale 1.324.509 1.076.407 44,8 2.400.916

% M % F % F su MF % MF

Qualificate e tecniche 5,8 7,7 51,9 6,7

Impiegati e addetti al commercio e servizi 15,0 44,8 70,9 28,3

Operari e artigiani 47,1 7,5 11,5 29,3

Personale non qualificato 32,1 40,0 50,3 35,6

Forze armate 0,0 0,0 0,0 0,0

Totale 100,0 100,0 44,8 100,0

Fonte: Istat 2017

Il 36% circa degli occupati stranieri è costituito da personale non qualificato che sommati al numero degli addetti al commercio e ai servizi, e operai e artigiani, costituiscono i settori professionali in cui sono segregati quasi tutti gli occupati stranieri. Da segnalare che le donne straniere costituiscono il 70% del personale addetto ai servizi, in questo caso sono le donne addette ai servizi dedicati alla persona, cioè badanti e collaboratrici domestiche.

(17)

Tabella 3 - Occupati stranieri per sesso e settore lavorativo. Anno 2016

M F % F MF

Agricoltura 111.729 28.982 20,6 140.711

Industria senza costruzioni 326.662 78.512 19,4 405.174

Costruzioni 173.831 1.820 1,0 175.651

Commercio, alberghi e ristoranti 184.673 150.597 44,9 335.270

Altre attività dei servizi 301.551 719.975 70,5 1.021.526

Totale servizi 486.223 870.573 64,2 1.356.796

Totale 1.098.446 979.887 47,1 2.078.332

% M % F % F su MF % MF

Agricoltura 10,2 3,0 20,6 6,8

Industria senza costruzioni 29,7 8,0 19,4 19,5

Costruzioni 15,8 0,2 1,0 8,5

Commercio, alberghi e ristoranti 16,8 15,4 44,9 16,1

Altre attività dei servizi 27,5 73,5 70,5 49,2

Totale servizi 44,3 88,8 64,2 65,3

Totale 100,0 100,0 47,1 100,0

Fonte: Istat 2017

Le attività terziarie costituiscono il gruppo di attività lavorative che coinvolgono circa il 65% degli occupati stranieri. Tra queste spiccano le attività dedicate alla famiglia che raggruppano il 50% degli occupati di cui il 70% sono donne. Al polo opposto si colloca l’industria che occupa il 28% degli stranieri attivi di cui solamente il 20% sono donne.

Dunque, la struttura occupazionale degli stranieri in Italia si presenta ancora fortemente polarizzata tra le occupazioni terziarie legate al piccolo commercio, alla ristorazione, ai sevizi di pulizia e a quelli alla persona. Insomma, questo polo raggruppa le attività lavorative precarie svolte in condizioni ambientali ed organizzative disagevoli e pericolose, delegate quasi esclusivamente a manodopera femminile. Al lato opposto, troviamo il settore industriale, compreso quello edile, che conta la più bassa componente femminile tra tutti i settori lavorativi.

La struttura occupazionale degli immigrati dunque risulta ancora caratterizzata da una forte polarizzazione lungo la dimensione di genere, nonostante in termini assoluti vi sia una sostanziale parità fra i sessi. Infatti, sebbene nel 2016 il 47 % degli occupati stranieri siano donne, si registra che quasi l’89% di queste sono concentrate nel settore dei servizi, in particolare nel lavoro domestico e di cura. Dal lato opposto, si rileva un’occupazione nel settore industriale composta per circa l’80% da maschi.

Le maggiori difficoltà incontrate dagli immigrati nei processi di integrazione lavorativa risultano dall’eccessiva concentrazione nei lavori a bassa qualifica aggravata dal sotto-inquadramento e dal blocco della loro mobilità salariale e verticale, cioè nel passaggio a qualifiche più alte.

Per migliorare l’inserimento lavorativo degli immigrati in un’ottica di piena integrazione nella società italiana, bisognerebbe operare innanzitutto nella direzione di una drastica riduzione del sotto- inquadramento e dello sblocco della mobilità verticale.

Risultano dunque preziose e significative sia le indagini che le azioni progettuali che si pongono l’obiettivo di conoscere e invertire queste due tendenze.

(18)

1.3 Quale futuro per gli studenti stranieri?

Nel caso del profilo migratorio riguardante gli studenti stranieri, si riassumono qui i principali dati dell’analisi condotta dal Centro Studi e Ricerche IDOS nel "Dossier Statistico Immigrazione"

del 201711.

In generale gli studenti stranieri nelle università italiane comprendono i figli degli immigrati senza cittadinanza italiana e gli studenti che provengono da altri paesi. Nell’anno accademico 2015/2016 risultavano iscritti oltre 1.641.000studenti, di questi oltre 72.000 di cittadinanza straniera, pari al 4,4% del totale (nel 2011/2012 erano oltre 66.000 pari al 3,8% del totale, mentre erano oltre 30.000 nel 2004, pari al 2,5% del totale12).

Tra i laureati la quota degli stranieri è stata del 3,8%, 11.621 su 305.265 studenti. Si registra quindi un aumento delle iscrizioni con una percentuale che però rimane limitata rispetto ad altri paesi europei a causa di diversi fattori tra cui: “le difficoltà connesse alla programmazione dei flussi e l’incertezza del rilascio dei permessi di soggiorno per motivi di studio; il complesso meccanismo di riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero; lo scarso numero delle borse di studio erogate; la carenza di residenze universitarie”13.

Se si fa un confronto con la quota della popolazione straniera rispetto al totale nazionale (pari al 8,3%), e con quella nelle scuole primarie e secondarie (pari al 9,2%), il grado di internazionalizzazione delle università italiane risulta inferiore. Negli ultimi anni però si registra una tendenza alla crescita degli studenti stranieri nelle università del 2% all’anno dal 2012.

Questa crescita media si distribuisce poi in modo differente a seconda degli Atenei: vi sono alcune università dove la presenza di studenti stranieri è particolarmente importante, come naturalmente gli Atenei dedicati a loro (Università per Stranieri di Perugia: 39% del totale è straniero; e a Siena:13%) ma anche università tecnico scientifiche come il Politecnico di Torino (14%) e di Milano (11,8%), università specializzate come quella di Bra in Scienze Gastronomiche (27,8%), di Medicina in lingua inglese Humanitas University a Rozzano (24,8%) e di indirizzo socio-economico come la Bocconi di Milano (11%).

In valori assoluti emergono le università La Sapienza di Roma (5.341 studenti stranieri), di Bologna (5.138), seguono i Politecnici con oltre 4.000 presenze e poi altre università da Torino (3.714) a Firenze (3.674), Milano (3.374), Genova (2.632) e Padova (2.418).

Il 67% degli studenti stranieri si concentrano in soli 5 gruppi di corso: economico-statistico, ingegneristico, politico-sociale, linguistico e medico. La classe che presenta il numero più alto di studenti stranieri è scienze dell’economia e della gestione aziendale (9,4% del totale di studenti stranieri), seguono lingue e culture moderne (5,4%) e ingegneria industriale (4,8%).

La distribuzione per nazionalità degli studenti esteri vede al primo posto quella albanese (oltre 10.000 studenti pari al 14% del totale), i romeni (7.540) e i cinesi (7.239), entrambi equivalenti al 10% del totale, e poi gli iraniani (2.000, 3,9%), i camerunensi (3,5%), i moldavi e gli ucraini (3,2% a testa).

11 Centro studi e ricerche IDOS, Dossier statistico Immigrazione 2017, in partenariato con il Centro studi Confronti e con la collaborazione dell’UNAR, Roma, 2017.

12 Ministero dell’Interno e IDOS con la collaborazione dell’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del CNR, Sesto Rapporto EMN Italia. Gli studenti internazionali nelle università italiane: indagine empirica e approfondimenti, Maggio 2013.

13 Idem pag. 45.

(19)

Se si considera la presenza totale per ogni nazionalità risulta evidente la rilevanza della popolazione studentesca nel caso camerunense. Questo caso è eccezionale: il Camerun è l’unico paese africano da cui provengono in modo costante alcune centinaia di studenti all’anno che entrano nelle università italiane per migliorare le proprie competenze. Ciò non avviene a caso: esiste da tempo un’ottima relazione diplomatica e di cooperazione tra l’Italia e il Camerun che si è organizzata soprattutto nell’ambito universitario. Relazione che è stata recentemente ribadita e rilanciata con nuovi accordi bilaterali. Grazie a questi accordi vengono rilasciati negli ultimi anni circa 400 visti per studio all’anno a giovani camerunensi (si veda il box 2 e box 3 di seguito), che possono avvantaggiarsi di numerosi accordi interuniversitari per entrare nelle facoltà italiane. A ciò si aggiunga, cosa di non poco conto, il riconoscimento dell’equipollenza dei titoli di studio. Alla disponibilità istituzionale corrisponde inoltre la convenienza economica: i costi della vita per gli studenti africani sono minori in Italia rispetto ad altri paesi europei e si registra una buona possibilità di poter accedere alle borse di studio.

Box 2 - La presenza camerunense in Italia per motivi di studio e professionale

Dopo due decenni d’immigrazione, l’Ambasciata d’Italia in Camerun ha rilasciato circa 4.000 visti di studio. Accanto a questo numero, è utile considerare anche i camerunensi che vengono da altri paesi o che pure arrivando dal Camerun con un altro tipo di visto decidono di studiare in Italia.

In base a questa tendenza, si osserva che circa il 70% dei camerunensi in Italia è studente o è arrivato per motivo di studio. Con una percentuale del 3,9% sul totale degli studenti stranieri in Italia, il Camerun si colloca alla quinta posizione dei paesi demograficamente più importanti dietro l’Albania, la Cina, la Romania e la Grecia.

Se questi paesi devono il loro primato alla vicinanza geografica, all’appartenenza all’UE, e agli scambi culturali (nel caso specifico della Cina), la distanza geografica tra l’Italia e il Camerun rivela che la presenza degli studenti camerunensi in Italia deriva da una scelta consapevole e motivata dalla radicata e duratura tradizione intellettuale che accompagna il Camerun da diversi decenni e che lo colloca oggi tra i paesi stranieri con il maggior numero di laureati nelle università italiane.

Dal 2003 al 2009, come rileva il Dossier Statistico Immigrazione del 2011, il numero dei laureati camerunensi in Italia si aggirava intorno a 1.250 unità. E nel 2009, 4,7% dei laureati stranieri erano di origine camerunense. Le principali università italiane frequentate dai camerunensi erano rispettivamente: Politecnico di Torino (219 iscritti, con una percentuale di 6,7% sul totale);Università di Parma (213 iscritti, con una percentuale di 15,3% sul totale); Università di Bologna (205 iscritti, con una percentuale di 4,3% sul totale); Università di Modena e Reggio Emilia (171 iscritti, con una percentuale di 18% sul totale); Università di Torino (162 iscritti, con una percentuale di 5,1% sul totale).

Dall’anno accademico 2003-2004 all’anno accademico 2010-2011, gli ambiti di studio che hanno maggiormente interessato i camerunensi sono stati rispettivamente: Medicina (604 studenti);Scienze economiche e bancarie (516); Ingegneria dell’informazione (458); Scienze infermieristiche (380); Scienze farmaceutiche (186); Ingegneria industriale (177).

Durante lo stesso periodo, l’immigrazione intellettuale camerunense ha prodotto 388 ingegneri, 222 esperti in economia, 192 medici, 47 farmacisti, numerosi esperti in comunicazione, in mediazione linguistica e culturale e in altri settori.

E’ utile osservare che l’integrazione dei camerunensi nella società italiana è agevolata dalla forte diffusione della lingua italiana in Camerun e dalla presenza delle certificazioni di italiano come lingua straniera che consente loro di accedere direttamente nelle università italiane senza seguire un altro percorso linguistico. Il Camerun è in questo senso l’unico paese africano con le 4 certificazioni di italiano come lingua straniera (CELI, Università per Stranieri di Perugia; CILS, Università per Stranieri di Siena; IT, Università di Roma 3; PLIDA, Società Dante Alighieri) e il paese africano con il maggior numero di candidati a questi esami di certificazione.

(20)

Dopo il loro percorso accademico, i camerunensi s’investono nel sistema professionale italiano, anche se secondo un’indagine condotta recentemente presso la comunità universitaria camerunense e illustrata nel già citato Dossier Statistico Immigrazione 2011, si osserva che una piccola percentuale vorrebbe proseguire gli studi altrove (principalmente in Canada o negli USA).

Per chi decide di rimanere in Italia, i principali settori di interesse sono ripartiti come segue:

 il terziario, il settore di predilezione, che coinvolge il 77% dei camerunensi. La salute, l’informatica, le telecomunicazioni, la banca e le finanze sono le principali aree di interesse.

 il turismo (ristorazione, alberghiero) e il trasporto;

 il secondario, con meno di 1/5 dei camerunensi;

 il primario che coinvolge solo il 2,5% dei camerunensi.

Nel 2009, si contavano 274 imprenditori camerunensi in Italia. Molti di questi sono anche pionieri nei loro settori. Ricordiamo ad esempio che le prime banche per immigrati in Italia sono state create grazie allo spirito di innovazione e di creatività dei camerunensi:

 il ‘patriarca’ Otto Bitjoka, imprenditore e primo banchiere extracomunitario nella storia del credito italiano, è l’attuale vice presidente di ‘Extra Banca’;

 il medico gastroenterologo Francis Nzepa Sietchiping, titolare di un master in Business administration alla Bocconi di Milano, è l’ideatore della ‘Banca Etica’ della diaspora africana;

 la prima radio multietnica in Italia (Radio Asterisco) fu creata da due giornalisti camerunensi: Raymond Dassi e Faustin Akafack;

 Genéviève Makaping, scrittrice e docente universitaria, è dal suo canto la prima giornalista immigrata a dirigere un quotidiano italiano (La Provincia cosentina).

Questi risultati accademici e professionali, così come questo investimento sul territorio italiano, hanno anche degli effetti sullo sviluppo socio-economico e culturale del Camerun. Possiamo osservare tali ricadute ad esempio attraverso le rimesse, effettuate tramite gli istituti di credito (meno del 2% rispetto al totale delle rimesse verso tutta l’Africa), e tramite i canali informali. Ad esse si aggiungono anche i doni materiali e i progetti di cooperazione in vari settori (salute, educazione, agricolo, sociale, ecc.).

Nell’ambito della già citata indagine, effettuata su un campione di 50 informanti, tra studenti e studenti-lavoratori, selezionati in base al sesso, al tipo di corso frequentato, all’anno di studio e al tempo di permanenza in Italia, il 40% degli intervistati è pronto a tornare in Camerun dopo il percorso accademico, anche se la data precisa non viene indicata. Tutto lascia pensare, però, che questi intendono tornare in Camerun solo quando avranno delle garanzie sociali solide e una situazione economica stabile che consentano loro di inserirsi nel sistema camerunense, eventualmente con la possibilità di investire con le loro attività imprenditoriali. Idea, questa, che consentirebbe loro di proporre in loco l’esperienza e le competenze maturate in Italia. In attesa del ritorno definitivo, molti lavoratori contribuiscono allo sviluppo del paese d’origine attraverso progetti seguiti a distanza o attraverso viaggi frequenti in Camerun.

Raymond Siebetcheu Y.,Esperto in comunicazione interculturale

Fonte:http://www.africanouvelles.com/africains-de-la-diaspora/africains-de-la-diaspora/communautes- africaines/limmigrazione-camerunense-in-italia-una-ricerca-analitica-di-raymond-siebetcheu.html

(21)

Come si legge nel box 3, la cooperazione universitaria prevede anche lo scambio di docenti e l’apertura di sedi italiane in Camerun e numerosi sono i docenti italiani che insegnano nelle facoltà universitarie del Camerun. I loro omologhi del Camerun possono presenziare a seminari, convegni o beneficiare di corsi di aggiornamenti professionali presso enti di ricerca italiani.

Box 3 - Gli accordi bilaterali Italia - Camerun: una buona pratica per la valorizzazione delle competenze

Cinque accordi che avvicinano il Camerun e l’Italia sono quelli sottoscritti nel corso della visita del presidente italiano Sergio Mattarella nel paese africano, giunta oggi al suo terzo giorno (Marzo 2016).Accordi che abbracciano vari aspetti della cooperazione e che poggiano su due assunti principali: il primo riporta allo sforzo dell’Italia di rafforzare i legami culturali attraverso lo studio della lingua italiana, l’ampliamento della già significativa collaborazione tra le università dei due paesi; il secondo assunto porta invece a una concezione nuova, sicuramente diversa rispetto al passato, di una cooperazione fondata sul reciproco vantaggio e non di una ‘cooperazione a perdere’.

Un concetto in linea con le nuove prospettive indicate dalla legge 125/2014 che ha riformato la cooperazione allo sviluppo.

Il primo degli accordi sottoscritti riguarda la cooperazione culturale, scientifica e tecnica fornendo un quadro all’interno del quale i due paesi rafforzeranno in particolare la collaborazione tra le rispettive università.

Attualmente sono una quindicina gli istituti italiani che hanno in corso collaborazioni in Camerun; il modello che si cercherà di seguire è quello di formazione congiunta che ha visto l’Università di Padova collaborare con il dipartimento di Ingegneria della Scuola nazionale superiore dei lavori pubblici e formare ingegneri sul posto, con l’invio di propri docenti (i primi si sono laureati proprio in questi giorni).

Per la diffusione della lingua italiana – l’italiano si può insegnare in 66 licei, attualmente sono 25 quelli in cui in effetti i corsi sono attivati per un totale di 3.000 studenti – si sta lavorando per portare da uno a tre i corsi di laurea con l’apertura dei corsi già dal prossimo anno a Douala e a Maroua.

Proprio l’Università di Padova (altro accordo firmato) amplierà la collaborazione già avviata con la Scuola nazionale superiore dei lavori pubblici creando in Camerun una sua sede ‘offshore’ e diventando la prima università straniera ad avviare un progetto del genere nel paese africano.

Sullo sviluppo sostenibile (terzo accordo) verte un’intesa con il ministero dell’Habitat.

Fonte:https://www.africaeaffari.it/4535/italia-e-camerun-firmano-cinque-accordi

Tutto questo mostra come sia possibile impostare una collaborazione nella quale viene costruita una mobilità e circolarità delle conoscenze, sicura e regolare, a vantaggio sia dell’Italia che del Camerun. La migrazione di studenti si crea all’interno di un quadro di riferimento istituzionale e regolatorio che consente di valorizzare il capitale umano con benefici sia per il paese di origine che di destinazione, oltre che per gli stessi studenti. Se poi le università hanno modalità importanti di accompagnamento all’inserimento nel mondo del lavoro, ecco che questi studenti possono riuscire ad ottenere occupazioni allineate con le proprie competenze, senza alcun spreco di talento. La cooperazione tra l’Italia e il Camerun potrebbe servire come modello da replicare anche con altri paesi africani e di altri continenti. Questa potrebbe essere una pista d’azione importante per la cooperazione italiana che integra la regolazione positiva delle migrazioni in un approccio di sviluppo sostenibile condiviso tra Italia e paesi terzi.

(22)

1.4 Il potenziale dei rifugiati e richiedenti asilo

Come rilevato nel contributo di Mattia Vitiello (si veda box 1), le migrazioni verso l’Italia negli ultimi anni sono state caratterizzate da un maggiore flusso di richiedenti asilo e rifugiati.

Questo nuovo flusso di persone può rappresentare un capitale umano importante per il nostro paese e per l’Europa, a patto che vi sia una volontà politica di accoglienza e valorizzazione. Si tratta di concepire queste persone non come pesi per il bilancio italiano ma come persone che possono contribuire allo sviluppo sostenibile italiano e, per quanto possibile, dei paesi di origine.

E’ da questa diversità di approccio, rispetto a quella securitaria di carattere emergenziale, che si può valutare il grado di civiltà di un paese e di intelligenza nel far fruttare gli investimenti pubblici.

Come vedremo dai dati, numerosi sono i giovani richiedenti asilo e rifugiati che presentano un certo livello di alfabetizzazione, e molti sono interessati a migliorare le proprie abilità e a poter contribuire allo sviluppo sostenibile del paese di accoglienza.

Per rendere concreta questa potenzialità è indispensabile un buon percorso di accoglienza ed integrazione. In tal senso l’Italia può vantare l’esperienza dello SPRAR (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati), che cerca di favorire l’integrazione di queste persone nel contesto italiano, valorizzandone le capacità a livello territoriale. Di seguito si sintetizzano e commentano gli ultimi dati disponibili tratti dal Rapporto Annuale SPRAR 201614.

Negli ultimi anni il numero dei posti disponibili e dei beneficiari è aumentato, anche se in misura insufficiente rispetto al bisogno, da una media annua di 3.000 posti e 7.000 beneficiari15 nel periodo 2003-2012, ai26.000 posti e 34.000 beneficiari nel 2016, con un incremento di ben 5 volte dal 2013.

La distribuzione geografica mostra una relativa concentrazione delle accoglienze in due regioni:

Sicilia e Lazio con il 19% a testa; seguono la Calabria e la Puglia con il 10% circa a testa. Poi vengono la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Piemonte con circa il 5,5% a testa. Da questi dati emerge una prima considerazione: la distribuzione dell’accoglienza non appare in linea con le opportunità del mercato del lavoro e quindi le possibilità di valorizzazione delle competenze.

L’integrazione ha una forte connotazione territoriale in Italia: può essere ovviamente migliore laddove esistono le condizioni di contesto più favorevoli. Come già indicato in precedenza,se si allineassero l’acquisizione delle competenze alle domande, le opportunità di inserimento nel mondo del lavoro dovrebbero essere maggiori nelle regioni del nord rispetto a quelle del sud.

I richiedenti asilo e rifugiati che vengono accolti nel sud Italia, se desiderano migliorare la propria integrazione, dovranno quindi spostarsi al nord, così come sono stati costretti a fare

14 Cittalia, Anci, Ministero dell’Interno, Rapporto Annuale SPRAR. Atlante SPRAR 2016, Roma, Aprile 2017.

Occorre specificare che i dati riportati negli Atlanti SPRAR sono sempre relativi alla universalità di persone accolte nell’anno, senza distinzione di età, di casistiche specifiche personali, di periodo di ingresso in accoglienza o di uscita. Pertanto nello specifico dei dati su formazione, tirocini, inserimento lavorativo, ecc. i valori assoluti, così come quelli percentuali, non fanno riferimento ai soli beneficiari “abili” all’inserimento lavorativo. Nel totale cui fanno riferimento le percentuali, pertanto, rientrano: i minori in età prescolare; i minori di età inferiore a quella minima per l’ammissione al lavoro; le persone con vulnerabilità/fragilità tali da limitare il regolare svolgimento delle attività previste dal progetto personalizzato di accoglienza; le persone per le quali non sono necessari servizi specifici, in quanto già in possesso di strumenti a livello personale; le persone che sono uscite dall’accoglienza SPRAR nei primi mesi dell’anno, avendo usufruito degli interventi specifici nell’anno precedente; le persone che sono entrate in accoglienza SPRAR negli ultimi mesi dell’anno e pertanto hanno avviato gradualmente gli interventi specifici.

15 Il numero dei beneficiari è superiore a quello dei posti a causa del turn over durante l’anno: un posto può essere occupato da più persone in modo successivo durante l’anno.

(23)

molti giovani italiani del Mezzogiorno16. Questa banale osservazione si scontra però con una realtà più complessa e in particolare, come già indicato, segregazionista.

La segmentazione e segregazione dei migranti nel mercato del lavoro fa sì che anche nel nord Italia sia difficile trovare occupazioni adeguate alle competenze. Inoltre, osservazioni dirette raccolte dallo SPRAR, segnalano come siano stati alcuni centri del sud Italia ad offrire percorsi di inserimento più creativi rispetto a quelli del nord, forse per una maggiore abitudine a far fronte a un mercato del lavoro difficile. A loro volta i dati del programma Inside del Ministero del Lavoro17, che ha promosso e finanziato tirocini formativi per beneficiari SPRAR, mostrano come la Calabria sia stata la prima regione per numero di tirocini attivati (139), seguita dalla Sicilia (57), mentre in Friuli Venezia Giulia se ne sono attivati solo 13; 15 in Veneto; 16 in Emilia Romagna.

A proposito di una segregazione che va al di là delle differenze territoriali, è preoccupante il dato dei migranti morti nella campagna pugliese nel Luglio del 2018, dove raccoglievano pomodori, provenienti da centri SPRAR dell’Emilia Romagna. Se da un lato questo si deve al bisogno di questi giovani di monetizzare al più presto la loro presenza in Italia, eludendo attese e percorsi di formazione di più lungo periodo, dall’altro è evidente che se sono andati a lavorare in condizioni di quasi schiavitù lo hanno fatto per l’assenza di valide alternative.

I dati sulle nazionalità di richiedenti asilo e rifugiati segnalano tra i primi paesi di provenienza, quelli dell’Africa Saheliana (Nigeria in primis, seguita da Gambia, Mali e Senegal) e dell’Asia occidentale e centrale (Pakistan, Afghanistan e Bangladesh). Riguardo le loro competenze non sono disponibili i dati per capire se esiste una correlazione tra nazionalità e grado di alfabetizzazione e competenze. Tuttavia, come si vedrà più avanti, le informazioni a livello generale mostrano un livello di istruzione medio-basso. La maggior parte (87% del totale) sono uomini giovani (49% dai 18 ai 25 anni e 22% dai 26 ai 30 anni) e singoli, anche se emerge il caso della Nigeria dove le donne rappresentano oltre il 30% delle persone provenienti da questo paese, e della Somalia(20%).

Importante per questa analisi è l’informazione riguardo il titolo di studio dei beneficiari dello SPRAR. Nell’Atlante si legge che: “Ancora una volta, in continuità con l’anno precedente e con il tradizionale trend, i dati relativi al livello di istruzione mostrano un grado di scolarizzazione medio-basso. Difatti, il 62% dei beneficiari ha un titolo di studio corrispondente alla scuola primaria (elementari e medie), mentre il 19% è in possesso di diploma di scuola secondaria e il 7% di titolo di studio universitario. La percentuale dei beneficiari senza titolo di studio seppur in diminuzione rispetto all’anno precedente, rimane comunque elevata.

16 A questo proposito si veda il Rapporto SVIMEZ 2017 sull’Economia del Mezzogiorno secondo il quale “Negli ultimi quindici anni …, sono emigrati dal Sud 1,7 milioni di persone a fronte di 1 milione di rientri, con una perdita netta di 716 mila unità: si tratta per lo più (72,4%) di giovani tra i 15 e i 34 anni e di laureati che costituiscono un terzo del totale (198 mila unità).” (pag.

31). In questo rapporto vi è inoltre una interessante stima del costo del brain drain per il Mezzogiorno: “Nel Rapporto di quest'anno, riportiamo una stima del depauperamento di capitale umano meridionale. Considerato il saldo migratorio negativo dell'ultimo quindicennio, una perdita di circa 200 mila laureati meridionali, e moltiplicata questa cifra per il costo medio a sostenere un percorso di istruzione terziaria, la perdita netta in termini finanziari del Sud ammonterebbe a circa 30 miliardi di euro. Si tratta di quasi 2 punti di PIL nazionale, una stima "minima" che non considera molte altre conseguenze economiche negative ma che dà la dimensione di un fenomeno che pesa sul Mezzogiorno anche in termini di trasferimento di risorse finanziare verso le aree più sviluppate, e che andrebbe considerato nella letteratura sui trasferimenti finanziari interregionali, senza contare gli effetti indiretti di guadagno per il Centro-Nord in termini di competitività e di produttività del trasferimento di forza lavoro qualificata.” (pag. 6). Il rapporto è scaricabile da:

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