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MEDICO LEGAL ATTITUDE AND JURISPRUDENTIAL EVOLUTION CULTURA MEDICO-LEGALE E EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE

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TAGETE 4-2008 Year XIV

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MEDICO LEGAL ATTITUDE AND JURISPRUDENTIAL EVOLUTION CULTURA MEDICO-LEGALE E EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE

Prof. Mauro Barni*

ABSTRACT

The author analyzes the history of legal medicine and its relationship with the jurisprudence. In particular he focuses on the influence that legal medicine has exerted on court pronunciations in the last 30 years, regarding especially the biological damage, the personal damage, the patient’s autonomy and the bioethics.

Key words: legal medicine, biological damage, bioethics

… lotte dannose e miserevoli attizzano e nutriscono coloro che non hanno mai capito il vincolo stretto e indissolubile che lega la Medicina con la Legge, coloro i quali impettoruti credono poter giudicare le azioni umane restando chiusi nel tempio di Temi o in quello di Igea

(Filippi A.: Introduzione al manuale di Medicina legale, Vallardi, 1889)

* Prof. Emerito di Medicina Legale, Università di Siena

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2 I) Trent’anni fa un grande giurista, di recente mancato, Federico Stella, indimenticabile autore dell’editoriale di presentazione del primo numero della Rivista italiana di Medicina legale, poneva le basi per un nuovo incontro tra Medicina legale e Diritto, atto a definire diritti e doveri dei cittadini di fronte alle leggi e in primo luogo degli interpreti in una prospettiva di Giustizia, non dimentica delle matrici storiche, filosofiche e morali del diritto italico ma intonata e anelante alla modernità, sensibile alle esigenze del nuovo modo di essere e di agire in una società vieppiù intercomunicante ed interconnessa ed al contempo permeabile alle intraprese della Scienza e attenta al loro confronto con i valori e le regole civili.

«Numerose e disparate sono le esigenze che la medicina legale dovrebbe soddisfare, perché possa apparire giustificata la sua definizione di scienza ausiliare del diritto ..

problema che nasce dalla contestazione che i rapporti tra la scienza giuridica e medica si svolgono in una atmosfera di crescente incomprensione reciproca in una situazione di vera e propria guerra fredda, per usare la espressione di un giurista francese. In questa situazione appare subito evidente che – oggi più che mai – uno dei compiti fondamentali della medicina legale … è proprio quello di contribuire con forza a por fine alla guerra fredda tra scienza medica e scienza giuridica, di gettare una parte di accorciare le distanze fra le due culture. Si tratta di appurare se e fino a che punto, nella soluzione dei problemi vecchi e nuovi della medicina legale, venga rispettato il

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3 fondamentale criterio metodologico che vieta di ricercare, al di fuori del diritto, il significato dei concetti giuridici e che impone invece di percorrere la strada sicura che va dall’analisi delle esigenze e delle finalità di giudizio civile e penale (dal’individuazione dell’immagine del mondo propria del giudice, ossia – appunto – dal punto di vista giuridico) alla formulazione dei concetti e prima ancora (aggiungo) dei quesiti (Stella F.:

Le incomprensioni fra scienza giuridica e scienza medico-legale: un percorso da evitare, in Riv. it. Med. leg. I, 1979, n.3)».

Mi è venuto in mente questo “incipit”, forse un po’ retorico ed accorato, fermandomi fugacemente, qualche giorno addietro – come spesso ancora mi accade – dinanzi al grande affresco di Ambrogio Lorenzetti, autentico logo del Comune di Siena, che dispiega ed esalta il buon governo in una allegoria celebrativa delle massime virtù (doveri, diritti) e ne collega le personificazioni civiche con “corde” passate (cum chordis?) di mano in mano sino a raggiungere il Grande Vecchio, non occulta ma palese e serena espressione del Buon Governo vissuto cum cordibus. Il percorso dei vincoli si sviluppa dalle palme della Concordia tributaria e garante della Maestà della Giustizia, sacerdotessa solenne e limpida, che a sua volta è sovrastata solo dalla Sapienza “detentrice” e “ispiratrice” di una grande bilancia, sul cui piatto di sinistra, un angelo rosso condanna un uomo inginocchiato e un altro ne assolve (unicuique suum)

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4 mentre sul piatto di destra un angelo bianco concretizza e offre i beni della comunità nel quadro di un’etica di modello aristotelico-tomistico che esalta i compiti della Giustizia, tributaria della Scienza e garante del bene comune (Temperanza, Magnanimità, Prudenza, Fortezza e Pace le fan corona).

La Sapienza e la Giustizia sono dunque inscindibili per il governo degli uomini e lo sono o dovrebbero esserlo tanto più nell’oggi, epoca pingue dei doni della scienza cui la giustizia non può non attingere, ma pur sempre con illuminata prudenza, vorrei dire con

“precauzione” se non ne emergesse l’allusione all’omonimo discutibile principio di matrice europea. In questo senso, la lezione più straordinaria e sublime è stata impartita nell’era contemporanea dalle scienze della umana vita e segnatamente dalla antropologia, dalla biologia, dalla medicina. Di questa simbiosi tra umanesimo e giustizia fu prima espressione di grande civiltà la rinuncia alla pena capitale, che nel secolo dei lumi per prima proclamava la nostra Toscana; cui fecero seguito la razionale determinazione di Cesare Beccaria e poi la rivoluzione lombrosiana che, al di là delle illusioni morfologiche, imponeva e impose la dimensione biologica e sociale dei delitti e delle pene culminata nella progressione identificativa della genetica, di cui non può non evocarsi il primo antico passaggio guidato in Italia da Leone Lattes. Sicché, quanto negli anni settanta-ottanta del secolo scorso, elaborava la dottrina giuridica italiana, anche in ordine ai rinnovandi riti processuali, si arricchiva di chiari messaggi rivolti alla medicina

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5 legale, espressione specifica e necessario veicolo dei saperi e dei valori della antropologia criminale, delle scienze forensi e del welfare sociale ed economico, e, poi, infine, della bioetica intesa come disciplina atta a tradurre in termini di tensione morale e di equità distributiva i sempre nuovi prodotti dell’arsenale scientifico, attraverso sofisticate, affidanti e rispettose analisi, sussunte in una metodologia unitaria anziché frazionata nella pluralità e nelle fredde asperità delle c.d. scienze forensi, di chiara matrice anglosassone. In altri termini, doveva ritenersi condizione sine qua non al divenire della sostanza biogiuridica nel diritto, una coerenza culturale permeata di mentalità medico-legale, versata nella applicazione delle conoscenze scientifiche alle norme e alla loro attuazione, attraverso necessari approcci e contributi ineccepibilmente tecnici ma anche biologicamente consoni a quella realtà umana che compenetra inesorabilmente e ne “nobilita” la inevitabile rigidità, insita nel giure codificato coerentemente al retaggio del nostro “conio” e “patrimonio” culturale. Quando si fa accenno alla unitarietà disciplinare, si allude ovviamente, giova ricordarlo, come indica un altro recente editoriale della stessa Rivista, alla unitarietà del metodo ed alla sensibilità giuridica, caratteristiche “genetiche” della medicina legale, non più presuntuoso monopolio disciplinare così come dimostra sempre meglio la costante collaborazione, a fini di giustizia, con altre competenze scientifiche, e, in particolare, biochimiche, genetiche, antropologiche e segnatamente biomediche, tanto nella

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6 proposizione debitamente validata di nuovi percorsi valutativi, quanto nella pratica della giustizia e della equa verifica dei diritti e delle pretese umane.

«Transitano spesso nelle sedi giudiziarie valutazioni prive di qualsiasi validità scientifica, formulate da “esperti” improvvisati che, per lo più meccanicamente, proferiscono giudizi tecnici senza mai essersi lontanamente impegnati con studi e sulla specifica materia

… l’accertamento di diritti può – invero – basarsi su solide fondamenta scientifiche e mai sulla c.d. junk-science che troppo spesso incombe sulle aule giudiziarie … e accade infatti spesso che il giudice non disponga di criteri considerati scientificamente convalidati e non possa quindi che far uso della background knowledge, unico vaglio delle opinioni …» (Fineschi V.: Peer review, impact factor e medicina legale: un incontro sinora rimendato ma ineludibile, ed in Riv. it. Med. leg. 29, 207, p. 3).

Per il medico legale, sia detto per inciso, questo atteggiamento deve essere di testimonianza convinta di responsabile maturità culturale e scientifica, che nulla toglie, anzi molto aggiunge, alla consulenza anche in termini deontologici, come ben sottolinea l’art. 62 del Codice di Deontologia medica / 2006. Ma il progresso non si consolida, se non attraverso la reciprocità degli intenti e delle decisioni, cui son tenuti auspicabilmente anche il giurista, il magistrato, il gestore e il distributore di provvidenze secondo equità

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7 giuridicamente stabilite, nel senso, mi preme puntualizzare, di una possibile cogestione culturale della modernità scientifica, giuridica e giudiziaria, ferme restando le competenze di ciascuna “sapienza”. Altrimenti, non resta che concentrare gli oneri anche selettivi d’elaborazione di evidenze e d’ogni loro assunzione all’eventuale dignità di prova nelle nude mani del giudice o del collegio giudicante o del gestore di benefici, con la conseguente dissipazione di una professionalità scientifica per sua natura concorrente nella ricerca della verità, che peraltro va anch’essa quotidianamente arricchita e nobilitata, depurata cioè dalla mala pianta delle improvvisazioni, delle presunzioni, delle falsificazioni, delle monoculture.

Trent’anni dopo, il bilancio è ricco di luci e di ombre e la luce più chiara, diffusa sul lavoro nostro, in quanto ausiliari di giustizia e garanti di equità, è scaturita dal nuovo rito penale, dalla nuova estensione della responsabilità civile, nonché dalle mutate dinamiche dello stato sociale, che, valorizzando la evidenza biologica nel senso della oggettività al servizio della prova, hanno conferito un compito ben preciso anche alla scienza e al suo interprete, che non possono tuttavia non aver sempre presenti le nozioni di confutabilità, di precarietà, di criticità nella essenza stessa e nella esibizione di una

“verità”: convincente solo se garantita dalla riconosciuta validità del modulo di formazione e di presentazione e non, come per il passato, quasi imposta in virtù dei principi di autorevolezza e di presunta insindacabilità. Ed è particolarmente arduo

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8 questo nuovo ruolo per il medico legale, non più Indiana Jones nella ricerca di certezze processuali nel contesto della indagine causale specie se scandita da problemi e dubbi biologici e biogiuridici ma solo portatore di momenti scientifici produttivi di una possibile verità o quanto meno di una inevitabile scelta, lasciando all’angelo distributore e commutatore di giustizia (per tornare alla metafora lorenzettiana) l’onere di dar corpo alle evidenze e il compito di pervenire così a una verità processuale, che, al pari della certezza scientifica, sia accettabile oltre ogni ragionevole dubbio o, quanto meno, sia più probabile che non.

II) Si deve tuttavia e con malumore constatare che le premesse per una prassi collaborativa più intensa, già a livello di raccolta delle prove, che nel campo della patologia forense si possono far risalire all’inizio del secolo scorso (circolare Fani sull’autopsia medico-legale) siano venute meno, nonostante le obliate (?) regole metodologiche di un decennio fa dettate dal Consiglio d’Europa. Analogamente è rimasta incompleta, dispersiva e vaga la concezione e la cultura di barèmes, ufficiali e non, per la valutazione del danno alla persona. E qui si potrebbe a lungo dissertare sul senso di linee-guida, di protocollo, ecc., di cui la Corte Costituzionale stessa nega la imposizione mediante leggi o decreti ordinari.

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9 L’ultimo stimolo innovatore, con tutto il suo nitore illuminante, coincise, occorre appena ripeterlo, con il varo della nuova procedura penale, che si affidava, tra l‘altro, ad un sistema “diverso” di raccolta, valorizzazione, significazione delle prove “tecniche” e presupponeva negli esperti una crescita professionale, tutta fondata sulla scienza, finalmente svincolata dalle tante furberie oratorie, compromissorie, relativistiche che ancora non marginalmente connotano l’applicazione forense della medicina legale.

Eppure a Pavullo (1990) tra giuristi, magistrati e medici legali, si era individuato un percorso di ricerca (dignità investigativa e documentaria, eccellenza scientifica, terzietà degli operatori ben controllata dalle “competenze” di parte, esperibile non negli studi televisivi, ma nella riservata serietà e severità dei laboratori) che è stato poi nella sostanza disatteso e non per esclusiva responsabilità della nostra disciplina. Anche un processualista come Gian Domenico Pisapia, padre della riforma, vi aveva fortemente creduto. Ora, non c’è che da prendere atto di quanto (non) avviene, doverosamente considerando anche le “colpe” (secondarie rispetto a quelle politico-giudiziarie) di una disciplina, la nostra, così com’è considerata e difesa nella sua dignità nel quadro della amministrazione della giustizia. Se poi si considera la rarità dei presidi di ricerca e dei centri di alta specializzazione in ambito medico-forense, in buona misura trasmigrati dalla Università alla Polizia Giudiziaria, sicché, anche gli eccellenti, tra essi, non

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10 possono soddisfare ogni esigenza ed urgenza né garantire una costante formazione di buoni operatori, si finisce nel vortice di un circolo vizioso.

Ma questo è l’aspetto del rapporto fin qui analizzato nel solo versante professionale, molto discutibile ancora. Resta ora da considerare la osmosi culturale e scientifica, positiva e perfettibile, espressiva di un interscambio culturale manifestatosi nel trentennio considerato, e ben più intensamente, prodotto per alcune cruciali esigenze di innovazione e di maturazione, cui han contribuito il richiamo fascinoso e obbligante della Costituzione della Repubblica, la riaffermazione ognor più cogente di regole comunitarie, l’attrazione della common law. Considerando preliminarmente l’effetto della cultura medico-legale sulle leggi, si deve appena ricordare che nel ’78 si compiva il lento processo di estensione anche in ambito penale (oltre che in quello sociale) della concezione e della definizione di salute intesa come condizione non solo di buona funzionalità organica ed organismica limitatamente alla essenza biologica e fisiologica dell’essere, ma anche di benessere, di qualità della vita e di armonia esistenziale. Una convinta maturazione concettuale, anche in ambito medico-legale e antropologico dava sostanza applicativa alla riforma sanitaria del 1978, alle leggi 180 e 194, alle ondivaghe norme sulla tossicodipendenza, sulla guida in stato di ebbrezza, sull’autonomia prescrittiva del medico e ancora alle regole sulla sperimentazione dei farmaci, sulla medicina dello sport, sui trapianti d’organo, sulla definizione e

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11 l’accertamento della morte. Un reale impegno dottrinario fu poi vanamente espresso in ordine alla legittimità biologica e alle potestà accertative dalla nostra disciplina e continua ancor oggi serrato, in specie quando il legislatore ha sovrappone per ragioni di politica del diritto e per prevalenti pulsioni bioetiche e biogiuridiche, arbitrarie previsioni limitative della autonomia della scienza, della medicina e della dignità personali.

III) Più che il diretto o indiretto influsso della medicina legale sulla norma, è dunque meglio qui ricordare i fondamentali momenti di intersezione culturale, dottrinaria, sempre più vibranti negli ultimi decenni tra speculazione medico-legale e giuridica (in ambito penale, civile, assicurativo, ecc.).

«D’altronde anche esaminando questo aspetto del tema secondo una metodologia meno elementare, infatti, si deve riconoscere a priori che l’incontro/scontro fra due scienze, una delle quali non può non avere un carattere dogmatico/normativo, mentre l’altra non può non avere caratteristiche di perfettibilità, cioè dell’imperfezione che invano tende alla perfezione, potrebbe portare al prevalere dell’una sull’altra di queste due fondamentali attività dello spirito umano, causando un danno le cui proporzioni abbiamo già avuto, storicamente, la possibilità di osservare. Compito dei cultori delle scienze medico-legali è quello di cercare di porre ordine dove regna il disordine, di cogliere e segnalare quegli aspetti che debbono essere valorizzati e quelli che invece

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12 debbono essere abbandonati, di indicare al Legislatore le modificazioni che si possono introdurre alle norme e di scegliere per il giurista quei progressi, tra quelli della medicina e della biologia, che possono trovare un’applicazione pratica nella soluzione di problemi giudiziari» (Giusti G.: Tra biologia e diritto, in Trattato di M.L. e scienze affini, vol. I, Cedam, 1998).

Proprio nel senso del retaggio trasmesso da fondamentali ispirazioni e intuizioni di Cesare Biondi, Antonio Cazzaniga, Cesare Genin si sviluppava (e in particolare qui a Pisa per la impegnata e appassionata consensualità tra Francesco Donato Busnelli e Marino Bargagna) la dottrina del danno alla salute, quale nobilitante impegno per la armonizzazione concettuale d’ogni valutazione umanizzata della in-validità e per la loro unificazione nei vari ambiti di apprezzamento, cui mi sembra d’aver dato qualche personale contributo. Ne è derivata intanto la sostanziale separazione del pregiudizio economico da riparare, pertinente all’ambito della patrimonialità, dal nocumento extrapatrimoniale della persona intesa nella sua essenza biologica e sociale, che peraltro ne esprime la sofferenza e la depauperazione non solo in termini “morali” ma anche esistenziali e soprattutto biologici considerati alla stregua di fattori negativi di un bene costituzionalmente protetto e cioè della salute. Peccato che la medicina legale si sia talvolta attardata su archetipi metodologici e nomologici, come in altro campo è

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13 avvenuto per la criteriologia classica cui riferire il nesso di causalità materiale tra lesione ed evento. Nella specie della dimensione civilistica del danno a persona (e nonostante la lungimiranza della definizione penalistica di malattia cui del tutto recentemente è stato restituito il suo più genuino significato, conforme alla nostra classica dottrina in tema di

“lesioni personali” (ripreso dalla Cassazione, sezione I penale n. 4534 del 17 novembre 2005, sottolineato da Iadecola, nella nostra rivista lo scorso anno) fu in effetti dura a morire la categoria della incapacità lavorativa generica intesa come parametro ricostruttivo del pregiudizio economico, mentre il processo inarrestabile pervadeva anche l’ambito infortunistico-sociale e librava la biologia dell’uomo in una dimensione

“esistenziale”, imponendo l’adozione di più adeguati strumenti valutativi e tabellari.

Parallelamente, una specifica cultura ha aperto orizzonti nuovi alla interpretazione, alla speculazione e alla applicazione giuridica. E l’esempio più clamoroso è quello dell’autonomia del paziente di fronte alle “cure” per la salute, di cui è imprescindibile attributo la garanzia del consenso informato, che ha portato sin dal 1992, come diremo più oltre, a drastiche soluzioni dottrinarie e giurisprudenziali per approdare più tardi, e consensualmente ad una chiara e ragionevole applicazione dell’obbligo medico di informare e del valore inibitorio del consenso consapevole. Straordinariamente serrato è ancora in proposito il dibattito intorno alle scelte anticipate, al cd. testamento biologico ed alla desistenza terapeutica che può derivarne. Sembra dunque che l’auspicio

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14 espresso al momento del varo della maggiore Rivista medico-legale italiana si stia compiendo, sia pure con qualche difficoltà, grazie ad una nuova disponibilità all’ascolto reciproco e all’affermarsi di un biodiritto per larga parte condiviso. Anche se non sono emersi definitivi consensi (e come avrebbero potuto?) sembra ormai assicurata una pari dignità, da onorare con lo studio e soprattutto con la ricerca scientifica. Non meno fertile è stata la osmosi tra deontologia medica e scansione giuridica della responsabilità tanto che la norma deontologica rafforzata dalla suggestione bioetica ha non solo fortificato, nella interpretazione medico-legale, la filigrana della autonomia medica a sua volta plasmata sull’etica della responsabilità (antidoto unico contro la medicina difensiva) ma ha anche persuaso il giurista sulla bontà dei principi stabiliti dalla norma ordinistica quali indicatori per la dottrina giuridica.

Dagli anni ’80, la dottrina giuridica ammette «che la regola deontologica assuma rilievo nel mondo del diritto in quanto non solo non contrasti con i principi giuridici ma di questi assicuri esplicitazione e svolgimento nella realtà dello specifico settore e in aderenza alle peculiari esigenze dello stesso (Bellelli, A.: Il codice deontologico medico e il suo valore giuridico, in Bioetica, deontologia e diritto per un nuovo codice professionale del medico, a cura di Barni M., Giuffré, Milano 1989)».

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15 La osmosi dottrinaria registra peraltro qualche dissonanza e rigidità, specie quando la macerazione politico-giuridica dei temi ha colto umori ideologici piuttosto che le premure della scienza. Il diritto si è per di più imbattuto in previsioni decisamente errate, che nulla hanno a che vedere con le grandi e rispettabili opzioni ideologiche e che generano i nostri della incertezza e della incomprensione.

In definitiva, il bilancio dell’ultimo trentennio, in tema di rapporti dottrinari tra medicina e diritto, meglio tra medicina legale e biodiritto, ha se non altro, iscritto la voce attiva di un dialogo direttamente proteso alla ricerca di una alleanza culturale che si rifletta anche nella consulenza e nella udienza, ove il confronto è diretto e serrato e può divenire fertile e produttivo, se non viziato da difetti di cultura e da sottovalutazioni reciproche o, peggio, da attese ingiustificate o da suggestioni mediatiche.

IV) Tra scienza biologica e nervatura giuridica degli eventi, si diffondono così una cultura comune, una attenzione severa, una voglia di capire, un bisogno di serenità, idoneo terreno di cultura per una armonia in divenire, capace di lenire le diversità e le asprezze dei linguaggi, di ridimensionare la magia delle frasi fatte, il manicheismo delle induzioni, la crudezza delle immagini. È un percorso lungo, ancora e in gran parte da scoprire, che magari porta solo a saperne di più e ad aspettarsi ancor di più (e non è poco!), ma

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16 che vale la pena di compiere dando alla scienza, alla sapienza il significato lorenzettiano di musa ispiratrice della giustizia, che vive nella prassi giurisprudenziale.

La diffidenza in ambito medico-legale verso la onnipotenza del diritto vivente è comprensibile anche se è forse esagerato affermare che ad es. «spetterebbe ai medici legali (crediamo) violare il presunto obbligo di obbedienza assoluta alla prevalente affermazione dottrinaria e alle sentenze, dire la verità, cioè, che il dogma non è tale».

Sembra di poter dire che questa teoria molto singolare porterebbe a conferire attendibilità deontologica e medico-legale alle “sole” posizioni giuridiche e giurisprudenziali corrispondenti al modo (rispettabilissimo) di sentire di una parte della medicina legale e del corpo medico, ma che, per l’appunto non collima con la deontologia ufficiale (cfr. Fiori A.: La medicina delle evidenze e delle scelte sta declinando verso la medicina dell’obbedienza giurisprudenziale, in Riv. it. Med. leg. 29, 2007, n. 925).

Non mancano ormai le “premesse” culturali atte a produrre una cultura comune peculiarmente nel progresso giurisprudenziale che si è rivelato in molti ambiti fortemente consono alla scienza e alla metodologia medico-legale nonché alle regole deontologiche, alla indicatività delle linee-guida, alla matrice medico-legale delle evidenze. La giurisprudenza, non va peraltro intesa, come autorevolmente si teme, nel senso di vassallaggio culturale (e tanto meno se le frequenti approssimazioni di sentenze

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17 di merito scaturiscono da non rare insufficienze medico-legale) ma piuttosto va esaltata nella consolidata tendenza, sviluppatasi nei più alti gradi del magistero sino alla Corte Costituzionale, che, dalle suggestioni medico-legali trae utile indirizzo alla evoluzione stessa della giustizia non solo, ma anche alla ricerca medico-legale. Ogni verità processuale, raggiunta con i prodotti della ricerca scientifica avvalora così i segni, i colori, gli spazi, le raffigurazioni tratti da un metodo condiviso che danno un senso e un’immagine nuova e tematiche rilevanti, promuovendo la cultura medico-legale nel contesto di una sintonia di idee e di ragioni attraverso le osmosi delle culture, delle scienze e delle buone politiche.

Mi limiterò a ricordare alcuni aspetti che da un lato documentano l’attenzione giurisprudenziale alla medicina legale, dall’altro l’impegno della medicina legale per una più sensibile giurisprudenza.

L’uomo e il diritto - La pressione dottrinaria, di ispirazione prevalentemente psichiatrico- forense, ha sempre di più influenzato la speculazione giuridica, la legislazione e la giurisprudenza trasfondendovi ad una tradizione di pensiero e di dottrina che viene da lontano e che ha fortemente umanizzato il diritto. E qui mi piace riferirmi unicamente alla recente previsione civilistica (legge 9 gennaio 2004 n. 6 e nuovo art. 404 c.c.) della amministrazione di sostegno cui il convinto consenso e il persuasivo auspicio medico-

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18 legale hanno dato un respiro e un senso anche nell’ambito della tutela della autonomia e delle dignità del cittadino ammalato, turbato nella coscienza e comunque giuridicamente non competente, ove la desistenza terapeutica può attingere una accezione condivisa dal giudice e liberata dalle tante insidie fatalmente correlate al solitario dubbio del medico e alla emotività parentale. Come afferma Montanari Vergallo, citando ampia giurisprudenza di merito e la Cassazione civile conferma nella sentenza Englaro «è possibile dare una adeguata copertura legale, anche in via d’urgenza (ex art. 45, co. 4 c.c.) ad un intervento terapeutico a favore di qualsiasi persona non in grado liberamente di esprimere il suo consenso, ben al di là del possibile campo di applicazione degli artt. 51 e 54 c.p. e al di fuori della assai opinabile applicazione della teoria della adeguatezza sociale» (Montanari Vergallo G.:

Il rapporto medico-paziente, Cedam, Padova, 2008).

Il danno biologico - È questa la categoria medico-legale che ha fatto registrare una continua osmosi dottrinaria e valutativa. La maturazione, anche in giurisprudenza del concetto di malattia nel corpo e nella mente, intesa nella sua dinamica funzione, in definitiva conforme alla definizione di salute dell’O.M.S., ha influenzato fortemente la giurisprudenza civilistica dapprima con le “sentenze alternative” di merito (Tribunale di

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19 Genova, ad es.) imponendosi poi, in virtù di una magistrale definizione del danno alla salute, legittimata ripetutamente dalla Corte Costituzionale, accolta dalla prevalente giurisprudenza e riempita di contenuti biologici dal puntuale contrappunto della medicina legali italiana. Essa ha elaborato contributi decisivi e stimolato la cultura tabellare, contribuendo alla estensione della nuova dimensione personalistica del danno alla radicale trasformazione del sistema assicurativo sociale e, in qualche misura, privato. È questo un processo in atto che si sviluppa anche in ambito normativo e che vieppiù considera le espressioni dinamico-relazionali della compromissione biologica, proiettandola nel panorama personale della esistenza (Corte Costituzionale, Cassazione civile) con una costante presenza medico-legale talvolta eccessivamente entusiastica.

L’autonomia del paziente - Può sembrare assolutamente ripetitivo considerare il richiamo della medicina legale e della deontologia medica al monito costituzionale della “libertà”

del cittadino di affidarsi (o meno) alla cura medica (non resa cogente da specifiche norme). L’equilibrio della dottrina m.l. trasfusa nel Codice di Deontologia medica, ispirato anche alla riforma sanitaria del 1978 (art. 1) ha influenzato fortemente la giurisprudenza da circa un ventennio. Il primo decisivo intervento del 1992 (caso Massimo) ne ha dato una prima lettura poi temperata nelle sue asprezze, dando al medico una funzione decisiva, come garante non solo della salute e della vita, ma

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20 anche della dignità e della libertà della persona. L’orientamento giurisprudenziale più recente ha infatti conferito un serio e sereno significato al consenso informato, che da un lato si apre a situazioni ancora controverse (accanimento terapeutico, testamento biologico, medicina alternativa) dall’altro sottolinea la necessaria e non rifiutabile responsabilità (eticamente intesa) del medico tra posizione di garanzia e autonomia professionale. Fondamentali sono le sentenze di Cass. pen. del 21 aprile 1992, n. 63, Massimo; sez. II 9 maggio 201, n. 520, Barese, sez. I, n. 2659, Volterrani; sez. IV 21 ottobre 203, n. 38852. Per una sintesi dei temi v. da ultimo Cass. Civ. 16 ottobre 2007, n. 21748, sul caso Englaro.

Si afferma per contro che «le deroghe indispensabili (?) nel processo della informazione e in quello successivo del consenso» sarebbero di dominanza tale da escludere la valenza dogmatica non «ammissibile, quanto meno nei casi che richiedono trattamenti gravosi e pericolosi, che il consenso sia affidato ai soli genitori, congiunti, tutori, curatori, amministratori di sostegno e nemmeno ai giudici, essendo in gioco beni primari indispensabili costituzionalmente protetti, come la salute e la vita, circa i quali le decisioni mediche non sono in linea di principio delegabili ad altre persone».

Naturalmente è questa una materia che dovrebbe rimanere “estranea” alla consulenza medico-legale in tema di responsabilità penale, ma resta la doverosità di informare e di rispettare la autonomia del paziente, cui non solo la Costituzione (art. 52) ma anche il

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21 Codice civile danno essenzialmente credito. È una doverosità oggettiva, da affrontare in maniera assolutamente rispettosa dell’altrui autonomia completamente espressa e legittimamente rappresentata, in una armonia di valori laicamente intesi, ove laicamente significa conformemente ai principi fondanti di uno stato di diritto.

La causalità materiale - È un altro tipico terreno d’incontro (e di scontro) sul quale si è sviluppata e si sviluppa la sfida della giurisprudenza ad una medicina legale, sempre più chiamata a fornire le “evidenze” necessarie alla affermazione di un rapporto di

“certezza” tra fattore causale ed evento in un compito che il giudice deve far proprio per soluzioni decisionali “immuni” da ogni ragionevole dubbio: un punto di arrivo che ha condotta a soluzioni acquietanti: in ambito penale la certezza processuale di ragionevolezza in campo civilistico. Si tratta di un percorso complesso che tende a fortemente indirizzare in senso “scientifico” la consulenza medico-legale, particolarmente mobilitata nella ricerca del rapporto causale nell’ambito dei reati omissivi e in particolare della responsabilità professionale del medico (La messe dei contributi medico-legali e giurisprudenziali è troppo nota per essere ancora una volta riportata. Mi piace peraltro ricordare la estensione di tale orientamento alla causalità nelle malattie professionali. Cfr. Cass., sez. lavoro, 5 settembre 2000, n. 19047 con mio comento su Riv. it. Med. leg. 30, 2008, p. 348).

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22 Si tratta di alcuni “aspetti” esemplificativi dei tanti nei quali il confronto è stato fertile, come, ad esempio, per la problematica delle malattie professionali, del trattamento indennitario dei danneggiati da emotrasfusione, delle medicine non convenzionali ecc., per le questioni proprie della tutela della privacy .. e altro ancora … tanto che ne sarebbe utile un completo inventario.

V) Un pensiero che raccogliesse antiche e recenti riflessioni potrebbe a questo punto avventurarsi verso previsioni e auspici che solo in piccola parte (e indirettamente) riguardano la medicina legale, così come essa si è sviluppata nel nostro Paese ma che investono l’universo politico e trovano idoneo riscontro nella filosofia della scienza e del diritto. La Medicina legale è scienza applicata al Diritto, anche se è in qualche misura un tramite tra due espressioni essenziali della Società; ma resta e deve pur sempre restare una disciplina biologica, finalizzata ma non vassalla, non ancella ma ausiliare della Giurisprudenza, fieramente consapevole di un ruolo che non può tuttavia essere servile perché addirittura essenziale se vissuto con grande dignità scientifica e senza le troppe enfasi autoreferenziali e medianiche dell’oggi; deve vivere come specifica

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23 cultura, che, conoscendo i percorsi e le ragioni legali, ne sappia intendere e, se necessario, correggere la complessa segnaletica.

Viene pertanto raccomandato alla dottrina medico-legale di raccogliere criticamente i messaggi giudiziari, discutendone la reale compatibilità deontologica e pratica, così come è avvenuto del tutto recentemente per il ritorno nella Cassazione civile «alla affermazione della obbligazione di risultato» (Cass. Civ., sez. III, 13 aprile 2007, n.

882): il che peraltro affida alla nostra cultura più che la sterile minaccia della medicina difensiva, una più esatta cognizione dei profili giuridici in cui la decisione s’inquadra (nella specie: la responsabilità contrattuale) ricordando fermamente (e non ottimisticamente) che è vano qualsiasi vagheggiamento d’onnipotenza della medicina.

Anche nel contrasto delle idee, resta la essenzialità di un dialogo interno alla nostra disciplina ma soprattutto idoneo a sostenere o correggere o umanizzare il diritto. E non è compito utopistico!

L’obiettivo di una compenetrazione culturale, ancora lontano, è tuttavia ineludibile nella misura in cui il cosiddetto diritto vivente sempre più intensamente si sviluppa prima e spesso assai meglio della norma. Per esso gli apporti medico-legali costituiscono un insostituibile sostegno, duttile e dinamico, una voce insistente sulla essenza stessa dei

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24 valori e dei diritti umani, a loro volta tributari della biologia, condizione prima dell’uomo in sè medesimo e nella società. I tempi della norma, se ispirata alle necessarie garanzie della democrazia, non possono del resto essere velocizzati in frenetica corrispondenza alle complementari ansie di conoscenza e di giustizia. E questo principio che vale per ogni ambito scientifico, non può non applicarsi alla Medicina forense, che, nella legittima offerta di privilegiata consulenza, rivendica il suo congeniale ruolo lungo i difficili percorsi della Giustizia.

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