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La riforma del giudizio di Cassazione e la sua applicabilità al processo tributario - Judicium

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1 ANTONIO MERONE

La riforma del giudizio di Cassazione e la sua applicabilità al processo tributario

SOMMARIO: 1. La riforma del giudizio di cassazione attuata con l’art. 54 del c.d. decreto crescita. – 2. La riforma dell’appello: inapplicabilità al processo tributario. – 3. Le nuove disposizioni in materia di ricorso per cassazione: ricorso per saltum, “doppia conforme” e riforma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – 4. La estensione della riforma del ricorso per cassazione alle cause tributarie. – 5. I limitati effetti della riforma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.

1. La riforma del giudizio di cassazione attuata con l’art. 54 del c.d. decreto crescita.

L’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni in legge 7 agosto 2012, n.

134, sotto il titolo “Appello”, reca disposizioni che riguardano, oltre l’appello, anche il ricorso per cassazione.

In tema di ricorso per cassazione, che è quello che interessa trattare in questa sede, il legislatore della recente riforma

- ha riscritto il n. 5 dell’art. 360 (v. comma 1, lett. b) del citato art. 54);

- ha ampliato le ipotesi di ricorso per saltum;

- ha introdotto un requisito di ammissibilità del ricorso stesso quando si intenda denunciare l’errore del giudice consistente nell’“omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.”

In particolare, l’art. 54 cit. ha operato su un doppio fronte, in quanto ha riformato il ricorso per cassazione ex se, oltre che in dipendenza della riforma dell’appello.

A. Le riforme autonome del ricorso per cassazione, che non sono collegate alla nuova disciplina dell’appello, sono le seguenti:

a) scompare dall’elenco dei mezzi di ricorso per cassazione il motivo dell’ “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, sostituito dalla possibilità di proporre ricorso soltanto “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (art. 54, comma 1, lett. b);

b) il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell’art. 360 c.p.c., quando la sentenza di appello impugnata abbia confermato la decisione di primo grado, c.d. doppia conforme (v. combinato disposto di commi 4° e 5° dell’art. 348 ter, c.p.c., aggiunto dall’art. 54 cit., comma 1, lett. a).

B. Sono invece direttamente connesse alla riforma dell’appello le seguenti innovazioni:

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2 a) diretta ricorribilità per cassazione (per saltum) delle sentenze di primo grado impugnate con appello dichiarato inammissibile (v. comma 3° dell’art. 348 ter c.p.c., aggiunto dall’art. 54 cit., comma 1, lett. a)1;

b) limitazione del ricorso per cassazione per saltum, di cui alla precedente lett. a), quando l’ordinanza di inammissibilità dell’appello sia “fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata”; in tal caso il ricorso per cassazione, avverso la sentenza di primo grado “può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell’art. 360” (v. comma 4° dell’art.

348 ter c.p.c.) e, quindi, non per l’“omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

Le disposizioni contenute nell’art. 54, però, come stabilisce il comma 3 bis del d.l. 83/2012, aggiunto dalla legge di conversione, “non si applicano al processo tributario di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”. Ed è questo il punto sul quale intendiamo riflettere, perché la disposizione citata appare inutile in relazione alla riforma generale dell’appello (lex posterior generalis non derogat priori speciali)2 e fuorviante in relazione alla riforma del ricorso per cassazione (lex plus dixit, quam voluit).

Per comprendere quale sia la reale portata di questa norma limitativa, cioè per comprendere che cosa si applica della riforma e che cosa non si applica al processo tributario, occorre esaminare, seppure sinteticamente, l’intero contenuto dell’art. 54 del d.l. 83/2012, così come modificato dalla legge di conversione, e metterlo a confronto con la speciale disciplina del processo dinanzi alle commissioni tributarie, al fine di verificare, appunto, se, ed entro quali limiti, le innovazioni in esame siano rilevanti rispetto alla particolare struttura del rito tributario; struttura che non è totalmente sovrapponibile a quella del processo civile ordinario. Infatti, soltanto alcune delle norme del c.p.c. sono applicabili al processo tributario: ne deriva che se, come pare, la novella in esame incide su disposizioni che non sono applicabili al processo tributario di merito, la riforma resta totalmente estranea al contenzioso fiscale.

2. La riforma dell’appello: inapplicabilità al processo tributario.

La riforma del 2012 detta nuove regole in tema di forma e contenuto dell’appello, restrizione del regime probatorio, inammissibilità dell’appello e ricorso per cassazione. Tali regole vanno ricordate per verificarne la esportabilità nel rito tributario.

1 Si discute se i motivi di ricorso per cassazione possano prescindere dai motivi posti a base dell’appello, atteso che il legislatore della legge di conversione ha espunto dal testo del d.l. l’inciso che precisava che il ricorso poteva essere proposto “nei limiti dei motivi specifici esposti con l’atto di appello”. Si discute, inoltre, se l’ordinanza di inammissibilità sia ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost. (ricorso straordinario), considerando che trattasi di ordinanza e non di sentenza (anche se il nome non impegna l’interprete) e che comunque la sentenza, in relazione alla quale l’appello è stato dichiarato inammissibile, è comunque ricorribile ex art. 360 c.p.c.

2 Oltre che per il rapporto tra norme generali successive e norme speciali antecedenti, la inapplicabilità della riforma al processo tributario deriva anche dal fatto che le norme riformate già non si applicavano al contenzioso fiscale.

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3 a) La forma e il contenuto dell’appello. L’art. 342 c.p.c.3, riformato in forza del comma 1, lett.

0a), dell’art. 54 in esame, dispone che l’appello deve essere “motivato” e deve indicare, a pena di inammissibilità:

- le parti del provvedimento che si intende appellare;

- le modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;

- le circostanze da cui deriva la violazione della legge;

- la rilevanza di tali circostanze di fatto e di diritto, ai fini della decisione impugnata;

La riforma sembra ispirata al principio dell’ “autosufficienza” delle impugnazioni, allo scopo di rendere più agevole e snello l’esame preliminare dell’atto di appello, nell’ambito del giudizio di ammissibilità, introdotto dall’art. 348 bis c.p.c. Filtro ed autosufficienza delle impugnazioni è una dicotomia che il legislatore sembra voglia consolidare come strumento di accelerazione del giudizio, non più limitata alla sola fase del giudizio di legittimità.

Su questo punto, la riforma non può riguardare il processo tributario, perché, in questo tipo di processo, l’atto di appello è appositamente e specificamente disciplinato dall’art. 53 del d.lgs.

546/19924. Quindi, anche in assenza della espressa limitazione di cui al comma 3 bis dell’art. 54 in esame, la riforma stessa non avrebbe avuto effetti sul processo tributario, ostandovi il principio di specialità e del primato, nel giudizio di merito, delle disposizioni che disciplinano questa particolare giurisdizione (v. artt. 1, comma 2, e 615 d.lgs. 546/1992). In realtà, il legislatore non si è posto, e

3 Il nuovo testo dell’art. 342, Forma dell'appello, è così formulato: “L'appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte dall'articolo 163. L'appello deve essere motivato. La motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilità:

1) l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;

2) l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di quelli previsti dall'articolo 163-bis”.

4 L’art. 53, Forma dell'appello, recita: “1. Il ricorso in appello contiene l'indicazione della commissione tributaria a cui è diretto, dell'appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, l'esposizione sommaria dei fatti, l'oggetto della domanda ed i motivi specifici dell'impugnazione. Il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati o se non è sottoscritto a norma dell'art. 18, comma 3.

2. Il ricorso in appello è proposto nelle forme di cui all'art. 20, commi 1 e 2, nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado e deve essere depositato a norma dell'art. 22, commi 1, 2 e 3./3. Subito dopo il deposito del ricorso in appello, la segreteria della commissione tributaria regionale chiede alla segreteria della commissione provinciale la trasmissione del fascicolo del processo, che deve contenere copia autentica della sentenza”.

V. anche l’art. 20, commi 1 e 2, Proposizione del ricorso. “1. Il ricorso è proposto mediante notifica a norma dei commi 2 e 3 del precedente art. 16.

2. La spedizione del ricorso a mezzo posta dev'essere fatta in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento. In tal caso il ricorso s'intende proposto al momento della spedizione nelle forme sopra indicate”.

5 L’art. 61, Norme applicabili, recita: “1. Nel procedimento d'appello si osservano in quanto applicabili le norme dettate per il procedimento di primo grado, se non sono incompatibili con le disposizioni della presente sezione.”;

L’art. 1, comma 2, Gli organi della giurisdizione tributaria, stabilisce a sua volta che “2. I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile.”

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4 non aveva motivo di porsi, il problema (sotteso alla riforma in esame) della accelerazione dei processi tributari di merito, la cui definizione, notoriamente, avviene in tempi abbastanza rapidi.

b) Le restrizioni in tema di produzione di nuovi mezzi di prova e di documenti in appello. L’art.

345, terzo comma, c.p.c., riformato dall’articolo 54 in esame (punto 1a), limita l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova in appello al solo caso in cui “la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli prima”. E’ venuto meno il potere del collegio di ammettere nuovi mezzi di prova ritenuti indispensabili ai fini della decisione della causa.

Anche questa innovazione non incide sul processo tributario. Non per la espressa limitazione prevista dal comma 3 bis, dell’art. 54, ma perché il processo tributario di appello, in materia di prove, è disciplinato da una disposizione speciale. Infatti, in forza dell’art. 58 (Nuove prove in appello) del d.lgs. 546/1992, il giudice tributario (che peraltro gode degli stessi poteri istruttori degli uffici, ex art. 7 d.lgs. 546/1992) può sempre disporre nuove prove che ritenga “necessarie ai fini della decisione” (art. 57, comma 1) e le parti hanno sempre facoltà “di produrre nuovi documenti” (art. 57, comma 2). Per modificare la disciplina delle prove nel processo tributario, il legislatore avrebbe dovuto modificare espressamente gli artt. 58 e 7 del d.lgs. 546/1992, che dettano disposizioni speciali, in considerazione della specialità del rito e della materia tributaria che involge sempre interessi di rilevanza pubblica. In mancanza di una espressa indicazione legislativa di segno contrario, lex posterior generalis non derogat priori speciali. Forse il legislatore temeva che l’interprete potesse dimenticare il citato principio ed ha preferito ribadirlo, con una precisazione non necessaria e perciò fonte di equivoci.

c) La inammissibilità dell’appello (c.d. filtro). Il nuovo art. 348 bis c.p.c. (punto a, dell’art. 54) ha introdotto il c.d. filtro al giudizio di appello, basato su una sommaria valutazione ex ante dell’esito della controversia. La norma stabilisce che in caso di prognosi negativa sul merito del giudizio (vale a dire, quando l’impugnazione “non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”) l’appello deve essere dichiarato inammissibile. A meno che l’appello stesso non debba essere deciso con sentenza che lo dichiara inammissibile (ad es. per scadenza del termine per impugnare) o improcedibile (ad es. per mancata costituzione o comparizione dell’appellante, ex art.

348 c.p.c.).

Il compito dell’interprete è quello di chiarire quali sono i criteri in base ai quali dovrà essere formulata la prognosi. Il legislatore ha tentato di dare un contenuto positivo alla formula corrente della “manifesta infondatezza”. Questa, però, esclude in maniera assoluta la possibilità di un esito favorevole della impugnazione, mentre invece la ragionevole probabilità (che evoca la formula penale dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”) è un concetto non assoluto, in quanto implica la necessità di una linea argomentativa che vede perdente, ma soltanto sulla base di una “ragionevole probabilità”, le tesi dell’appellante. “Manifesta infondatezza” e “non ragionevole probabilità di accoglimento dell’impugnazione” non sembrano concetti sovrapponibili: il primo è basato sul principio dell’ evidenza, il secondo invece presuppone una “prova di resistenza del dubbio”, nel senso che occorre dimostrare che la probabilità di accoglimento dell’appello (probabilità insita in ogni giudizio) non è ragionevole. Id est, il giudice è chiamato a spiegare perché vi è uno

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5 sbilanciamento delle probabilità di segno negativo per colui che propone l’appello. Il tema però esula dall’odierna trattazione perché non interessa il processo tributario.

Le disposizioni sul filtro in appello, infatti, non sempre trovano applicazione: non si applicano, per espressa indicazione del secondo comma del nuovo art. 348 bis, c.p.c., all’appello proposto nelle cause che prevedono l’intervento del P.M. (art. 348 bis, comma 2, lett. a), per la particolare rilevanza sociale della materia (ad es. stato e capacità delle persone) e all’appello proposto avverso le ordinanze che decidono le cause trattate con procedimento sommario di cognizione (art. 348 bis, secondo comma lett. b), per non sacrificare ulteriormente il procedimento di cognizione della causa, la cui trattazione è già contenuta in limiti temporali ristretti.6 Ma non si applicano nemmeno al processo tributario. Non perché lo sancisce espressamente il comma 3 bis dell’art. 54 del decreto sviluppo, ma perché tutto l’insieme normativo interessato dalla riforma non trova applicazione nel processo tributario. L’art. 49, comma 1, del d.lgs. 546/1992, in apertura del capo III, su Le impugnazioni in generale, chiarisce quali sono le Disposizioni generali applicabili del codice di procedura civile. La norma dispone che “Alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II, del c.p.c., escluso l’art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto”. Il rinvio al codice di procedura civile riguarda soltanto la disciplina generale delle impugnazioni, contenuta negli articoli che vanno dal 323 a 338 c.p.c., con l’esclusione dell’art. 337. Quindi, il legislatore del contenzioso tributario, nel disciplinare il processo dinanzi alle commissioni tributarie, non ha richiamato gli articoli del codice di procedura civile successivi al 338, con la conseguenza che anche la riforma di questi rimane estranea alla speciale giurisdizione.

d) Le regole procedurali. Alcune regole procedurali, fissate nel nuovo art. 348 ter c.p.c., completano soltanto il quadro della riforma e quindi non possono incidere in alcun modo sulla disciplina giuridica del processo tributario, per le ragioni già esposte.7

In definitiva, nessuna delle innovazioni introdotte in tema di appello nel processo civile influisce sulla disciplina dell’appello nel processo tributario.

3. Le nuove disposizioni in materia di ricorso per cassazione: ricorso per saltum, “doppia conforme” e riforma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c .

6 E’ stato osservato che l’esclusione avrebbe anche lo scopo di incentivare il ricorso al procedimento sommario (CAPONI, La riforma dei mezzi di impugnazione, p. 2 del testo della relazione svolta a Roma l’8 novembre 2012, nell’Aula Magna della Corte di cassazione, nell’ambito del convegno “Il nuovo giudizio di cassazione dopo la legge n.

134 del 2012”), processo sommario che però, come è noto, è estraneo al contenzioso tributario.

7In forza dell’art. 348 ter, all’udienza di trattazione (art. 350 c.p.c.) il giudice, prima di procedere alla trattazione del merito, se non vi sono altre cause di inammissibilità o improcedibilità da dichiarare con sentenza, e ritiene di dover formulare una prognosi infausta per l’appellante (in quanto ritiene che non vi sia una ragionevole probabilità che l’appello venga accolto) decide con “ordinanza succintamente motivata, anche mediante rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa ed il riferimento a precedenti conformi” (motivazione per relationem), anche sulle spese ex art. 91 c.p.c. (art. 348 ter, primo comma), sempre che tale ordinanza di inammissibilità definisca tutta la causa, comprese eventuali impugnazioni incidentali, trattandosi di rimedio che si giustifica soltanto se pone termine all’intero processo; altrimenti si procede con la trattazione (art. 348 ter, secondo comma).

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6 Tornando al tema specifico del ricorso per cassazione, l’intervento del legislatore si è sviluppato lungo tre direttrici, in parte, come già detto, come complemento della riforma dell’appello ed in parte in maniera autonoma. I tre diversi aspetti vanno ora distintamente esaminati per verificare, anche in questo caso, se ed entro quali limiti tali novità incidono sulla disciplina del ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie. E’ evidente che le innovazioni connesse alla riforma dell’appello non possono incidere sulla disciplina del ricorso per cassazione per cause tributarie, perché non possono verificarsi le condizioni presupposte (ricorso per saltum avverso la sentenza di primo grado il cui appello sia stato dichiarato inammissibile ed eventuale impugnazione dell’ordinanza di inammissibilità). Riteniamo invece che le altre innovazioni si estendono al giudizio di cassazione disciplinato esclusivamente dalle norme del codice di rito, in forza del rinvio disposto dall’art. 62 del d.lgs. 546/1992, senza distinzione tra cause tributarie ed altre cause.

a) La prima direttrice di riforma del ricorso per cassazione è strettamente connessa alla riforma dell’appello e riguarda l’ampliamento dei casi nei quali può essere proposto ricorso per saltum in cassazione.

Come è noto, l’art. 360 secondo comma, c.p.c., prevede che può “essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale, se le parti sono d'accordo per omettere l'appello; ma in tale caso l'impugnazione può proporsi soltanto a norma del primo comma, n. 3”.

Accanto a questa ipotesi di ricorso diretto al giudice di legittimità, la riforma in esame ha previsto un nuovo caso in cui il ricorso per cassazione può essere proposto direttamente contro il provvedimento di primo grado. Infatti, il terzo comma dell’art. 348 ter, c.p.c., introdotto dalla riforma, stabilisce che “Quando è pronunciata l'inammissibilità, contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell'articolo 360, ricorso per cassazione”.8 Si tratta di una norma che avrebbe potuto trovare una più corretta collocazione sistematica dopo il secondo comma dell’art. 360 c.p.c. che disciplina l’altra ipotesi di ricorso per saltum. A differenza del ricorso su accordo delle parti, che può essere proposto soltanto a norma del n. 3 del primo comma dell’art.

360, il ricorso diretto consentito per effetto della inammissibilità dell’appello, può essere proposto per tutti i motivi elencati nel primo comma dello stesso art. 360. A meno che l'inammissibilità non sia fondata “sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata”, nel qual caso il ricorso può essere proposto per i soli motivi di cui ai numeri da 1 a 4 dell’art. 360, primo comma.9

Non ci soffermiamo sui vari problemi posti da questo segmento della riforma - come ad esempio quello della impugnabilità dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello, ai sensi dell’art.

111, settimo comma, Cost., nel caso in cui non venga proposto il ricorso avverso la decisione di

8 La stessa norma chiarisce che “In tal caso il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell'ordinanza che dichiara l'inammissibilità. Si applica l'articolo 327, in quanto compatibile.”

9 Il quarto comma dell’art. 348 ter, c.p.c., dispone infatti che “Quando l'inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell'articolo 360”.

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7 primo grado - perché si tratta di questioni che attengono alla interpretazione di norme inapplicabili al processo tributario.

b) La seconda innovazione, in tema di ricorso per cassazione, è invece indipendente dalla riforma dell’appello e introduce una condizione negativa, di carattere generale, di ammissibilità del ricorso per cassazione, nei casi in cui l’impugnazione venga proposta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., così come riformato dalla novella in esame. Si tratta di una condizione (insussistenza della doppia conforme di merito) la cui ratio non ha nulla a che vedere con la materia oggetto di ricorso. Il giudizio di legittimità segue sempre le stesse regole e una eventuale sua restrizione ratione materiae, come si dirà, appare difficile da giustificare.

In forza del quinto comma dell’art. 348 ter, c.p.c., aggiunto dall’art. 54, comma 1, lett. a), d.l.

83/2012, il ricorso per cassazione “avverso la sentenze di appello che conferma la decisione di primo grado”, può essere ora proposto “esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3), e 4) del primo comma dell’art. 360” c.p.c. Ne deriva che la doppia decisione di merito conforme, costituisce ostacolo (motivo di inammissibilità) al ricorso per cassazione con il quale si voglia denunciare che il giudice ha omesso di esaminare “un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

E’ stato osservato che la conclusione aberrante, derivante da questa limitazione, è che se i giudici di entrambi i gradi del giudizio di merito omettono di esaminare un fatto decisivo e controverso, non v’è più rimedio. Vale a dire, il doppio errore omissivo rende l’errore stesso definitivo ed irrevocabile (una sorta di giudicato interno da bis in idem)10. Tuttavia, se non è possibile proporre il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, c.p.c., in quanto il reiterato vizio di omesso esame dei fatti deve ritenersi estromesso dal sistema di controllo tracciato dalla disposizione codicistica, e se si esclude, come deve escludersi, che possa trovare spazio l’impugnazione per revocazione,11si può ipotizzare che la rimozione della doppia omissione possa essere tentata mediante ricorso straordinario da proporre ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost.12

- per violazione dell’ art. 112 (Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato) c.p.c., quando il fatto non esaminato costituisce il fondamento del diritto fatto valere in

10 V. SASSANI, Riflessioni sulla motivazione della sentenza e sulla (in)controllabilità in cassazione, p. 24 testo provvisorio, il quale rileva come il perseverare nell’errore si trasforma da diabolico a salvifico.

11 Ad una prima lettura, il caso dell’ omesso esame di un fatto decisivo che sia stato “oggetto di discussione tra le parti”

non sembra che possa essere riportato alla ipotesi del vizio revocatorio di cui al n. 4 dell’art. 395, perché tale vizio ricorre, al contrario, soltanto se il fatto erroneamente ritenuto esistente o inesistente, sia un “fatto [che] non costituì un punto controverso”.

12 In dottrina vi è chi non vede ostacoli alla proposizione del ricorso anche ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. Così BOVE, Ancora sul controllo della motivazione in cassazione, p. 3 del testo della relazione svolta in occasione dell’incontro di studio tenutosi a Firenze il 12 aprile 2013, sul tema “Le novità in materia di impugnazioni”, organizzato dall’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civili. L’ A., però, esclude che l’messo esame del fatto decisivo possa essere denunciato per violazione dell’art. 112 c.p.c. (v. p. 4).

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8 giudizio o il fondamento dell’eccezione contrapposta alla domanda, secondo lo schema tracciato dall’art. 2697, c.c.(omesso esame di fatti principali o sostanziali);

- per violazione degli artt. 115 (Disponibilità delle prove) e/o 116 (Valutazione delle prove) c.p.c., quando il giudice omette di valutare o porre a fondamento della decisione una prova decisiva e controversa, come, ad esempio, un documento risolutore che sia stato oggetto di discussione tra le parti (omesso esame di fatti secondari o processuali).13

Questa seconda innovazione prescinde totalmente dalla disciplina della riforma dell’appello, alla quale è collegata soltanto perché, con tecnica legislativa molto discutibile, il nuovo limite al ricorso per cassazione per motivi di fatto è stato sancito nell’ambito di un articolo di legge che disciplina la Pronuncia sull’inammissibilità dell’appello. Quindi, non vi sono validi motivi perché lo sbarramento, che è di carattere generale, non trovi applicazione anche quando si tratti di ricorrere avverso decisioni delle commissioni tributarie.

Sotto il profilo della tecnica legislativa, la regola in esame, che introduce un motivo di inammissibilità, avrebbe dovuto trovare una più corretta collocazione sistematica nell’ambito dell’art. 360 bis c.p.c., che disciplina appunto le Inammissibilità del ricorso per cassazione, eventualmente mediante l’aggiunta di un nuovo numero o comma. Nella sostanza, resta il fatto che la norma in esame attiene ai requisiti di ammissibilità del ricorso per cassazione (anche se riferito ad un motivo specifico14) e quindi alla disciplina ordinaria del ricorso per cassazione, che non conosce riti speciali e riguarda tutte le materie soggette al giudizio di legittimità, compresa la materia fiscale.15

c) Anche la terza innovazione, in materia di ricorso per cassazione, non ha alcun collegamento con la riforma dell’appello ma attiene alla disciplina generale del controllo di legittimità sulle decisioni dei giudici di merito, quale che sia la materia del contendere. Si tratta della “nuova” (ma in realtà è un ritorno alla vecchia) formulazione del n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. La lett. b) del comma 1 dell’art. 54 del d.l. 83/2012, ha disposto che “all'articolo 360, primo comma, è apportata la seguente modificazione: il numero 5) è sostituito dal seguente: «5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.»”. Quindi, il nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, è ora così formulato: “Le sentenze pronunciate in grado d’ appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione …5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”

13 Una autorevole dottrina evidenzia che vi sono ben quattro livelli dei fatti sui quali il giudice costruisce la decisione (v. M. TARUFFO, La semplice verità. Il giudice e la costruzione dei fatti, Bari 2009, p. 206 seg.), per cui l’impatto della riforma andrebbe verificato in relazione a ciascuno di questi livelli.

14Si tratta, però, di un motivo fondamentale ai fini della definizione dei limiti tra giudizio di legittimità e giudizio di merito.

15 “La disposizione ha introdotto un nuovo requisito di inammissibilità del ricorso fondato sull’art. 360, n. 5, c.p.c.: il motivo non è proponibile se il primo ed il secondo giudice hanno condiviso le valutazioni di fatto. Per superare l’ostacolo, il ricorrente deve dimostrare che il provvedimento impugnato non si fonda sulle stesse ragioni di fatto poste a base della decisione appellata” (G. COSTANTINO, Gli effetti sul giudizio di cassazione della riforma dell’appello, p.

14 del testo della relazione svolta a Roma l’8 novembre 2012, nell’Aula Magna della Corte di cassazione, nell’ambito del convegno “Il nuovo giudizio di cassazione dopo la legge n. 134 del 2012”).

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9 Si tratta, come è noto, del terzo rimaneggiamento del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. che ci riporta (quasi) alla formula presente nel testo originario del codice di rito.

Con la riforma del 1950 (art. 30 del d. lgs. 5 maggio 1948, n. 483, e art. 42 della legge di ratifica 14 luglio 1950, n. 581), l’originario testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., che prevedeva il ricorso per cassazione “ per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, è stato sostituito nel senso che il ricorso, dopo quella prima riforma, poteva essere proposto “per insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio”. Questa formulazione è rimasta in vigore fino al 2006, quando, in forza dell’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, il n. 5 dell’art. 360 è stato nuovamente sostituito, a decorrere dal 2 marzo 2006. La riforma del 2006 ha inteso chiarire che il vizio di motivazione, impugnabile ai sensi del citato n. 5, è soltanto quello che attiene alla ricostruzione dei fatti e non anche quello che inficia il percorso di interpretazione del dato normativo (che trova, invece, il suo rimedio nel n. 3 dello stesso art. 360 c.p.c.). Pertanto, il legislatore ha sostituito il testo che faceva riferimento al vizio di motivazione su “punti” decisivi della controversia (formula che, appunto, evocava, erroneamente, la possibilità di censurare anche il vizio di motivazione attinente al momento della interpretazione delle norme), con il testo, rimasto in vigore fino alla riforma del 2012, il quale chiariva che il vizio di motivazione censurabile in cassazione era soltanto quello avente ad oggetto i “fatti” decisivi della controversia.16.

Oggi, dopo la riforma, attuata con il decreto 83/2012, il ricorso per cassazione, per questioni di fatto, è ammesso soltanto nella ipotesi in cui il giudice abbia omesso l’ esame “circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Il testo attuale, pur costituendo un ritorno al passato – che va necessariamente attualizzato nel quadro del mutato assetto costituzionale che, in tema di giurisdizione, è fondato sul principio del giusto processo17 - si differenzia dal testo originario che consentiva il ricorso soltanto per l’omesso esame “di un fatto decisivo per il giudizio che è stato discusso tra le parti”, e non anche per l’omesso esame di

“circostanze” che si riferiscono ad un fatto decisivo, come sembra suggerire il testo attuale, riscritto con formula più ampia, ma anche meno rigorosa. La nuova formulazione, comunque, consente di proporre ricorso sia nella ipotesi in cui l’omissione riguardi un fatto primario (costitutivo o modificativo della fattispecie oggetto del giudizio secondo il parametro fissato dall’art. 2697 c.c.:

fatti posti a fondamento di un diritto e fatti posti a base di una eccezione), sia nella ipotesi in cui riguardi un fatto secondario, ma comunque decisivo per il giudizio (come i fatti indiziari sui quali vengono costruite le presunzioni, a norma dell’art. 2727 c.c.:si pensi al valore indiziario del tenore

16 La riforma del 2006 ha abolito anche la possibilità di cassare le sentenze per vizio di motivazione rilevabile di ufficio.

Infatti, Il testo vigente fino alla riforma del 2006 consentiva il ricorso “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio”.

17 V. C. DI IASI, Il vizio di motivazione dopo la legge n. 134 del 2012, p. 2 del testo scritto della relazione svolta al Convegno dell’8 novembre 2012, presso l’aula Magna della Corte di cassazione. L’A sottolinea come una riforma che ripropone un testo normativo uguale dopo 70 anni deve essere attualizzato ed inserito nel contesto evoluto dell’ordinamento.

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10 di vita, dei parametri o degli studi di settore in materia tributaria e alla loro rilevanza nella ricostruzione del reddito)18.

La riforma del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., che nelle intenzioni del legislatore dovrebbe portare ad una riduzione delle impugnazioni, secondo alcuni autori, a causa della infelice formulazione,

“sembra abbandonare il terreno del controllo sulla motivazione per varcare quello del riesame del merito.”19 Se così fosse, gli effetti sarebbero opposti a quelli voluti. Tuttavia, la stessa dottrina, rileva che la riforma sembra muoversi nel contesto di un “ragionamento decisorio” e non più “della argomentazione giustificativa della decisione”.20 In questa ottica, gli spazi di ricorribilità potrebbero contrarsi, come conseguenza della evoluzione, in senso restrittivo, dell’obbligo di motivazione. Di questo affievolimento dell’obbligo di motivazione ci sarebbero già stati i segni premonitori nelle precedenti riforme, le quali, però, non hanno mai toccato il processo tributario (v. ultra, sub § 4.3.).

Se è questa la linea di tendenza, si va verso una struttura della motivazione del tipo : “visto a; visto b; ritenuto c; ergo….”. All’interno di una struttura decisionale di questo tipo si può ipotizzare l’omesso esame di un fatto che non evidenzi necessariamente un vizio di motivazione. Se la serie dei fatti “visti” e riversati nel giudizio non è completa, sussiste il presupposto per ricorrere ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5, nella versione riformata, non perché ci sia un salto logico nella motivazione ma perché manca un elemento della ricostruzione del puzzle giudiziario.

Dopo l’ultima riforma, il controllo sulla razionalità del percorso che porta alla decisione, con riferimento al parametro di cui al n. 5 dell’art. 360, non va più effettuato sulla corretta applicazione dei connettivi logici che legano gli enunciati del ragionamento giudiziario (controllo che, però, potrà essere effettuato sulla base di altri parametri21), ma sulla assenza di lacune nella elencazione di tali enunciati. L’oggetto diretto del controllo di legittimità, ai sensi del n. 5, non è più la logica della decisione, ma la completezza della ricostruzione dei fatti. Di qui i timori che il giudizio di legittimità possa sconfinare nel merito. Per cui, c’è da chiedersi se la riforma del n. 5 piuttosto che eliminare il vizio di motivazione dall’elenco dei motivi di ricorso per cassazione (rifluito nel n. 4 dello stesso art. 360 c.p.c.) non ne abbia introdotto uno nuovo. Alla domanda, però, va data risposta negativa (a) perché non era certamente questo l’intento del legislatore e (b) perché anche prima della riforma l’omesso esame del fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti poteva essere censurato, se non come una particolare ipotesi di vizio di motivazione, come falsa applicazione di norma di diritto.

In questa linea si pone la giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale “L’omesso esame di fatto decisivo previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c. è costituito da quel difetto di attività del giudice di merito che si verifica tutte le volte in cui egli abbia trascurato, non la deduzione o l’argomentazione che la parte ritiene rilevante per la sua tesi, ma una circostanza obiettiva acquisita

18 CAPONI, Op. cit., p. 9.

19 Ibidem. Sul punto, v. anche SASSANI, Op. cit., p. 17.

20 CAPONI, Op. loc. cit. V. pure, sulla distinzione tra ragionamento decisorio e argomentazione giustificativa, TARUFFO, ivi cit.

21 Nel complesso, a parte i limiti fissati nel caso del ricorso in fatto avverso una sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado, gli effetti della riforma sull’assetto sistematico dei motivi di ricorso per cassazione si risolvono nello slittamento semantico da un numero ad un altro e sulla conseguente diversa tipizzazione.

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11 alla causa tramite prova scritta od orale, idonea di per sé, qualora fosse stata presa in considerazione a condurre con certezza ad una decisione diversa da quella adottata. Pertanto, ad integrare il predetto difetto occorre [a] non solo che il fatto, sebbene dibattuto tra le parti, sia stato totalmente trascurato dal giudice al pari di quelli non sottoposti ritualmente al suo accertamento, ma anche [b] che il fatto in questione, per la sua diretta inerenza ad uno degli elementi costitutivi, modificativi od estintivi del rapporto in contestazione, sia dotato di una intrinseca valenza, tale da non poter essere tacitamente escluso dal novero delle emergenze processuali decisive per la corretta soluzione della lite, come non si verifica per ogni singolo indizio, segnale od indice critico, il quale per la sua gravità o per la sinergica convergenza con altri elementi indiziari consentirebbe, in ipotesi, al giudice di risalire alla individuazione di un fatto noto”.22

4. La estensione della riforma del ricorso per cassazione alle cause tributarie . Come già è stato ricordato più volte, il comma 3 bis dell’art. 54 del d.l. 83/1012, aggiunto dalla legge di conversione, avverte che “Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”. La norma, per quanto attiene la riforma dell’appello, si è rivelata sostanzialmente superflua. Per il giudizio di cassazione può essere fonte di equivoci.

4.1. La tesi secondo la quale la riforma del n. 5 dell’art. 360, primo comma c.p.c., non riguarda il ricorso avverso le sentenze della CTR. – Secondo alcuni autori, la disposizione citata esclude totalmente l’applicazione della riforma al processo tributario, anche nella fase di legittimità:

le sentenze pubblicate a partire dall’11 settembre 2012 (30 giorni dopo l’entrata in vigore della legge di conversione, pubblicata nella G.U. dell’11 agosto 2012 ed entrata in vigore il giorno successivo), ai fini della corretta utilizzazione del ricorso per cassazione, andrebbero distinte a seconda che siano state pronunciate da una CTR oppure no. Le prime, vale a dire le sentenze pronunciate dai giudici tributari, resterebbero impugnabili “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, tutte le altre sentenze, invece, sarebbero impugnabili secondo il nuovo regime. Il legislatore, dunque, avrebbe lasciato sopravvivere la ricorribilità per vizio di motivazione, secondo la disciplina dettata dall’art.

360, primo comma, n. 5, c.p.c., così come formulato prima della riforma del 2012, soltanto per le cause appartenenti alla giurisdizione tributaria.

A sostegno di questa tesi, sono stati addotti tre argomenti23.

a. Il primo argomento, di tipo letterale, fa leva sul testo del comma 3 bis dell’art. 54, in esame, secondo il quale le disposizioni contenute nello stesso art. 54 “non si applicano al processo tributario di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”. La lettera della legge, secondo

22 Cass. 7000/1993.

23 C.GLENDI, Novità sul ricorso per cassazione nel processo civile (e in quello tributario?), in G.T., fasc. n. 11/2012, pp. 836/837.

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12 questa dottrina, non lascerebbe dubbi sul fatto che anche la riforma del ricorso per cassazione, al pari della riforma dell’appello, non inciderebbe sulla disciplina del processo tributario.24

b. Il secondo argomento, di tipo storico-sostanzialistico, fa leva sulla considerazione che l’introduzione del ricorso ordinario per cassazione nel processo tributario, realizzato con la riforma attuata con d.lgs. 546/1992, avesse proprio lo scopo di superare i limiti del ricorso straordinario ex art. 111 Cost. (consentito solo per violazione di legge e utilizzato in precedenza per impugnare le sentenze della Commissione tributaria centrale), per potere censurare i vizi di motivazione delle sentenze pronunciate da giudici non professionisti. L’estensione al processo tributario del ricorso per cassazione, per tutti i motivi elencati nei numeri da 1 a 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c.

(attraverso il rinvio dell’art. 62, del d.lgs. 546/1992), avrebbe avuto come obiettivo essenziale quello di consentire il controllo di legittimità sulla motivazione delle sentenze dei giudici tributari.

Il controllo di legittimità sulla motivazione sarebbe dunque una sorta di caposaldo di cui il legislatore non potrebbe disporre liberamente. La riforma del 1992/96 del contenzioso tributario, secondo questa dottrina, è stata attuata “ben sapendo che, in precedenza, le Sezioni Unite della Corte di cassazione avevano escluso la deducibilità di tale motivo per tutte le decisioni dei giudici speciali, compresi quelli tributari, ed esprimendo quindi una precisa voluntas legis diretta a far sì che tale motivo fosse per contro deducibile contro tutte le decisioni di secondo grado emesse dai giudici tributari, così da garantire a tutte le parti (contribuente e Fisco) di tale processo uno strumento di garanzia di assoluto rilievo”25.

Questa tesi è stata successivamente ripresa, argomentando che il rinvio mobile operato dall’art.

62 d.lgs. 546/1992 verso la elencazione dei motivi di ricorso per cassazione, in occasione della riforma in esame, sarebbe stato sterilizzato dalla disposizione speciale e posteriore contenuta nell’art. 54, comma 3 bis, del d.l. 83/2012.26 La ratio della deroga è stata individuata, anche in questo caso, nella non professionalità dei giudici tributari che comporta un più elevato rischio di decisioni non sorrette da idonee motivazioni. La non professionalità dei giudici tributari, spesso a digiuno di studi di diritto processuale, determina un maggior “rischio che le decisioni di costoro presentino vizi motivazionali (in particolare di insufficienza o contraddittoria motivazione) rispetto a quelle adottate da magistrati professionali”. Da qui la conclusione che “Il cittadino sarebbe dunque privato di tutela in ambito processuale, se non fosse consentito censurare tali vizi nel giudizio in cassazione, venendo in tal modo menomati il principio costituzionale di uguaglianza, nonché il diritto inviolabile alla difesa e a un giusto processo”.27

A parte quanto si dirà nel paragrafo successivo sul tema del rinvio mobile e sugli altri argomenti spesi a sostegno della specificità del ricorso tributario che legittimerebbe la diversa disciplina del

24 Anche per COSTANTINI, Op. cit., p. 10, l’elemento letterale non consente dubbi sul fatto che la riforma del ricorso per cassazione non riguarderebbe le impugnazioni delle CTR. Qualche autore, pur aderendo a questa linea interpretativa, riconosce la incongruenza della scelta legislativa per la quale la Sezione tributaria della Corte Suprema, a differenza di tutte le altre sezioni, dovrebbe continuare ad applicare le regole previgenti. Così G. FINOCCHIARO, Escluse dalla riforma le cause di natura tributaria, in Guida al dir., 2012, fasc. n. 35, pp. 60/61.

25 GLENDI, Op.loc. cit.

26 V. STEFANO ARTUSO, ROBERTO IAIA e GIOVANNI MOSCHETTI, La specificità dei ricorsi tributari, Il sole 24 ore, 22 aprile 2013, p. 9.

27 Ibidem.

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13 ricorso per cassazione proposto avverso le sentenze delle commissioni tributarie, qui preme evidenziare subito che la tesi prospettata, basata sull’elevato rischio di avere decisioni con motivazioni carenti o contraddittorie, per il fatto che i giudici tributari non hanno una adeguata preparazione di diritto processuale, è errata nei presupposti e nella conclusione. Nei presupposti, perché il fatto che taluni giudici siano ingegneri, geometri, agronomi ecc. non significa che non siano dotati della capacità di argomentare secondo il comune buon senso. La mancanza si studi di diritto processuale può elevare il rischio di errori di diritto (cosa ben diversa dall’errore logico sulla ricostruzione dei fatti) da sempre censurabile in cassazione come violazione di legge. La conclusione, poi, prova troppo. Se è vero che il controllo logico sulla motivazione costituisce un’

imprescindibile caratteristica del giusto processo, allora il rilievo non può riguardare soltanto il processo tributario. Il fatto che in questo tipo di processo il rischio della illogicità sia, in ipotesi, più elevato, non ha alcun rilievo fino a quando non si traduce nella redazione di una sentenza logicamente errata. Se questa deve essere censurata, lo deve essere anche se si tratta di errore statisticamente improbabile; vale a dire, anche se l’errore logico inficia una sentenza pronunciata da un giudice professionale.28 La rilevanza del vizio logico, ai fini del controllo di legittimità, non può essere condizionata da requisiti soggettivi della persona alla quale è imputabile. La scelta legislativa di censurare in sede di legittimità il vizio logico, dipende dal fatto che questo possa inficiare o meno il principio del giusto processo, e non dalla sua frequenza o dalla probabilità che il vizio stesso si verifichi: la irragionevolezza della decisione o, addirittura, l’arbitrio della stessa, merita censura anche quando si tratti di evento assolutamente isolato ed improbabile.29

c. Il terzo argomento è di prospettiva, come viene definito dal suo maggiore sostenitore, il quale auspica un giudizio tributario di legittimità con caratteristiche proprie. La differente disciplina del ricorso per cassazione, che il legislatore del 2012 avrebbe riservato al processo tributario, viene vista come una sorta di anticipazione di un disegno riformatore. “Da tempo si va predicando la necessità di un nuovo assetto ordinamentale, che, accanto alla giurisdizione in materia civile e penale e a quella amministrativa, preveda l’autonoma operatività della giurisdizione tributaria e di un processo tributario, da organizzarsi in tre gradi di giudizio, l’ultimo dei quali da affidare ad una nuova Suprema Corte della giurisdizione tributaria, che sia in gradi di esercitare in apicibus una sua propria funzione nomofilattica, anche tramite l’impiego di Sezioni Unite all’interno di essa”.30

28 Peraltro, come è noto, gli ultimi provvedimenti in materia tendono ad inserire sempre più giudici togati nelle commissioni tributarie.

29 Una autorevole dottrina (SASSANI, Op. cit., p. 26 e s.) si dichiara “favorevole alla forzatura interpretativa della norma che porta alla differenziazione tra materia tributaria e altre materie” in considerazione anche delle peculiarità

“dell’accertamento tributario che vive sul meccanismo dell’inversione dell’onere della prova e, quindi, sulla presunzione legale a favore del fisco”. Secondo l’illustre A., sembra ragionevole lasciare le cose come stanno per questo settore dell’ordinamento: “Diversamente si travolgerebbe del tutto la (già debole diga all’irragionevolezza ed all’arbitrio che caratterizza la gestione quotidiano della c.d. giurisdizione tributaria”(p. 27). Le ragioni del disagio che l’A. denuncia, sono certamente condivisibili, ma vanno tenute in conto de iure condendo. Egli stesso riconosce che l’interpretazione proposta non è una interpretazione de plano, ma frutto di una forzatura, anche se in bonam partem.

30 GLENDI, Op.loc.cit.

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14 4.2. Le ragioni che ostano al recepimento della tesi della specialità del ricorso per cassazione in materia tributaria. – La tesi della specialità del ricorso per cassazione, derivante dalla specificità della materia, pur offrendo motivi di interesse per la sua prospettiva de iure condendo, non sembra destinata a trovare applicazione nella giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, dopo la riforma del 1992/96, il ricorso per cassazione in materia tributaria ha assunto i caratteri della ordinarietà. Per cui, “al ricorso per cassazione avverso le decisioni delle commissioni tributarie ed al relativo procedimento si applicano, ai sensi dell'art. 62, comma secondo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili, tra le quali è compresa, direttamente, quella,[ad esempio] dettata dall'art. 365, la quale impone che il ricorso sia sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un avvocato iscritto nell'apposito albo, munito di procura speciale, e, indirettamente, quella di cui all'art. 82, terzo comma, che prescrive che davanti alla Corte di cassazione le parti stiano in giudizio col ministero di un avvocato iscritto nell'apposito albo, per il necessario fondamento tecnico di quel ricorso, in quanto implicitamente richiamata sia dall'art. 365 cod. proc. civ., che dall'art. 62, comma primo, del d.lgs. n. 546 del 1992, nella parte in cui fa riferimento all'art. 360 cod. proc. civ.”31

Il rinvio operato dall’art. 62 del d.lgs. 546/1992 all’art. 360 c.p.c., in relazione ai motivi che possono essere prospettati con il ricorso in cassazione è un rinvio “dinamico” o “mobile”, in forza del quale le modifiche del testo richiamato devono intendersi recepite anche nel sistema al quale appartiene la norma di rinvio. L’art. 62 si limita a rinviare al c.p.c, sancendo, per la prima volta, l’avvento del ricorso per cassazione “ordinario” (e non più extra ordinem, ai sensi dell’ art. 111 Cost.) all’esito del processo tributario di merito. La norma esaurisce il contenuto della sezione (III) dedicata alla disciplina de Il ricorso per cassazione, perché l’altro articolo che fa parte del medesimo capo, l’art. 63, riguarda il Giudizio di rinvio, e quindi una fase che attiene al processo di merito. In altri termini, tutta la disciplina sul ricorso per cassazione è dettata totalmente dal codice di procedura civile, al quale l’art. 62 d.lgs. 546/92 rinvia, sic et simpliciter, con il solo limite della compatibilità.

In definitiva, il terzo argomento, più che un argomento, è soltanto un auspicio, peraltro condivisibile de iure condendo. L’ipotesi della istituzione di una Corte Suprema Tributaria, come sezione specializzata della Corte di Cassazione, può essere giustificata da varie ragioni.

Innanzitutto, per la peculiarità della giurisdizione tributaria il cui sindacato si estende sia alla legittimità degli atti amministrativi impositivi che alla tutela dei diritti soggettivi dei contribuenti32. Inoltre, si tratta di materia la cui disciplina nazionale risulta sempre più erosa e condizionata dal contesto della normativa europea, e dal fatto che in un futuro, oramai non molto lontano, la materia dovrà essere affidata alla responsabilità di un ministero europeo unico, il quale dovrà essere rappresentato in giudizio. Una sezione specializzata della Corte, istituita ex lege, potrebbe avere competenza sia penale che civile, per prevenire e risolvere contrasti giurisprudenziali che, oggi,

31 Così Cass. 8024/2011. Giurisprudenza analoga si ritrova, tra l’altro, anche in tema di notificazioni.

32 Altri evidenziano la straripante utilizzazione delle presunzioni e dell’inversione dell’onere della prova (SASSANI, Op.cit., p. 26):

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15 nemmeno le sezioni unite (che sono o civili o penali) possono risolvere.33 Nel quadro delle possibili riforme, sarebbe anche da suggerire, come un possibile strumento deflattivo, di ampliare le ipotesi di ricorso per saltum in cassazione, per impugnare le sentenze delle commissioni tributarie provinciali, sulla falsariga di quanto dispone l’art. 360 c.p.c. (prescindendo dalla indisponibilità della materia del contendere) quando la causa possa dare la stura a ricorsi cc.dd. seriali.

Anche l’argomento storico-sostanzialistico non sembra che possa avere una valenza risolutiva.

Il fatto che al ricorso straordinario avverso le sentenze della CTC sia subentrato il ricorso ordinario, secondo la disciplina comune fissata dall’art. 360 c.p.c. è segno della normalizzazione del ricorso per cassazione anche nella materia tributaria e non della sua specialità.

Infine, l’argomento della interpretazione letterale non sembra che giovi alla tesi della sopravvivenza del testo previgente dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per la sola materia tributaria. Il comma 3 bis dell’art. 54 del decreto crescita si limita a stabilire che le disposizioni contenute nello stesso art. 54 non si applicano al processo tributario, così come disciplinato dal d.lgs. 546/1992. Bisogna allora chiedersi quale è il processo tributario disciplinato dal d.lgs.

546/1992. La risposta è che il processo tributario disciplinato dal d.lgs.546/1992 è il processo di merito, il processo che si sviluppa nei due gradi del giudizio di merito regolamentato da norme speciali e solo residualmente dal codice di procedura civile. Il processo tributario nel quale viene esercitata la speciale giurisdizione tributaria è soltanto quello del giudizio di merito. La fase del controllo di legittimità, segue le regole ordinarie dettate dal codice di rito in forza del già ricordato mero rinvio operato dall’art. 62 d.lgs. 546/1992. Proprio questo rinvio sta a significare che la legge sul contenzioso tributario non ha inteso dettare una apposita disciplina sul ricorso per cassazione, ma ha inteso introdurlo nella forma ordinaria prevista dal codice di procedura civile.34

Sul piano della mera interpretazione letterale, è stato osservato che il rinvio operato dall’art. 62, d.lgs. 546/1992, alla disciplina del ricorso per cassazione prevista dal c.p.c., in quanto contenuto nel medesimo d.lgs. 546/1992, ha sostanzialmente introdotto una nuova forma di ricorso per

33E’ noto che molti sono i progetti di riforma del processo tributaria, l’ultimo in ordine di tempo è quello elaborato dal CNL. La riforma prevede l’articolazione del processo tributario in tre gradi di giudizio. I primi due, da espletarsi dinanzi ai tribunali tributari e alle corti d'appello tributarie, quali organi della giurisdizione tributaria derivanti dalle commissioni tributarie provinciali e regionali così come riordinate dall'art. i del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.

545, aventi rispettivamente sede nei capoluoghi di provincia e dì regione. Il terzo, demandato ad apposita Sezione tributaria della Corte di Cassazione, composta da trenta giudici, ripartiti in cinque sottosezioni in ragione della materia, di cui la prima presieduta dal Presidente della Sezione tributaria e le altre da uno dei loro componenti, con l'espressa previsione che il Presidente della Sezione tributaria della Corte di Cassazione può disporre che i ricorsi che presentano questioni di diritto già decise in senso difforme dalle sottosezioni e quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza vengano decise da un Collegio unitariamente composto dai presidenti delle cinque sottosezioni o in loro vece da un componente di ciascuna sottosezione designato dal rispettivo presidente. E’ stato giustamente osservato (CICALA) che di fronte ad una riforma del genere non sarebbe più sostenibile la tesi della estensione automatica, anche al processo tributario di legittimità, di una riforma di carattere generale del ricorso per cassazione, come quella in esame.

34 Anche la dottrina che auspica la differenziazione del giudizio di legittimità, in tema di controllo della motivazione, riconosce che “il vero processo tributario si arresta infatti con la sentenza della commissione regionale mentre la fase successiva è aperta da un ricorso ordinario e dà luogo ad un giudizio di cassazione altrettanto ordinario davanti ad un organo dell’autorità giudiziaria ordinaria che procede (non secondo il decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 ma) rigorosamente secondo il codice di procedura civile” (SASSANI, Op. cit., p. 26).

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16 cassazione, specifica del processo tributario, con la conseguenza che quando l’art. 54, comma 3 bis, stabilisce che “Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”, per processo tributario si deve intendere anche la fase processuale del giudizio di legittimità, benché non sia soggetta a regole diverse da quelle previste in generale dal codice di procedura civile.

L’assunto, però, fa leva su una petizione di principio e su un artificio formale. La petizione di principio è nella affermazione che il ricorso per cassazione in materia tributaria avrebbe una sua specificità; specificità che, invece, non si riscontra nei fatti. L’artificio formale è costituito dal fatto che si assume che il ricorso per cassazione in materia tributaria abbia natura speciale, soltanto perché la sua disciplina ordinaria viene richiamata da una norma (di mero rinvio: l’art. 62 d.lgs.

546/1992) contenuta nella legge che reca le disposizioni speciali di disciplina del processo tributario. Cioè, si attribuisce valore di norma speciale ad una norma che rinvia alla normativa ordinaria per il solo fatto che si trova tra norme che dettano una disciplina speciale. Una sorta di contaminazione da contesto. Secondo questa tesi, il ricorso per cassazione in materia tributaria sarebbe stato messo al riparo da rischi di specializzazione soltanto se fosse stato previsto da una disposizione contenuta in un provvedimento legislativo diverso da quello che disciplina il contenzioso tributario. La tesi, ovviamente, non è condivisibile perché fa derivare la specialità di un istituto dalla accidentale collocazione delle norme che lo disciplinano, piuttosto che dalle sue caratteristiche.

Il processo tributario disciplinato dal d.lgs. 546/1992, così come richiamato dal comma 3 bis dell’art. 54, giova ribadirlo, è soltanto il giudizio di merito. Soltanto per questo sono previste regole specifiche, ad esempio, in tema di difesa, rappresentanza processuale, comunicazioni e notificazioni; regole che non valgono poi per il giudizio di cassazione. Come già è stato sottolineato, tutta la disciplina del ricorso per cassazione, al quale pure è dedicata l’intera sezione III, del titolo II, capo III, si risolve nella mera affermazione che, a seguito della riforma del 1992/96, anche le sentenze della CTR sono soggette a ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c. L’art.

62 non reca una autonoma e peculiare disciplina del ricorso per cassazione, a differenza di quanto avviene per l’appello per il quale il d.lgs. 546/1992 contiene regole specifiche.

In definitiva, anche la lettera della legge non è di ostacolo alla conclusione che il processo disciplinato dal d.lgs. 546/1992, al quale fa riferimento la norma limitativa di cui all’art. 54, comma 3 bis, è soltanto il processo tributario di merito, con la conseguenza che la riforma dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. deve trovare applicazione anche quando si tratti di ricorsi avverso le sentenze delle commissioni tributarie.

Alla fragilità degli argomenti tecnici, spesi a sostegno della tesi della specialità del ricorso per cassazione in materia tributaria, occorre aggiungere che la politica legislativa che ha ispirato il legislatore del 2012 è stata, a torto o a ragione, anche quella di limitare il numero dei ricorsi in cassazione, ed è impensabile che il legislatore abbia inteso escludere dalla riforma proprio i ricorsi in materia tributaria che, notoriamente, costituiscono un terzo dell’intera pendenza.

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17 4.3. Alcune peculiarità del processo tributario che, tuttavia, non legittimano una diversa conclusione in ordine agli effetti della riforma sul giudizio tributario.

a. Una attenta dottrina ha rilevato che l’ultima (per ora) riforma del n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. sembra perseguire un disegno legislativo di erosione dell’obbligo di motivazione35 iniziato con la modifica del n. 4 dell’art. 132, secondo comma, c.p.c., in forza dell’art. 45, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69. La riforma ha affievolito l’obbligo della motivazione, in quanto ha sostituito alla previgente formula che faceva obbligo al giudice di esporre “i motivi di fatto e di diritto della decisione”, con la formula che obbliga il giudice ad una “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”. La sostituzione del termine “motivi” con il termine

“ragioni” sarebbe sintomatico di una regressione dell’obbligo di motivazione (in contrasto con la sua valorizzazione costituzionale nell’ambito dei principi del giusto processo), che sarebbe stato definitivamente sancito dalla eliminazione del controllo sulla motivazione, con il nuovo testo del n.

5 dell’art. 360 c.p.c.36

Se l’eliminazione del controllo sulla motivazione (ammesso che questo sia l’effetto della riforma in esame) è correlata alla erosione dell’obbligo di motivazione, allora qualche motivo a sostegno della tesi del mantenimento del vecchio n. 5 dell’art. 360 c.p.c., per le cause tributarie, potrebbe ricavarsi dal fatto che l’erosione non ha riguardato la sentenza tributaria. L’art. 36 del d.lgs. 546/1992, che indica il Contenuto della sentenza, impone ancora oggi che la sentenza rechi

“la succinta esposizione dei motivi di fatto e di diritto” (comma 2, n. 4). Questa disposizione non è stata incisa dalla riforma della legge 69/2009, ed allora si potrebbe sostenere che la riforma del 2012 non tocca il ricorso di legittimità per le cause tributarie in quanto la riforma “pregiudiziale”

non ha modificato gli obblighi di motivazione del giudice tributario, rimasti quelli originari. Vale a dire, il fatto che il giudice tributario sia tenuto, a differenza del giudice ordinario, ad esporre i

“motivi” della decisione e non soltanto “le ragioni” della decisione (come oggi dispone l’art. 132, primo comma, n. 4, c.p.c., dopo la modifica apportata dall’art. 45, comma 17 della legge n.69/2009), potrebbe costituire il presupposto per legittimare il mantenimento del ricorso per vizio di motivazione secondo la vecchia formula del n. 5, per le sole cause tributarie.

Ammesso che vi sia un disegno unitario negli interventi del legislatore del 2009 e del 2012, non pare che il mantenimento della formula originaria dell’art. 36, d.lgs. 546/1992, sull’obbligo di motivazione, possa costituire ostacolo serio alla estensione al processo tributario della riforma in esame. L’ipotesi più verosimile è che il legislatore del 2009 abbia totalmente ignorato il processo tributario e che soltanto per questa ragione non vi abbia esteso la riforma. Peraltro, in linea di principio, l’attuale formulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. non è incompatibile con l’obbligo

“pieno” di motivazione rimasto fermo per i giudici tributari. Lo dimostra il fatto che nell’assetto originario del codice di procedura civile, il ricorso per cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 citato, era consentito all’incirca negli stessi limiti odierni, pur vigendo l’obbligo di motivazione secondo quanto disposto nell’art. 132, n. 4, c.p.c., nella formula anteriore alla riforma del 2009, corrispondente all’odierno disposto dell’art. 36 d.lgs. 546/1992.

35 DI IASI, Op. cit., p. 4 e seg.

36 Ibidem.

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