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COLPA MEDICA E ONERE DELLA PROVA,VERSO UNA RESPONSABILITA’ PARAOGGETTIVA?

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COLPA MEDICA E ONERE DELLA PROVA,VERSO UNA RESPONSABILITA’ PARAOGGETTIVA?

Cons. Giacomo Travaglino*

1 – Introduzione: profili attuali della Responsabilità Civile

Parlando del declino dei vizi classici della volontà e del sempre maggior interesse per la rappresentanza, Giorgio De Nova ha ipotizzato che, agli istituti giuridici, possa assegnarsi una sorta di quotazione, suscettibile di variazioni anche considerevoli nel corso del tempo. Se così fosse, nei listini della “borsa del diritto” il titolo “responsabilità del medico” si segnalerebbe in forte e costante rialzo (dal punto di vista del paziente), attesa l’epoca storica che teorizza il fondamentale valore etico del principio di responsabilità, tale da trascendere ormai la sfera del singolo soggetto per investire la collettività (o la moltitudine, secondo una moderna accezione dell’insieme degli individui visti ormai non più come popolo in un territorio, ma come entità globale e globalizzata).

Da almeno un trentennio si registra, difatti, in Italia una notevole accentuazione dei giudizi di responsabilità professionale, segnatamente in campo medico, sia sotto il profilo quantitativo dei processi civili e penali, sia sotto quello qualitativo delle tecniche giuridiche attraverso le quali pervenire ad un’equa distribuzione dei rischi comunque e sempre collegati a tale attività, tendenza, questa, peraltro, comune a tutti i paesi tanto di common law quanto di civil law.1 Tale accentuazione segue, non a caso, la parallela evoluzione delle strutture e della natura stessa della responsabilità civile che, strutturata, all’epoca della

* Giudice presso la III sezione civile della Corte Suprema di Cassazione

1 De Matteis, La responsabilità medica tra prospettive comunitarie e nuove tendenza giurisprudenziali, in Contr.

e impresa 1990.

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codificazione del 1942, secondo un criterio di Generalklauseln, immaginate come funzionali alla tutela dei (soli) diritti soggettivi assoluti, viene via via “ripensata”, secondo una storia (soprattutto intellettuale) sempre più raffinata,2 come un problema di diritto vivente, da rielaborare incessantemente modellandolo sulle esigenze delle singole istanze sociali, in funzione della ricerca di criteri mediante i quali un determinato “costo” debba venir collocato presso il danneggiato ovvero traslato in capo ad altri soggetti (in ipotesi, anche non diretti danneggianti). Il sistema della responsabilità civile diventa, così, un’opera di ingegneria sociale, commissionata quasi interamente agli interpreti,3 il cui compito diviene, allora, lo studio dei criteri di traslazione del danno. Ne deriva l’individuazione di standard di condotta alla luce dei quali l'intera teoria della colpa, del nesso causale e del danno, sotto il profilo tanto sostanziale quanto probatorio, ne esce, in definitiva, profondamente mutata rispetto agli archetipi tradizionali, non senza considerare come, ormai, l’attività medico-sanitaria non coinvolga più soltanto i medici, ma anche tutto ciò che, con diversificate funzionalità (persone o cose), concorra al completamento dell’iter diagnostico terapeutico del paziente (infermieri, assistenti sanitari, ostetriche, tecnici di radiologia medica, tecnici di riabilitazione, macchinari, farmaci, ecc.). Di qui, la necessità che il regime della responsabilità assuma connotazioni unitarie, senza distinzione in ordine allo status del soggetto responsabile (libero professionista, medico condotto, medico provinciale, dipendente ASL, docente universitario): in una prima approssimazione alla problematica della colpa medica, pare allora possibile una (sia pur sommaria) individuazione delle seguenti fasi:

1) Primo contatto e fase dell’informazione4;

2 Così, tra gli altri, Schlesinger, Sacco, Trimarchi, Rodotà, Busnelli, Galgano.

3 Monateri, La responsabilità civile, UTET 1998

4 La cura nella raccolta delle prime informazioni andrà riservata non solo al controllo della loro esattezza e completezza, ma anche al controllo sulla loro segretezza: si registrano in giurisprudenza casi in cui il medico è stato ritenuto responsabile per aver rivelato circostanze inerenti allo stato di salute mentale del proprio paziente alla moglie e dia aver quindi contribuito (se non determinato) a provocare la separazione coniugale promossa dalla moglie sulla base delle pregresse condizioni di mente del marito. La raccolta dei dati mediante computer e utilizzati dalla struttura sanitaria andrebbe affidata ad istituti specializzati (le notizie di natura sanitaria essendo considerate “dati super sensibili), con il consenso dell’interessato e rivelate solo se richieste da altro

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2) Contatti successivi e fase della diagnostica;

3) Fase dell’intervento “acconsentito” dal paziente;

4) Fase della terapia con impiego di macchinari e medicinali;

5) Intereventi “estremi” per la vita (procreazione assistita) e la morte (accanimento terapeutico, sperimentazione, eutanasia).

2 – La colpa

“Il giudizio di colpevolezza è un giudizio relazionale”5 che deve tener conto di quanto i vari “tipi” di soggetti coinvolti hanno fatto o potevano fare per prevenire o evitare un danno, in base ad un modello, necessariamente giudiziale, di apprezzamento della loro condotta. Una definizione legislativa della colpa si rinviene, difatti, soltanto nell’art. 43 comma terzo del codice penale (“il delitto è colposo o contro l’intenzione quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente, e si verifica a causa di negligenza, imprudenza imperizia, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”).

La negligenza è comunemente definita come violazione di regole sociali (e non più o non solo la disattenzione consistente nello scarso uso dei poteri attivi dell’individuo);

L’imprudenza è la violazione delle modalità imposte dalle regole sociali per l’espletamento di certe attività (e non più o non solo la mancata adozione delle necessarie cautele suggerite dall’esperienza);

L’imperizia è la violazione di regole tecniche di settori determinati della vita di relazione (e non più o non solo l’insufficiente attitudine all’esercizio di arti o professioni - concetto in cui rientra anche la temerarietà professionale -).

Colpa soggettiva è la dimensione psicologica dell’agente riferita al suo comportamento.

professionista (normalmente il medico di famiglia), mentre se ne impedisce la rivelazione allo stesso paziente se questi non sia in grado di affrontare la realtà:

5 Monateri, cit. p. 73.

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Colpa oggettiva è, viceversa, lo scarto (e la relativa valutazione) della condotta rispetto ad un modello ideale di riferimento, la deviazione, cioè, da uno standard di comportamento diligente, inteso come insieme di doveri che incombono su di un soggetto, (criterio, peraltro, non univoco per l’imputazione del danno in un sistema policentrico della responsabilità civile).

La graduazione della colpa ne postula un livello lievissimo, uno lieve ed uno grave: in quest’ultima orbita si iscrivono le particolari fattispecie della colpa cosciente e del dolo eventuale; scopo di tale graduazione è quello di valutare lo scarto di comportamento rispetto al modello astratto di volta in volta richiesto ai fini di un’affermazione di responsabilità, con particolare riferimento a quelle fattispecie in cui la responsabilità stessa scatta (ormai solo apparentemente: sul punto, amplius, infra) soltanto in presenza della colpa grave (art. 2236).

La concezione unitaria della colpa, civile e penale, prescelto ormai dagli interpreti in via quasi esclusiva il criterio della colpa oggettiva, si avvia inevitabilmente al tramonto: nel sistema civile si affermano decisamente modelli differenziali di valutazione della condotta, secondo le forme, oltre che della responsabilità per colpa, della responsabilità oggettiva e della responsabilità prima facie (quando, cioè, l’attore è tenuto a provare il solo danno ed il nesso causale, mentre il convenuto può andare esente da responsabilità provando di aver soddisfatto certe condizioni di prevenzione del danno). E la stessa operazione di graduazione della colpa nell’ordinamento civile ne conferma ulteriormente la disomogeneità rispetto al sistema penale: l’intensità di essa, difatti, non può giammai fungere da discrimine tra responsabilità e non responsabilità penale, limitandosi a determinare, per converso, la minore o maggiore entità della pena6.

Sul piano probatorio, infine, regola generale del torto aquiliano è quella per cui l’attore deve fornire la prova della colpa del convenuto, mercé dimostrazione

6 A soluzione opposta era invece pervenuta la giurisprudenza più risalente (CP 124/1968, secondo la quale anche sul piano penale la colpa del professionista-imputato non poteva che configurarsi come colpa grave: il principio venne capovolto a partire da CP 2734/1984 (in particolare, per la chiara affermazione del nuovo

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di specifiche omissioni o specifiche insufficienze della attività da questi prestata:

il principio è temperato dalla possibilità che il giudice utilizzi prove presuntive ed indiziarie, essendo la colpa non un insieme di fatti, ma la qualificazione giuridica di tale insieme (con le relative conseguenze in tema di sindacabilità delle pronunce di merito da parte della Cassazione sulla predetta qualificazione giuridica, intangibile essendo soltanto la ricostruzione dei fatti storici).7 In concreto, il principio probatorio generale viene sostanzialmente capovolto tutte le volte che il giudice faccia ricorso a quello (in realtà opposto) del “res ipsa loquitur” (sul quale amplius infra)8. In tema di inadempimento contrattuale, invece, normalmente spetta al debitore la prova dell’assenza di colpa nell’inadempimento9 (dovendo il creditore provare, per converso, il solo fatto del mancato adempimento), salvo, secondo la dottrina tradizionale, le fattispecie di inadempimento delle obbligazioni “di mezzi”, con riferimento alle quali spetterebbe (?), invece, al creditore provare anche la colpa del debitore.10

3 – Il nesso causale – cenni

Nulla emerge, in realtà, dalle fonti legislative, penali o civili, sulla causalità in sé considerata (l’art. 40 cp fissa l’equivalenza fra il non fare ed il cagionare, l’art. 41 si occupa dell’interruzione del nesso causale, l’art. 2043 postula soltanto che il fatto ingiusto sia “cagionato” dal fatto illecito). Così, dottrina e giurisprudenza

criterio di colpa “indifferenziata”, CC 4515/1987)

7 Stesso principio è affermato nell’ordinamento francese.

8 Il criterio nasce anticamente nella giurisprudenza di Common law, e fu adottato dal barone Pollock in un giudizio della Court of Exchequerer nel 1863, per essere ripreso in America nel 1906: da sempre si è discusso se, con essa, si sia introdotta una forma di responsabilità oggettiva (Monateri) ovvero abbia trasformato l’obbligazione medica di mezzi in obbligazione di risultato (Cattaneo).

9 Altre differenze tra contratto e torto aquiliano si rinvengono in tema di costituzione in mora, prescrizione, risarcibilità dei danni imprevedibili, imputabilità del fatto dannoso.

10 La distinzione, formulata per la prima volta in un progetto di codice civile tedesco, venne sviluppata poi dal Demogue ed accolta incondizionatamente in Francia. Anche in Italia, per effetto dello studio del Mengoni (Riv.

Dir. Comm. 1954, 185 ss.), la distinzione si affermò, sia pur con qualche riserva, ma oggi, pur nella sua ripetizione tralaticia contenuta in quasi tutte le pronunce giurisprudenziali, può dirsi ampiamente superata proprio nel campo della responsabilità professionale, con l’introduzione delle categorie dell’obbligo di informazione e dell’obbligo di protezione (i Nebenpflichten e gli Schutszpflichten della giurisprudenza tedesca),

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hanno elaborato non meno di cinque teorie sulla causalità (conditio sine qua non;

causalità adeguata; prevedibilità dell’evento; scopo della norma violata; signoria dell’uomo sul fatto), pur risultando la giurisprudenza prevalentemente attestata sul principio secondo cui tutti gli antecedenti causali in mancanza dei quali non si sarebbe verificato l’evento lesivo debbano considerarsi eziologicamente rilevanti, abbiano essi agito in via diretta o soltanto mediata, salvo il temperamento normativo della “causa prossima da sola sufficiente a produrre l’evento”. Non mancano pronunce che, specie mercè il riferimento al concetto di giudizio probabilistico ex ante, sposano, peraltro, la teoria della causalità adeguata, aggiungendovi il consueto limite del caso fortuito (non avendo la giurisprudenza civilistica accolta la distinzione penalistica tra fortuito e forza maggiore) inteso come vis maior ovvero come mancanza di riprovevolezza del comportamento, ed esteso, in sostanza, anche al fatto del terzo o della stessa vittima dell’illecito, a condizione che l’autore dell’illecito stesso non avesse l’obbligo di impedirlo (in questi sensi registrandosi, nella sostanza, un cospicuo avvicinamento alla teoria della dogmatica tedesca della signoria del fatto). In realtà, quello del nesso causale è un problema di politica del diritto, che deve di volta in volta individuare i termini dei doveri di prevedibilità delle conseguenze dannose delle proprie azioni in capo all’agente, secondo un principio guida che potrebbe essere formulato, all’incirca, in termini di rispondenza, da parte dell’autore del fatto illecito, delle conseguenze che normalmente discendono dal suo atto, a meno che non sia intervenuto un nuovo fatto rispetto al quale egli non ha il dovere o la possibilità di agire (cd. teoria della regolarità causale e del novus actus interveniens): in altri termini il nesso causale diviene la misura del dovere posto a carico dell’agente da ricostruirsi sulla base dello scopo della norma violata, del dovere di avvedutezza comportamentale (o, se si vuole, di previsione e prevenzione, attesa la funzione –anche- preventiva della responsabilità civile) che si estende sino alla previsioni delle conseguenze a loro volta normalmente

mentre la ripartizione degli oneri della prova sono oggi tracciati dal dictum di Cass. ss.uu. 11533/2001.

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prevedibili in mancanza di tale avvedutezza.11 Particolarmente significativa, in giurisprudenza, è apparsa la pronuncia di cui a Cass. 6.11.1990, che ha affermato come, secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, un antecedente può essere configurato come condizione necessaria solo a patto che esso rientri nel novero di quegli antecedenti che, sulla base di una successione regolare conforme ad una legge dotata di validità scientifica — la cosiddetta legge generale di copertura — portano ad eventi del tipo di quello verificatosi in concreto.12 Un radicale revirement si è avuto, peraltro, con la sentenza 30328/2002 delle SSUU penali, che hanno riportato il nesso causale al concetto di “alta probabilità logica”, ripreso recentemente, in sede civile, da Cass.

4400/2004.

4 – La colpa professionale – generalità

Principio generale della colpa professionale è quello secondo cui il professionista deve esercitare una ragionevole diligenza adatta alla natura delle operazioni intraprese, assicurando non un risultato comunque positivo, ma la corrispondenza del proprio agire ad uno standard “normale” di abilità e competenza professionale. E proprio la sostanziale omogeneità (e la conseguente, quasi totale indifferenziazione) tra colpa professionale ex contractu e colpa professionale ex delicto ha condotto la giurisprudenza lungo un cammino che ha in pratica annientato la differenza tra i rispettivi danni risarcibili, lasciando al solo istituto della prescrizione il compito di mantenere una attuale ed ancor

11 In tal senso, Monateri, cit. La natura anche sanzionatoria della responsabilità civile comporterebbe ancora, secondo alcuni autori, che, nell’ipotesi di comportamento doloso, il nesso di causalità vada valutato ed accertato secondo criteri più rigorosi rispetto alle ipotesi colposo, con la sola eccezione dell’evento /conseguenza eccezionale, sicché anche i danni derivanti da cause ignote vi resterebbero ricompresi, secondo la più rigorosa delle applicazioni del principio della conditio sine qua non. Sembra peraltro che, così ricostruito, il tessuto strutturale del nesso causale si avvicini, sovrapponendosene indebitamente, a quella di colpa oggettiva, essendo, per converso, i due elementi strutturali dell’illecito vicende ontologicamente diverse.

12 La vicenda processuale riguardava la frana in Val di Stava ed il conseguente accertamento delle relative responsabilità professionali.

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valida linea di demarcazione13. Anche sul terreno processuale, la sola deduzione degli estremi soggettivi ed oggettivi della responsabilità è ritenuta del tutto esaustivo ad indicare la causa petendi di entrambe le forme di responsabilità (CC 6064/1994), sicché chi agisce non ha alcun onere di specificare il titolo di responsabilità fatto valere (se, cioè, contrattuale o extracontrattuale), salvo che il dibattito processuale non approdi a questioni in tema di prescrizione, caso nel quale il giudice dovrà qualificare i fatti allegati nel senso dell’applicazione del rispettivo regime temporale.

I criteri elaborati dalla giurisprudenza per definire l’attività professionale sono, in positivo, quelli della non saltuarietà e della abitualità del relativo esercizio, in negativo, quelli della non necessità dell’esercizio a scopo di lucro14 ovvero dell’iscrizione ad un albo professionale.

Principale conseguenza della qualificazione di un’attività come professionale è (sarebbe!) l’applicazione del’art. 223615, norma secondo la quale, se la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave:16 si

13 Il processo evolutivo si inquadra nel più generale contesto della progressiva svalutazione della contrapposizione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, attesa, da un canto, l’emersione di una concezione del rapporto obbligatorio come struttura complessa, entro il quale riconoscere, accanto al nucleo fondamentale costituito dall’obbligo di prestazione, obblighi accessori non specificamente contemplati (cd. doveri di protezione) che ampliano l’area di dominio della responsabilità ex contractu estendendola alla violazione di obblighi estranei alla prestazione principale; dall’altro, il superamento della storica equazione fra ingiustizia del danno e lesione di un diritto soggettivo assoluto, riconducendosi, per l’effetto, entro la previsione dell’art. 2043, ipotesi di danno come quello da lesione del credito o da interessi legittimi nelle quali l’interesse inciso o riveste natura contrattuale, o non ha per oggetto un diritto soggettivo.

Tale avvicinamento, che non azzera del tutto le differenze, fornisce, tra l’altro, ulteriore conferma alla legittimità del concorso tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

14 Era questa la regola nella società gentilizia romana: la gratuità della prestazione professionale ne impediva, pertanto, la collocazione nell’ambito della responsabilità contrattuale, sicché il professionista poteva rispondere soltanto per colpa aquiliana.

15 La possibilità dell’applicazione analogica di tale norma, dettata in tema di contratto di prestazione d’opera intellettuale, anche al campo della responsabilità aquiliana è stata affermata sin da CC ss.uu. 1282/1971, e recentemente ribadita da CC 11440/1997.

16 L’interpretazione giurisprudenziale precedente alla codificazione del 42 ammetteva, in genere, l’errore professionale solo in termini di evidente e grossolana incompetenza: “responsabile contrattualmente è il medico per grossolano errore professionale, attesa la maggiore o minore incertezza od imperfezione dell’arte” (Cass.

21 marzo 1941, Riv. dir. comm. 1941); “il medico non è in colpa a meno che non sia provato l’animo deliberato di malaffare” (Cass. Napoli 24.7.1871), anche se due decisioni della Cassazione, del 1931 e del 1936, riformarono sentenze di merito eccessivamente lassiste nei confronti della classe medica.

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vedrà in seguito, con particolare riferimento alla responsabilità medica, come la portata della disposizione si sia pressoché del tutto dissolta nelle più recenti interpretazioni delle Corti di merito e di quella di legittimità. Essa è, comunque, considerata applicabile anche in campo extracontrattuale, prevedendo pur sempre un limite di responsabilità per la prestazione dell’attività professionale in genere.

Sotto il profilo soggettivo, infine, la responsabilità, oltre che nei confronti del destinatario della prestazione, può sorgere anche nei confronti di terzi estranei (i Bystanders della responsabilità da prodotto della giurisprudenza anglosassone) che abbiano risentito un danno dallo svolgimento scorretto dell’attività professionale.

5 - La responsabilità del medico

1) Generalità

Sotto la comune etichetta “responsabilità medica” (definito in dottrina come un vero e proprio “sottosistema” della responsabilità civile) si ricomprendono fattispecie sicuramente accomunate dalla natura dell’attività (prestazione sanitaria) posta a base del danno risarcibile, ma differenziabili sotto il profilo tanto soggettivo (il soggetto responsabile del risarcimento può essere tanto la persona fisica autore dell’atto medico, tanto la struttura, pubblica o privata, nell’ambito della quale la prestazione è stata svolta) quanto oggettivo (con riferimento, cioè, al regime di responsabilità, contrattuale se la prestazione viene resa nell’ambito dell’esercizio della libera professione, extracontrattuale – salvo quanto si dirà inseguito a proposito della sentenza 589/1999 della SC - se la prestazione è svolta dal medico nel contesto di una relazione di servizio come dipendente di una struttura ospedaliera o universitaria, struttura che risponderà, invece, a titolo contrattuale, come più innanzi si preciserà). In realtà, proprio nel campo della responsabilità medica si dà sempre più vita ad un corpo unitario di regole ed a un conseguente regime di responsabilità uniforme e transtipico che

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taglia orizzontalmente e supera i comparti classici della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.17 Il tentativo, che accomuna le esperienze giuridiche anche di Paesi diversi, è, allora, sempre più quello della messa a punto di tecniche che facilitino la prova della colpa e del nesso causale.18

2) La colpa medica

Superate le iniziali tendenze interpretative volte ad assicurare un’area di sostanziale immunità ai liberi professionisti, di cui si è avvertita ancora l’eco in pronunce neanche troppo risalenti (CC 2439/1975), la norma di cui all’art. 2236 è divenuta una sorta di cartina di tornasole del cambiamento (“rivoluzionario”, secondo alcuni autori),19 che ha coinvolto (travolto?) la responsabilità del sanitario, così che essa, specie a seguito dell’intervento del giudice delle leggi, è divenuta null’altro che una norma di limitazione della responsabilità non estensibile alla imprudenza o negligenza e circoscritta alla sola imperizia.20 Altra parte della dottrina, spingendosi ancora oltre, afferma addirittura che essa non prevede, in realtà, un criterio di responsabilità diverso da quello ex art. 1176 comma 2: una colpa, allora, non “grave”, bensì “circostanziata”.21 Particolarmente tranchant la pronuncia della Corte di legittimità 977/1991 (Osp.

SM degli Angeli/Chiandussi), secondo la quale la colpa del medico non deve essere necessariamente grave, e normalmente in favore del soggetto leso si applica il criterio della res ipsa loquitur. Si giunge, lungo questo sentiero interpretativo, al principio secondo cui l’attenuazione di responsabilità ex art.

2236 non si applica a tutti gli atti del medico, ma solo ai casi di particolare complessità o perché non ancora sperimentati o studiati a sufficienza, o perché non ancora dibattuto con riferimento ai metodi terapeutici da seguire (capostipite di tale tendenza, Cass. 6141/1978, Rainone/Osp. S.

17 Roppo La responsabilità civile dell’impresa in Contratto e impresa 1993.

18 Così negli Stati Uniti, dove tali tecniche sono attualmente in uso, in Francia, dove si fa ricorso al principio della Faute virtuelle, in Germania (con elaborazione del non dissimile principio della responsabilità prima facie), in Italia, dove si ricorre al principio res ipsa loquitur.

19 Monateri, cit.

20 Corte costituzionale 166/1973.

21 Cattaneo, Princigalli

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Gennaro, e, successivamente, 1441/1979, 8845/1995, Onesto/Min. difesa) L’attenuazione di responsabilità è, peraltro, ulteriormente limitata dalla richiesta, in capo al professionista, di una scrupolosa attenzione, pretendendosi dallo specialista uno standard di diligenza superiore al normale: così, il richiamo, ormai poco più che formale e declamatorio, al concetto di colpa grave non vale come criterio di grossolana divergenza dalla diligenza media, ma come scarto di diligenza esigibile da uno specialista (dal quale, appunto, pretendere una preparazione ed un dispendio di attività superiore al normale: Cass.

4437/1982, Di Biagio/Cassa maritt. Meridion.); né si consente al non specialista il trattamento di un caso altamente specialistico (Cass. 2428/1990, che ritenne responsabile un ortopedico il quale, senza esperienza nel campo, affrontò un intervento di alta chirurgia neoplastica, mentre App. Milano 30.6.1987 giudicherà responsabile un medico ostetrico per non aver chiesto l’intervento di un pediatra in caso di nascita di una bambina asfittica;)22. Nell’ambito degli atti ordinari della professione, pertanto, il danneggiato deve provare soltanto il nesso causale, e la facilità di esecuzione dell’intervento (intervento cd. routinario), mentre la colpa, anche lieve, si presume sussistente ogni volta che venga accertato un risultato peggiorativo delle condizioni del paziente (Cass.

8470/1994, Arcuti/Pascarelli): la colpa medica arriva dunque, capovolgendo la situazione originaria di protezione “speciale” del professionista, a sfiorare la dimensione oggettiva della responsabilità (assumendone una forma paraoggettiva o comunque. “aggravata”), salva prova di avere eseguito la propria prestazione con la dovuta diligenza (Cass. 3023/1994, Landi/Traldi). In definitiva, il quadro che complessivamente emerge dallo screening giurisprudenziale di legittimità e di merito degli anni ‘80-‘90 (e, conseguentemente, i parametri di riferimento cui un’eventuale consulenza disposta dal giudice dovrà attenersi) è quello che indaga:

22 Si osserva, in proposito che, su problemi molto delicati, il sanitario debba essere giudicato in base ai criteri della scuola cui appartiene, se rispettabile ed accreditata, e non di un’altra cui appartenga il CTU, sicché, in tal caso, il giudice dovrebbe compiutamente motivare sul perché di tale scelta (Monateri),

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1) sulla natura, facile o non facile, dell’intervento del professionista;

2) sul peggioramento o meno delle condizioni del paziente (o sul mancato miglioramento);

3) sul nesso causale e sulla sussistenza della colpa (lieve nonché presunta, se in presenza di operazioni di routine o ben codificate, grave, nel senso sinora specificato, se relativa ad operazione che trascende la preparazione media ovvero non sufficientemente studiata o sperimentata, con l’ulteriore limite della particolare diligenza richiesta in questo caso, e dell’elevato tasso di specializzazione nel ramo imposto al sanitario), da valutarsi secondo il parametro attuale della diligenza-perizia (il difetto di diligenza che si sostanzia nell’inosservanza di regole tecniche, oggi codificate nei cd. PDT, percorsi diagnostico-terapeutici);

4) sul corretto adempimento dell’onere di informazione e sull’esistenza del conseguente consenso del paziente (su cui, amplius, infra)23.

Così, in quei pochi casi in cui l’art. 2236 è stato realmente applicato, la valutazione della non gravità della colpa risulta implicitamente contenuta nel giudizio espresso sulla natura dell’intervento, mentre la regola inversa (elaborata per la prima volta, come poc’anzi ricordato, da Cass. 6141/1978) della facilità dell’intervento e del risulta peggiorativo come presunzione di colpa tout court, è risultato il primo passo verso la tendenziale trasformazione dell’obbligazione del professionista da obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato,24 e verso l’approdo ad un sistema intermedio di responsabilità che si atteggia come tertium genus tra la dimensione della responsabilità soggettiva

23 Una rilevanza “contrattuale” del dovere di corretta informazione si rinviene già nel tessuto codicistico, in tema di contratto di assicurazione, dove le dichiarazioni inesatte e reticenti dell’assicurato, anche se non dovute al dolo di quest’ultimo, danno all’assicuratore (art. 1893) la possibilità di recedere dal contratto e, comunque, limitano l’indennizzo: anche nel contratto d’opera professionale, il dovere di informazione diretto ad ottenere un consapevole consenso del cliente interviene dopo che, con il compimento della diagnosi e della prognosi, è già iniziata l’esecuzione del contratto d’opera professionale, così che il consenso del paziente non è assenso alla conclusione di un nuovo e diverso contratto, bensì assenso alla cura prospettata dal medico nell’ambito del contratto già concluso.

24 Si parla, in Francia, di obligations des resultat attenues, produttive di una inversione dell’onere della prova fondata sulla colpa presunta, e di obligations de securitè de resultat, che escludono una prova liberatoria per la struttura sanitaria).

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e quella della responsabilità oggettiva, sistema fondato sul principio cardine della vicinanza e della disponibilità della prova conseguente allo status professionale del medico rispetto a quello del paziente25.

Nell’ottica di una prima, approssimativa sintesi dell’attuale realtà composita che abbraccia la responsabilità medica, va pertanto tracciato una sorta di quadro sinottico secondo il quale la relativa indagine è oggi attestata sul triplice fronte:

1) della responsabilità del professionista per condotta commissiva o omissiva generante “danno” da negligenza imperita;

2) della responsabilità del professionista per omessa o incompleta informazione diagnostico-terapeutica;

3) della responsabilità della struttura sanitaria.

Va, in premessa, rammentato, peraltro, come le regole generali in tema di responsabilità fossero, nel passato:

1) Obbligazioni di mezzi (art.1218-1176) – onere della prova dell’inadempimento: sul creditore/paziente; rischio dell’incertezza processuale relativa alla mancata diligenza nell’adempimento: sul creditore/paziente;

2) Speciale difficoltà (art.2236) – limitata all’imperizia – onere di

25 Scrive, in proposito, Cass. 4394/1985 nel celebre caso della ballerina spogliarellista che, nel caso di interventi routinari, i principi affermati in tema di colpa “non valgono a trasformare l’obbligazione del professionista da obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato, quasi che egli debba garantire il buon esito dell’operazione,

….. ma certo la sperimentata tecnica comporta una notevole sicurezza del raggiungimento dell’obbiettivo, sicché, mancato quest’ultimo, può quantomeno presumersi, fino alla prova contraria di uno sviluppo imprevedibile, la colpa del chirurgo”.

D’altronde, sul piano della teoria generale, il dissenso manifestato all’accoglimento della distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato faceva leva, tra l’altro, sulla considerazione che il professionista spudoratamente negligente che, purtuttavia, avesse suo malgrado conseguito il risultato auspicato dal cliente, avrebbe, a rigore, dovuto rispondere di inadempimento della sua obbligazione di mezzi, il che, ovviamente, era assurdo.

La “revisione” del regime probatorio funzionale ad agevolare, sul piano processuale, la posizione del paziente, è una tendenza comune a molti paesi europei: la Francia ha introdotto un sistema legale di controllo a monte dei rischi sanitari (la Loi Kouchner del 2002) ed un sistema misto di risarcibilità, sia pur fondato almeno nominalmente, sulla faute; in Germania sono graduate le agevolazioni probatorie disposte per il paziente, a seconda che l’errore terapeutico risulti grossolano (Gro§e Behandlungsfehler), nel qual caso chi agisce in giudizio è dispensato dalla prova piena a fronte della mera allegazione delle circostanze da cui emerge l’errore, grave, in violazione di regole mediche sperimentate ovvero di nozioni elementari di medicina, nel qual caso il giudice può valutare l’opportunità di arrivare all’inversione dell’onere probatorio, ovvero tipico (garza dimenticata nell’addome), caso in cui si ricorre alla prova prima facie (Anscheinbeweis).

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dimostrazione gravante sul medico – onere della prova della gravità della colpa gravante sul paziente,

3) Interventi routinari – res ipsa loquitur – peso dell’incertezza processuale gravante sul medico/debitore.

Su tale “sottosistema” di responsabilità a carattere sostanzialmente “chiuso”, si innestano, negli anni 2000, una serie di decisioni (relativamente “esterne”)26 che possono così sintetizzarsi:

a) La prova dell’inadempimento: Cass. ss.uu. 13533/2001 stabilisce che il debitore è esonerato da qualsiasi onere diverso da quello di allegare l’inadempimento o l’inesatto adempimento del debitore (sulla scia di Cass. 7027/01, affermativa degli stessi principi in tema di obblighi di informazione del chirurgo plastico, e ripresa poi da Cass.

10297/04, con specifico riguardo alla responsabilità medica);

b) La prova della colpa grave: Cass. 11488/2004: questa viene addossata al medico/debitore (in linea con una costante giurisprudenza di legittimità), anche se, a rigore, l’iter probatorio in materia dovrebbe evolvere (trattandosi di “soglia di ingresso” della responsabilità) secondo la scansione: domanda risarcitoria (attore/paziente) – eccezione di prestazione di particolare complessità (medico/convenuto) – controeccezione di colpa grave (attore/paziente). Incide, inevitabilmente, su questa soluzione la sentenza delle sezioni unite in tema di riparto dell’onere probatorio da inadempimento;

c) Il danno da perdita di chance: Cass. 4400/2004: trasposizione da un principio riconosciuto in tema di lavoro (mancata ammissione ad un concorso) da Cass. 11522/97, 11340/98, 11322/03: la perdita di chance di guarigione o sopravvivenza come bene attuale percentualmente risarcibile: le differenze “ontologiche” con le

26 E tali da far ritenere “al tramonto” il sottosistema della responsabilità medica: Izzo, in Corr. Giur. 2/2005, 130 ss.

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fattispecie tipiche, in quanto l’omissione, nel caso di responsabilità medica, fa sorgere la chance, mentre l’omissione del datore di lavoro la distrugge (perché, senza l’intervento medico, la chance di guarigione non esiste). Si elimina, così, sostanzialmente, la prova del nesso causale: se manca la diligenza, il danno da perdita di chance è in re ipsa;

d) I rapporti contrattuali di fatto: Cass. 589/1999: nati in Germania negli anni ’40, per regolare altre vicende di responsabilità senza contratto, essi risultano funzionali alla definitiva “contrattualizzazione a tappe forzate” della responsabilità medica;

e) Il contratto ad effetti “protettivi” per il terzo: Cass.11503/1993 e Cass. 14488/2004: il contratto di spedalità ed il rapporto contrattuale di fatto con il medico spiega effetto anche nei confronti di un soggetto non ancora esistente, e la responsabilità è, ancora una volta, ritenuta contrattuale, esplicitamente, dalla prima sentenza, mentre la seconda, non affrontando il problema, si limita a ribadire l’esistenza di un “diritto a nascere sano” (ma perde l’occasione di puntualizzare gli errori della pronuncia precedente), confermando implicitamente l’esistenza di un diritto autonomo del minore al risarcimento e la natura contrattuale della responsabilità in caso di comportamento negligente del medico (commissivo o omissivo), ma escludendo tale autonomo diritto (riconosciuto, per converso, ai genitori) solo con riferimento al versante dell’omessa informazione, causa della mancata possibilità di abortire pur riconosciuta alla donna;27

27 Anche tale actio finium regundorum dell’estensione illimitata della responsabilità medica è stata sottoposta a severa critica dai primi commentatori della sentenza: (Feola, in Danno e resp. 4/2005, 391 ss.), secondo la quale la sentenza, discostandosi dal noto arret Perruche delle sezioni unite della Cassazione francese (17 nov.

2000, che dette seguito alla legge 203/2002, detta anti/Perruche), affermativa invece della responsabilità diretta del medico nei confronti del neonato per omessa diagnosi di malformazione fetale, osserva che “la Corte non spiega in maniera convincente perché debba essere protetto dal contratto il marito e non il feto” e che “la responsabilità del medico è di natura contrattuale sia nei confronti della parte creditrice degli effetti di

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f) La responsabilità della struttura ospedaliera: Cass. 13066/2004 (sulla scia di Cass. ss.uu. 9556/2002) – sempre sussistente, anche se il medico non è dipendente della struttura ed a prescindere dalla sua eventuale colpa, sulla base del contratto innominato (ma ormai tipico) di spedalità. L’organizzazione diviene così un vero e proprio obbligo giuridico, pur in assenza di indici normativi (previsti soltanto in alcuni sottosettori, quale quello in tema di trasfusioni);28

g) Il contenuto dei moduli di consenso informato: App. Bologna 1998 – Trib. Venezia 2004: il modulo può essere dichiarato inefficace,

“non potendo ridursi all’espletamento di formalità meramente burocratiche, se assolutamente generico”.

Il regime di responsabilità che ne consegue, in definitiva, si va sempre più delineando, specie sotto il profilo dell’inesatto adempimento, secondo canoni affatto speculari rispetto a quelli tradizionali, (specie dopo l’arret di cui a Cass.

13533/2001 in tema di ripartizione dell’onere della prova tra creditore e debitore), di talché quello che era stato sempre considerato onere del creditore (la dimostrazione dell’inesattezza della prestazione che, in quanto fatto lesivo del credito, si iscriveva tout court nell’orbita della causa petendi) è oggi riversato sul debitore cui spetta di provare di non aver violato il diritto alla conformità del suo comportamento al programma negoziale, sia sotto il profilo del comportamento (commissivo o omissivo) sia del grado della colpa (se grave), sia dell’informazione “acconsentita”. Riscritto appare altresì il ruolo da assegnare alla prova liberatoria relativa al fortuito che, nelle più recenti sentenza, grava ancora una volta sul medico (così Cass. 10297/04 e 11488/04, mentre più

prestazione, sia nei confronti dei terzi (coniuge e neonato) destinatari degli effetti di protezione” (la Cassazione francese aveva invece qualificato come delictuelle la responsabilità verso quest’ultimo, anche per la nota insofferenza del diritto francese nel ravvisare eccezioni al principio della relatività del contratto). Così al minore andrebbero riconosciuti tutti i danni (diversamente da quanto ritenuto dal Consiglio di Stato francese e dalla Corte federale dell’Alabama, che li ha liquidati ai genitori, salvo a rapportarli, con nobile sotterfugio, alla vita del minore handicappato), mentre ai genitori andrebbe liquidato il solo danno esistenziale.

28 In Francia, i parametri dell’obbligo di organizzazione sono: 1) mettere a disposizione del clienti personale qualificato in numero sufficiente; 2) sorvegliare il coordinamento dei servizi; 3) garantire locali salubri e idonei;

4) disporre di apparecchiature appropriate e in buono stato; 5) fornire prodotti sicuri e sani, specie con riguardo

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cauta appare in argomento Cass. 9471/04, che mostra di non aver del tutto abbandonato il solco della responsabilità per colpa).

3) Il nesso causale - cenni

Anche in tema di nesso causale, secondo un percorso parallelo a quello seguito in tema di colpa, da una posizione originariamente attestata su postulati di necessaria certezza della correlazione condotta-evento, la posizione della giurisprudenza si è evoluta verso le sponde del giudizio probabilistico, in ordine alla prognosi, alla terapia ed all’intervento, così che, quando il rapporto della malattia con l’agente patogeno si presenta in termini di assoluta o estrema probabilità, la prova del nesso causale deve ritenersi in re ipsa (Cass.

2684/1990), laddove il concetto di probabilità viene inteso non secondo la cd.

teoria frequenzialista, ma secondo la definizione aristotelica per cui il probabile è quanto avviene nella maggior parte dei casi: si è osservato in dottrina come sembri preferibile adottare, in tema di nesso causale, il concetto epistemologico-logicista di probabilità, secondo cui quest’ultima consiste nel grado di credenza razionale nel verificarsi di un evento, atteso che la statistica mal si attaglia all’analisi di accadimenti individuali, che postulano un apprezzamento logico di tutte le circostanze del caso concreto, con particolare riferimento alle “circostanze differenziali” rispetto alla situazione astratta cui si riferisce in dato statistico (principio, questo, accolto dalle ss.uu. penali della Corte di cassazione a composizione del contrasto relativo al concetto di “alto grado di probabilità” nel reato omissivo improprio)29. La specificazione concreta del concetto di probabilità rilevante ha incontrato varie formulazioni: “serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica"”(Cass. 30.4.1993), “adozione dei criteri oggettivi di prevedibilità ed evitabilità, assenza di fattori eccezionali non dominabili dal soggetto agente” (Pret. Verona 9.6.1994, Ferrari) che risulta, in realtà, una moderna applicazione della teoria condizionalistica aggiornata secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche. Particolare scalpore

ai farmaci.

29 Cass. ss. uu. 30328/2002.

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suscitò, poi, il criterio adottato nel cd. caso Silvestri (Cass. 371/1992), secondo cui sussiste il rapporto di causalità tra condotta ed evento lesivo quando il sanitario ometta di intervenire o intervenga scorrettamente, qualora il corretto e tempestivo intervento avrebbe avuto una scarsa probabilità di successo (nella specie, si trattava di morte del paziente evitabile con probabilità non superiore al 30%: sul caso, amplius, infra)30. Dottrina e giurisprudenza distinguono, peraltro, tra condotta colposa commissiva, in cui il nesso causale va provato con certezza, e condotta colposa omissiva, che postula pur sempre il ricorso ad un giudizio probabilistico ex ante.

L’interruzione del nesso causale, oltre che conseguente alla cause tradizionali, viene, poi, riconosciuto anche per effetto dell’avocazione del caso da parte del primario (Cass. 2.5.1989, Argelli).

4) Casistica generale

Ovviamente sterminata appare la casistica sulla responsabilità medica, che può, nelle sue linee generali, ripartirsi nei seguenti sottogruppi:

a) Errori di diagnosi e terapia: in tali casi la responsabilità del medico può sussistere non solo nei confronti del paziente (o dei suoi congiunti in caso di decesso), ma anche nei confronti del terzi (errore di diagnosi nel certificare la malattia del lavoratore, rilevante per il datore di lavoro; errore di diagnosi di invalidità civile, rilevante nei confronti dell’INPS: per le due ipotesi, rispettivamente, CC 309/1986 e 4900/1982). Anche in tale specifico settore, la colpa del sanitario non si atteggia esclusivamente secondo le forme dell’imperizia, potendo essere ritenuta anche per non aver seguito con sufficiente diligenza e prudenza il decorso della malattia, e non essersi conseguentemente posto in condizioni di acquisire gli elementi di controllo utili alla rettifica di una eventuale errore iniziale di diagnosi (CP 18.10.1978, Andria). La responsabilità deriva anche dal difettoso funzionamento dei macchinari utilizzati, ex art.2043 e, per i soggetti cui è demandato l’obbligo di

30 Osserva Monateri come, in realtà, si tratti di un criterio picwikiano, da assumersi cum grano salis.

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custodia, ex art.2050 c.c. (salva azione di regresso nei confronti del costruttore, del rivenditore, del manutentore dell’apparecchio)

b) Modalità della prestazione: si sono delineate, in proposito, una serie di ipotesi ormai tipiche, quale il ritardo nel procedere alla diagnosi (CC 1847/1988), il non visitare personalmente il paziente (Comm centr.

17.3.1984), il non seguire costantemente il paziente dopo l’intervento operatorio (CP 15.7.1982, Faenza, per un caso di garza lasciata nell’addome), l’iniezione del farmaco fuori vena ( CC 2016/1954), la frattura conseguente ad elettroshock (CC 3616/1972), resezione di un arteria al posto di una vena (Trib. Milano 14.10.1963), tiranervi lasciato cadere dal dentista ed inghiottito dal paziente (CC 2918/1971), lesioni riportate durante il parto (Trib. Milano 13.5.1982). Nello specifico campo psichiatrico, va segnalato un atteggiamento assai liberale della giurisprudenza, come nel caso Bondioli, in cui la Corte d’appello giudicò responsabile di omicidio colposo il medico di un centro di igiene mentale che, nonostante la richiesta dei familiari, non aveva disposto il trattamento sanitario obbligatorio nei confronti di uno schizofrenico che aveva poi accoltellato la madre, mentre la SC ritenne al contrario l’insussistenza del nesso causale, non potendosi configurare in capo al medico un obbligo di custodia e quindi un dovere di impedire l’evento (CP 5.5.1987, in riforma di App. Perugia 9.11.1984); in caso di suicidio di un paziente in cura psichiatrica, si è ritenuta la responsabilità della casa di cura per malattie mentali (Trib.

Velletri 19.3.1979), mentre quella penale dello psichiatra è stata a volte esclusa, sulla scorta dell’ampio margine di opinabilità e complessità della diagnosi (App. Bologna 1.7.1975; Trib. Spoleto 8.6.1987), a volte, invece, affermata (Trib. Bolzano 9.2.1984).

c) Mancato aggiornamento tecnico: Il problema è stato affrontato prevalentemente in dottrina,31 che si interroga se l’omesso aggiornamento rivesta una sua configurazione giuridica a parte, nel più generale contesto

31 Zana, Colpa per omesso aggiornamento tecnico-professionale del medico, in La responsabilità medica, Milano 1982.

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della colpa, ovvero debba farsi rientrare nell’ambito della “trascuratezza”, optando32 per la prima soluzione. Se, fino agli anni ottanta, veniva a profilarsi una responsabilità per omesso aggiornamento dell’operatore sanitario alla stregua del più generale dovere di diligenza (CC 1441/1979, secondo la quale l’ignoranza dei rimedi noti alla scienza era da ritenersi incompatibile con il grado di addestramento e di preparazione richiesti dalla professione sanitaria), già il vecchio codice di deontologia professionale pareva offrire spunti più pregnanti nel senso di imporre al medico un aggiornamento continuo delle proprie conoscenze in campo diagnostico e terapeutico, spunti poi confermati ex lege dall’art. 46 del DPR 761/1979 (che parla esplicitamente di aggiornamento scientifico del personale delle strutture sanitarie), mentre il nuovo codice deontologico33 afferma esplicitamente che per i medici non è ammessa l’ignoranza, specie in campo farmacologico, il che potrà contribuire, sulla scia di quanto emerso nella dottrina e giurisprudenza francese, all’individuazione di una forma specifica di responsabilità per omesso aggiornamento tecnico del personale medico.

5) Casistica specifica

a) Il decesso del paziente – La Cassazione penale, (CP17.1.1992, n.371, Corr. Giur. 5/1992, nota Morsillo) afferma il principio della sussistenza della responsabilità colposa del medico allorché questi ometta di intervenire o intervenga scorrettamente non soltanto quando il corretto e tempestivo intervento avrebbe avuto alte probabilità di successo, ma in caso di ridotta probabilità di salvare il paziente (nel caso di specie – nel decorso post operatorio una paziente operata di taglio cesareo viene colpita da infezione tetanica, ma si omette una tempestiva diagnosi nonostante la presenza della tipica sintomatologia – la perizia d’ufficio aveva valutato pari al 30% la possibilità di salvare la paziente se l’opera del sanitario fosse stata corretta e tempestiva).

32 Morsillo, nota a Cass. pen. 371/1992 Corr giur.

33 Approvato il 25 giugno 1995: cfr. Corriere giur, 1995, 1113.

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b) L’errore di diagnosi ed il concorso di colpa del danneggiato (CC 7.3.1991, n.2384, Foro it. Nota Zampolli) - Il concorso di colpa del danneggiato è normativamente disciplinato dagli artt. 1227 e 2056 c.c., rispettivamente sul versante della colpa contrattuale ed aquiliana: la sua attuazione è, oggi, regolata secondo il criterio del calcolo puramente percentuale degli apporti delle varie condotte. Il tema assume particolare interesse con riferimento all’ipotesi di concorso di colpa del danneggiato incapace: l’importanza dell’affermazione secondo cui l’eventuale colpa concorrente va valutata esclusivamente con riferimento alla condotta dell’incapace e non anche dei soggetti affidatari (genitori).

c) Gravidanza e nascita indesiderata – 1) Il diritto del concepito a nascere sano ed il contratto “con effetti protettivi” nei confronti del nascituro (CC.

11503/1993, Corr. Giur. 4/1994, nota Batà; CC 14488/2004, Danno e resp.

4/2005, nota Feola34); 2) il diritto al risarcimento e la responsabilità del medico per mancata interruzione di gravidanza ( CC 6464/1994, Corr. Giur.

1/95, nota Batà; CC 12195/1998 e 2793/1999, Foro it.)35

34 Diversamente da quanto opinato in tema di condotta commissiva del medico (caso nel quale, come detto sopra, si è riconosciuta la relativa responsabilità), la Cassazione predica il principio che, in caso di omessa informazione, è riconosciuto ai genitori, ma non al neonato, il diritto al risarcimento, non essendo configurabile un diritto “a non nascere” ovvero a “non nascere se non sani”, con ciò discostandosi dalla decisione Perruche delle ss.uu. della cassazione francese che aveva adottato l’opposta soluzione della diretta responsabilità del medico nei confronti del neonato per omessa diagnosi di malformazione fetale. Dubbi sorgono, secondo i primi commentatori, in ordine alle affermazioni secondo cui: 1) viene considerato terzo protetto dal contratto il coniuge e non il minore; 2) sarebbe rilevante (anche se la Corte non lo afferma esplicitamente) il solo comportamento commissivo e non anche quello omissivo sotto il profilo della rilevanza causale, mentre la stessa omissione, a prescindere dal suo “ordine di apparizione” e “dall’intensità” dell’efficacia causale, resta pur sempre una concausa dell’evento (nella specie, la donna aveva dichiarato che, in caso di rosolia, avrebbe abortito); 3) il problema dell’interesse protetto viene considerato rilevante nonostante si versi in ambito di responsabilità contrattuale. La responsabilità del medico è stato, peraltro, ritenuta di natura aquiliana dalla Corte francese, per la sua tradizionale insofferenza a violare il principio della relatività del contratto, mentre sia in Italia che in Germania la categoria del contratto protettivo nei confronti dei terzi ovvia a questa problematica, atteso il riconoscimento di contratti in cui, accanto alla prestazione principale vi è quella collaterale che non siano arrecati danni a terzi: l’effetto di prestazione intercorre, allora, tra il medico e la madre, l’effetto di protezione opera a favore del nascituro che, una volta in vita, dovrebbe poter agire autonomamente per il risarcimento, dovendo riconoscere a lui e non ai genitori il relativo diritto sub specie dei danni patrimoniali, psico.fisici, morali e/o esistenziali, riconoscendosi ai genitori i soli danni morali (mentre il consiglio di Stato francese e la corte distrettuale dell’Alabama li hanno riconosciuti in capo ai genitori, salvo commisurarne l’entità alla vita del figlio handicappato, con nobile ma antigiuridico sotterfugio).

35 In tale campo, si osserva, l’obbligo di informazione è molto rigoroso,essendo, oltretutto, sancito dall’art. 14

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d) Chirurgia estetica, obbligo di informazione e consenso del paziente36 - La chirurgia estetica e l’obbligo di informazione (CC 4394/1985, Corr. Giur.

12/1985, nota Malinconico); l’intervento estetico e l’intervento ricostruttivo sotto il profilo del diverso onere di informazione (CC 3046/1997, Corr. Giur.

5/1997, nota Carbone);

e) Trattamento anestesiologico, obbligo di informazione e consenso - consenso ed obbligo di informazione rispetto alle varie fasi dell’intervento operatorio (CC 364/1997, Foro it.);

f) Il consenso informato – Dal punto di vista penalistico, assume rilievo l’inquadramento del consenso del paziente nell’alveo della scriminante di cui all’art. 50 cp37: di recente, la Cassazione penale38 ha ritenuto, peraltro, che “il consenso del paziente non si identifica con quello di cui all’art.50 c.p., ma costituisce un presupposto di liceità del trattamento medico chirurgico, afferente alla libertà morale del soggetto e alla sua autodeterminazione, nonché alla sua libertà fisica intesa come diritto al rispetto della propria integrità corporale, che sono, tutte, profili della libertà personale proclamata inviolabile dall’art.13 della Costituzione”. L’ottica del civilista si concentra invece, come visto nelle ipotesi specifiche, sul dovere di informazione del medico e sulle conseguenze della sua violazione: superata la dimensione strettamente penalistica della fattispecie, essa viene più solidamente ancorata ai principi costituzionali, così che il dovere di informazione da un lato concorre ad integrare il contenuto del contratto, dall’altro, in alcuni casi, rileva autonomamente, sì che la sua violazione si traduce ipso facto nella lesione di un diritto costituzionalmente protetto. L’obbligo è stato “normativizzato”

della legge 194/1978 quanto ai possibili esiti dell’intervento.

36 Vanno, in argomento, segnalate due decisioni del Consiglio di Stato francese del 1996 e della Corte d’appello di Parigi del 1995, che pongono l’accento sul fatto che il dovere di informazione è correlato ad una “obligation d’abstension” per cui il cliente non deve correre un rischio sproporzionato ai vantaggi preventivabili.

37 A tal proposito, un’autore (Bilancetti) individua nove requisiti del consenso in tema di attività medica: esso deve risultare personale, consapevole, attuale, manifesto, libero, completo, gratuito, recettizio e richiesto.

38 CP 11.7.2001, n.1572, Cass. pen. 2002, 2041.

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dall’art.30 del nuovo codice deontologico dei medici del 199539, nonché dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’uomo e la biomedicina, ratificata con legge 145/2001 dall’Italia40. Il suo contenuto postula, poi, il bilanciamento di interessi in gioco che opera in una duplice direzione, quella di mettere il paziente in grado di soppesare i vantaggi ed i rischi prevedibili presentandone un quadro completo compresi i meno probabili, ma escludendo quelli anomali onde evitare un rifiuto dannoso. Esso deve, in ogni caso, essere espresso preventivamente, ed il medico non è abilitato ad eseguire un altro intervento al di fuori di condizioni di necessità, così che le eventuali lesioni conseguite ad un intervento non consentito dovrebbero, secondo alcuni, configurarsi addirittura come volontarie (ma la soluzione lascia non poco perplessi); non essendo condizionato a specifici requisiti di forma esso può risultare anche tacito (CC 1773/1981), ma inequivoco, poiché la sua mancanza impedirebbe ogni intervento ex art. 32 Cost. (nessuno può essere assoggettato a trattamenti sanitari se non ex lege), 13 Cost. (inviolabilità della libertà personale compresa quella alla salute), 33 L.833/1978 (che vieta la possibilità di accertamenti e trattamenti sanitari contro la volontà del paziente). Quando l’interessato non sia in grado di prestare personalmente il consenso, si ammette che possa sostituirlo un parente (CC 9261/1994), nell’esercizio di una facoltà soltanto rappresentativa (per conto, cioè, dell’interessato, che resta il titolare del diritto al risarcimento in caso di mancata prestazione del detto consenso). Solo la necessità e l’urgenza dell’intervento (con il paziente impossibilitato ad esprimere il consenso) legittima, anzi obbliga il medico ad intervenire (CC 1132/1976), essendo l’omissione di cure urgenti o il rifiuto di

39 Modificato nel 1998, a mente del quale “il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte; il medico dovrà tenere conto della sua capacità di comprensione”, mentre l’art.32 precisa ulteriormente che “il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza il consenso del paziente validamente informato”

40 In essa si afferma che “un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso libero e informato. Tale persona riceve preliminarmente informazioni adeguate sulla finalità e sulla natura del trattamento nonché sulle sue conseguenze e sui rischi. Il consenso può essere il qualsiasi momento liberamente revocato”.

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prestare la propria opera se richiesta fonte di responsabilità aquiliana.

L’informazione del medico deve poi estendersi alla portata dell’intervento, alle presumibili difficoltà, agli eventuali rischi (quelli prevedibili, e non glie siti anomali al limite del fortuito), alla possibilità di scelte alternative e, secondo una recente giurisprudenza, anche alla eventuale inadeguatezza della struttura dovuta alla indisponibilità, anche temporanea, della strumentazione necessaria e del conseguente maggior rischio dell’intervento41.

Discussa è la natura della responsabilità derivante da omessa informazione:

secondo una prima interpretazione, essa va ricondotta alla responsabilità precontrattuale,42 secondo altri si tratterebbe di responsabilità contrattuale vera e propria, fondata sul combinato disposto degli artt.1375, 1175 c.c.43, mentre, da altra parte della dottrina, si è sostenuto che l’intervento privo del consenso rilevi direttamente come lesione del bene primario della salute, e comporti l’insorgere, in capo al sanitario, di una responsabilità aquiliana ex art.2043 c.c. (eventualmente destinata a concorrere con quella contrattuale qualora si verifichi, come esito dell’intervento, un evento dannoso).

La diversa natura della responsabilità si riflette sulla ripartizione dell’onere della prova: l’adesione alla tesi della precontrattalità della responsabilità addossa al paziente l’onere di provare l’avvenuta corretta informazione e la prestazione del consenso; viceversa, la natura contrattuale della responsabilità postula la dimostrazione di tali circostanze da parte del medico, secondo il criterio della “vicinanza o riferibilità” della prova44.

41 Cass. 16.5.2000, n.6318, in Danno e responsabilità 2, 154, nota Cassano.

42 Così Visintini, Grisi, Mantovani, Cass. 9617/1999 (Danno e responsabilità 2000, 730, nota Natoli); 364/1997;

10014/1994.

43 Cass. 9705/1997; 4395/1985; 1773/1981, e, di recente, trib. Venezia 4.10.2004, secondo il quale l’inadempimento dell’obbligo di informazione, costituendo parte integrante del contratto di assistenza intercorrente tra il paziente e la struttura ospedaliera, obbliga i sanitari a risarcire il danno esistenziale. Per la dottrina, D’Amico.

44 Secondo la recente Cass. ss.uu. 13533/2001, più volte citata, come è noto, il creditore che agisce per la risoluzione o il risarcimento è tenuto a provare soltanto l’esistenza dell’obbligazione e non l’inadempimento dell’obbligato, dovendo quest’ultimo provare di aver adempiuto. Le più recenti sentenze in tema di colpa medica sembrano attestarsi su questo versante: Cass. 11488/2004, secondo cui “in tema di responsabilità professionale del medico-chirurgo, sussistendo un rapporto contrattuale (quand'anche fondato sul solo contatto sociale), in

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