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ha pronunciato la presente SENTENZA

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Pubblicato il 25/09/2017

N. 04467/2017REG.PROV.COLL.

N. 00615/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello n. 615 del 2017, proposto da:

XXXXXXXXXXX in proprio ed in Qualità di Mandataria XXX, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Carbone, Maria Bruna Chito, con domicilio eletto presso lo studio Paolo Carbone in Roma,

via Guido D'Arezzo N. 28;

XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dagli avvocati Maria Bruna Chito, Paolo Carbone, con domicilio eletto presso lo studio Paolo Carbone in Roma, via Guido D'Arezzo N. 28;

contro

Provincia Autonoma di Trento, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Di Ciommo, Nicolo' Pedrazzoli,

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Giuliana Fozzer, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Di Ciommo in Roma, via Tacito 41;

nei confronti di

in proprio ed in Qualità di Mandataria XXX, XXX, XXX, XXX in proprio e quale Mandataria XXX, XXX, XXX, XXX, XXX in proprio e quale Mandataria XXX, XXX, XXX, XXX, XXX non costituiti in giudizio;

per la riforma della sentenza del TAR di Trento n. 404/2016.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia Autonoma di Trento;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2017 il Cons. Francesco Bellomo e uditi per le parti gli avvocati Maria Bruna Chito e Francesco Di Ciommo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale di Trento XXX , in proprio ed in qualità di mandataria del raggruppamento temporaneo di imprese, domandava:

- l’annullamento e/o la declaratoria di nullità della determinazione del dirigente del

Dipartimento Infrastrutture e Mobilità della Provincia Autonoma di Trento n. 37 in

data 16 giugno 2016 con la quale è stata disposta la revoca della determinazione

dirigenziale n. 365 del 2011, che aveva autorizzato l’indizione della gara, mediante

finanza di progetto, per l’affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva, la

costruzione e la successiva gestione del Nuovo Polo Ospedaliero del Trentino in

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località Al Desert, nonché per la gestione di alcuni servizi commerciali non sanitari, e degli atti presupposti;

- in via subordinata la declaratoria della responsabilità precontrattuale e/o procedimentale della Provincia autonoma di Trento e della conseguente condanna e al risarcimento dei danni patiti dalla ricorrente in ragione della “revoca del provvedimento a contrarre per la realizzazione del Nuovo Polo Ospedaliero del Trentino” ovvero il riconoscimento dell’indennizzo di cui all’art. 21-quinquies della legge n. 241/1990.

A fondamento del ricorso deduceva plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere.

Si costituiva in giudizio per resistere al ricorso la Provincia Autonoma di Trento.

Con sentenza n. 404/2016 il TAR in parte dichiarava inammissibile e in parte rigettava il ricorso.

2. La sentenza è stata appellata da XXX, che contrasta le argomentazioni del giudice di primo grado.

Si è costituita per resistere all’appello la Provincia Autonoma di Trento.

Con ordinanza emessa all’esito dell’udienza del 4 maggio 2017 la Sezione ha disposto istruttoria e sollevato il contraddittorio sulla questione processuale originata dal cumulo delle azioni di nullità e di annullamento.

Con memoria del 7 agosto 2017 l’appellante ha rinunciato alla domanda di ottemperanza.

La causa è passata in decisione alla pubblica udienza del 21 settembre 2017.

DIRITTO

1. La Giunta provinciale della Provincia Autonoma di Trento (di seguito denominata

PAT), con la deliberazione n. 939 in data 6 maggio 2011 ha approvato “il piano di

lavoro per la realizzazione del Nuovo Polo Ospedaliero del Trentino” e con la

successiva deliberazione n. 2385 in data 11 novembre 2011 ha approvato, ai sensi

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dell’art. 47 della legge provinciale 27 dicembre 2010, n. 27, la revisione straordinaria del “Piano degli investimenti per l’edilizia sanitaria per la XIV Legislatura”, stabilendo di utilizzare lo strumento della finanza di progetto per la realizzazione del nuovo ospedale. Con deliberazione n. 2618 di data 2 dicembre 2011 la Giunta ha poi approvato il piano di finanziamento dell’opera e, quindi, con la determinazione n. 365 del 2011 è stata autorizzata l’indizione della gara per l’affidamento del contratto.

In particolare con bando del 15 dicembre 2011 la PAT ha indetto una procedura aperta per l’affidamento, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi degli articoli 30-bis e 50-quater della legge provinciale 10 settembre 1993, n.

26, della concessione per la progettazione definitiva ed esecutiva, la costruzione e la successiva gestione del Nuovo Polo Ospedaliero del Trentino in località Al Desert, nonché per la gestione di alcuni servizi commerciali non sanitari.

Alla gara hanno partecipato – oltre al XXX avente come mandataria la società XXX – anche il XXX avente come mandataria la società XXX, il XXX avente come mandataria la società XXX ed il XXX All’esito della valutazione della Commissione tecnica è stato dichiarato aggiudicatario il XXX, che è stato nominato promotore ai sensi dell’art. 50-quater, comma 10, lett. b), della legge provinciale n. 26/1993.

All’esito della valutazione della Commissione tecnica è stato dichiarato aggiudicatario provvisorio il XXX, che è stato nominato promotore ai sensi dell’art.

50-quater, comma 10, lett. b), della legge provinciale n. 26/1993.

L’aggiudicazione è stata impugnata da tutti i partecipanti non aggiudicatari innanzi al TAR di Trento che, riuniti i diversi ricorsi, con la sentenza n. 30 del 31 gennaio 2014:

- ha annullato il provvedimento di nomina della Commissione tecnica e tutti gli atti

di gara successivi;

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- ha annullato i verbali di gara nella parte in cui non sono stati esclusi C.M.B. ed Impregilo.

Sugli appelli riuniti, il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5057 del 13 ottobre 2014:

- ha confermato la sentenza nella parte in cui ha annullato il provvedimento di nomina della Commissione tecnica e tutti gli atti di gara successivi;

- ha accolto in parte l’appello di XXX e XXX, annullando la loro esclusione dalla gara, stabilendo altresì che «la Provincia può procedere alla rinnovazione della gara a partire dalla fase di presentazione delle offerte. Peraltro, anche alla luce delle criticità emerse nei motivi sollevati dalle parti nei loro ricorsi, si ritiene che l’Amministrazione possa anche intervenire, nell’occasione, per perfezionare alcuni profili contestati delle disposizioni di gara. Sono fatti salvi ovviamente gli ulteriori atti dell’Amministrazione».

A seguito della pronuncia del Consiglio di Stato la PAT ha proceduto a rivalutare le modalità per la realizzazione del nuovo ospedale. In particolare la Giunta Provinciale con la deliberazione n. 438 del 25 marzo 2016 ha adottato un apposito atto di indirizzo recante la decisione strategica di non ricorrere più alla finanza di progetto, bensì di utilizzare una forma di appalto integrato complesso.

L’Amministrazione provinciale con note del 29 marzo 2016 ha, quindi, comunicato ai quattro originari concorrenti l’avvio del procedimento finalizzato alla revoca della determina a contrarre relativa alla gara indetta nel 2011. Le imprese interessate hanno inviato le proprie osservazioni, che all’esito dell’istruttoria sono state riassunte e valutate unitariamente nella relazione del responsabile del procedimento prot.

PAT/RFD330-15/06/2016-0316563. Tuttavia tali osservazioni non sono state ritenute foriere di elementi significativi e, quindi, con la determinazione n. 37 del 16 giugno 2016 è stata disposta la revoca della gara indetta nel 2011.

Avverso tale delibera è insorta la XXX, proponendo – tra l’altro – la censura di

nullità/annullabilità degli atti impugnati per errore nei presupposti ed elusione del

giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 5057 del 13 ottobre 2014.

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La ricorrente ha sostenuto che i provvedimenti impugnati ricondurrebbero alle statuizioni contenute nella citata sentenza del Consiglio di Stato la sussistenza delle condizioni per poter legittimamente riconsiderare l’interesse pubblico sotteso all’intervento e per consentire la revoca degli atti della precedente gara.

Una siffatta “lettura” della sentenza, tuttavia, non sarebbe condivisibile, ed anzi risulterebbe elusiva del giudicato, posto che all’esito della sentenza del Consiglio di Stato, la PAT avrebbe dovuto in realtà procedere alla rinnovazione della gara, a partire dalla fase della presentazione dell’offerta, salva una limitata possibilità di intervenire per perfezionare alcuni profili contestati nelle disposizioni di gara.

Il Tar ha dichiarato inammissibile questa censura, sulla base della seguente motivazione:

«Con la sentenza n. 5057/2016 [n. 5057/2014, n.d.r.] il Consiglio di Stato: A) ha confermato l’appellata sentenza di questo Tribunale n. 30/2014 nella parte in cui ha annullato il provvedimento di nomina della Commissione Tecnica e tutti gli atti di gara successivi; B) ha accolto, in parte, l’appello del XXX e del XXX e per l’effetto ha riformato l’appellata sentenza nella parte in cui questa aveva disposto l’esclusione dalla procedura dei suddetti RTI; C) ha accolto in parte, l’appello del RTI XXX e del RTI XXX e per l’effetto ha riformato, nei sensi di cui in motivazione, l’appellata sentenza nella parte in cui ha disposto la rinnovazione della procedura di gara a decorrere da detto passaggio procedimentale; D) ha respinto tutti gli altri motivi sollevati con appello principale o appello incidentale dalla PAT, dal RTI XXX, dal RTI XXX, dal RTI XXX e dal RTI XXX.

Ne consegue che il primo motivo del ricorso introduttivo – con il quale viene dedotta la violazione/elusione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 5057/2016, sul presupposto che tale pronuncia non prevede anche la possibilità di revocare la gara indetta nel 2011 – risulta inammissibile.

Si deve infatti rammentare che ai sensi dell’art. 113 comma 1, cod. proc. amm. il criterio al quale

occorre far riferimento per stabilire quale sia il giudice competente a definire il giudizio di

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ottemperanza va ricercato nel dispositivo della sentenza di secondo grado nel senso che, ove esso si limiti a rigettare l’appello, il giudizio di ottemperanza deve essere proposto al giudice di primo grado;

ove invece contenga statuizioni che evidenzino un diverso percorso motivazionale e, conseguentemente, uno scostamento dal dispositivo della decisione gravata, allora la competenza è del giudice d’appello (Consiglio di Stato, Sez. V, 24 luglio 2013, n. 3958). Inoltre la giurisprudenza ha precisato che, al fine di consentire l’unitarietà di trattazione di tutte le censure svolte dall’interessato a fronte della riedizione del potere, conseguente ad un giudicato amministrativo, le relative doglianze devono essere dedotte innanzi al giudice dell’ottemperanza, sia perché questi è il giudice naturale dell’esecuzione della sentenza, sia in quanto è il giudice competente per l’esame della forma patologica più grave dell’atto, qual è la nullità; pertanto, in presenza di una tale opzione processuale, il giudice dell’ottemperanza è chiamato in primo luogo a qualificare le domande prospettate, distinguendo quelle attinenti propriamente all’ottemperanza da quelle che, invece, hanno a che fare con il prosieguo dell’azione amministrativa, traendone le necessarie conseguenze quanto al rito ed ai poteri decisori.

In particolare, nel caso in cui il giudice dell’ottemperanza ritenga che il nuovo provvedimento emanato dall’Amministrazione configuri una violazione o elusione del giudicato, dichiarandone così la nullità, a tale dichiarazione non potrà che seguire l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse della seconda domanda; invece, in caso di rigetto della domanda di nullità il giudice disporrà la conversione dell’azione per la riassunzione del giudizio innanzi al giudice competente per la cognizione (in tal senso Consiglio di Stato, Ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2).

Pertanto, posto che la sentenza del Consiglio di Stato n. 5057/2014 reca statuizioni che evidenziano un diverso percorso motivazionale e uno scostamento dal dispositivo della sentenza di questo Tribunale n. 30/2014, il Collegio ritiene che la ricorrente, per contestare la violazione/elusione del giudicato, avrebbe dovuto adire il Consiglio di Stato, denunciando in tale sede la nullità degli atti impugnati con i ricorsi in epigrafe indicati. ».

Quindi ha respinto gli altri motivi del ricorso.

Con il primo motivo di appello XXX, in riferimento alla censura di difetto dei

presupposti ed elusione del giudicato, premesso che il Consiglio di Stato aveva

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disposto espressamente la rinnovazione degli atti di gara dalla fase della presentazione delle offerte, conservando dunque il bando di gara, ha osservato quanto di seguito indicato.

«Volendo procedere con ordine, si rammenta anzitutto che, in primo grado, con il secondo motivo di ricorso, l’ATI XXX ha dedotto l’illegittimità della revoca de qua nella parte in cui ha preteso di rappresentare detto provvedimento, come esecutivo del giudicato della citata sentenza n.

5057/2014.

Infatti, nella determinazione n. 37 si assume – dopo aver testualmente richiamato il punto 42 della motivazione della sentenza n. 5057/2014 – che «in relazione alle motivazioni e al dispositivo della sentenza della Terza sezione, l’amministrazione risult[erebbe] vincolata, con pronuncia passata in giudicato, unicamente in ordine al divieto di riesame delle offerte già precedentemente formulate [...]; invece, rest[rebbe] intangibile l’ambito di discrezionalità amministrativa tra le seguenti tre opzioni: il semplice rinnovo della procedura partendo dalla formulazione di nuove offerte, la riapertura dei termini con conseguente possibilità di ammettere anche nuovi raggruppamenti e, infine, la possibilità di adottare “ulteriori atti” tra i quali, all’evidenza, si può annoverare anche la revoca degli atti di gara, che non risulta essere soluzione preclusa dalla sentenza della Terza sezione».

È tuttavia evidente che la revoca del bando e della determina a contrarre non possono essere lette – come pretenderebbe la Provincia – quale “ottemperanza” alla sentenza del Consiglio di Stato.

L’odierna deducente in primo grado ha peraltro rilevato che, a voler qualificare la revoca in rapporto alla sentenza n. 5057/2014, essa si palesa chiaramente elusiva del giudicato, avendo – come detto – il Consiglio di Stato nella predetta pronuncia disposto la rinnovazione della gara sin dalla fase di presentazione delle offerte.

Il TRGA Trento ha ritenuto inammissibili le suddette deduzioni ai sensi dell’art. 113 c.p.a.

Secondo il Giudice di primo grado, infatti, tutte le doglianze relative al giudicato devono essere

portate alla cognizione del giudice dell’ottemperanza e pertanto, nella specie, al Consiglio di Stato,

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atteso che la sentenza n. 5057/2014 da quest’ultimo emessa ha motivato e statuito diversamente dalla sentenza n. 30/2014 all’epoca resa dallo stesso TRGA.

È tuttavia evidente che la dichiarazione di inammissibilità, così come motivata dal Tribunale, è del tutto priva di fondamento.

In primo luogo, infatti, il TRGA Trento ha omesso di considerare che l’ATI XXX ha censurato la pretesa dell’Amministrazione resistente, espressa nella revoca, di qualificare e considerare quest’ultima come esecutiva del giudicato della sentenza n. 5057/2014, quale errore di valutazione dei presupposti di fatto e di diritto commessi in fase istruttoria (nonostante le osservazioni presentate dall’odierna deducente) e poi confluiti nella motivazione del provvedimento finale.

Tale censura, chiaramente riconducibile al vizio di eccesso di potere, non può ritenersi attratta alla competenza funzionale del giudice dell’ottemperanza, giacché con essa non si fa valere il diritto alla tutela giurisdizionale, tutelato dall’art. 24 Cost., bensì un errore di valutazione della pubblica amministrazione nell’esercizio del potere di secondo grado.

Alla luce della sentenza resa dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 2013 discorso diverso potrebbe farsi per la dedotta nullità del provvedimento di revoca in quanto elusivo del giudicato. Nondimeno, deve rilevarsi che ad impedire una simile conclusione interviene la circostanza che la nullità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo di talché è impossibile ritenere che la sua cognizione – ove dipenda da certe causali piuttosto che da altre – sia oggetto di una competenza funzionale che limita il potere cognitivo del giudice».

2. Ancorché – diversamente da quanto fatto nell’appello della cointeressata Impregilo – XXX non abbia formalmente proposto azione di ottemperanza, nella sostanza domanda l’accoglimento dell’appello per un motivo – logicamente preliminare – ancorato al giudicato di Consiglio Stato n. 5057/2014.

Pertanto, con ordinanza interlocutoria il Collegio ha rilevato il problema

dell’ammissibilità del cumulo tra domanda di annullamento per eccesso di potere e

domanda di nullità per elusione del giudicato.

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La sentenza 15 gennaio 2013, n. 2 dell’Adunanza Plenaria Consiglio di Stato, ha ritenuto ammissibile la proposizione congiunta di censure di nullità per elusione del giudicato e di annullabilità per vizi di legittimità, ma solo nell’ambito del giudizio di ottemperanza: «Ed infatti, le medesime ragioni – che il Collegio ha qui evidenziato per così dire ex post, a giustificazione della riunione disposta dal giudice remittente – rendono possibile, sia pure nei termini e limiti di seguito esposti, sostenere l’ammissibilità di un solo ricorso, in luogo dei due che la parte è spesso, per ovvie ragioni di “cautela processuale”, necessitata ad esperire avverso i provvedimenti emanati dall’amministrazione successivamente al giudicato di annullamento di proprio precedente provvedimento. In via generale può ammettersi che, al fine di consentire l’unitarietà di trattazione di tutte le censure svolte dall’interessato a fronte della riedizione del potere, conseguente ad un giudicato, le doglianze relative vengano dedotte davanti al giudice dell’ottemperanza, sia in quanto questi è il giudice naturale dell’esecuzione della sentenza, sia in quanto egli è il giudice competente per l’esame della forma di più grave patologia dell’atto, quale è la nullità».

Nel caso in esame, invece, la censura di nullità è stata proposta in via di cognizione e tale censura è stata reiterata in appello.

L’appellante ritiene di superare l’evidenziato scoglio in virtù della regola che sancisce la rilevabilità d’ufficio delle nullità.

Tuttavia, stabilisce l’art. 31, comma 4 c.p.a. che “La domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle nullità di cui all’articolo 114, comma 4, lettera b), per le quali restano ferme le disposizioni del Titolo I del Libro IV”.

Nel caso in esame è stata dedotta proprio la nullità di cui all’art. 31, comma 4 c.p.a.

Sulla base di tali argomentazioni il Collegio ha invitato le parti a trattare la questione,

oltre a disporre istruttoria per accertare lo stato di avanzamento della procedura

impugnata.

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L’appellante, pur sostenendo l’ammissibilità del cumulo tra domanda di annullamento e domanda di nullità, ha rinunciato alla domanda di ottemperanza sottesa – a suo dire – al motivo relativo all’elusione del giudicato ed alla pretesa risarcitoria ex art. 112, comma 3 c.p.a., e questo esime il Collegio dal risolvere la questione. È ben vero che l’appellante l’ha riproposta in altra sede, ma l’inammissibilità (o la tardività) della stessa riguarda, appunto, essa soltanto.

La stessa difesa provinciale riconosce (p. 15 della memoria depositata il 5 settembre 2017) che l’unica domanda giudicabile è quella di annullamento, che appunto si passa ad esaminare.

3. È fondata ed assorbente la censura con cui si lamenta l’invalidità del provvedimento di revoca per errore nei presupposti in relazione alla sentenza del Consiglio di Stato n. 5057 del 13 ottobre 2014, ancorché qualificata dall’appellante (anche) come elusione del giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato.

Dalla formulazione del primo motivo di appello (p. 7-8), in precedenza trascritto, si evince come in realtà XXX abbia lamentato un eccesso di potere per sviamento e difetto dei presupposti, fondato su una cattiva interpretazione del giudicato.

Il Tar ha errato nel ritenere la censura inammissibile, sia perché, come visto, era dedotta anche (e non soltanto) come elusione del giudicato, sia perché la qualificazione della domanda processuale si opera sulla base del contenuto sostanziale del ricorso (art. 32 c.p.a.).

Né è di ostacolo all’anzidetto rilievo in sede di appello la formale reiterazione della domanda di nullità, perché l’appellante ha rinunciato alla domanda di ottemperanza (ma non al motivo di appello), peraltro neppure formalmente proposta.

Tanto premesso, occorre accertare la fondatezza della doglianza.

Dall’esame del provvedimento si nota chiaramente come la Provincia abbia agito

sull’erroneo presupposto che dalla sentenza del Consiglio di Stato nascesse solo un

vincolo negativo all’esercizio del potere di rinnovazione della gara, mentre fosse

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autorizzato (o comunque ritenuto consentito) l’esercizio del potere di revoca: “In relazione alla motivazione e al dispositivo della sentenza della terza sezione, l’amministrazione risulta vincolata con pronuncia passata in giudicato, unicamente in ordine al divieto di riesame delle offerte già precedentemente formulate (con conseguente necessità, in ogni caso, di acquisire nuove offerte, essendo ormai decadute quelle precedentemente presentate); invece, resta intangibile l’ambito della discrezionalità amministrativa tra le seguenti tre opzioni: il semplice rinnovo della procedura partendo dalla formulazione di nuove offerte, la riapertura dei termini con conseguente possibilità di ammettere anche nuovi raggruppamenti e, infine, la possibilità di adottare “ulteriori atti” tra i quali, all’evidenza, si può annoverare anche la revoca degli atti di gara che non risulta essere soluzione preclusa della sentenza della terza sezione”.

Non è affatto così, come si ricava dalle conclusioni della decisione del Consiglio di Stato.

«41. - La sentenza deve essere invece riformata nella parte in cui ha disposto, nella parte motiva (alla pagina 66), la rinnovazione della procedura di gara «a decorrere da detto passaggio procedimentale», in accoglimento delle censure sollevate da XXX ed anche da Impregilo.

La sentenza deve essere poi anche riformata, sempre per i motivi indicati, nella parte in cui ha disposto l’esclusione dalla gara di XXX e di XXX, in accoglimento delle censure sollevate dagli stessi RTI.

42. - Come si è già accennato, per effetto di quanto disposto, la Provincia può procedere alla rinnovazione della gara a partire dalla fase di presentazione delle offerte.

Peraltro, anche alla luce delle criticità emerse nei motivi sollevati dalle parti nei loro ricorsi, si ritiene che l’Amministrazione possa anche intervenire, nell’occasione, per perfezionare alcuni profili contestati delle disposizioni di gara.

Sono fatti salvi ovviamente gli ulteriori atti dell’Amministrazione».

Il testo è cristallino nello stabilire che la gara è conservata nella parte ritenuta

legittima, dovendo essere rinnovata dalla fase delle offerte, previo eventuale

perfezionamento di taluni aspetti della lex specialis.

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Il verbo “può” (rinnovare la gara) non esprime una facoltà di scelta, ma indica, in conformità ai principi costituzionali di legalità e necessità, il potere-dovere della amministrazione aggiudicatrice di riprendere la gara – cui essa si era autovincolata – dal momento immediatamente anteriore a quello in cui si è verificata l’illegittimità.

L’affermazione finale secondo cui “sono fatti salvi gli ulteriori atti dell’Amministrazione”

non può che essere letta alla luce di questa premessa, essendo evidente che non si può interpretare il ragionamento di un giudice in conflitto con il principio di non contraddizione: se la sentenza conserva gli atti di gara anteriori alla fase di presentazione delle offerte, non può subito dopo lasciare alla stazione appaltante il potere di eliminarli in autotutela. D’altra parte, da sempre in giurisprudenza l’espressione “salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione” è intesa con riguardo alla quota del potere oggetto di sindacato giurisdizionale che non si è consumato a seguito della sentenza di annullamento, e non già con riguardo al (diverso) potere di secondo grado.

Ne discende che il giudicato non legittimava in alcun modo il ritiro in autotutela degli atti di gara non annullati, ma si riferiva a tutti i provvedimenti che la stazione appaltante può assumere nell’ambito di codesta gara.

L’Amministrazione si difende sostenendo che il potere di revoca può sempre essere esercitato in presenza dei presupposti di legge e non viene meno sol perché il giudice si sia pronunciato sull’attività che ne costituisce oggetto (ovviamente con riguardo alla parte ancora valida).

Il Collegio non mette in discussione l’astratta esistenza del potere di revoca di una

gara pubblica anche in presenza di un giudicato di annullamento che l’abbia

conservata per una parte (nel qual caso il vizio sarebbe da qualificarsi come nullità),

ma il concreto esercizio di quel potere, che nel caso in esame è viziato nei

presupposti, essendo fondato sull’erroneo convincimento che esso fosse stato

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implicitamente riconosciuto dal Consiglio di Stato, il quale, al contrario, non vi aveva fatto alcun riferimento, fissando invece i termini della rinnovazione della gara.

Se il giudicato amministrativo costituiva un limite, ancorché non assoluto, e non certo un fondamento, del potere di revoca della gara, il provvedimento che l’ha valutato come presupposto o comunque condizione di ammissibilità non può che essere illegittimo per eccesso di potere, tanto più che l’Amministrazione è rimasta inerte per un lungo periodo di tempo dopo la sentenza del Consiglio di Stato.

4. L’appello è accolto per quanto di ragione, derivandone l’annullamento dell’atto di revoca, che è quello direttamente lesivo.

Non vi è luogo a provvedere sulle domande risarcitorie, poiché l’annullamento è interamente satisfattivo, essendo risultato dall’istruttoria che l’appalto non è stato ancora aggiudicato.

La complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, accoglie l’appello per quanto di ragione e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata annulla la determinazione del dirigente del Dipartimento Infrastrutture e Mobilità della Provincia Autonoma di Trento n. 37 in data 16 giugno 2016 con la quale è stata disposta la revoca della determinazione dirigenziale n. 365 del 2011, che aveva autorizzato l’indizione della gara, mediante finanza di progetto, per l’affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva, la costruzione e la successiva gestione del Nuovo Polo Ospedaliero del Trentino in località Al Desert, nonché per la gestione di alcuni servizi commerciali non sanitari.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2017 con

l'intervento dei magistrati:

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Franco Frattini, Presidente

Francesco Bellomo, Consigliere, Estensore Umberto Realfonzo, Consigliere Massimiliano Noccelli, Consigliere

Pierfrancesco Ungari, Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Francesco Bellomo Franco Frattini

IL SEGRETARIO

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