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Evasione contributi Inps: cosa si rischia?

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Evasione contributi Inps: cosa si rischia?

Autore: Paolo Remer | 08/08/2021

Cosa succede in caso di omesso versamento o di mancata denuncia di posizione previdenziale: quali sono e a quanto ammontano le sanzioni amministrative e penali.

Al giorno d’oggi, i contributi previdenziali sono diventati importanti quasi quanto le tasse. Per garantire la sopravvivenza sociale è necessario che vi sia un congruo

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numero di lavoratori che finanzi il pagamento delle pensioni, altrimenti le casse dello Stato e degli istituti di previdenza vanno in tilt, con conseguenze catastrofiche per tutti. Posto che il sistema pensionistico si alimenta con i contributi dei lavoratori iscritti e dei loro datori di lavoro (e con il finanziamento statale per ciò che manca), si comprende quanto sia necessario che i contributi dovuti siano versati, integralmente e puntualmente. Così sono previste sanzioni molto severe per chi non adempie questi obblighi. Il livello di attenzione è alto quanto quello fiscale, se non di più. Ma a commettere evasione dei contributi Inps cosa si rischia?

Innanzitutto, bisogna distinguere tra omissione ed evasione contributiva. Le conseguenze sono piuttosto differenti, con sanzioni più aspre nel secondo caso.

Sono previste anche sanzioni penali per il datore di lavoro che evade il pagamento dei contributi oltre determinate soglie: è un reato punito in maniera piuttosto severa, ma sono previsti degli “sconti” in caso di ravvedimento spontaneo entro certi termini. Ora, esaminiamo i vari casi che possono verificarsi, in modo da capire cosa rischia chi evade i contributi Inps.

L’obbligo di contribuzione previdenziale

Una quota percentuale della retribuzione di ogni lavoratore (dipendente o autonomo) è destinata per legge al finanziamento delle prestazioni previdenziali. Il versamento dei contributi è obbligatorio per chiunque svolge un’attività lavorativa retribuita.

I contributi si distinguono in:

previdenziali, in quanto destinati alle prestazioni pensionistiche erogate dall’Inps agli aventi diritto;

assistenziali, per coprire i rischi di infortuni e malattie professionali ed erogare i sussidi di invalidità o disoccupazione involontaria.

In concreto, il lavoratore subordinato subisce una trattenuta percentuale sulla retribuzione mensile, il cui importo è riportato in busta paga, e così riceverà lo stipendio già al netto dei contributi. L’obbligo di pagamento dei contributi incombe sul datore di lavoro, che deve versare le somme trattenute ai dipendenti agli Enti previdenziali e assistenziali (Inps e Inail), solitamente entro il giorno 16 del mese successivo.

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Ogni lavoratore può verificare la propria posizione contributiva in qualsiasi momento, attraverso l’estratto conto previdenziale fornito dall’Inps, in modo da verificare la correttezza delle trattenute operate e la regolarità dei versamenti effettuati dal datore di lavoro.

Omissione contributiva: cos’è e com’è punita?

Si ha omissione contributiva quando il pagamento dei contributi dovuti viene ritardato rispetto alle date previste. In questo caso, la liquidazione dei contributi è avvenuta e risulta dalle registrazioni delle trattenute operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni. Ciò evidentemente presuppone che la denuncia obbligatoria delle posizioni lavorative è stata regolarmente presentata e, dunque, l’Inps è a conoscenza dell’avvenuta iscrizione [1].

In sostanza, l’omissione contributiva è un’evasione limitata all’aspetto del mancato versamento entro la scadenza; un fenomeno analogo a quello di chi presenta la dichiarazione dei redditi, contenente la liquidazione del tributo, ma poi non compie il pagamento nei termini previsti.

Le sanzioni per l’omissione contributiva sono di tipo pecuniario ed ammontano all’importo non versato maggiorato, su base annua, di un interesse di 5,5 punti percentuali oltre il tasso ufficiale stabilito sulle operazioni di rifinanziamento dell’Unione Europea [2], attualmente pari allo 0,25% (perciò l’importo totale degli interessi è del 5,75% annuo); la somma complessiva di tali maggiorazioni non può superare il 40% dell’importo dei contributi non corrisposti.

Evasione contributiva: le sanzioni amministrative

L’evasione contributiva si verifica quando le registrazioni delle posizioni lavorative presso l’Inps non sono state effettuate o quando le denunce obbligatorie sono state omesse o falsificate in modo da renderle infedeli: ad esempio, un lavoratore assunto in nero, ma anche un dipendente a tempo indeterminato classificato indebitamente come part-time, con un numero di ore notevolmente inferiore a quelle realmente lavorate.

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La legge [3] definisce l’evasione contributiva come quella «connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o i premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate». In questa ampia definizione rientrano non solo le aziende che hanno alle dipendenze lavoratori subordinati, ma anche gli artigiani, i commercianti, i lavoratori autonomi ed i liberi professionisti, in tutti i casi di omessa o infedele denuncia di iscrizione del titolare o dei suoi collaboratori.

Per l’evasione contributiva la sanzione amministrativa a carico del datore di lavoro è pari ad un ammontare del 30% del debito contributivo, con il limite massimo del 60% sull’importo dei contributi dovuti ma non dichiarati e non versati, più gli interessi di mora decorrenti dalle rispettive scadenze, analogamente a quanto previsto per le sanzioni tributarie [4].

Se il datore di lavoro regolarizza spontaneamente la posizione, prima di subire un controllo o una contestazione da parte degli Uffici, e comunque entro 12 mesi dalla scadenza del debito contributivo, potrà versare le sanzioni ridotte previste per il caso di omissione contributiva che ti abbiamo indicato nel paragrafo precedente.

Evasione contributiva: quando è reato?

L’evasione contributiva diventa reato quando l’omissione o la falsità delle registrazioni o delle denunce obbligatorie supera l’importo mensile di 2.582,28 euro e la soglia del 50% dei contributi complessivamente dovuti nel mese [5]. Le due condizioni operano congiuntamente, quindi per integrare il reato è necessario che si verifichino entrambe. La pena è la reclusione fino a due anni.

Un’ulteriore ipotesi di reato, che nel 2016 è stato parzialmente depenalizzato [6], sussiste quando il datore di lavoro non versa le ritenute previdenziali operate nei confronti dei dipendenti, ma solo se l’ammontare evaso è superiore a 10mila euro annui (in passato non vigeva questo limite). Per questo reato, la pena è quella, congiunta, della reclusione fino a tre anni e della multa fino a 1.032 euro. Al di sotto di questa soglia, si applica solo una sanzione amministrativa pecuniaria da 10mila a 50mila euro.

Per questo reato c’è una speciale causa di non punibilità, che si applica

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quando il datore di lavoro versa le somme dovute entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.

Ciò consente di evitare sia la sanzione penale sia quella pecuniaria.

Ora, una nuova sentenza della Corte di Cassazione [7] ha stabilito che il condannato alla pena detentiva per il reato di omesso versamento di ritenute contributive può convertire la reclusione in pena pecuniaria avvalendosi dell’istituto previsto dalla legge [8] se il giudice, alla stregua della personalità del reo e dell’entità dell’illecito, ritiene giustificato questo beneficio premiale.

Note

[1] Art. 116, co. 8, lett. a) L. n. 388/2000. [2] Circ. Inps n. 158/2013. [3] Art. 116, co. 8, lett. b) L. n. 388/2000. [4] Art. 30 D.P.R. n.602/1973. [5] Art. 37 L.

n.689/1981. [6] Art. 2, co. 1 bis, D.L. n. 463/1983, sostituito dall'art. 3, co. 6, D.

Lgs. n. 8/2016. [7] Cass. sent. n. 30682 del 05.08.2021. [8] Art. 53 L. n. 689/1981.

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