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Berlino e Bologna, genesi di un cambiamento annunciato?

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Academic year: 2022

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Berlino e Bologna, genesi di un cambiamento annunciato?

L’altro giorno mi sono imbattuta in questi versi, scritti su un muro mentre stavo passeggiando per Bologna: “A Parigi ti chiederò un bacio, a Berlino una birra media, e a Bologna di restare”. Nella sua semplicità, e nonostante quella che ho valutato un’imprecisione (credo che siano molto meglio le birre di Bruxelles, a Berlino ti chiederei di ballare o di uscire alle 4 del pomeriggio, ritrovandoci alle 6 del mattino dall’altra parte della città), il “sonetto” mi ha smosso qualcosa. Infatti, pur non

conoscendo affatto Parigi, era riportato un riferimento alle mie due città-casa: quella di nascita, Bologna, e quella di adozione, Berlino.

All’apparenza le due città non sembrano essere paragonabili: capitale europea una, città

metropolitana, come le piace definirsi, l’altra. Forse è stato il perpetuo tentativo di trovare Bologna a Berlino, e Berlino a Bologna, sta di fatto che col tempo ho riscontrato diverse analogie tra le due.

Entrambe vivono in uno stato di perpetua metamorfosi, il che le rende un porto sicuro per chi è alla continua ricerca di qualcosa, pur non sapendo esattamente cosa sia.

Entrambe mi hanno sempre parlato attraverso i muri. Berlino e la street art (tralasciando l’ovvia East Side Gallery), per esempio quella del RAW Gälande Tempel: vecchio stabile ferroviario poi occupato e convertito in luogo di aggregazione che oggi ospita locali, mercati, concerti, gallerie, i cui murales mi hanno accompagnato in innumerevoli camminate verso casa la sera. Tanto quanto le opere di Draw, Mambo e Dado l’hanno fatto durante la mia infanzia, quando da scuola tornavo alle Falde dei Gratta, i grattacieli popolari in zona Mazzini. Le scritte dei Berlin Kids sui muri sterminati delle case di Kreuzberg, mi facevano compagnia mentre bevevo il caffè la mattina, così come le raffinate rappresentazioni di Ericailcane in Pratello, lo hanno fatto quando, cresciuta, cominciavo a muovermi dalla periferia verso il centro bolognese.

Street art e non solo. Quanti i messaggi lasciati da persone di passaggio su una colonna di un portico (penso ai versi all’inizio di quest’articolo) o su uno dei tanti cestini arancioni berlinesi. La street art, e le sue derivazioni espressive, rappresentano uno strumento comunicativo sia da parte di chi quest’arte la crea, sia di quello che la riceve, la elabora e assorbe, procedendo in quell’incessabile danza che Stuart Hall definisce encoding e decoding. Camminando per le stradine bolognesi o gli sconfinati vialoni berlinesi, queste missive confidano e intrattengono,

creando nuovi orizzonti di senso, trasformando così i muri in parte integrante dello spettro comunicativo della città e manifestazione della sua esuberanza.

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Murales di Ericailcane e Blu all’XM24

Murales di Blu a Cuvrystrasse, Berlino

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Quante persone sono state accolte negli stabili occupati nella Berlino est: Tacheles, Liebig34 o Funkhaus, per citarne alcuni, così come nei centri sociali a Bologna, XM24, L’Isola nel Kantiere, TPO, e Labas, trovando lì una casa e una famiglia. Abitando quegli spazi abbandonati, hanno dato nuova vita a un frammento cittadino altrimenti destinato all’oblio, plasmando così non solo un output culturale, spesso riferito come underground o, nel nostrano, controcultura, ma anche creando nuovi modi di vivere la socialità.

Mecca della musica techno, Berlino è l’indiscutibile epicentro della musica elettronica, quantomeno in Europa. Ed è vero: come si balla a Berlino non si balla da nessuna parte. Nel suo piccolo, anche Bologna è stata palcoscenico di rilievo, ospitando artisti internazionali (va ricordato quando Jimi Hendrix cercò rifugio al Kinki di via Zamboni dopo un concerto) e serate per così dire

all’avanguardia in locali come il Cassero o il LINK.

Ambedue crocevia notturne per biassanot, che in dialetto bolognese significa “mastica notte”,

studenti, Berliner Schnauze, ovvero i berlinesi senza peli sulla lingua, se non addirittura maleducati;

non è raro trovare seduti allo stesso tavolo ventenni e cinquantenni disquisire di Habermas o Fellini.

Quante volte a Bologna mi sono sentita chiedere dove fossi nata e, con il consueto sguardo stupito, dire: “AH! Voi locali siete una specie rara!”; altrettante volte, parlando con un berlinese, ho pensato la stessa cosa. Bologna e Berlino sono, sono state e saranno, case, stabili o di passaggio, di tantissime persone. Per questo motivo nel tempo si sono guadagnate l’etichetta di città

inclusive, paladine della diversità e della multiculturalità. Sedendomi al giardino del Guasto in zona Universitaria ho osservato bambini, studenti, senzatetto convivere in modo pacifico in uno spazio estremamente ridotto, eppure grande abbastanza per tutti. Tanto quanto fermandomi a Görlitzer Park in un pomeriggio di tarda primavera ho visto bambini turchi e tedeschi correre tra i getti d’acqua, contornati da ragazzi in after di ritorno dal club (o che stavano andando? A Berlino questo dubbio è sempre legittimo), coppie che prendono il tanto agognato sole leggendo un libro, o una signora che raccoglie le bottiglie vuote per ricevere quel più per arrivare a fine settimana, quello che in tedesco si chiama pfand.

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Giardino del Guasto, Bologna

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Görlitzer Park, Berlino

Se Bologna e Berlino presentano molteplici analogie, va detto che bisogna anche considerare il preciso contesto storico che ne ha determinato le differenze. Infatti, dalla stessa premessa quale la caduta del muro di Berlino nell’89, le due città hanno attraversato una metamorfosi che ha portato a diverse ripercussioni. La caduta del muro sancisce globalmente la fine della guerra fredda, dei regimi comunisti, la caduta del blocco sovietico, e per Berlino e la Germania la riunificazione. Per l’Italia invece, paese che aveva il partito comunista più forte del blocco occidentale, genera un vero e proprio shock.

Tre giorni dopo la caduta del muro, il 12 novembre, in occasione della commemorazione partigiana della battaglia di porta Lame, il Partito Comunista Italiano – PCI si riunisce alla Bolognina nel quartiere Navile. Quando il sottosegretario Achille Occhetto prese la parola, incitò a riflettere sul necessario cambiamento di direzione del partito visti gli eventi recenti, e considerando

l’impossibilità per il comunismo di esercitare la funzione di contraltare al capitalismo statunitense.

Quest’episodio, divenuto noto come “la svolta della Bolognina”, porterà alla progressiva dissoluzione del PCI, che si concretizzerà nel febbraio del 1991, e a una conseguente crisi d’identità politica a livello istituzionale. La sinistra italiana, che poteva vantare Bologna (detta la rossa, non solo per il colore dei suoi muri) come uno dei suoi fiori all’occhiello poiché da sempre amministrata dalla sinistra in modo positivo e dinamico, deve iniziare a interrogarsi sulla fine del comunismo, aprendo una fase di complessivo indebolimento sul territorio italiano, che si esplicita a Bologna con l’elezione nel ’99 di Giorgio Guazzaloca, primo sindaco di una giunta non di sinistra dal 1945.

Al contrario, la Germania vive un momento di rinnovamento e ritrovato slancio, che porterà la nazione a recuperare terreno economico, sociale, e politico, trasformando Berlino in una delle più influenti capitali europee. Con la caduta del muro, Berlino si riunifica, ma questo processo di

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transizione o, per meglio dire, di annessione della Germania dell’Est, non avviene dal giorno alla notte, considerando che, di fatto, c’erano due sistemi economici e politici che regolavano la vita pubblica in modo dissimile e attorno a valori diametralmente opposti. In questo clima d’indecisione politica, si respira l’aria di un nuovo inizio che porta la città a diventare teatro sperimentale, un luogo dove stabilire nuovi linguaggi avanguardistici, parco giochi a cielo aperto per espressioni artistiche e culturali.

Certo, il cambiamento non avviene dall’oggi al domani, sebbene sia esattamente così che ci colpisce:

un giorno ti svegli e non sai se la prospettiva l’hai cambiata tu, o se a cambiare è davvero quel che ti circonda. L’accettazione del liberismo da parte della sinistra, quindi partecipazioni pubblico-private e liberalizzazioni in senso privatistico degli spazi, ha colpito gradualmente, ma pervasivamente, tutta Europa. Gli avvenimenti dell’89 hanno rappresentato una crisi per Bologna e una rinascita per Berlino, ma per entrambe sono confluiti nella necessità istituzionale di garantire una presentabilità degli spazi comuni all’insegna del bello e pulito, e a una conseguente irrigimentazione dello

spontaneismo e più in generale della controcultura.

Sebbene la vitalità culturale bolognese risiedesse, già da prima della caduta del muro, nella sinistra extra parlamentare, basti pensare ai movimenti come Lotta Continua o Potere Operaio, la “svolta della Bolognina” (da notare che oggi il rione è definito un’incipiente Berlino) determina persino l’affievolimento di questo tipo di movimentismo. Era, infatti, più facile fare controcultura quando c’era un partito che, anche se accusato di essere rigido e grigio, per dirla alla Gaber, comunque portava avanti delle istanze su lavoro, salute, e istruzione di stampo universalistico. Particolarmente a Bologna gli sviluppi post ’89 hanno significato dunque l’abdicazione del comunismo e del partito dal suo ruolo di erogatore pubblico di servizi, lanciandosi nell’idea che un certo tipo di società civile, ovvero quella imprenditoriale, diventasse promotrice delle trasformazioni sociali.

Nel 2016 la mostra Street Art – Banksy & Co, tenutasi a Palazzo Pepoli e promossa da Genus Bononiae, è stata accolta con non poche polemiche da artisti e attivisti, denunciando il tentativo di musealizzare e privatizzare l’arte, rubando opere appartenenti alla strada. Nel 2017, a Schöneberg (Berlino ovest), ha aperto Urban Nation, un museo “for urban contemporary art”, sancendo la formalizzazione di una forma d’arte per sua natura indisciplinata. In segno di protesta lo stesso Blu, supportato tra gli altri dai residenti dell’XM24, ha cancellato diverse sue opere nel capoluogo emiliano, come già aveva fatto in precedenza a Berlino, nell’area attorno a Cuvrystrasse (Kreuzberg), per contestare i processi di gentrificazione della zona. A Bologna nel maggio di quest’anno, la candidata sindaca Isabella Conti si è impegnata a ripulire i muri di una via della zona universitaria, divenuta nota negli anni per il degrado e per i continui conflitti tra avventori dei bar e residenti. La candidata ha anche dichiarato di voler investire 500mila euro per

riverniciare i muri della città affinché siano sempre puliti. Al giardino del Guasto, dopo innumerevoli denunce da parte dei residenti ora, dalle 5 alle 8 di sera, sono ammessi solo bambini, escludendo così l’ingresso a studenti, anziani, senzatetto alla ricerca di un luogo tranquillo e interessante dove trascorrere il pomeriggio. Dal 2018 a Görlitzer Park è stato istituito un park manager che si occupa della coordinazione di rangers affinché turisti e frequentatori si sentano al sicuro accanto ai drug dealers che, secondo l’emittente tedesca Deutsche Welle, si tratta per la maggior parte di rifugiati provenienti dall’Africa.

Sebbene l’approccio volesse incoraggiare il dialogo e la pacifica co-esistenza, chiaramente

s’interessava alla tutela e protezione del benessere di una definita fetta del tessuto sociale, senza promuovere effettive politiche di riabilitazione o supporto per l’altra.

Gli stabili occupati e i centri sociali che hanno generato la tanto decantata controcultura, comunque inequivocabile motore di turismo, sono stati progressivamente tutti chiusi (e con tutti intendo

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quantomeno tutti quelli riportati in quest’articolo), ultimi in ordine di tempo l’XM24 nell’agosto 2019, sfrattato dallo stabile concesso nel 2002 per ironia della sorte proprio dalla giunta Guazzaloca, e il Liebig34 a ottobre 2020 (quindi in piena pandemia e in concomitanza con la festa nazionale della riunificazione tedesca), lasciando per strada intere famiglie. Lo stesso sta accadendo con i club storici, molti dei quali hanno ricevuto la mazzata finale durante i mesi di lockdown, e che cercano di stare a galla, reiventandosi nell’ennesimo Biergarten o spazio per mercatini.

Manifestazione contro lo sgombero di XM24, Bologna

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Manifestazione contro lo sgombero di Liebig34, Berlino

A completare la cornice c’è una crisi del mercato immobiliare, e una crescente speculazione edilizia mascherata da riqualificazione, che incalza ormai da anni; sia a Berlino che a Bologna la domanda per case in affitto ha superato l’offerta, il che ha portato all’inevitabile aumento dei prezzi degli immobili. Bologna è diventata la terza città più cara d’Italia dopo Milano e Roma, mentre a Berlino nel decennio 2008-2018 il prezzo medio di affitto è aumentato del 37%, passando da 4,79€/

m² a 6,56 €/m². Sintomatico della metamorfosi cittadina, The Student Hotel ha aperto i battenti a Berlino nel 2019 e a Bologna nel 2020 (sorgendo peraltro sulle ceneri dell’ex Telecom, stabile abbandonato che fino al 2015 ospitava all’incirca trecento persone). Un ibrido tra hotel, studentato, e hub per giovani professionisti di successo e globe trotter, TSH si propone come centro

multiculturale e creativo, dove alloggiare a partire da €500, in doppia. Ma con accesso a piscina e alla palestra. Se Berlino è meta ambita dai giganti come Tesla, che sta aprendo la sua Gigafactory vicino al nuovo aeroporto nelle campagne a confine con il Brandeburgo, a Bologna si è sviluppata quella che un amico ha argutamente definito “bulimia dilagante”: il piccolo medio imprenditore trova nel mercato gastronomico l’unica forma di successo. Il centro della città è disseminato di prosciutterie, tigellerie, piadinerie (Bologna, oltre che la rossa, è detta anche la grassa, a indicare che si pasteggia a prosciutto e tigelle già da tempo), specchietti per turisti, a discapito degli storici commercianti e delle vecchie botteghe. Quest’operazione di rebranding di Bologna come Eldorado del mangiar bene ha raggiunto il climax nel 2017 con l’apertura di FICO – Eataly World, il parco tematico agroalimentare, costruito su una porzione del vecchio CAAB – Centro AgroAlimentare Bologna. Quello che doveva essere un nuovo polo attrattivo per turisti e bolognesi si è rivelato un fallimentare esperimento: a fronte dei 6 milioni di visitatori l’anno previsti, nel 2019 se ne sono registrati appena 1,6 con perdite di 3,14 milioni di euro.

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The Student Hotel, Bologna

The Student Hotel, Berlino

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A onor del vero rimangono degli esempi di virtuosismo da parte della società civile, impegnata nella rivendicazione di diritti: il gruppo auto-organizzato di consegnatori di Glovo, JustEat, Deliveroo, tra gli altri, insieme con esponenti di sindacati e dell’amministrazione, si è riunito nella “Riders Union Bologna”, proponendo una carta a tutela dei “lavoratori digitali” al fine di garantire condizioni di lavoro dignitose e sicure. A Berlino è stata promulgata la Mietendeckel, la legge per controllare l’aumento degli affitti, ma anche volta a ricalibrare il costo per gli attuali inquilini per €/metro quadro. A cavallo del 2020-2021, è stato istituito il tampone sospeso per i riders bolognesi, per monitorare il loro stato di salute, al fine di poter lavorare in sicurezza. Purtroppo, molti lavoratori hanno preferito non usufruire del servizio pena, in caso di esito positivo, la quarantena e mancato salario. Allo stesso tempo, ad aprile 2021, la Mietendeckel è stata dichiarata incostituzionale, costringendo chi aveva già usufruito degli aiuti a ridare i soldi ai padroni di casa.

Ogni esempio esposto fin qui è complesso e meritevole di essere analizzato distintamente, eppure nella loro totalità tutti questi processi ci raccontano qualcosa che impatta profondamente il modo di vivere la città. Lo scontro tra degrado e pulizia, l’ossessione per produrre città perfette, riqualificandone le aree più “disagiate”, sono processi in atto globalmente da anni e che a questo punto non risparmiano nessuno: metropoli come nel caso di Berlino, o paesoni come Bologna.

L’autore Karl Scheffler ha detto: “Berlin is a city condemned forever to becoming and never to being”, e credo si possa dire lo stesso di Bologna. Entrambe vivono in uno stato di perpetua metamorfosi, il che le rende un porto sicuro per chi è alla continua ricerca di qualcosa, pur non sapendo esattamente cosa sia.

Eppure, sento sempre più spesso frasi come “Lipsia (o Belgrado) sono la nuova Berlino”, e non posso che chiedermi: che cosa cerchiamo a Lipsia, Belgrado che Berlino, o Bologna, chiaramente non hanno più? E dopo che Lipsia o Belgrado avranno esaurito il loro capitale attrattivo? Quando mi viene chiesto di parlare di Bologna o Berlino, dico sempre che non sono due città belle nei termini estetici tradizionali: Berlino non è Parigi, e Bologna non è Firenze. E aggiungo poi che sono due città da vivere, da respirarne l’atmosfera. Con una vena nostalgica, ci sarebbe da domandarsi che tipo di atmosfera si potrà respirare una volta che il processo di gentrificazione sarà definitivamente

compiuto. La verità forse è che Bologna e Berlino hanno saputo interpretare lo spirito del tempo e adattarsi, reinventando le loro molteplici facce in modo da non venir escluse dalla fatale

cannibalizzazione tardo-capitalista. Difficile distinguere se Berlino e Bologna stanno svanendo, o se a sfumarsi è la nostra idea di come dovevano essere.

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