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Commercio internazionale e lavoro: governance asimmetrica e ruolo della società civile

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Academic year: 2022

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Scuola Normale Superiore

From the SelectedWorks of Mario Pianta

2007

Commercio internazionale e lavoro: governance asimmetrica e ruolo della società civile

Mario Pianta Duccio Zola

Available at:https://works.bepress.com/mario_pianta/57/

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Capitolo per il volume Mercato globale e diritti sociali Atti del convegno organizzato dalla Fondazione Basso

Commercio internazionale e lavoro:

governance asimmetrica e ruolo della società civile Mario Pianta e Duccio Zola

maggio 2006

1. Le asimmetrie della globalizzazione

Uno dei tratti più marcati dei processi di globalizzazione neoliberista che si sono sviluppati a partire dagli anni ottanta è stata la contrapposizione tra l'estensione e liberalizzazione dei mercati globali e la progressiva limitazione e svuotamento dei diritti del lavoro e sociali affermatisi a livello nazionale nei decenni passati.

Le attuali realtà del commercio internazionale e della tutela del lavoro e dei diritti sociali si possono interpretare come il risultato congiunto di diversi processi:

a. le regole e i comportamenti delle istituzioni sovranazionali attive in questi settori;

b. le politiche realizzate dagli Stati, con effetti legati al peso dei diversi paesi nei flussi di commercio internazionale e nell'impiego di lavoro;

c. i comportamenti dei principali soggetti privati – grandi imprese multinazionali, imprese nazionali, sindacati, lavoratori – che sono protagonisti dei flussi commerciali e dei rapporti di lavoro;

d. le iniziative per influenzare l'evoluzione di regole pubbliche e comportamenti privati – a livello nazionale e sovranazionale – realizzate da gruppi d'interesse organizzati, come le lobby delle grandi imprese, dal sindacato, dalle campagne della società civile su questi temi.

La combinazione di questi processi ha portato agli attuali regimi internazionali che regolano i mercati e i diritti del lavoro, con insiemi distinti di norme e una divisione funzionale nella gestione dei problemi globali. Sono così emersi diversi sistemi di governance – definibili come un'attività di governo senza un governo formale – costruiti sulla base di priorità politiche internazionali, principi di efficacia e possibilità operative, che tuttavia pongono nuove questioni di coordinamento e integrazione. Nell'emergere di questi sistemi di governance sovranazionale emerge una doppia asimmetria.

Processi nazionali e processi globali

La prima asimmetria è tra la scala nazionale e quella sovranazionale. Nel primo livello esiste un sistema relativamente compiuto (almeno nei paesi avanzati) di regolazione integrata dei processi economici e commerciali, da un lato, e dei diritti del lavoro e sociali, dall'altro. Tale integrazione è assicurata dall'unitarietà dell'autorità degli Stati e dalla varietà delle politiche nei diversi ambiti economici e sociali. Tra le politiche che contribuiscono a definire tale assetto, anche indirettamente, ci sono le politiche per il lavoro e la protezione sociale, quelle per la concorrenza sui mercati, il ruolo delle autorità indipendenti e delle imprese pubbliche, le politiche ambientali, e il ruolo istituzionale del sindacato.

Esse, a loro volta, riflettono i possibili equilibri tra le dinamiche sociali all'interno della sfera economica – conflitti sociali, contratti di lavoro, ruolo dei sindacati – e le dinamiche in

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ambito politico – processi democratici, pratiche di cittadinanza, partecipazione, conflitti, consenso – che influenzano le politiche, regole e istituzioni. A sua volta, la politica degli Stati sul lavoro e i diritti sociali condiziona le modalità di sviluppo delle relazioni economiche, sulla base di un insieme di rapporti che viene illustrato schematicamente nella figura 1.

A livello sovranazionale tale capacità d'integrazione è del tutto assente, per la mancanza di un assetto statale e di un'unitarietà del governo nei processi economici e sociali. La figura 2 sintetizza le diverse modalità in cui queste relazioni si sviluppano. Da un lato, l'economia globalizzata consente alle imprese grande libertà d'azione, aprendo i mercati e aggirando le normative nazionali sul lavoro e i diritti (dove esistono). Dall'altro lato, il sistema politico si fonda su accordi interstatali, che portano alla creazione di sistemi di governance complessi su alcuni temi (ad esempio il commercio internazionale, con l'Organizzazione Mondiale del Commercio) e non su altri. Il risultato è il mancato rispetto dei diritti del lavoro da parte delle imprese, l'assenza di regole internazionali vincolanti in questo campo e un vuoto degli stessi processi democratici a scala internazionale. In tale vuoto si colloca l'emergere di una società civile globale che realizza campagne per l'affermazione dei diritti, anche sui temi del lavoro, e chiede giustizia e democrazia internazionale. Attraverso le forme di azione tipiche della società civile – mobilitazioni, proteste, campagne di pressione e proposte di alternative – viene così sollevata l'esigenza di integrare, attraverso i confini nazionali, le domande espresse da lavoratori, sindacati, cittadini e organizzazioni sociali sulle regole e i comportamenti che riguardano commerci e lavoro. Se a scala nazionale tale integrazione può avvenire all'interno dei processi istituzionali dell'economia e della politica, a livello globale è emerso un ruolo di supplenza della società civile come soggetto autonomo. Essa opera in una sfera distinta da quella delle relazioni economiche – basate sui mercati – e da quella delle relazioni politiche – fondate sulla cittadinanza –, ma è in grado di mettere in discussione legittimità e comportamenti dell'economia e della politica internazionale, influenzando in alcuni casi le strategie delle imprese e le politiche realizzate (Pianta, 2001a).

(figure 1 e 2 qui)

2. I sistemi di governance internazionale del commercio e del lavoro

La seconda asimmetria riguarda, a livello sovranazionale, la definizione dei sistemi di governance del commercio e del lavoro. Per il commercio internazionale è stato realizzato negli ultimi dieci anni un sistema di governance che assicura una forte liberalizzazione, senza un parallelo sviluppo di regole sui diritti del lavoro e sociali, sulla concorrenza nei mercati e sui problemi ambientali legati allo sviluppo. Con la crescita dell'integrazione internazionale è necessario un quadro coerente di collegamenti tra i diversi sistemi di regole. L'espansione del commercio internazionale si basa su un'accresciuta produzione che estende l'impiego del lavoro anche in paesi in via di sviluppo. Quale rapporto devono avere le regole per l'espansione del commercio di beni, con le modalità di impiego del lavoro attraverso cui questi beni sono prodotti? In altre parole, quali sono le condizioni di lavoro che sono accettabili in un sistema commerciale mondiale?

Le possibilità di decentrare produzioni in altri paesi e di suddividere e riorganizzare i processi produttivi hanno fortemente indebolito le capacità dei lavoratori dei paesi di più vecchia industrializzazione di mantenere le conquiste sui diritti, i salari e le condizioni di lavoro ottenute in cento anni di lotte sociali. Le garanzie in passato offerte dalle legislazioni nazionali possono essere facilmente svuotate dai processi di globalizzazione. I diritti del lavoro richiedono ora di essere tutelati alla stessa scala a cui avviene la produzione, in cui operano le imprese: a scala globale.

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Ma come sono definite oggi le relazioni tra poteri e regole sovranazionali nel campo del commercio e del lavoro? La tabella 1 mette a confronto i sistemi di governance in questi due campi, sintetizzando i principi, le istituzioni, le norme, gli effetti economici e le dinamiche sociali che li caratterizzano.

Valori e principi

La storia del commercio internazionale ha visto una varietà di principi che di volta in volta hanno giustificato il libero commercio o il protezionismo, il commercio strategico o strategie di sviluppo, a seconda delle condizioni contingenti del paese coinvolto. Oggi la tesi di chi richiede la liberalizzazione del commercio sottolinea i guadagni di efficienza che ne conseguirebbero, secondo una visione più statica che dinamica dei processi economici.

Le argomentazioni di chi sostiene i diritti dei lavoratori si basano invece su una logica diversa, che riguarda i diritti umani fondamentali. A livello internazionale l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) è stata a lungo impegnata nell’individuazione e la promozione dei diritti dei lavoratori. E' stato definito un gruppo di diritti essenziali del lavoro, che comprende:

- la libertà di associazione, organizzazione sindacale e contrattazione collettiva;

- la proibizione del lavoro minorile;

- la proibizione del lavoro forzato;

- la proibizione di ogni forma di discriminazione.

Questi diritti essenziali sono riconosciuti come diritti umani universali e sono oggetto di sette convenzioni dell'Oil ratificate da un numero di paesi che varia da 85 (convenzione sul lavoro minorile) a 152 (lavoro forzato); anche se sono solo 59 i paesi che hanno ratificato tutte le sette convenzioni. Si tratta in ogni caso di diritti che devono essere rispettati da tutti i paesi, a prescindere dal loro livello di sviluppo, dalla situazione politica o dalle tradizioni culturali.1 E’ stato poi individuato un secondo gruppo di diritti dei lavoratori, più legati alle condizioni delle economie nazionali, alla contrattazione tra imprese e lavoratori e alle politiche nazionali.

Questi riguardano i seguenti aspetti:

- i salari minimi;

- l'orario di lavoro;

- la salute e sicurezza;

- il riposo settimanale;

- la protezione sociale;

- la formazione.

Questo secondo gruppo di diritti non è mai stato al centro del dibattito nelle sedi internazionali ed ora è messo in discussione perfino tra i paesi più avanzati, che nel passato si erano distinti proprio per i progressi compiuti su questi aspetti.

Il ruolo dell'Oil e delle sue convenzioni è importante perché la più ampia cornice delle Nazioni Unite conferisce legittimità alle azioni in questo campo, sviluppate con l’approccio trilaterale che riconosce il ruolo di governi, imprese e sindacati. In questo modo il sistema di regole sui diritti dei lavoratori esplicita la connessione con i diritti umani e i principi universali, evitando il rischio che

1 Secondo l’Oil nel mondo c'è quasi un miliardo di persone, il 30% della forza lavoro del pianeta, che è disoccupato o sotto-occupato, mentre milioni di persone, pur avendo un lavoro, non guadagnano abbastanza per uscire dalla povertà. Anche la crescita economica, dove c’è, non offre più la quantità e qualità di occupazione necessaria, mentre crescono i lavori precari, a tempo parziale e determinato, il lavoro para-subordinato e senza protezione sociale. L'Oil stima che nel mondo lavorino 250 milioni di bambini, un terzo dei quali in condizioni di sfruttamento e di pericolo. Per 120 milioni di bambini tra i 5 e i 14 anni si tratta di lavoro a tempo pieno, mentre l'Unesco calcola che 128 milioni di bambini siano esclusi dall'istruzione (ILO, 1997; ILO, 1999).

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politiche strumentali siano adottate nell’ambito di relazioni economiche bilaterali. Il ruolo dei governi nazionali è quello di tradurre questi principi in leggi e di garantirne la realizzazione attraverso l’azione della magistratura. E’ infatti a livello nazionale che si organizza il lavoro, si effettua la contrattazione e si realizzano le riforme politiche.

Oltre a queste convenzioni, nel 1998 l'Oil ha approvato la Dichiarazione dei principi e dei diritti fondamentali del lavoro, che è stata proposta per l’adozione e la messa in atto in tutti i paesi del mondo. Il rapporto che, due anni dopo, fa il punto sul confronto tra i principi della Dichiarazione e la realtà del lavoro nel mondo, sottolinea “il sempre più ampio vuoto di rappresentanza e tutela nel mondo del lavoro”. Il rapporto descrive il declino delle adesioni ai sindacati e la parallela mancanza di protezione per le donne e per alcuni particolari settori produttivi. Esso indica anche che mentre cresce l’attenzione per l’eliminazione del lavoro minorile, “il valore di questa categoria di principi e di diritti sul lavoro non è sempre percepita altrettanto chiaramente [...]. In molti paesi del mondo, intimidazioni, minacce e a volte addirittura la morte attendono quei lavoratori che provano ad organizzarsi". Inoltre “in gran parte del pianeta, i lavoratori dell’agricoltura, dei servizi domestici, i migranti, semplicemente non possono esercitare questi diritti elementari” di libertà di associazione e rappresentanza collettiva, così come accade ai lavoratori nelle zone di produzione finalizzata all’esportazione (ILO, 2000). Una valutazione complessiva della Dichiarazione Oil e dell'evoluzione della tutela del lavoro a livello internazionale è sviluppata nel contributo di Giuseppe Bronzini in questo volume.

I processi economici

L'organizzazione internazionale della produzione ha indebolito la capacità dei lavoratori di difendere i propri salari, i benefici dello stato sociale, i diritti e le condizioni di lavoro, i risultati di un secolo di lotte del movimento operaio e delle politiche sociali e di welfare dei governi nazionali.

Globalizzazione e libero commercio non favoriscono di per sé il miglioramento delle condizioni di lavoro e delle retribuzioni nei paesi del Sud del mondo, dove più della metà della forza lavoro è ancora impiegata nell’ambito dell’economia informale. L’assenza di tutela per i lavoratori è un fattore tutt’altro che positivo per la crescita. Numerosi studi economici sottolineano l’effetto positivo sulla crescita economica che deriva dall’equità economica e sociale e da un ordinamento democratico. Ad esempio, l'Ocse ha evidenziato che i paesi con peggiori condizioni di lavoro non presentano migliori capacità di esportazione o minor crescita dei salari (OECD, 1996). La mancata tutela dei diritti dei lavoratori non è quindi associata ad una maggiore crescita, ma semplicemente a un maggiore potere esercitato dalle imprese ai danni dei lavoratori o da stati spesso autoritari ai danni dei cittadini.

Sul piano dei processi economici, quindi, le complesse relazioni tra commercio e lavoro non mettono in evidenza una contrapposizione diretta. Un appropriato sistema di regole complessive potrebbe consentire al commercio internazionale di crescere, estendendo allo stesso tempo la protezione dei diritti dei lavoratori e aumentando i salari.

(tabella 1 qui) Le istituzioni e le politiche

E’ utile mettere a confronto, nella tabella 1, le caratteristiche principali dei due sistemi di governance e soffermarsi sulle istituzioni, le regole, le procedure ed il loro impatto sull’economia e la società globali. Il sistema del commercio, così com'è rappresentato dall'Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc), resta al di fuori del sistema delle Nazioni Unite, ha un forte potere sui governi nazionali, con accordi vincolanti e un'autorità relativa alle controversie che è superiore a quella dei governi. Inoltre, gli ambiti coperti dagli accordi commerciali si sono estesi sistematicamente dai beni industriali ai prodotti agricoli, ai servizi, alla tecnologia, agli investimenti. Viceversa, il sistema di tutela del lavoro non ha poteri vincolanti sui governi nazionali, ha sempre più ristretto il proprio ambito normativo, anche se dispone di una struttura

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istituzionale tripartita che dà non solo voce, ma anche potere decisionale, a rappresentanti delle imprese e del sindacato accanto ai governi nazionali.

Nell'insieme, il quadro che emerge dalla tabella 1 è quello di un sistema di governance del commercio troppo potente, vincolante, dinamico e non democratico; il sistema che deve tutelare i lavoratori è invece troppo debole, statico e con una struttura democratica. Questo contrasto riflette e rinforza le asimmetrie sopra discusse e aggrava il vuoto politico e istituzionale nelle regole e nelle politiche internazionali in questo campo.

Il dibattito internazionale su commercio e lavoro ha spesso mostrato una contrapposizione tra un Nord che punta a controllare il commercio per tutelare gli interessi dei suoi lavoratori, e un Sud che tenta di ridurre la povertà sviluppando i commerci, a qualunque prezzo per i propri lavoratori. Una anomala alleanza tra i sindacati del Nord, le organizzazioni non governative e i governi di alcuni paesi ricchi ha rivendicato, a partire dagli anni '90, una maggiore tutela dei diritti dei lavoratori e l’imposizione di una clausola sociale che faccia della protezione del lavoro una condizione necessaria per concludere accordi commerciali. Dall’altra parte, le grandi imprese multinazionali, i governi neoliberisti del Nord e tutti i governi e le forze sociali del Sud hanno insistito per mantenere separate le regole del commercio dai diritti dei lavoratori. Simili inconsuete alleanze sono scaturite dal modo con cui i temi e il dibattito politico sono stati impostati, finalizzato a nascondere, piuttosto che a fare emergere, gli interessi in gioco e gli obiettivi delle attuali decisioni politiche.

Gli sviluppi su questo tema continuano a essere importanti. Durante le proteste al vertice di Seattle dell'Omc il presidente Usa Clinton aveva riproposto la necessità di una clausola sociale, sostenuta anche da molti governi europei, provocando il rifiuto dei paesi del Sud e contribuendo al fallimento del vertice. Il tema si è poi fatto spazio all'interno dei negoziati per l'Area di libero commercio delle Americhe (Alca), per le pressioni di sindacati e di diversi governi. Così al vertice di Québec dell'aprile 2001, il nuovo presidente Usa George W. Bush ha inserito la tutela del lavoro tra gli aspetti considerati nella creazione dell'Alca. Tuttavia questa strada è stata successivamente abbandonata e sono ora sempre minori i richiami all'esigenza di rendere coerenti le norme sul commercio con quelle sul lavoro.

Eppure è difficile spiegare una tale netta separazione tra lavoro e commercio. Il lavoro è ciò che produce i beni che vengono scambiati, ed è per questo motivo che le politiche nazionali hanno sempre affrontato insieme questi due aspetti. Il problema è che il contesto politico nazionale forniva una cornice comune per valutare i costi e i benefici di azioni sui due fronti, combinando volta per volta obiettivi di crescita economica, efficienza, equità e mantenimento del consenso sociale e politico.

Per regolare i problemi del commercio e del lavoro a scala globale, è essenziale portare le questioni economiche e sociali all’interno di un unico contesto. Questo va molto oltre il tema delle clausole sociali negli accordi commerciali. Per ciascun paese, i guadagni potenziali provenienti dalla maggiore partecipazione al commercio e agli investimenti devono essere valutati insieme ai costi effettivi, in termini di conseguenze sociali, diritti dei lavoratori, impatto ambientale, di una più ampia integrazione internazionale. Altrimenti molti paesi, ricchi e poveri, continueranno a guardare con favore la partecipazione a negoziati e istituzioni (l'Omc, la conferenza delle Nazioni Unite su

‘Finanza per lo Sviluppo’) che promettono di distribuire i vantaggi economici della globalizzazione, mentre rimarranno riluttanti quando si tratterà di affrontare i costi sociali e ambientali, come mostrano le esperienze dell'Oil e i problemi di consolidare accordi e trattati internazionali sui cambiamenti climatici.

La strada da percorrere, quindi, è quella di integrare i diversi aspetti delle relazioni economiche, in modo che i flussi commerciali e finanziari, la produzione e il lavoro, gli aspetti sociali e ambientali siano visti come componenti di un processo di sviluppo complessivo, con adeguati meccanismi di governance anche a livello sovranazionale.

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3. Il ruolo della società civile globale Le iniziative sui comportamenti delle imprese

Con l’obiettivo di colmare il vuoto lasciato dal mancato coordinamento tra le regole che riguardano il commercio e il lavoro, si sono sviluppate nell'ultimo decennio una varietà di nuove forme di regolamentazioni, generali o volontarie. E' questo il risultato dell'assenza di norme vincolanti, imposte da autorità sovranazionali, e della minor capacità dei governi nazionali di introdurre regole universali e norme di legge a tutela del lavoro e dei diritti sociali collegati alle attività economiche.

Se la sfera della politica non sembra in grado di regolare l'intreccio tra commercio e lavoro, tra economia e diritti sociali, un crescente dinamismo si è sviluppato all'interno della società civile, con campagne rivolte direttamente alle imprese, o iniziative autonome degli stessi operatori economici per introdurre forme di auto-regolamentazione al di là delle norme di legge. Tre sono i principali percorsi che sono stati avviati in questa prospettiva: i codici di condotta, i marchi di qualità sociale (social labels), mentre un terzo fenomeno, il commercio equo e solidale, rappresenta il frutto dell’azione autonoma della società civile, che punta a sostituire le attuali pratiche del commercio, ritenute inique, con una rete alternativa di scambi commerciali.

Il numero dei codici di condotta si è moltiplicato in diversi settori e imprese multinazionali. Questi codici in genere non fanno riferimento ai principi e agli standard previsti dall’Oil, e si limitano a promettere una maggiore tutela dei lavoratori rispetto alla debole (quando esistente) legislazione nazionale dei paesi in via di sviluppo. Ancor più raramente prevedono meccanismi di attuazione, imposizione delle norme e monitoraggio. I tentativi di definire un più omogeneo insieme di standard internazionali comprendono il sistema SA 8000 (dove SA sta per Social Accountability) – sviluppato dall’organizzazione non-profit Centre on Economic Priorities Accreditation Agency – con riferimento alle convenzioni Oil, l’iniziativa del Parlamento europeo per stabilire un codice di condotta europeo per le imprese multinazionali e altri progetti internazionali. Si tratta comunque di iniziative che producono una certa utilità soltanto se accompagnate da forme di verifica e tutela dei diritti sindacali e di contrattazione; e lì dove questo non si realizza la loro applicazione appare molto improbabile (UNDP, 2000, p. 91).

I marchi di qualità sociale danno al consumatore informazioni sul tipo di produzione e sul rispetto dei diritti dei lavoratori che caratterizzano ciascun prodotto sul mercato. Sono spesso il risultato della mobilitazione delle organizzazioni della società civile e possono aiutare a fare pressione su determinate aziende perché assicurino un maggiore rispetto dei diritti dei lavoratori.

Il commercio equo e solidale rappresenta invece la forma più radicale di rifiuto del sistema commerciale vigente, con la società civile che organizza reti di mercati alternativi in cui il dominio delle grandi imprese multinazionali e lo scambio ineguale tra Nord e Sud vengono sostituiti da relazioni cooperative e più equilibrate tra i produttori del Sud e i consumatori del Nord.

In tutti questi casi si è osservato un più stretto rapporto tra i vari soggetti sociali coinvolti, che ha prodotto modelli innovativi di tutela dei diritti dei lavoratori e un qualche miglioramento delle condizioni economiche. Il relativo successo di queste esperienze, non può comunque sostituire la necessità che, in un’economia globale, le istituzioni nazionali e internazionali impongano e applichino regole universali a protezione dei diritti dei lavoratori.

La crescita dei movimenti globali

L'asimmetria tra i sistemi di governance internazionale del commercio e del lavoro e, più in generale, i problemi e le contraddizioni poste da due decenni di globalizzazione neoliberista, hanno prodotto importanti reazioni nell'ambito della società civile. In primo luogo è emersa una società civile globale, intesa come sfera di attività transnazionali autonoma e distinta dalle relazioni di mercato tipiche dell'economia e dalle relazioni internazionali che regolano i rapporti tra gli stati nella sfera politica. Al suo interno si sono moltiplicate le attività di organizzazioni sociali, reti e campagne attive su scala mondiale, capaci di costruire legami attraverso i confini nazionali, affrontare problemi comuni, contestare le strategie delle

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imprese e le politiche dei governi. Da qui sono nate importanti mobilitazioni dei movimenti globali che si sono opposti alla globalizzazione neoliberista e hanno chiesto maggiore democrazia internazionale e giustizia economica e sociale. Di fronte alle asimmetrie dei sistemi di governance internazionali, e alle conseguenze in termini di diritti negati, ingiustizie e assenza di partecipazione alle decisioni, una parte importante delle mobilitazioni transnazionali ha riguardato in modo diretto i problemi del commercio e del lavoro.

In questa sezione vengono ripresi i risultati empirici di due indagini sugli eventi e sulle organizzazioni della società civile globale, che hanno documentato lo sviluppo dei movimenti globali e i contenuti delle loro iniziative.2 La crescita degli eventi dal 1990 ai primi otto mesi del 2005 è mostrata nella figura 3. Le proteste di Seattle del 1999 contro la Conferenza Interministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e la generalizzazione dell’esperienza dei Forum Sociali in tutto il mondo a partire dal 2002, rappresentano i momenti cruciali di questa evoluzione: entrambi segnano veri e propri salti di qualità per quanto riguarda la natura e il numero delle manifestazioni della società civile globale.

Una rassegna dell’evoluzione degli eventi nell’arco di sei periodi di tre anni ciascuno (dal 1988 al 2005) è presentata invece nella figura 4. Prima del 2000 lo scarso numero di eventi – principalmente controvertici – appare distribuito in modo piuttosto omogeneo tra proteste ai summit internazionali – del G7-G8, delle Nazioni Unite, del Fondo Monetario Internazionale e dell’Organizzazione Mondiale del Commercio – e i primi appuntamenti indipendenti della società civile globale. Nel periodo che va dal 2000 al 2002, si evidenzia una moltiplicazione di proteste concentrate su altri vertici ufficiali regionali e internazionali (soprattutto in Europa e nel continente americano), proliferazione legata all’estensione del “modello Seattle” verso nuove arene globali di conflitto. Queste manifestazioni subiscono nell’ultimo periodo – compreso tra il 2003 e il 2005 – un forte calo, in buona parte dovuto al loro assorbimento all’interno dei Forum Sociali e degli altri appuntamenti indipendenti.

Proprio questi due tipi di eventi sono diventati i più numerosi e quelli che crescono con maggiore rapidità. I controvertici legati al G8, al Fondo Monetario Internazionale e all’Organizzazione Mondiale del Commercio fanno registrare una lieve incremento; al contrario dei vertici paralleli a quelli delle Nazioni Unite, che tra il 2000 e il 2002 (quando venne realizzata una serie di conferenze internazionali per fare il punto sui progressi raggiunti a cinque anni di distanza dai grandi summit mondiali dell’Onu) avevano raggiunto un numero cospicuo, ma che negli ultimi tre anni subiscono le ripercussioni negative della perdita di importanza del ruolo delle Nazioni Unite su molte questioni globali. Si può dunque affermare che, dagli anni ’80 ai primi anni 2000, i controvertici – tipicamente rappresentati dalle proteste contro l'Omc, a Seattle e altrove - sono stati il modello prevalente di mobilitazione della società civile globale, mettendo in discussione la legittimità dei vertici ufficiali delle

2 Le analisi degli eventi si basano su una ricerca (Pianta e Zola, 2005) che aggiorna quella realizzata in “Parallel Summits of Global Civil Society” (Pianta, 2001b). L'analisi delle organizzazioni della società civile globale si basa invece su un'indagine realizzata attraverso questionari (Pianta e Silva, 2003). Nell'analisi degli eventi della società civile globale è stata utilizzata la metodologia definita da Pianta (2001b); le fonti principali sono le interviste ai partecipanti delle iniziative, siti Internet, le newsletter, i giornali, le riviste che hanno dedicato un’attenzione specifica a queste manifestazioni. Definiremo quindi gli eventi della società civile globale come segue:

-eventi organizzati da gruppi nazionali o internazionali della società civile con una partecipazione internazionale, indipendentemente dalle attività di stati e imprese;

- eventi che nascono dalla iniziativa autonoma della società civile, oppure che coincidono o sono in relazione con vertici ufficiali di governi e istituzioni internazionali;

- eventi che affrontano gli stessi problemi dei vertici ufficiali, con una prospettiva critica sulle politiche dei governi e delle imprese;

- eventi che utilizzano i mezzi dell’informazione pubblica, dell’analisi, della mobilitazione politica, della protesta, della proposta di politiche alternative;

- eventi con o senza contatti ufficiali con il vertice ufficiale (se ne esiste uno).

Gli eventi presentano sempre una conferenza internazionale, e/o una manifestazione, e/o iniziative auto- organizzate, e/o eventi mediatico-culturali.

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istituzioni internazionali. A partire dall'emergere dei Forum Sociali Mondiali nel 2002, invece, la scena è stata dominata dagli eventi indipendenti. In particolare, nel periodo compreso tra gennaio 2003 e agosto 2005 si sono registrate 76 manifestazioni: 24 nel 2003, 29 nel 2004 e 23 nei primi otto mesi del 2005. Sia in America Latina che in Europa si concentra il 30% degli eventi, in Asia e Oceania il 16%, sia in Africa che in Nord America l’8%. I Forum Sociali rappresentano il 26% del totale di tutti gli eventi della società civile globale, altri incontri organizzati indipendentemente dai vertici ufficiali costituiscono il 37%. La percentuale restante viene divisa tra controvertici convocati parallelamente agli appuntamenti ufficiali delle Nazioni Unite (5%), di Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione Mondiale del Commercio (7%) e di conferenze regionali (18%) come quelle dell’Unione Europea o del continente americano.

Per gli eventi compresi tra il 2003 e i primi otto mesi del 2005 è interessante analizzare in dettaglio anche la dimensione politica e organizzativa. Sviluppo, questioni economiche e democrazia caratterizzano i principali settori di attività delle organizzazioni coinvolte nel coordinamento delle iniziative. Seguono con una frequenza minore le organizzazioni impegnate sui temi del lavoro, su quelli sindacali, ambientali, legati alla pace e ai diritti umani (figura 5). Emerge nel complesso un’agenda politica articolata che integra i temi economici e dello sviluppo con rivendicazioni di pace e democrazia; tra gli obiettivi prioritari degli eventi, l’avanzamento di proposte di politiche alternative si affianca all’impegno per costruire o rafforzare le reti internazionali da parte delle organizzazioni della società civile.3 Dal punto di vista dei risultati di queste mobilitazioni, quando si registra un impatto sulle politiche internazionali, esso è generalmente legato all’organizzazione di controvertici rispetto ai summit di Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione Mondiale del Commercio, in cui la protesta si salda con un lungo lavoro di critica delle posizioni ufficiali del summit, di pressione su governi “amici” e sulla rivendicazione di politiche alternative. In particolare, l'esperienza delle iniziative dei movimenti globali contro gli appuntamenti dell’Omc a Seattle nel 1999 e a Cancún nel 2003 ha mostrato che iniziative di questo tipo possono influenzare in modo decisivo l’esito dei summit ufficiali che affrontano i temi del commercio internazionale. Proprio Seattle ha rappresentato il primo evento in cui una mobilitazione della società civile globale, in questo caso promossa da una larga coalizione di network internazionali e movimenti sindacali, ha contribuito in modo significativo al fallimento di un vertice ufficiale.

Un'evidenza empirica convergente è fornita da una recente indagine sulle organizzazioni della società civile globale, in cui vengono posti al centro della ricerca singoli gruppi attivi su questioni globali (Pianta e Silva, 2003). Sono state considerate le risposte a un questionario da parte di 147 organizzazioni, rappresentative di tutti i continenti, i tipi di organizzazione e i settori di attività. Il 40% circa sono associazioni o Ong nazionali, il 15% reti o campagne nazionali e internazionali; seguono sindacati, gruppi locali e centri di ricerca. I campi di attività sono principalmente quelli dello sviluppo, dei diritti umani, della pace, della democrazia, delle politiche economiche, dell’ambientalismo.

Nel periodo 2000-2001, il 50% delle organizzazioni rispondenti ha preso parte ad un incontro della società civile globale senza un corrispondente vertice ufficiale, mentre prima del 1988

3 Gli eventi acquistano dimensioni sempre maggiori. Escludendo le giornate mondiali d’azione che hanno visto la presenza di milioni di persone (come nel caso delle manifestazioni che ogni anno dal 2003 si tengono contemporaneamente in tutto il mondo contro la guerra e l’occupazione in Iraq), un terzo del totale conta più di 10.000 partecipanti, e una percentuale di poco superiore riguarda gli eventi con una mobilitazione compresa tra le 1.000 e le 10.000 persone. Da notare anche che gli eventi di piccole dimensioni – da 200 a 500 partecipanti – raggiungono il 20% del totale e si riferiscono agli incontri di attivisti che condividono interessi specifici o una base territoriale, specialmente nel Sud del mondo.

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solo il 10% lo aveva fatto. Una crescita costante può essere riscontrata anche per la partecipazione alle conferenze delle Nazioni Unite, che raggiunge il 37% nel 2000-2001, rispetto al 12% dei primi anni ’90. Una parte rilevante dell’impegno delle organizzazioni della società civile globale è rivolto ai vertici regionali, nei quali tra il 2000 e il 2001 è stato coinvolto il 30% dei rispondenti. Di minore importanza in termini assoluti, anche se regolarmente in crescita, appaiono i dati relativi ai controvertici di G8, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione Mondiale del Commercio, che raggiungono nel periodo 2000-2001 quasi un terzo del totale.4

Le mobilitazioni sul commercio internazionale

Dall'insieme di questi risultati empirici emerge il rilievo che le proteste contro la liberalizzazione del commercio hanno avuto nelle attività della società civile globale. Tra i controvertici, la maggiore conflittualità si è espressa in occasione dei summit dell’Omc, ma anche di tutti i vertici continentali che avevano all’ordine del giorno l’integrazione dei mercati, come l’Alca – l’Area di libero commercio delle Americhe –, il Nafta – l’accordo di libero commercio del Nord America –, l’Apec – il Forum di cooperazione economica tra le regioni asiatiche, americane e oceaniche che si affacciano sul Pacifico, l’Asean – l’associazione degli stati del sud-est asiatico. Un'analoga mobilitazione sistematica su questi temi, ma con una conflittualità minore, si è registrata in Europa, ai vertici tra l’Unione Europea e i 77 paesi ACP (dell’Africa Subsahariana, dei Caraibi e del Pacifico) per i negoziati commerciali in ambito EPA – gli accordi bilaterali di partenariato economico – e alle conferenze dei ministri del commercio nel quadro dell’integrazione commerciale promossa dal partenariato euro-mediterraneo (Euromed), che coinvolge i paesi dell’Unione Europea e 10 stati che si affacciano sul Mediterraneo.

I temi del commercio e del lavoro sono stati affrontati anche in numerosi eventi indipendenti della società civile globale, senza un incontro ufficiale cui opporsi, a cominciare dalle sessioni specifiche all’interno dei Forum Sociali Mondiali e continentali. Questo ha permesso ai movimenti globali di costituire e consolidare reti e campagne internazionali, con migliaia di organizzazioni aderenti in tutto il mondo, che affrontano direttamente le questioni globali del commercio e del lavoro – tra queste ricordiamo per la loro importanza il network mondiale Our World Is Not For Sale, quello europeo Seattle to Brussels Network e quello sud- americano Alianca Social Continental. Queste reti hanno avanzato rivendicazioni nei confronti delle istituzioni internazionali, accompagnando le iniziative di protesta con quelle di sensibilizzazione, advocacy, divulgazione e lobbying. Questa più vasta capacità di mobilitazione, organizzazione e proposta ha portato nell’aprile del 2005 alla convocazione della prima “Global Week of Action on Trade” – lanciata all’interno del Forum Sociale di Mumbai nel 2004 e sostenuta da più di mille organizzazioni, reti e gruppi in tutto il mondo – che al motto di “trade justice, not free trade” ha coinvolto più 10 milioni di persone in ottanta paesi.

La critica dei movimenti globali sui temi del commercio e del lavoro si basa sul rifiuto di un sistema che privilegia la libertà d'azione e i profitti delle grandi imprese multinazionali a scapito dei diritti delle popolazioni che subiscono gli effetti negativi delle politiche di

4 Cosa c’è dietro l’attività della società civile globale? Quali sono le idee e le visioni del mondo che ispirano questo impegno? Le organizzazioni rispondenti sono state interrogate sulla propria visione riguardo alla globalizzazione. Nel 33% dei casi le organizzazioni si identificano con una prospettiva di globalizzazione dal basso, nel 28% dei casi con una globalizzazione dal volto umano; in totale, il 60% dei rispondenti sostiene una visione della globalizzazione che mette al centro le persone e la società. L’11 per cento mette invece l’accento sulla governance della globalizzazione e solo il 4% dichiara di essere anti-globalizzazione. Allo stesso tempo, un sesto dei rispondenti assume come propria la dimensione nazionale/locale, mettendo in relazione l’opposizione alla globalizzazione all’affermazione della propria identità politica e culturale ed evidenziando la necessità di una svolta localista.

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liberalizzazione dei mercati, di privatizzazione delle attività sociali, di precarizzazione dei rapporti di lavoro e di sfruttamento intensivo delle risorse naturali. La richiesta più frequente è quella di subordinare le decisioni sull'integrazione dei mercati alla valutazione dell’impatto sociale, economico e ambientale che tali interventi produrrebbero, attraverso la consultazione e la partecipazione democratica delle popolazioni interessate al processo decisionale (Seattle to Brussels Network, 2004). A questo si accompagna la necessità di riequilibrare i rapporti tra capitale e lavoro a livello globale, introducendo delle limitazioni al potere delle grandi imprese multinazionali e assicurando a tutti i diritti del lavoro.

Più in generale, la società civile globale ha chiesto la democratizzazione delle istituzioni internazionali e dei sistemi di governance, con un riconoscimento del proprio ruolo. Si insiste molto sulla riforma e la democratizzazione dell’Onu – con la creazione di un forum permanente delle organizzazioni della società civile –, sulle asimmetrie di potere nei processi decisionali dell'Omc che emarginano i paesi del Sud del mondo, mentre la struttura tripartita dell'Oil (con rappresentanze di governi, imprese e sindacati) viene spesso presentata come un modello possibile per il coinvolgimento formale della società civile globale nelle decisioni delle istituzioni internazionali.

Il ruolo svolto dalla società civile e dai movimenti sul fronte delle questioni del commercio e del lavoro appare quindi di grande rilievo, sia dal punto di vista del consolidamento delle mobilitazioni e delle forme organizzative, sia da quello della capacità di porre l’attenzione sulle ingiustizie derivanti dalle regole e dal funzionamento dei sistemi di governance internazionale.

Le strategie della società civile ai vertici dell’Omc

Esaminare più da vicino l’azione svolta dalla società civile e dai movimenti globali in occasione dei vertici dell’Omc permette di individuare la varietà di strategie seguite e la diversità dei canali per influenzare i processi decisionali e la politica sul commercio mondiale. Come abbiamo ricordato la prima strategia utilizzata è stata la protesta, che ha avuto un grande rilievo nel vertice di Seattle del 1999, aprendo la strada alla rapida crescita dei movimenti globali in tutto il pianeta. Tale pratica è continuata in tutte le altre conferenze ministeriali e nei diversi vertici internazionali sul commercio analizzati sopra.

Si è poi sviluppata una seconda strategia, con il tentativo di influenzare dall’interno i processi decisionali dell’Omc attraverso le attività di lobbying, da un lato, e la partecipazione di esponenti della società civile nelle delegazioni dei governi del Sud del mondo, dall’altro. La presenza di Ong accreditate dall’Omc è stata assai ristretta al vertice di Doha (che veniva poche settimane dopo gli attentati dell’11 settembre 2001), con appena 75 organizzazioni presenti, molte delle quali espressione del mondo delle imprese. Nella successiva conferenza interministeriale a Cancún nel 2003 erano invece accreditate 900 Ong di interesse pubblico e circa 300 organizzazioni legate alle imprese. Due anni dopo, al vertice di Hong Kong, le restrizioni delle autorità hanno nuovamente ridimensionato la presenza della società civile mondiale e le opportunità di protesta.

Il vertice di Cancún è di particolare interesse per la presenza di esponenti della società civile con una competenza sui temi del commercio all’interno di decine di delegazioni del Sud del mondo. Lì si è espressa in modo evidente un'alleanza senza precedenti tra organizzazioni della società civile e governi del Sud, in particolare dell'Africa. Un esempio viene dalla conferenza congiunta tra i Ministri del commercio africani e le organizzazioni della società civile, conclusasi con un documento finale che chiede “alle rilevanti organizzazioni della società civile internazionale di fornire tutto il sostegno necessario per lanciare e promuovere le richieste dell'Africa per un sistema commerciale equo e giusto”. In particolare, le delegazioni di Kenya e Uganda avevano al loro interno una forte presenza di esponenti delle Ong e hanno svolto un ruolo influente nelle riunioni ristrette delle green rooms e nel bloccare le ipotesi di accordi di liberalizzazione.

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A Cancún questa strategia ha facilitato la creazione di alleanze tra i paesi del Sud, che hanno costituito gruppi come il G21 and G90 per tutelare in modo collettivo i propri interessi negoziali e resistere alle pressioni che i grandi protagonisti – Stati Uniti, Unione Europea e Giappone – esercitano sistematicamente sui paesi con un minor peso internazionale. Se a Doha tali pressioni avevano costretto tutti i paesi del Sud ad accettare l'agenda di liberalizzazione del Doha round, a Cancún l'alleanza dei paesi del Sud ha invece tenuto, portando all'insuccesso del vertice. Come in un'altalena, due anni dopo, al vertice di Hong Kong del 2005 è stato trovato un accordo preliminare a causa del cedimento del fronte dei paesi del Sud, con Brasile e India che hanno scelto di abbandonare il loro ruolo di leader del gruppo e di presentarsi invece come potenze emergenti, in grado di trattare con il Nord e di ottenere benefici per le proprie economie. A sei mesi di distanza, tuttavia, i negoziati non hanno portato a un accordo entro la data prevista del 30 aprile 2006, e lo slancio che l'agenda di riduzione delle tariffe aveva ripreso al vertice di Hong Kong potrebbe, di nuovo, non concretizzarsi.

4. Società civile e governance internazionale: tra supplenza e democrazia

L’analisi precedente ha mostrato in che misura la società civile globale abbia reagito alle asimmetrie imposte dall’ordine economico e politico mondiale. Essa si è affermata come una dimensione autonoma delle relazioni transnazionali, ha saputo esprimere pressioni importanti – in particolare attraverso l’azione dei movimenti globali – con la critica degli assetti esistenti e le proposte di misure di riequilibrio tra i sistemi di governance per assicurare maggiore giustizia economica e sociale.

La vasta mobilitazione sociale prodotta dai movimenti globali, nel Nord come nel Sud del mondo, ha messo in discussione l'agenda di liberalizzazione del commercio e dei rapporti di lavoro imposta dalle politiche neoliberiste dei governi e delle istituzioni internazionali.

Accanto alle proteste, è avvenuto un consolidamento di reti stabili tra organizzazioni della società civile globale che ha condotto a una maggiore capacità di comprensione dei processi, a una più ampia articolazione delle strategie – anche con lo sviluppo di alleanze con alcuni paesi del Sud del mondo – e all'elaborazione di alternative possibili nei sistemi di governance e nelle politiche che essi esprimono.

La capacità dei movimenti sociali di costruire visioni condivise e agende di cambiamento più organiche ha permesso di unire progressivamente temi che in passato venivano spesso affrontati in modo separato, come appunto le questioni commerciali e i diritti del lavoro e sociali. In questo modo, a livello globale, la società civile sembra davvero aver svolto un ruolo di supplenza delle funzioni di integrazione che nei sistemi politici nazionali sono affidate ai processi politici democratici fondati sui diritti di cittadinanza (funzioni schematicamente riassunte nelle figure 1 e 2). Ciò è tuttavia avvenuto in modo indiretto e parziale, data l’assenza di un riconoscimento formale del ruolo della società civile e delle sue organizzazioni all’interno del sistema e delle istituzioni internazionali. Essa infatti non ha né il potere di contribuire con la propria voce ai processi deliberativi, né tanto meno il potere di contribuire con il proprio voto alla presa di decisioni vincolanti a livello sovranazionale. Lo strumento prevalente è stato invece lo sviluppo di conflitti transnazionali, con un ruolo di deterrente rispetto alle decisioni dei poteri economici e politici sopranazionali. Ovvero con un potere di veto nei confronti delle decisioni più contestate, esercitato sia attraverso l’autorità morale dell’opinione pubblica mondiale che tramite l’influenza che la società civile continua ad avere sui governi e i sistemi politici a livello nazionale.

Se tali meccanismi hanno contribuito a ridurre le ingiustizie e i problemi sociali, non sono riusciti a riequilibrare le asimmetrie dei sistemi di governance, proprio a causa dall’esclusione della società civile dai processi deliberativi e decisionali. Ciò segnala un’evidente

“inefficienza” dei processi politici a scala internazionale (soprattutto di quelli che regolano i

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temi del commercio e del lavoro), che presentano limitate capacità di interagire con l’esterno, recepire stimoli dall’ambiente ed evolversi verso assetti più efficaci e condivisi.

In realtà, tale difficoltà a “riformare” la governance della globalizzazione non è un problema che nasce oggi, ma lo ritroviamo alla radice dell’evoluzione dell’ordine economico e politico degli ultimi due decenni. Già dai primi anni novanta possiamo individuare uno scontro tra due progetti contrapposti: la globalizzazione neoliberista e la globalizzazione dei diritti e delle responsabilità. La prima ha aggirato i processi democratici a livello degli stati e ha trasferito crescenti poteri ai mercati dominati dalle imprese multinazionali e dalla finanza globale, e alle istituzioni sovranazionali come il Fondo monetario, la Banca mondiale e l'Omc. Una possibilità diversa di globalizzazione dei diritti e delle responsabilità aveva delineato la prospettiva di estendere i processi democratici a scala globale, con una maggiore base di legittimità, e si è manifestata con l’impegno delle Nazioni Unite e di alcuni suoi organismi più "illuminati" (Oil e Undp tra gli altri) ad affrontare su basi diverse i problemi globali come il lavoro, la povertà, lo sviluppo sociale, la condizione delle donne, l'ambiente. Queste stesse esigenze sono state manifestate dai movimenti della società civile globale che si sono opposti al progetto neoliberista, sostenendo però l'alternativa di una globalizzazione dal basso (Pianta, 2001a).

Le prospettive di riforma della globalizzazione erano già state delineate da rapporti come quello della Commission on Global Governance (1995) e ripresi a distanza di quasi dieci anni dalle proposte contenute in A fair globalization, pubblicato dall’Oil. (ILO, 2004). Sul piano delle politiche, è invece da segnalare il processo che ha portato alla definizione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (UNDP, 2003) e alle iniziative di molti governi per assicurarne il finanziamento e il raggiungimento.

Oggi, con il modello neoliberista che ha esaurito da tempo la propria spinta propulsiva e la capacità di integrazione sociale e politica, si presenta una nuova opportunità per adattare i sistemi di governance alle nuove realtà prodotte dalla globalizzazione e dall'emergere di una società civile globale che ha affermato – grazie al ruolo dei movimenti globali degli ultimi dieci anni – i valori della democrazia internazionale e della giustizia economica e sociale. Se potesse svilupparsi un percorso di alleanza, o quantomeno di convergenza, tra la società civile e i soggetti che hanno tenuto aperta una prospettiva di riforma della globalizzazione – i governi progressisti del Nord e i paesi del Sud del mondo, le istituzioni internazionali più aperte alla collaborazione con la società civile, il sistema delle Nazioni Unite –, le questioni del commercio internazionale e dei diritti del lavoro, da sempre al centro di queste mobilitazioni per la gravità delle asimmetrie esistenti, potrebbero emergere come temi di cambiamento possibile e prioritario.

Verso una ripresa della democrazia internazionale?

L’esperienza dei problemi del commercio e del lavoro, con il progressivo avvicinarsi delle posizioni espresse dalla società civile e da alcuni governi del Sud del mondo, non è l’unico segnale di possibile cambiamento nelle decisioni politiche che definiscono l’ordine internazionale. Alcuni piccoli, recenti segnali indicano l’apertura di nuovi spazi per l’azione della società civile globale e l’affermazione di diverse proposte, che scaturiscono dal suo interno, nelle politiche di governi nazionali e istituzioni internazionali.

Nel marzo 2006 i governi di Francia e altri paesi hanno introdotto una tassa sui voli aerei che dovrà finanziare interventi sui problemi globali: la prima tassa sulla globalizzazione. Un gruppo di 43 paesi è al lavoro per individuare altre forme di finanziamento globale per le esigenze dello sviluppo.

Nello stesso periodo, al vertice mondiale sull'acqua tenutosi in Messico, sono state rovesciate le politiche di chi pensava che gli investitori privati potessero sostituirsi agli stati e alle comunità nel costruire acquedotti: l'acqua è ritornata un bene comune, con una decisione

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destinata a influenzare a fondo le politiche dei governi, i finanziamenti della Banca mondiale e gli investimenti delle imprese private.

Nel maggio 2006 il Gruppo dei 77, che alle Nazioni Unite raccoglie 132 paesi poveri, ha bloccato la proposta di riorganizzazione "manageriale" imposta a Kofi Annan dalle pressioni di Washington. Con la minaccia di tagliare i fondi, gli Usa vogliono infatti concentrare i poteri nelle mani di Segretariato e Consiglio di Sicurezza.

Al Fondo Monetario Internazionale, dove si contano le quote di capitale e non i voti dei 184 paesi membri, si sta discutendo una riforma che estenderà le quote (e i voti) di nuovi paesi industriali come Cina, Corea del Sud, Messico, Turchia, Malaysia, Thailandia e Singapore.

Infine, le prime iniziative politiche del governo boliviano hanno affermato che le risorse naturali, petrolio compreso, appartengono ai paesi e che le decisioni su come disporne spettano ai cittadini – con elezioni e programmi di governo – e non alle scelte di pochi consiglieri di amministrazione delle multinazionali petrolifere.

A legare questi sviluppi c'è il fatto che queste proposte sono state tutte avanzate negli ultimi cinque anni nei Forum Sociali e nelle altre iniziative della società civile globale, e quasi soltanto in quelle sedi.

Per gli altri protagonisti della scena internazionale, i realisti, chiedere limiti alla liberalizzazione del commercio, tutela dei diritti del lavoro, riforma delle istituzioni internazionali, tasse globali e nazionali, beni comuni e nazionalizzazioni delle risorse naturali, rappresentava un'utopia irrealizzabile. E’ incoraggiante pensare che siano questi i primi segni di democrazia che appaiono sulla scena dell'economia globale. Proprio quella democrazia rivendicata in questi anni in centinaia di manifestazioni e decine di Forum internazionali. E' il successo di un'arma nuova, che potrebbe essere capace di riaffermare la supremazia della politica sull’economia, della società sui mercati, dei cittadini sugli investitori, dei processi democratici sull’esercizio del potere economico.

Bibliografia

Commission on Global Governance. 1995. Our Global Neighbourhood. Oxford: Oxford University Press.

ILO. 1997. World Labour Report 1997-98. Geneva: ILO ILO. 1999. World Employment Report. Geneva: ILO.

ILO. 2000. Your voice at work, 2. The global picture. Geneva: ILO.

ILO. 2004. A fair globalisation. Geneva: ILO.

OECD. 1996. Trade, employment and labour standards. Paris: OECD.

Pianta, Mario. 2001a. Globalizzazione dal basso. Economia mondiale e movimenti sociali.

Roma: Manifestolibri.

Pianta, Mario. 2001b. "Parallel Summits of Global Civil Society". In Global Civil Society 2001, ed^. Anheier, Helmut, et al., 169-194. Oxford: Oxford University Press.

Pianta, Mario e Silva, Federico. 2003. Globalisers from below. A survey on civil society organizations. Roma: GLOBI research report.

Pianta, Mario e Zola, Duccio. 2005. "The rise of global movements, 1970-2005". Paper presentato alla conferenza europea ACI "Généalogie comparative des mouvements altermondialistes". Parigi-Sorbona, ottobre 2005.

Seattle to Brussels Network. 2004. From Cancún to Hong Kong: Challenging corporate led trade liberalisation. Berlin: 2004.

UNDP. 2000. Rapporto 1999 sullo sviluppo umano. I diritti umani. Torino: Rosenberg e Sellier.

UNDP. 2003. Human Development Report 2003 - The Millennium Development Goals.

Oxford: Oxford University Press.

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Figura 1. I rapporti tra sfera politica e sfera economica a livello nazionale

Figura 2. I rapporti tra sfera politica e sfera economica a globale

Sistema economico di mercato globale

Libertà di azione per le imprese, assenza di diritti

del lavoro

Sistema politico interstatale Accordi tra stati, assenza

di democrazia internazionale

Società civile globale Campagne per diritti, giustizia e democrazia internazionale verso il WTO Sistema politico nazionale

Politiche, regole, istituzioni per integrare i diversi interessi

Processi democratici, pratiche di cittadinanza, partecipazione,

conflitti, consenso

Sistema economico nazionale

Strategie d’impresa, norme politiche, contrattazione sui salari per integrare gli interessi

del capitale e del lavoro

Ruolo dei sindacati,

partecipazione, conflitti

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Tabella 1. Un confronto tra poteri e regole sovranazionali per il commercio e il lavoro

Tema Sistema del commercio Sistema del lavoro

Istituzione Omc (Organizzazione mondiale

del commercio)

Oil (Organizzazione internazionale del lavoro)

Chi vi partecipa I governi I governi, le imprese,

i sindacati

Rapporto con l’ONU Fuori dal sistema ONU All’interno del sistema ONU Principio di base Libertà di circolazione

internazionale di beni e servizi

Regolamentazione nazionale del lavoro. Freno alla libera circolazione internazionale del lavoro

Logica guida Efficienza e crescita. Guadagni economici frutto del commercio

I diritti dei lavoratori come diritti umani. Equità sociale

Potere sui governi nazionali Forte Debole

Azioni e meccanismi Accordi di liberalizzazione del commercio con poteri

vincolanti

Obbligatorietà per gli stati coinvolti negli scambi commerciali

Imposizione degli accordi tramite sanzioni o forme di compensazione

Convenzioni e dichiarazioni che devono essere accolte e

completate dalle leggi nazionali Adesione volontaria

Nessuna imposizione

Soluzioni dei conflitti E’ previsto un sistema di soluzione

Nessun sistema

Tendenze In forte crescita ed espansione, pronta a coprire nuovi settori (servizi, tecnologia,

investimenti etc.). Azione rapida, impatto elevato.

Consolidato, si concentra soprattutto sui diritti dei lavoratori, con reticenza ad andare oltre. Azione lenta, impatto ridotto.

Livello di priorità per i governi

Alto Basso

Collegamento ad altri temi Nessun legame con l’Oil.

Nessun interesse verso i diritti dei lavoratori.

Forti legami con i temi economici e finanziari.

Nessun legame con l'Omc.

Nessun interesse verso il commercio.

Nessun legame con i temi economici o sociali.

Fonte: Pianta, 2001a, pag. 69.

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Fig. 3. La crescita degli eventi della società civile globale, 1990-2005

0 5 10 15 20 25 30 35

1990 1991

1992 1993

199 4

1995 199

6 1997

1998 1999

2000 2001

200 2

2003 200

4

2005 (primi 8 m esi)

Fig. 4. L'andamento degli eventi della società civile globale

0 5 10 15 20 25 30 35

1988-1990 1991-1993 1994-1996 1997-1999 2000-2002 2003-2005

Eventi globali e regionali della società civile globale Forum sociali mondiali e regionali

Vertici ONU

Vertici BM/FMI/OMC Vertici regionali e altri vertici

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Figura 5. Settori di attività delle organizzazioni impegnate nel coordinamento degli eventi, 2003-2005

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60%

Migranti/rifugiati Altro Studenti, gioventù Pace e risoluzione di conflitti Ambiente Diritti umani Lavoro, impegno sindacale Democrazia Temi economici Sviluppo

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