Giapeto Editore
Gazzetta
FORENSE
Marzo - Aprile 2016
A
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rAnceschiniLa prescrizione dei reati tributari in materia di I.V.A.
ai tempi di “Taricco”.
Nota a G.G.U.E., Grande Sezione, 8 settembre 2015, Taricco e altri, e Cass., Sez. III, 17 settembre 2015, Pennacchini
estratto
in collaborazione con
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Penaleabstract
Attemps at dialogue between jurisdictions in multi- level system. Judge of preliminar hearing of Cuneo, in criminal proceedings about tax offense relating to V.A.T., asks the Court of justice of E.U. a preliminary question about the compatibility with European Union law of internal statute of limitations. The Court of Luxemburg notes the potential conflict of these rules with Europen Union law – and, in particular, with rules for protection of its financial interests –, urging italian judge, called on to examine “major V.A.T. fraud”, to disapply the statute of limitations, after checking two conditions. The Court of cassation transposes this input and pulverizes in a mo- ment the challenged provisions, scuppering the rule of law. Game over (or maybe not …).
keywords
Preliminary question – Disapplication – Statute of limitations.
abstract
Prove di dialogo tra le giurisdizioni nel sistema multi- livello. Il g.u.p. di Cuneo, nell’ambito di un procedimento relativo a reati tributari in materia di I.V.A., interpella in via pregiudiziale la Corte di giustizia dell’U.E. in ordine alla compatibilità eurounitaria delle disposizioni interne che regolano l’interruzione della prescrizione. Il Giudice di Lussemburgo rileva il potenziale conflitto di tale disciplina con il diritto dell’Unione – e, in particolare, con le norme che tutelano i suoi interessi finanziari –, invitando il giudi- ce italiano, chiamato a giudicare “frodi gravi” sul tributo I.
V.A., alla disapplicazione delle norme in materia di inter- ruzione del termine di prescrizione, previa verifica di date condizioni. La Corte di cassazione recepisce subito l’input e sgretola in un attimo le norme censurate, inabissando così il principio di legalità. Game over (o forse no …).
parole chiave
Questione pregiudiziale – Disapplicazione – Prescri- zione.
La questione pregiudiziale posta al giudice di Lus- semburgo in materia di reati tributari I.V.A. e l’in- vito della Corte di giustizia a disapplicare le norme in tema di interruzione della prescrizione
Una normativa nazionale in materia di prescrizio- ne del reato come quella stabilita dal combinato disposto dell’art. 160, ult. co., c.p., come modificato dalla l. 5 dicembre 2005, n. 251, e dall’art. 161 c.p. – normativa che prevedeva, all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, che l’atto interruttivo verificatosi nell’ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di imposta sul valora aggiunto comportasse il prolunga- mento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale – è idonea a pregiudicare gli obbli- ghi imposti agli Stati membri dall’art. 325, §§ 1 e 2, T.F.U.E., nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, o in cui pre- veda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, circostanze che spetta al giudice nazionale verificare. Il giudice na- zionale è tenuto a dare piena efficacia all’art. 325, §§ 1 e 2, T.F.U.E. disapplicando, all’occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall’art. 325, §§ 1 e 2, T.F.U.E.
C.G.U.E., Grande Sezione, 8 settembre 2015 causa C-105/14, Taricco e altri
Pres. Skouris, Rel. Berger
Il disinvolto colpo di spugna della III sezione della Corte di cassazione sugli artt. 160 e 161 c.p.: per il Aldo Franceschini
Avvocato del Foro di Napoli, Dottore di ricerca in Sistema penale integrato e processo Università di Napoli Federico II
La prescrizione dei reati tributari in materia di I.V.A. ai tempi di “Taricco”.
Nota a C.G.U.E., Grande Sezione, 8 settembre 2015, Taricco e altri, e Cass., Sez. III, 17 settembre 2015, Pennacchini
* l’articolo risulta pubblicato anche sulla rivista della Scuola Supe- riore della Magistratura “Diritti & Giurisdizione”, n. 1-2016.
reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74 del 2000 scompare il termine prescrizionale complessivo.
Il limite massimo di aumento del termine di prescri- zione del reato, nei casi di interruzione della prescrizio- ne ai sensi degli artt. 160 e 161 c.p., qualora applicato al delitto di «dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti inesistenti» ex art. 2 d.lgs. 74 del 2000 è idoneo a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’art. 325, §§ 1 e 2, T.F.U.E., poiché tale normativa nazionale impedisce di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unio- ne europea. Vanno, pertanto, disapplicati gli artt. 160 e 161 c.p., nella parte in cui pongono un limite massimo all’aumento del termine prescrizionale, con l’effetto che, a seguito di ciascuno atto interruttivo, la prescrizione ricomincia nuovamente a decorrere, senza alcun limite massimo e complessivo.
Cass., Sez. III, 17 settembre 2015
deposito 20 gennaio 2016, n. 2210, Pennacchini Pres. Franco, Rel. Scarcella
C.G.U.E., 8 settembre 2015, Taricco e altri
(Omissis)
Fatti della controversia principale e questioni pregiudiziali
18. A carico degli imputati è stato promosso, di- nanzi al Tribunale di Cuneo, un procedimento penale con l’imputazione di aver costituito e organizzato, nel corso degli esercizi fiscali dal 2005 al 2009, un’asso- ciazione per delinquere allo scopo di commettere vari delitti in materia di IVA. Essi vengono infatti accusati di aver posto in essere operazioni giuridiche fraudo- lente, note come «frodi carosello» – che implicavano, in particolare, la costituzione di società interposte e l’emissione di falsi documenti – che avrebbero con- sentito l’acquisto di beni, segnatamente di bottiglie di champagne, in esenzione da IVA. Tale operazione avrebbe consentito alla società P. Srl (in prosieguo: la
«P.») di disporre di prodotti a un prezzo inferiore a quello di mercato che poteva rivendere ai suoi clienti, in tal modo falsando detto mercato.
19. La P. avrebbe ricevuto fatture emesse da tali so- cietà interposte per operazioni inesistenti. Le stesse so- cietà avrebbero tuttavia omesso di presentare la dichia- razione annuale IVA o, pur avendola presentata, non avrebbero comunque provveduto ai corrispondenti versamenti d’imposta. La P. avrebbe invece annotato nella propria contabilità le fatture emesse dalle suddet- te società interposte detraendo indebitamente l’IVA in esse riportata e, di conseguenza, avrebbe presentato dichiarazioni annuali IVA fraudolente.
20. Dall’ordinanza di rinvio emerge che, dopo che il procedimento sottoposto alla cognizione del giudice del rinvio è stato oggetto di vari incidenti procedurali
e a seguito del rigetto delle numerose eccezioni solle- vate dagli imputati nell’ambito dell’udienza prelimi- nare svoltasi dinanzi a detto giudice, quest’ultimo è chiamato, da un lato, a pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti di uno degli imputati, il sig. A., poiché i reati considerati risultano estinti per prescrizione nei suoi riguardi. Dall’altro, egli dovreb- be emettere decreto di rinvio a giudizio per gli altri imputati, fissando un’udienza dinanzi al giudice del dibattimento.
21. Il giudice del rinvio precisa che i reati conte- stati agli imputati sono puniti, ai sensi degli articoli 2 e 8 del d.lgs. n. 74/2000, con la reclusione fino a sei anni. Il delitto di associazione per delinquere, previsto dall’articolo 416 del codice penale, di cui gli imputati potrebbero altresì essere dichiarati colpevoli, sarebbe invece punito con la reclusione fino a sette anni per i promotori dell’associazione e fino a cinque anni per i semplici partecipanti. Ne consegue che, per i promo- tori dell’associazione per delinquere, il termine di pre- scrizione è di sette anni, mentre è di sei anni per tutti gli altri. L’ultimo atto interruttivo del termine sarebbe stato il decreto di fissazione dell’udienza preliminare.
22. Orbene, nonostante l’interruzione della pre- scrizione, il termine della medesima non potrebbe essere prorogato, in applicazione del combinato dispo- sto dell’articolo 160, ultimo comma, del codice penale e dell’articolo 161 dello stesso codice (in prosieguo:
le «disposizioni nazionali di cui trattasi») oltre i sette anni e sei mesi o, per i promotori dell’associazione per delinquere, oltre gli otto anni e nove mesi a decorrere dalla data di consumazione dei
reati. Secondo il giudice del rinvio, è certo che tutti i reati, ove non ancora prescritti, lo saranno entro l’8 febbraio 2018, ossia prima che possa essere pronuncia- ta sentenza definitiva nei confronti degli imputati. Da ciò conseguirebbe che questi ultimi, accusati di aver commesso una frode in materia di IVA per vari milioni di euro, potranno beneficiare di un’impunità di fatto dovuta allo scadere del termine di prescrizione.
23. Ad avviso del giudice del rinvio, tale conse- guenza era tuttavia prevedibile a causa dell’esistenza della regola sancita dal combinato disposto dell’artico- lo 160, ultimo comma, del codice penale e dell’artico- lo 161, secondo comma, dello stesso codice, regola che permettendo solamente, a seguito di interruzione della prescrizione, un prolungamento del termine di pre- scrizione di appena un quarto della sua durata iniziale, finisce in realtà col non interrompere la prescrizione nella maggior parte dei procedimenti penali.
24. Orbene, i procedimenti penali relativi a una frode fiscale come quella contestata agli imputati com- porterebbero, di norma, indagini assai complesse, con la conseguenza che il procedimento si protrarrebbe a lungo già nella fase delle indagini preliminari. La du- rata del procedimento, cumulati tutti i gradi di giudi- zio, sarebbe tale che, in questo tipo di casi, l’impunità
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di fatto costituirebbe in Italia non un’evenienza rara, ma la norma. Peraltro, sarebbe spesso impossibile per l’amministrazione tributaria italiana recuperare l’im- porto di imposte che abbiano fatto oggetto del reato considerato.
25. In tale contesto, il giudice del rinvio ritiene che le disposizioni italiane di cui trattasi autorizzino indi- rettamente una concorrenza sleale da parte di taluni operatori economici stabiliti in Italia rispetto ad im- prese con sede in altri Stati membri, con conseguen- te violazione dell’articolo 101 TFUE. Peraltro, tali disposizioni sarebbero idonee a favorire determinate imprese, in violazione dell’articolo 107 TFUE. Inol- tre, dette disposizioni creerebbero, di fatto, un’esen- zione non prevista all’articolo 158, paragrafo 2, della direttiva 2006/112. Infine, l’impunità de facto di cui godrebbero gli evasori fiscali violerebbe il principio di- rettivo, previsto all’articolo 119 TFUE, secondo cui gli Stati membri devono vigilare sul carattere sano del- le loro finanze pubbliche.
26. Il giudice del rinvio ritiene tuttavia che, qua- lora gli fosse consentito disapplicare le disposizioni nazionali di cui trattasi, sarebbe possibile garantire in Italia l’applicazione effettiva del diritto dell’Unione.
27. Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale di Cuneo ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiu- diziali:
«1) [S]e, modificando con legge n. 251 del 2005 l’art. 160 ultimo comma del codice penale italiano – nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione, e quindi, consentendo la prescrizione dei reati nonostante il tempestivo esercizio dell’azione penale, con conseguente impunità – sia stata infranta la norma a tutela della concorrenza contenuta nell’art.
101 del TFUE;
2) Se, modificando con legge n. 251 del 2005 l’art.
160 ultimo comma del codice penale italiano – nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di inter- ruzione, e quindi, privando di conseguenze penali i reati commessi da operatori economici senza scrupoli – lo Stato italiano abbia introdotto una forma di aiuto vietata dall’art. 107 del TFUE;
3) Se, modificando con legge n. 251 del 2005 l’art.
160 ultimo comma del codice penale italiano – nella parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di inter- ruzione, e quindi, creando un’ipotesi di impunità per coloro che strumentalizzano la direttiva comunitaria – lo Stato italiano abbia indebitamente aggiunto un’e- senzione ulteriore rispetto a quelle tassativamente con- template dall’articolo 158 della direttiva 2006/112/
CE;4) Se, modificando con legge n. 251 del 2005 l’art.
160 ultimo comma del codice penale italiano – nella
parte in cui contempla un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto a seguito di in- terruzione, e quindi, rinunciando a punire condotte che privano lo Stato delle risorse necessarie anche a far fronte agli obblighi verso l’Unione europea, sia stato violato il principio di finanze sane fissato dall’art. 119 del TFUE».
Sulle questioni pregiudiziali Sulla ricevibilità delle questioni
28. Il sig. A. nonché i governi italiano e tedesco ritengono che le questioni poste dal giudice del rin- vio siano irricevibili. A tale riguardo, il sig. A. rileva che le disposizioni di diritto nazionale che stabiliscono le regole sulla prescrizione per i reati in materia fisca- le sono state oggetto di recente modifica, ragion per cui le considerazioni del giudice del rinvio risultano infondate. I governi italiano e tedesco sostengono, in sostanza, che le questioni di interpretazione poste dal giudice del rinvio sono puramente astratte o ipotetiche e non hanno alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale.
29. In proposito, occorre rammentare che, secondo costante giurisprudenza della Corte, nell’ambito della collaborazione tra quest’ultima e i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamen- te al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la con- troversia e che deve assumersi la responsabilità dell’e- mananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze del caso, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale ai fini dell’emanazione della propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, allorché le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del di- ritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (v., in particolare, sentenza Banco Privado Português e Massa Insolvente do Banco Privado Por- tuguês, C-667/13, EU:C:2015:151, punto 34 e giuri- sprudenza ivi citata).
30. Ne consegue che le questioni relative al diritto dell’Unione godono di una presunzione di rilevanza.
Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pre- giudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’in- terpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non di- sponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sot- toposte (v., in particolare, sentenza Halaf, C-528/11, EU:C:2013:342, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).
31. Tuttavia, come in sostanza rilevato dall’avvo- cato generale ai paragrafi 45 e seguenti delle sue con- clusioni, i presupposti che possono condurre la Corte a rifiutare di pronunciarsi sulle questioni poste risul- tano, nel caso di specie, manifestamente insussistenti.
Penale
Infatti, le indicazioni contenute nell’ordinanza di rin- vio consentono alla Corte di formulare risposte utili per il giudice del rinvio. Inoltre, tali indicazioni sono idonee a consentire agli interessati menzionati all’ar- ticolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’U- nione europea di pronunciarsi in modo efficace.
32. Peraltro, dall’ordinanza di rinvio risulta chiara- mente che le questioni poste alla Corte non sono affat- to di tipo ipotetico e che viene individuato un rappor- to con la realtà effettiva della controversia principale, dato che tali questioni vertono sull’interpretazione di varie disposizioni del diritto dell’Unione che il giudice del rinvio considera determinanti per la futura deci- sione che sarà chiamato a emanare nel procedimento principale, più precisamente per quel che riguarda il rinvio a giudizio degli imputati.
33. La domanda di pronuncia pregiudiziale deve pertanto essere dichiarata ricevibile.
Sulla terza questione
34. Con la sua terza questione, che è opportuno affrontare per prima, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, da un lato, se una normativa nazionale in materia di prescrizione del reato come quella stabilita dalle disposizioni nazionali di cui trattasi – normati- va che prevedeva, all’epoca dei fatti di cui al proce- dimento principale, che l’atto interruttivo verificatosi nell’ambito di procedimenti penali riguardanti reati in materia di IVA comportasse il prolungamento del ter- mine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale, consentendo in tal modo agli imputati di be- neficiare di un’impunità di fatto – determini l’introdu- zione di un’ipotesi di esenzione dall’IVA non prevista all’articolo 158 della direttiva 2006/112. D’altro lato, in caso di risposta affermativa a tale questione, il giu- dice del rinvio chiede se gli sia consentito disapplicare dette disposizioni.
Sulla conformità al diritto dell’Unione di una nor- mativa nazionale come quella stabilita dalle disposizio- ni nazionali di cui trattasi
35. Occorre in limine rilevare che, sebbene la ter- za questione faccia riferimento all’articolo 158 della direttiva 2006/112, emerge chiaramente dalla motiva- zione dell’ordinanza di rinvio che, con tale questione, il giudice del rinvio mira a determinare, in sostanza, se una normativa nazionale come quella stabilita dalle disposizioni di cui trattasi non si risolva in un ostacolo all’efficace lotta contro la frode in materia di IVA nello Stato membro interessato, in modo incompatibile con la direttiva 2006/112 nonché, più in generale, con il diritto dell’Unione.
36. A tale riguardo, si deve ricordare che, in base al combinato disposto della direttiva 2006/112 e dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, gli Stati membri hanno non solo l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative idonee a garantire che l’I- VA dovuta nei loro rispettivi territori sia interamente riscossa, ma devono anche lottare contro la frode (v.,
in tal senso, sentenza Åkerberg Fransson, C-617/10, EU:C:2013:105, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).
37. Inoltre, l’articolo 325 TFUE obbliga gli Stati membri a lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive ed effettive e, in particolare, li obbliga ad adottare, per combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combat- tere la frode lesiva dei loro interessi finanziari (v. sen- tenza Åkerberg Fransson, C-617/10, EU:C:2013:105, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).
38. La Corte ha in proposito sottolineato che, poi- ché le risorse proprie dell’Unione comprendono in particolare, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della decisione 2007/436, le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli impo- nibili IVA armonizzati determinati secondo regole dell’Unione, sussiste quindi un nesso diretto tra la ri- scossione del gettito dell’IVA nell’osservanza del dirit- to dell’Unione applicabile e la messa a disposizione del bilancio dell’Unione delle corrispondenti risorse IVA, dal momento che qualsiasi lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente una riduzione delle seconde (v. sentenza Åkerberg Fransson, C-617/10, EU:C:2013:105, punto 26).
39. Se è pur vero che gli Stati membri dispongono di una libertà di scelta delle sanzioni applicabili, che possono assumere la forma di sanzioni amministrative, di sanzioni penali o di una combinazione delle due, al fine di assicurare la riscossione di tutte le entrate pro- venienti dall’IVA e tutelare in tal modo gli interessi fi- nanziari dell’Unione conformemente alle disposizioni della direttiva 2006/112 e all’articolo 325 TFUE (v., in tal senso, sentenza Åkerberg Fransson, C-617/10, EU:C:2013:105, punto 34 e giurisprudenza ivi ci- tata), possono tuttavia essere indispensabili sanzioni penali per combattere in modo effettivo e dissuasivo determinate ipotesi di gravi frodi in materia di IVA.
40. Occorre del resto ricordare che, ai sensi dell’ar- ticolo 2, paragrafo 1, della Convenzione PIF, gli Stati membri devono prendere le misure necessarie affinché le condotte che integrano una frode lesiva degli inte- ressi finanziari dell’Unione siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che com- prendano, almeno nei casi di frode grave, pene priva- tive della libertà.
41. La nozione di «frode» è definita all’articolo 1 della Convenzione PIF come «qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa (...) all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, ine- satti o incompleti cui consegua la diminuzione ille- gittima di risorse del bilancio generale [dell’Unione]
o dei bilanci gestiti [dall’Unione] o per conto di es- s[a]». Tale nozione include, di conseguenza, le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati determinati secondo regole dell’Unione. Questa conclusione non può es-
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sere infirmata dal fatto che l’IVA non sarebbe riscossa direttamente per conto dell’Unione, poiché l’articolo 1 della Convenzione PIF non prevede affatto un pre- supposto del genere, che sarebbe contrario all’obietti- vo di tale Convenzione di combattere con la massima determinazione le frodi che ledono gli interessi finan- ziari dell’Unione.
42. Nel caso di specie, dall’ordinanza di rinvio emerge che la normativa nazionale prevede sanzioni penali per i reati perseguiti nel procedimento princi- pale, vale a dire, in particolare, la costituzione di un’as- sociazione per delinquere allo scopo di commettere delitti in materia di IVA nonché una frode nella mede- sima materia per vari milioni di euro. Si deve rilevare come simili reati costituiscano casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.
43. Orbene, dall’insieme delle considerazioni svol- te ai punti 37 e da 39 a 41 della presente sentenza emerge che gli Stati membri devono assicurarsi che casi siffatti di frode grave siano passibili di sanzioni penali dotate, in particolare, di carattere effettivo e dissuasivo. Peraltro, le misure prese a tale riguardo de- vono essere le stesse che gli Stati membri adottano per combattere i casi di frode di pari gravità che ledono i loro interessi finanziari.
44. Il giudice nazionale è quindi tenuto a verifica- re, alla luce di tutte le circostanze di diritto e di fatto rilevanti, se le disposizioni nazionali applicabili con- sentano di sanzionare in modo effettivo e dissuasivo i casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.
45. Si deve in proposito precisare che né il giudice del rinvio né gli interessati che hanno presentato osser- vazioni alla Corte hanno sollevato dubbi sul carattere dissuasivo, in sé, delle sanzioni penali indicate da detto giudice, ossia della pena della reclusione fino a sette anni, e neppure sulla conformità al diritto dell’Unione della previsione, nel diritto penale italiano, di un ter- mine di prescrizione per i fatti costitutivi di una frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione.
46. Tuttavia, dall’ordinanza di rinvio emerge che le disposizioni nazionali di cui trattasi, introducendo una regola in base alla quale, in caso di interruzione della prescrizione per una delle cause menzionate all’artico- lo 160 del codice penale, il termine di prescrizione non può essere in alcun caso prolungato di oltre un quarto della sua durata iniziale, hanno per conseguenza, date la complessità e la lunghezza dei procedimenti penali che conducono all’adozione di una sentenza definiti- va, di neutralizzare l’effetto temporale di una causa di interruzione della prescrizione.
47. Qualora il giudice nazionale dovesse conclude- re che dall’applicazione delle disposizioni nazionali in materia di interruzione della prescrizione consegue, in un numero considerevole di casi, l’impunità penale a fronte di fatti costitutivi di una frode grave, perché tali fatti risulteranno generalmente prescritti prima che la
sanzione penale prevista dalla legge possa essere inflitta con decisione giudiziaria definitiva, si dovrebbe con- statare che le misure previste dal diritto nazionale per combattere contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione non possono essere considerate effettive e dissuasive, il che sarebbe in contrasto con l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, con l’articolo 2, paragrafo 1, della Convenzione PIF nonché con la direttiva 2006/112, in combinato di- sposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE.
48. Inoltre, il giudice nazionale dovrà verificare se le disposizioni nazionali di cui trattasi si applichino ai casi di frode in materia di IVA allo stesso modo che ai casi di frode lesivi dei soli interessi finanziari della Repub- blica italiana, come richiesto dall’articolo 325, paragra- fo 2, TFUE. Ciò non avverrebbe, in particolare, se l’ar- ticolo 161, secondo comma, del codice penale stabilisse termini di prescrizione più lunghi per fatti, di natura e gravità comparabili, che ledano gli interessi finanziari della Repubblica italiana. Orbene, come osservato dalla Commissione europea nell’udienza dinanzi alla Corte, e con riserva di verifica da parte del giudice nazionale, il diritto nazionale non prevede, in particolare, alcun termine assoluto di prescrizione per quel che riguarda il reato di associazione allo scopo di commettere delitti in materia di accise sui prodotti del tabacco.
Sulle conseguenze di un’eventuale incompatibilità delle disposizioni nazionali di cui trattasi con il diritto dell’Unione e sul ruolo del giudice nazionale
49. Qualora il giudice nazionale giungesse alla conclusione che le disposizioni nazionali di cui trat- tasi non soddisfano gli obblighi del diritto dell’U- nione relativi al carattere effettivo e dissuasivo delle misure di lotta contro le frodi all’IVA, detto giudice sarebbe tenuto a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione disapplicando, all’occorrenza, tali disposi- zioni e neutralizzando quindi la conseguenza rilevata al punto 46 della presente sentenza, senza che debba chiedere o attendere la previa rimozione di dette di- sposizioni in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (v., in tal senso, senten- ze Berlusconi e a., C-387/02, C-391/02 e C-403/02, EU:C:2005:270, punto 72 e giurisprudenza ivi cita- ta, nonché Kücükdeveci, C-555/07, EU:C:2010:21, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).
50. A tale riguardo, è necessario sottolineare che l’obbligo degli Stati membri di lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive ed effettive nonché il loro obbligo di adottare, per combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere la frode lesiva dei loro interessi finan- ziari sono obblighi imposti, in particolare, dal diritto primario dell’Unione, ossia dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE.
51. Tali disposizioni del diritto primario dell’Unio- ne pongono a carico degli Stati membri un obbligo
Penale
di risultato preciso e non accompagnato da alcuna condizione quanto all’applicazione della regola in esse enunciata, ricordata al punto precedente.
52. In forza del principio del primato del diritto dell’Unione, le disposizioni dell’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE hanno l’effetto, nei loro rapporti con il diritto interno degli Stati membri, di rendere ipso iure inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legisla- zione nazionale esistente (v. in tal senso, in particolare, sentenza ANAFE, C-606/10, EU:C:2012:348, punto 73 e giurisprudenza ivi citata).
53. Occorre aggiungere che se il giudice nazionale dovesse decidere di disapplicare le disposizioni nazio- nali di cui trattasi, egli dovrà allo stesso tempo assicu- rarsi che i diritti fondamentali degli interessati siano rispettati. Questi ultimi, infatti, potrebbero vedersi infliggere sanzioni alle quali, con ogni probabilità, sa- rebbero sfuggiti in caso di applicazione delle suddette disposizioni di diritto nazionale.
54. A tale riguardo, diversi interessati che hanno presentato osservazioni alla Corte hanno fatto riferi- mento all’articolo 49 della Carta dei diritti fondamen- tali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), che sancisce i principi di legalità e di proporzionalità dei reati e delle pene, in base ai quali, in particolare, nes- suno può essere condannato per un’azione o un’omis- sione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale.
55. Tuttavia, con riserva di verifica da parte del giudice nazionale, la disapplicazione delle disposizio- ni nazionali di cui trattasi avrebbe soltanto per effetto di non abbreviare il termine di prescrizione generale nell’ambito di un procedimento penale pendente, di consentire un effettivo perseguimento dei fatti incri- minati nonché di assicurare, all’occorrenza, la parità di trattamento tra le sanzioni volte a tutelare, rispettiva- mente, gli interessi finanziari dell’Unione e quelli della Repubblica italiana. Una disapplicazione del diritto nazionale siffatta non violerebbe i diritti degli imputa- ti, quali garantiti dall’articolo 49 della Carta.
56. Infatti, non ne deriverebbe affatto una condan- na degli imputati per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva un reato punito dal diritto nazionale (v., per analogia, sentenza Niselli, C-457/02, EU:C:2004:707, punto 30), né l’applicazione di una sanzione che, allo stesso momento, non era prevista da tale diritto. Al contra- rio, i fatti contestati agli imputati nel procedimento principale integravano, alla data della loro commissio- ne, gli stessi reati ed erano passibili delle stesse sanzioni penali attualmente previste.
57. La giurisprudenza della Corte europea dei di- ritti dell’uomo relativa all’articolo 7 della Convenzio- ne europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novem-
bre 1950, che sancisce diritti corrispondenti a quel- li garantiti dall’articolo 49 della Carta, avvalora tale conclusione. Secondo tale giurisprudenza, infatti, la proroga del termine di prescrizione e la sua immediata applicazione non comportano una lesione dei diritti garantiti dall’articolo 7 della suddetta Convenzione, dato che tale disposizione non può essere interpreta- ta nel senso che osta a un allungamento dei termini di prescrizione quando i fatti addebitati non si siano ancora prescritti [v., in tal senso, Corte eur D.U., sen- tenze Coëme e a. c. Belgio, nn. 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96 e 33210/96, § 149, CEDU 2000-VII; Scoppola c. Italia (n. 2) del 17 settembre 2009, n. 10249/03, § 110 e giurisprudenza ivi citata, e OAO Neftyanaya Kompaniya Yukos c. Russia del 20 settembre 2011, n. 14902/04, §§ 563, 564 e 570 e giurisprudenza ivi citata].
58. Alla luce delle suesposte considerazioni, occor- re rispondere alla terza questione che una normativa nazionale in materia di prescrizione del reato come quella stabilita dalle disposizioni nazionali di cui trat- tasi – normativa che prevedeva, all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, che l’atto interrutti- vo verificatosi nell’ambito di procedimenti penali ri- guardanti frodi gravi in materia di IVA comportasse il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale – è idonea a pregiudi- care gli obblighi imposti agli Stati membri dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro in- teressato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi fi- nanziari dell’Unione, circostanze che spetta al giudi- ce nazionale verificare. Il giudice nazionale è tenuto a dare piena efficacia all’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all’occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi imposti- gli dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE.
Sulle questioni prima, seconda e quarta
59.Con la sua prima, seconda e quarta questione, da esaminarsi congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se un regime di prescrizione appli- cabile a reati commessi in materia di IVA, come quello previsto dalle disposizioni nazionali di cui trattasi nella loro versione vigente alla data dei fatti di cui al proce- dimento principale, possa essere valutato alla luce de- gli articoli 101 TFUE, 107 TFUE e 119 TFUE.
60. Per quanto riguarda, in primo luogo, l’articolo 101 TFUE, esso vieta tutti gli accordi tra imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il
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gioco della concorrenza all’interno del mercato inter- no. Come in sostanza rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 60 delle sue conclusioni, un’attuazione eventualmente carente delle disposizioni penali nazio- nali in materia di IVA non ha tuttavia una necessaria incidenza su possibili comportamenti collusivi tra im- prese, contrari all’articolo 101 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE.
61. Con riferimento, in secondo luogo, al divie- to degli aiuti di Stato previsto all’articolo 107 TFUE, occorre ricordare che una misura mediante la quale le pubbliche autorità accordino a determinate imprese un trattamento fiscale vantaggioso che, pur non im- plicando un trasferimento di risorse statali, collochi i beneficiari in una situazione finanziaria più favorevole rispetto agli altri contribuenti costituisce aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE (v., in particolare, sentenza P, C-6/12, EU:C:2013:525, pun- to 18 e giurisprudenza ivi citata).
62. Orbene, se il carattere non effettivo e/o non dis- suasivo delle sanzioni previste in materia di IVA può eventualmente procurare un vantaggio finanziario alle imprese interessate, l’applicazione dell’articolo 107 TFUE non può tuttavia assumere rilievo nel caso di specie, dal momento che tutte le transazioni sono sog- gette al regime di IVA e che qualsiasi reato in materia di IVA è penalmente sanzionato, a prescindere da casi particolari nei quali il regime della prescrizione potreb- be privare determinati reati di conseguenze penali.
63. In terzo luogo, quanto all’articolo 119 TFUE, tale disposizione menziona, al paragrafo 3, tra i prin- cipi direttivi che devono governare le azioni degli Stati membri nell’ambito dell’instaurazione di una politica economica e monetaria, il principio secondo cui gli Stati membri devono vigliare sul carattere sano delle loro finanze pubbliche.
64. Orbene, si deve rilevare che la questione riguar- dante la conformità al suddetto principio di finanze pubbliche sane delle disposizioni di diritto nazionale di cui trattasi, che possono lasciare impuniti determi- nati reati in materia di IVA, non rientra nella sfera di applicazione dell’articolo 119 TFUE, dato che il col- legamento tra tale questione e il suddetto obbligo gra- vante sugli Stati membri è molto indiretto.
65. Alla luce di tali considerazioni, occorre rispon- dere alla prima, alla seconda e alla quarta questione che un regime della prescrizione applicabile a reati commessi in materia di IVA, come quello previsto dal- le disposizioni nazionali di cui trattasi nella loro ver- sione vigente alla data dei fatti di cui al procedimento principale, non può essere valutato alla luce degli arti- coli 101 TFUE, 107 TFUE e 119 TFUE.
(Omissis)
Cass., Sez. III, 17 settembre 2015, Pennacchini (Omissis)
Motivi della decisione
3. Il ricorso dev’essere parzialmente accolto.
4. Ed invero, dall’impugnata sentenza emergono gli elementi che hanno indotto i giudici territoriali a confermare l’impianto accusatorio nei confronti del ricorrente; in particolare, alle pagg. 6/8 della sentenza sono descritti gli elementi probatori da cui emergeva la natura fraudolenta rispetto alle pretese erariali delle operazioni poste in essere nonché la natura di società
“cartiere” delle emittenti le false fatture, poi utilizzate in dichiarazione dal ricorrente. Sintetizzando il per- corso logico - argomentativo dell’impugnata sentenza risulta che dagli elementi documentali (indicati nel processo verbale di constatazione della GdF e dai rela- tivi allegati inerenti le risultanze della verifica parziale eseguita nei confronti della società “Boutique dell’auto s.r.l.” amministrata dal ricorrente) era emerso che: a) le ditte N., G. C., T. L. e M. N., che risultavano acqui- renti di auto all’estero – in particolare, in Germania – e venditrici delle stesse auto ad altre ditte, come la “B.
s.r.l.”, non avevano sede effettiva, nè dipendenti, nè erano in grado di effettuare le operazioni in oggetto, nè avevano mai presentato dichiarazioni e risultavano evasori totali; b) il venditore effettivo era un impren- ditore tedesco e le auto erano acquistate e passavano direttamente alla “B. s.r.l.” che poi le vendeva a privati;
c) il pagamento all’imprenditore tedesco veniva effet- tuato di fatto dalla “B. s.r.l.”; d) le società “cartiere”
quali società interposte, di fatto non facevano nulla, se non interporsi fittiziamente tra le aziende U.E. tede- sche e il reale acquirente italiano (in particolare, il P. o altri andavano, con il denaro della “B. s.r.l.”, in Ger- mania a ritirare i veicoli che poi consegnavano diretta- mente alla “Boutique dell’auto s.r.l.”, come dichiarato dal L., titolare della N. che aveva definito la propria posizione ex art. 444 c.p.p., e dallo S.; e) i pagamenti ed i flussi di denaro relativi alle auto commercializza- te non transitavano nei cc/cc della società interposta, neppure esistenti; f) i titolari delle ditte interposte non erano neppure in grado di esercitare in via autonoma la commercializzazione di autovetture estero-Italia (ad es., si sottolinea in sentenza, il L., titolare della N., non conosceva la lingua tedesca, non disponeva di una struttura commerciale, era soggetto privo di capacità patrimoniale e finanziaria nonché di credibilità com- merciale in quanto più riprotestato, ed aveva dichiara- to di recarsi in Germania a ritirare le auto con denaro fornito dal P. a cui le portava); g) nell’ambito delle attività della GdF mirate ad acquisire documentazio- ne relativa ai rapporti commerciali intercorsi tra la
“B. s.r.l.” e le ditte emittenti le fatture in oggetto non risultano essere stati rinvenuti documenti, fax, copie commissioni di ordini, etc. attestanti le trattative com- merciali; h) dall’esame delle fatture emesse dalla G. C.
nei confronti della società amministrata dal ricorrente, poste a confronto con le rispettive fatture emesse da quest’ultima nei confronti dei singoli acquirenti, sono
Penale
emerse palesi incongruenze, come ad esempio l’indica- zione della data della vendita dell’autovettura da parte della “B. s.r.l.” nei confronti dei singoli acquirenti, an- tecedente a quella di acquisto della stessa, operato car- tolarmente presso la G. C., circostanza impossibile che confermava la fittizietà delle operazioni commerciali.
Risultava dunque evidente, precisano i giudici di appello, che le fatture emesse dalle società acquirenti fossero relative ad operazioni soggettivamente inesi- stenti, stante il ruolo di “cartiere” delle società inter- poste; il ricorrente, pertanto, avvalendosi delle fatture soggettivamente inesistenti emesse dalle predette so- cietà, aveva quindi presentato dichiarazioni fraudo- lente per gli anni di imposta 2005-2007, che avevano consentito alla società da lui amministrata di indicare elementi passivi fittizi riguardo all’IVA. 5. A fronte di tale apparato argomentativo, il ricorrente svolge censure con riferimento al secondo motivo, del tutto prive di pregio, asserendo la natura “cristallina” delle operazioni e fornendo una sua personale versione in sede di impugnazione dello svolgersi dell’operazione commerciale, con ciò sostanzialmente chiedendo a questa Corte di svolgere apprezzamenti di fatto, che chiaramente esulano dall’ambito cognitivo di questo giudice di legittimità.
È dunque evidente che, sotto l’apparente censura di un vizio di violazione di legge, il ricorrente in re- altà appunta censure di tipo puramente contestativo rispetto alla ricostruzione dei fatti e rispetto alla valu- tazione del compendio probatorio operato dalla Corte d’appello, operazione vietata in questa sede, risolven- dosi nel dissenso rispetto all’approdo motivazionale dei giudici territoriali.
Si ribadisce, e non potrebbe essere altrimenti, che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sin- dacato demandato alla Corte di cassazione essere limi- tato – per espressa volontà del legislatore – a riscontra- re l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizio- ni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valu- tazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di me- rito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte., v.: sez. un., n. 6402 del 30/04/1997 - dep.
02/07/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944).
A ciò si aggiunge che gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia per- venuto attraverso l’esame delle prove, sorretto da ade- guata motivazione esente da errori logici e giuridici,
sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddit- torietà della motivazione solo perché contrari agli as- sunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), non rientrano quelle relative alla valu- tazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versio- ni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilità dei testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazio- ne (tra le tante: Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989 – dep.
11/01/1990, Bianchesi, Rv. 182961). Controllo, in questa sede, agevolmente superato dalla sentenza im- pugnata, non potendo del resto dubitarsi del corretto inquadramento giuridico della vicenda sotto la fatti- specie del d.lgs. n. 74 del 2000, art. 2, atteso che è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di reati finanziari e tributari, il reato di utiliz- zazione (come quello di emissione) di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti (d.lgs. 10 mar- zo 2000, n. 74, artt. 2 ed 8) è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, sia per l’ampiezza della norma che si riferisce genericamen- te ad “operazioni inesistenti”, sia perché anche in tal caso è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (Sez. 3, n. 14707 del 14/11/2007 - dep. 09/04/2008, Rossi e altri, Rv. 239658, relativa a fattispecie nella quale la falsità riguardava la sola indicazione in fattura di altro soggetto qualificato come acquirente).
6. A diversa soluzione deve, invece, pervenirsi quanto al residuo motivo di ricorso, afferente il tratta- mento sanzionatorio.
Ed infatti, la censura relativa al diniego espresso dalla Corte d’appello quanto alle circostanze attenuan- ti generiche merita accoglimento, atteso che la Corte d’appello nega le invocate attenuanti limitandosi ad affermare che il relativo motivo di appello sarebbe pri- vo di pregio giuridico; trattasi di motivazione apparen- te, in quanto non esplicita le ragioni dell’esercizio del potere discrezionale sotteso alla valutazione richiesta dalla legge; nè, peraltro, a tale apparenza motivaziona- le può supplirsi richiamando la motivazione del primo giudice, non risultando alcuna motivazione sul punto;
a fronte, quindi, di uno specifico motivo di appello sul mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, la Corte territoriale avrebbe dovuto fornire adeguata giustificazione delle ragioni del diniego, donde la cen- sura difensiva, a fronte di quanto dianzi rilevato, appa- re fondata. In materia di circostanze attenuanti, l’art.
62-bis c.p. prevede il potere discrezionale del giudice di prendere in considerazione altre circostanze diverse da quelle previste nell’art. 62 c.p., qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Vero è che il giudice di merito non è tenuto ad esaminare
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e valutare tutte le circostanze prospettate o prospet- tabili dalla difesa, e neppure è tenuto a prendere in considerazione tutti i criteri indicati nell’art. 133 c.p., essendo sufficiente che indichi i motivi per i quali non ritiene di esercitare il potere discrezionale attribuitogli dall’art. 62-bis c.p. (giurisprudenza costante; v. ex mul- tis: Sez. 1, n. 1666 del 11/12/1996 – dep. 21/02/1997, Adreveno, Rv. 206936), ma una motivazione deve co- munque esservi, e quella offerta dalla Corte territoriale sul punto riveste i caratteri dell’apparenza.
7. L’accoglimento del primo motivo, determina pertanto l’annullamento dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia, territorialmente competente quale giudice del rinvio, perché colmi il predetto vuoto motivazionale.
Non ricorrono, tuttavia, le condizioni per procede- re alla declaratoria di annullamento senza rinvio della medesima sentenza quanto ai fatti relativi al periodo di imposta 2005 – atteso che la relativa prescrizione risulterebbe maturata, in base al combinato disposto degli artt. 157 e 161 c.p., alla data del 16/01/2015, pur tenendo conto delle sospensioni del relativo ter- mine dal 15/07 al 15/09/2011 per rinvio determinato da legittimo impedimento del difensore e dal 16/03 al 5/10/2012 per rinvio determinato dall’adesione del difensore all’astensione proclamata dalla categoria professionale di appartenenza – ritenendo questo Col- legio di dover disapplicare la specifica norma di cui all’art. 160, comma 3, u.p., ed all’art. 161 c.p., com- ma 2 a seguito della sentenza della Corte di Giustizia U.E. dell’8 settembre 2015 (Grande Sezione), T., cau- sa C-105/14.
8. Sul punto sono necessarie alcune considerazioni che impongono la disapplicazione delle predette nor- me in riferimento ai reati di frode in materia di IVA, come nel caso di specie.
Con la predetta sentenza 8/09/2015, la Grande Camera della Corte di Lussemburgo nel c.d. caso T.
ha denunciato l’insostenibilità delle norme in questio- ne (e, in particolare, della previsione di un termine massimo in presenza di atti interruttivi) nella misu- ra in cui tale meccanismo può determinare in pratica la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA, lasciando così senza tutela adeguata gli interessi finanziari non solo dell’Erario italiano, ma anche - ed è quanto rileva per i giudici eurounitari - quelli dell’U- nione. Tale disciplina è stata giudicata incompatibile con gli obblighi europei di tutela penale: il cui conte- nuto notoriamente non si esaurisce soltanto nella pre- visione astratta di norme incriminatrici, ma si estende altresì all’applicazione nel caso concreto delle pene da esse previste nel caso di violazione.
Le conseguenze di questa pronuncia per l’ordina- mento italiano derivano dal principio del primato del diritto UE rispetto a quello nazionale (compreso lo stesso diritto penale). La Corte di giustizia ha afferma- to, con la richiamata sentenza, l’obbligo per il giudice
penale italiano di disapplicare in parte qua il combi- nato disposto degli artt. 160 e 161 c.p. nella misura in cui il giudice italiano ritenga che tale normativa – fissando un limite massimo al corso della prescrizione, pur in presenza di atti interruttivi, pari di regola al termine prescrizionale ordinario più un quarto – im- pedisce allo Stato italiano di adempiere agli obblighi di tutela effettiva degli interessi finanziari dell’Unione imposti dall’art. 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE).
In buona sostanza, il giudice di merito, ricorren- do i presupposti indicati dalla citata sentenza europea, ha l’obbligo – discendente direttamente dal diritto dell’Unione – di condannare l’imputato ritenuto col- pevole dei reati ascrittigli, senza tener conto dell’even- tuale decorso del termine prescrizionale calcolato sulla base delle suddette norme degli artt. 160 e 161 c.p..
9. È opportuno ricordare brevemente il caso deciso dalla Corte di Giustizia.
Nei confronti del T. e di altri soggetti era pendente avanti il Giudice per l’udienza preliminare del Tribu- nale di Cuneo un procedimento penale per associazio- ne per delinquere allo scopo di commettere vari delitti in materia di IVA, attraverso il noto meccanismo delle c.d. “frodi carosello”. Secondo l’impostazione dell’ac- cusa, essi avrebbero in tal modo realizzato negli eser- cizi fiscali dal 2005 al 2009 un’evasione dell’IVA in relazione all’importazione di champagne per un im- porto pari a diversi milioni di Euro. Con ordinanza 17 gennaio 2014, il G.u.p., rilevato l’intervenuto decorso della prescrizione nei confronti di uno degli imputa- ti, constatava altresì che nei confronti di tutti gli altri imputati la prescrizione sarebbe maturata nei termini di sette anni e mezzo dalla data di cessazione dell’as- sociazione (per ciò che concerne i meri partecipi) o, al massimo, in quello di otto anni e nove mesi (per ciò che concerne i capi). In ogni caso, tutti i reati - ove non ancora prescritti - lo sarebbero stati entro il feb- braio 2018: e la previsione del G.u.p. (tenuto conto della fase processuale nella quale il processo si trova- va alla data dell’ordinanza) era che entro tale data sa- rebbe stato impossibile pervenire ad un accertamento definitivo. Il giudice sottoponeva allora una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia, chiedendo se la disciplina in materia di termine massimo di prescri- zione in presenza di atti interruttivi di cui agli artt.
160 e 161 c.p. produca effetti compatibili con una se- rie di norme del TFUE e con una disposizione della direttiva 2006/112/UE in materia di IVA. 10. Utile, inoltre, per cogliere la soluzione della Corte di Giu- stizia, è ricordare le conclusioni svolte dall’Avvocato generale che, pur ritenendo irrilevanti le disposizioni di diritto dell’Unione invocate dal giudice del rinvio rispetto alla sostanza della questione prospettata, ebbe a riformulare la questione pregiudiziale sollevata ridu- cendola ai suoi termini essenziali ed individuandone altresì i corretti fondamenti normativi.
Penale
L’Avvocato generale aveva invero precisato l’esat- to ambito della questione sulla quale poi la Corte di Giustizia U.E. si è pronunciata, ossia: “se il diritto dell’Unione imponga ai giudici degli Stati membri di disapplicare determinate disposizioni del loro diritto nazionale relative alla prescrizione dei reati, al fine di garantire una repressione efficace dei reati fiscali” (1).
La soluzione offerta dall’Avvocato generale era af- fermativa e risultava imposta non solo dall’impianto generale della direttiva 2006/112/UE alla luce del principio di leale cooperazione di cui all’art. 4 3 TUE, ma anche dall’art. 325 TFUE (a tenore del quale gli Stati membri sono pertanto tenuti a lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’U- nione “con misure dissuasive ed effettive”), nonché dall’art. 21 della Convenzione sulla protezione degli interessi finanziari dell’Unione europea (la c.d. con- venzione PIF), che impone espressamente agli Stati fir- matari la previsione di sanzioni penali, che nei casi di frodi gravi devono altresì includere sanzioni privative della libertà.
I giudici nazionali sono, pertanto, tenuti a garan- tire la piena efficacia del diritto dell’Unione, anzitut- to mediante l’interpretazione del proprio diritto in maniera conforme al diritto UE: ovvero, laddove tale interpretazione conforme non sia possibile, “disappli- cando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale” (106-111).
11. I giudici eurounitari hanno accolto, com’è noto, la richiesta dell’Avvocato generale, concordan- do anzitutto nel ritenere irrilevanti le norme di diritto UE invocate dal giudice del rinvio, ma focalizzando, per quanto qui di interesse, l’attenzione sulle norme esaminate dall’Avvocato generale. Richiamando il pro- prio precedente Fransson, la Corte osserva anzitutto che dalla direttiva 2006/112/CE nel suo complesso, alla luce del principio di leale cooperazione di cui all’art. 4 p. 3 TUE, emerge a carico degli Stati membri non solo l’obbligo di adottare tutte le misure legislati- ve e amministrative idonee a garantire che UVA dovu- ta nei loro rispettivi territori sia interamente riscossa, ma altresì quello di anche lottare contro le frodi in ma- teria di IVA. Tale obbligo si ricava d’altronde, a livello di diritto primario dell’Unione, dall’art. 325 pp. 1 e 2 TFUE, che impegna gli Stati membri a “lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’U- nione con misure dissuasive ed effettive e, in particola- re, li obbliga ad adottare, per combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere la frode lesiva dei loro interessi finanziari” (p. 37). Tra gli interessi finanziari dell’Unione, come già affermato nella sentenza Frans- son, rientra certamente anche l’interesse alla riscossio- ne delle aliquote agli imponibili IVA armonizzati de-
terminati secondo regole dell’Unione; sicché qualsiasi lacuna nella riscossione dell’IVA a livello nazionale si traduce in un pregiudizio per le finanze dell’Unione (p. 38).
Infine, la Corte accoglie l’impostazione dell’Avvo- cato generale anche nell’individuazione nell’art. 2 p.
1 della Convenzione PIF il fondamento normativo di un obbligo non solo (genericamente) di tutela effet- tiva, proporzionata e dissuasiva delle finanze dell’U- nione (comprensive dell’interesse alla riscossione delle aliquote IVA), ma anche di uno specifico obbligo di adottare sanzioni penali effettive, proporzionate e dis- suasive, che prevedano – nei casi gravi di frode – anche pene privative della libertà personale (pp. 40-41).
Ciò posto, la Grande Sezione della Corte U.E.
rileva che nel caso di specie il procedimento penale concerneva una frode in materia di IVA dell’importo di vari milioni di euro, lesiva come tale anche degli interessi finanziari dell’Unione; una frode tuttavia che, secondo quanto illustrato dal giudice del rinvio, avreb- be rischiato fortemente di restare impunita per effetto della vigente disciplina della prescrizione, e in parti- colare per effetto del meccanismo di diritto interno secondo cui, anche in caso di atti interruttivi, il termi- ne prescrizionale non può essere aumentato più di un quarto della sua durata iniziale. Una simile situazione determinerebbe l’assenza di conseguenze sanzionatorie nel caso concreto, in frontale violazione degli obblighi UE appena menzionati.
Inoltre, come rilevato dalla Commissione nelle sue osservazioni in udienza, l’ordinamento italiano non assicurerebbe eguale trattamento alle frodi con- tro imposte meramente nazionali e a quelle (anche) di pertinenza dell’Unione come l’IVA, nella misura in cui il termine massimo complessivo della prescrizione di cui agli artt. 160 e 161 c.p. non opera nel caso di associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi di cui al d.P.R. 23 gennaio 1943, n. 436, art. 291-quater, mentre opera per le associazioni finalizzate alle frodi in materia di IVA che ledono, per l’appunto, il bilancio dell’Unione.
Un’asimmetria, questa, espressamente vietata dal p.
2 dell’art. 325 TFUE, a tenore del quale gli Stati mem- bri sono tenuti ad adottare “per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari”.
Operazione possibile in forza del principio della tutela equivalente enunciato dalla Corte già a parti- re da due storiche sentenze della C.G.C.E. (sentenza 21 settembre 1989, 68/88, Commissione/Repubblica Ellenica e sentenza 13 luglio 1990, 2/88, Zwartveld e aa.), con cui vennero indicati i principi che presiedo- no alla penalizzazione di interesse comunitario, sulla base dell’obbligo di solidarietà comunitaria (art. 5 ora 10 TCE): 1) gli Stati devono perseguire con concreta adeguatezza sotto il profilo sostanziale e processua-
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le le violazioni del diritto comunitario; 2) i termini della prevenzione sono prefissati, la tutela dovendosi attestare almeno sui livelli previsti per le violazioni del diritto interno simili per natura ed importanza (prin- cipio di assimilazione), e comunque su livelli tali da conferire alla sanzione un carattere di effettività, pro- porzionalità, capacità dissuasiva; 3) gli Stati sono ob- bligati ad adottare tutte le misure atte a garantire, se necessario anche penalmente, la portata e l’efficacia del diritto comunitario. Si era così aperto anche sul fronte dell’impulso alla penalizzazione un sindacato comu- nitario sulle scelte di penalizzazione degli Stati, che si affianca contrapponendosi a quello esperibile in base a principi comunitari penalistici di garanzia e libertà.
12. Il problema più delicato affrontato dalla Gran- de Sezione nel caso T. concerne però le conseguenze che il giudice del rinvio, e in generale ogni giudice nella sua stessa posizione, è chiamato a trarre dalla verifica di tali profili di violazione del diritto UE. La Corte U.E. concentra la sua attenzione esclusivamente sull’art. 325 TFUE, che è in effetti Tunica norma - tra quelle sino a quel momento esaminate - in grado di esplicare effetto diretto nel giudizio nazionale, trattan- dosi di norma di diritto primario che pone “a cari- co degli Stati membri un obbligo di risultato preciso e non accompagnato da alcuna condizione” (p. 51).
L’effetto diretto dei primi due paragrafi dell’art. 325 TFUE, dotati di primazia rispetto al diritto naziona- le, comporta qui la conseguenza “di rendere ipso iure inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legi- slazione nazionale esistente” (p. 52), nel caso di specie rappresentata dalle citate norme di cui agli artt. 160 e 161 c.p. Di qui la conclusione, trasfusa poi lette- ralmente nel dispositivo: “una normativa nazionale in materia di prescrizione del reato come quella stabilita dalle disposizioni nazionali di cui trattasi (...) è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere san- zioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro in- teressato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi fi- nanziari dell’Unione, circostanze che spetta al giudi- ce nazionale verificare. Il giudice nazionale è tenuto a dare piena efficacia all’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all’occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall’art.
325, paragrafi lei, TFUE” (p. 58).
13. Occorre chiarire alcuni aspetti relativi agli ef- fetti della decisione della Corte U.E. Anzitutto, deve osservarsi come la Grande Sezione non pretende tout court la disapplicazione dei termini di prescrizione
previsti dall’art. 157 c.p., che in quanto tali vengono giudicati del tutto compatibili con gli obblighi UE;
nè, ovviamente, la disapplicazione dell’art. 160 c.p.
nella parte in cui disciplina in linea generale gli atti in- terruttivi e i loro effetti, disponendo in particolare che - dopo ogni atto interruttivo - la prescrizione comincia nuovamente a decorrere dal giorno dell’interruzione.
A dover essere disapplicata, chiariscono i giudici eurounitari, è soltanto l’ultima proposizione dell’ulti- mo comma, successiva al punto e virgola, ove si dispo- ne che “in nessun caso i termini stabiliti nell’art. 157 possono essere prolungati oltre il termine di cui all’art.
161, comma 2, fatta eccezione per i reati di cui all’art.
51 c.p.p., commi 3-bis e 3-quater”. In pratica, dunque, secondo la lettura successiva alla imposta disapplica- zione, il termine ordinario di prescrizione ricomincerà da capo a decorrere dopo ogni atto interruttivo, anche al di fuori dei procedimenti attribuiti alla competenza della Procura distrettuale dove già vige questa regola, senza essere vincolato dai limiti massimi stabiliti dal successivo art. 161 c.p. in maniera differenziata per delinquenti primari o recidivi.
14. In secondo luogo, potrebbe ritenersi che l’ob- bligo enunciato nel dispositivo non concerna soltanto i procedimenti relativi alle “frodi” in materia di IVA, come quella di cui si discuteva nel giudizio di rinvio, ma teoricamente potrebbe estendersi a qualsiasi reato tributario che comporti, nel caso concreto, l’evasione in misura grave di tributi IVA (ad es. l’omessa dichia- razione ex art. 5 o l’omesso versamento del tributo ex d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter). Si potrebbe infatti sostenere che, nonostante l’esplicito riferimento con- tenuto nel dispositivo, che indurrebbe a circoscrive- re l’obbligo a condotte fraudolente come l’utilizzo o l’emissione di fatture false, la conclusione contraria potrebbe fondarsi sul dato testuale dell’art. 325 p. 1 TFUE, su cui fa perno l’argomentazione della Corte, tale norma impegnando espressamente gli Stati a com- battere non solo la “frode”, ma anche le “altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione”.
Va peraltro osservato che la questione è irrilevante ai fini della soluzione del presente giudizio, e non va quindi affrontata in questa sede.
15. Terza condizione di operatività dell’obbligo è, poi, che la frode (o eventualmente il reato in mate- ria di IVA) di cui si controverte sia “grave”, così come quella oggetto del giudizio di rinvio, ove si contro- verteva dell’evasione di milioni di euro (si noti che la Corte U.E. non fornisce alcuna indicazione quantita- tiva circa la soglia minima di gravità in presenza della quale per il giudice scatta l’obbligo di disapplicare le citate norme di cui agli artt. 160 e 161 c.p., lasciando così al giudice penale italiano il compito di delimitare l’ambito di applicazione della norma europea).
In ogni caso è compito della giurisprudenza scio- gliere questi nodi esegetici, e stabilire così in quali casi operare la disapplicazione richiesta dalla Corte euro-
Penale
pea, secondo i criteri enunciati della sentenza. Qui l’indicazione della Corte di giustizia è categorica (cfr.
il punto 49 della motivazione, in cui si richiama inter alios la recente sentenza Kucukdeveci), ed è del resto conforme a quanto costantemente affermato dalla no- stra giurisprudenza costituzionale a partire dalla stori- ca sentenza Granita (n. 170/1984) in poi: il compito di risolvere le antinomie tra norme di legge nazionali – come gli artt. 160 e 161 c.p. – e norme di diritto UE dotate di effetto diretto – come l’art. 325 TFUE – spetta unicamente al giudice comune.
16. Orbene, facendo applicazione di tali principi fissati dalla Grande Sezione nel caso T. al caso sotto- posto all’esame di questa Corte, osserva il Collegio, come la situazione sia sostanzialmente analoga a quella affrontata dai giudici eurounitari.
Ed infatti si discute in questa sede di una frode IVA posta in essere dal ricorrente mediante l’utilizzo di fal- se fatture per operazioni soggettivamente inesistenti relative a numerose annualità (dal 2003 al 2007), con consistente evasione di IVA in relazione a ciascun pe- riodo di imposta. Deve, sul punto, precisarsi che non rileva nel caso di specie la questione – che dovrà essere affrontata e risolta dal giudice ordinario quando sarà rilevante –, che presenta invero molteplici sfaccetta- ture, se, per valutare la gravità, ci si debba limitare ai singoli reati oppure se si debba avere riguardo alla to- talità di tutti i reati posti in continuazione, tenendo o meno conto anche dei reati dichiarati estinti per pre- scrizione.
In altri termini, cioè, non rileva nel presente pro- cesso la questione se debbano disapplicarsi le norme nazionali sulla interruzione della prescrizione anche per il singolo o i singoli reati che eventualmente non siano certamente gravi, perché implicanti una evasio- ne di poche migliaia di euro, ove la somma complessi- va evasa per tutti i reati contestati sia elevata.
Questione, questa, che nel presente processo non è rilevante – e quindi non merita approfondimento in questa sede – perché, sia valutando la totalità del- la evasione per tutti i reati sia valutando le evasioni per i singoli reati, in ogni caso occorre disapplicare la norma sulla interruzione perché nella specie anche le singole evasioni raggiungono ognuna la soglia della gravità.
Non può dunque dubitarsi che, trattandosi di fro- de fiscale IVA di importo singolarmente consistente per ciascun periodo di imposta si rientri nella nozione di “gravità” valutata dalla Corte U.E. quale condicio per la disapplicazione del regime prescrizionale dettato dal combinato disposto delle dette norme di cui agli artt. 160 e 161 c.p.
17. Ciò posto, ritiene il Collegio - per le ragioni che verranno indicate infra - che nel caso in esame non vi sono sufficienti ragioni per sollevare una questione di legittimità costituzionale, dal momento che è evidente la mancanza di contro limiti e di dubbi ragionevoli
sulla compatibilità degli effetti della imposta disappli- cazione con le norme costituzionali italiane.
18. La stessa Corte di Giustizia ha affrontato il pro- blema se la disapplicazione di una norma del codice penale in materia di prescrizione contraria al diritto UE, con effetti sfavorevoli per l’imputato, violi di per se stessa il principio di legalità in materia penale, se- condo cui nessuna responsabilità penale può sussistere se non in forza della legge (legge, costituita dal combi- nato disposto degli artt. 160 e 161 c.p., di cui la Corte U.E. richiede la disapplicazione in parte qua). Orbene, come visto, la Corte U.E. affronta apertamente tale obiezione, sollevata dai Governi intervenuti e già af- frontata del resto dall’Avvocato generale, pervenendo alla stessa conclusione negativa: il principio di legalità non è in alcun modo vulnerato.
La norma di riferimento per la Corte è, com’è ovvio, l’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unio- ne (CDFUE), che – in forza dell’art. 52 CDFUE – re- cepisce il nullum crimen nell’estensione riconosciutagli dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo forma- tasi sulla corrispondente previsione dell’art. 7 CEDU.
Secondo tale giurisprudenza (di particolare rilievo in questo senso la sentenza della Corte E.D.U., Coème e a. c. Belgio, ric. nn. 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96 e 33210/96, 149), puntualmente richiama- ta dalla Corte di giustizia, la materia della prescrizione del reato attiene in realtà alle condizioni di procedibi- lità del reato, e non è pertanto coperta dalla garanzia del nullum crimen, tanto che persino l’applicazione a fatti già commessi ma non ancora giudicati in via definitiva del termine di prescrizione ad opera del le- gislatore deve ritenersi compatibile con l’art. 7, che si limita a garantire che il soggetto non sia punito per un fatto e con una pena previsti dalla legge come reato al momento della sua commissione.
Nel caso di specie, osserva la Corte U.E., i fatti commessi dagli imputati integravano i reati previsti dalle norme allora già in vigore, ed erano passibili delle stesse pene che oggi dovrebbero essere loro applicate: e tanto basta per garantire il rispetto del principio di le- galità, nella sua funzione di baluardo delle libere scel- te d’azione dell’individuo (che ha diritto a non essere sorpreso dall’inflizione di sanzioni penali per lui non prevedibili al momento della commissione del fatto).
Rispetto invece alla maturazione del termine prescri- zionale, già l’Avvocato generale aveva osservato che
“non sussiste (per l’individuo) un affidamento merite- vole di tutela” a “che le norme applicabili sulla durata, il decorso e l’interruzione della prescrizione debbano necessariamente orientarsi sempre alle disposizioni di legge in vigore al momento della commissione del reato” (p. 119 delle conclusioni, Avvocato Generale).
Ciò è sufficiente per la Corte di Giustizia: la soluzione imposta ai giudici italiani è compatibile con il rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti a livello europeo della Carta, che vincolano in egual misura le istituzio-