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The taxation of "indirect" and "informal" donations in the light of a recent judgement of the Italian Supreme Court

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Academic year: 2022

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Liberalità informali: la Corte di Cassazione chiarisce definitivamente i dubbi sulla tassazione ai fini dell’imposta di donazione ex art. 56-bis del TUS?

The taxation of "indirect" and "informal" donations in the light of a recent judgement of the Italian Supreme Court

di Stefano Massarotto – 3 febbraio 2021

(commento a/notes to Cass., sez. trib., 9 dicembre 2020 n. 28047)

Abstract

Con la sentenza n. 28047 del 2020 la Corte di Cassazione interviene nuovamente in merito al fenomeno, assai frequente nella prassi professionale e nella vita quotidiana, delle liberalità “indirette” e della loro tassazione ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni. La sentenza della Suprema Corte è particolarmente rilevante poiché chiarisce – auspicabilmente in via definitiva – che le liberalità “indirette”, non risultanti da atti soggetti a registrazione, non sono soggette a tassazione e ove registrate volontariamente o “confessate” nell’ambito di un accertamento di altri tributi, è necessaria una interpretazione “dinamica” dell’art. 56-bis del TUS.

Parole chiave: liberalità indirette, liberalità informali, donazioni, imposta sulle donazioni

Abstract

In this article the author deals with a recent judgement of the Italian Supreme Court concerning the tax treatment of “indirect” donations for inheritance and gift tax purposes. This judgement seems interesting because clarified, among others, that

“indirect” donations, not resulting from deeds that are subject to be registered in Italy, are not subject to taxation. Gift tax should be due only in case the contracting parties have to justify such informal donation to the Italian Tax Authorities and according to a dynamic (rather than static) interpretation of Art. 56 (1-bis) of the IGTA.

Keywords: indirect donation, informal donation, liberality, gift tax

SOMMARIO:1. Le questioni giuridiche che ruotano attorno al tema dell’imposizione delle liberalità indirette. – 2. Il caso oggetto dell’ordinanza in commento. – 3. La nozione civilistica di liberalità indiretta. – 4. Le liberalità indirette nell’imposta sulle successioni e donazioni. – 5. La corretta interpretazione dell’art. 56-bis del d.lgs. n.

346/1990.

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1. Dando seguito al dibattito iniziato nelle pagine di questa rivista dal saggio di più ampio respiro di Silvio Rivetti (La tassazione delle donazioni indirette e l’animus donandi che non si trova: brevi riflessioni sui poteri presuntivi dell’Erario (mancanti) in materia di atti gratuiti, in questa Rivista, 29 dicembre 2020), si commenta specificamente la recente sentenza, Sez. trib., del 9 dicembre 2020 n. 28047, ove la Corte di Cassazione affronta e risolve, si spera in modo definitivo, un fenomeno che emerge con una certa frequenza nella prassi professionale e nella vita quotidiana. Il riferimento è alle liberalità “indirette” o informali - ovverosia a quelle attribuzioni patrimoniali a titolo gratuito determinate da spirito di liberalità (ovvero, animo donandi) e realizzate al di fuori di formali atti di donazione – in ordine alle quali quale esistono ancora oggi dubbi interpretativi in ordine alla loro rilevanza impositiva ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni.

I temi riguardano sia le condizioni che devono ricorrere per la tassazione (accade infatti spesso che ad avviso dell’Agenzia delle entrate - e talvolta anche della giurisprudenza anche di legittimità – devono essere comprese sempre e comunque nel presupposto applicativo dell’imposta sulle successioni e donazioni) sia il coordinamento tra l’art. 56-bis del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 e l’imposta di successione e donazione, per come “novellata” nel 2006 a seguito del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262 (conv., con mod., dalla legge 24 novembre 2006, n. 286).

In realtà, ad avviso di chi scrive, tali incertezze interpretative (per la verità esistenti pure in dottrina) potrebbero essere semplicemente dovuti ad una certa incomprensione del fenomeno e delle intenzioni del legislatore tributario.

2. La sentenza Cass. del n. 28047/2020 che si commenta affronta una situazione abbastanza “classica” che riguarda i trasferimenti di ricchezza in ambito familiare: un padre aveva disposto, nel 2009, il cambio di contraenza di una polizza assicurativa a favore della figlia (la quale aveva successivamente provveduto a liquidarla a proprio a favore) e con altra disposizione aveva attribuito, sempre a favore della figlia, somme di denaro di non modico valore – rivenienti dalla liquidazione di altre due polizze –in assenza della forma dell’atto pubblico di cui all’art. 782 c.c..

L’operazione aveva – come accade sovente - interessato l’Agenzia delle entrate ai fini delle imposte dirette e la figlia aveva – così pare dalla descrizione della fattispecie – opposto l’art. 56-bis del D.lgs. n. 346/1990 confessando la liberalità informale ricevuta dal padre. Conseguentemente, a fronte dell’annullamento della verifica ai fini delle imposte sui redditi l’ufficio aveva proceduto ad assoggettare a tassazione, ai fini dell’imposta di donazione, le “liberalità dichiaratamente effettuate in suo favore dal padre”, “con applicazione dell’aliquota del 7% per la parte eccedente l’importo di lire 350 milioni, pari ad euro 180.760,00, ai sensi dell’art. 56 bis, commi 1 e 2 del d.lgs.

n. 346 del 1990 (TUS)”.

Sul punto, la commissione tributaria regionale della Campania (n. 7069/2016) aveva respinto l’appello erariale (confermando così la decisione di primo grado) ritenendo decisivo il fatto – che ha costituito l’effettiva ratio decidendi della sentenza di secondo grado - che la fattispecie era da qualificarsi non come liberalità “indiretta” ma bensì

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come “donazioni dirette “pur in assenza (come nel caso esaminato) di atto pubblico di donazione e della relativa accettazione” con conseguente applicazione dell’imposta con “l’aliquota del 4% e la franchigia di un milione” di euro.

Orbene, la Cassazione ha dimostrato, in maniera condivisibile, l’erroneità della pronuncia della Commissione regionale, in quanto affetta da una erronea ricostruzione della fattispecie delle liberalità indirette di cui all’art. 56-bis del TUS. La Cassazione ha infatti precisato che il legislatore, con l’introduzione della disposizione in parola, ha previsto una specifica “disciplina per le “liberalità diverse dalle donazioni”, quali appunto sono le liberalità “indirette”, ampio genus nel quale rientrano … liberalità che neppure si traducono in contratti scritti, trattandosi di meri comportamenti materiali, oppure che risultano da documenti scritti per i quali non è imposta la formalità della registrazione, per cui anche la donazione per così dire “informale” non sembra estranea, come pure sostenuto dalla dottrina, al meccanismo di emersione oggetto della causa, atteso che l’inosservanza della forma pubblica richiesta dall’art.

782 c.c., e la relativa sanzione della nullità, se rilevano sul piano civilistico, a tutela del donante, nessuna conseguenza producono sul piano tributario”.

La sentenza della CTR della Campania viene quindi cassata in considerazione del fatto che “il giudice di secondo grado non ha considerato che, senza la dichiarazione della contribuente ex art. 56 bis, le liberalità poste in essere dal disponente non sarebbero state accertabili dall’Ufficio, e neppure tassabili”.

Ma la parte della sentenza di maggior interesse è rappresentata dall’operazione interpretativa volta “al fine di armonizzare l’art. 56 bis con le disposizioni che disciplinano la reintrodotta imposta sulle successioni e donazioni”. In particolare,

“l’art. 56 bis non può ritenersi affatto implicitamente abrogato”, in considerazione della “natura di rinvio “dinamico” e non “statico” attribuibile al richiamo, operato dalla disposizione in esame, alla disciplina delle aliquote e franchigie applicabili alle donazioni”. Così facendo la Cassazione conferma l’orientamento a suo tempo adottato dalla circolare dell’Agenzia delle entrate 11 agosto 2015 n. 30, in base al quale, in presenza di liberalità “confessate” all’Amministrazione finanziaria a seguito di

“dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi” è dovuta l’imposta di donazione con l’aliquota massima dell’8% e le franchigie oggi esistenti (ad esempio, 1 milione di euro per il coniuge e i parenti in linea retta).

Per la verità, v’è da dire che questa interpretazione adeguatrice dell’art. 56-bis del TUS era già stata effettuata, pochi giorni prima, dalla stessa Cassazione con l’ordinanza n. 27665 depositata il 3 dicembre 2020. In tale ordinanza, tuttavia, la fattispecie vagliata presenta diversi aspetti anomali che, se da noi ben intesi, potrebbero avere condotto a conclusioni poco condivisibili, difettando palesemente l’atto (o la dichiarazione di autodenuncia) da sottoporre a tassazione. Ci riferiamo al fatto che la fattispecie oggetto dell’ordinanza riguarderebbe una determinata somma di denaro, oggetto di un bonifico bancario dal marito alla propria moglie, che è rimasta nella disponibilità di quest’ultima “per meno di 24 ore” per poi essere destinata ad una società di cui il marito (e non la moglie) era beneficiario e che, ai fini dell’imposta di

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successione e donazione, è stata – purtroppo - “accertata per mancanza di prova contraria legale”.

Per comprendere appieno il tema è opportuno un inquadramento civilistico e fiscale del fenomeno delle liberalità indirette. Andiamo quindi con ordine.

3. Esula dallo scopo delle presenti note la ricostruzione del fenomeno delle liberalità nel diritto privato. Vale peraltro la pensa evidenziare brevemente i termini della questione. Il Codice civile utilizza la locuzione “donazione indiretta” nell’art. 737 e ne detta il regime nell’art. 809 in riferimento alle “liberalità diverse dalla donazione”, prescrivendo che “le liberalità, anche se risultano da atti diversi” dalla “donazione formale” di cui all’art. 769 c.c. - per la quale è prescritta la forma solenne dell’atto pubblico - sono soggette alla medesima normativa sostanziale delle donazioni concernenti la “revocazione”, la “riduzione” per lesione di legittima, e la “collazione”.

Le liberalità indirette o – come meglio ha precisato la dottrina – gli atti di liberalità

“atipici” possono dunque essere intese come quegli atti:

i) per i quali non è richiesta la stessa forma dell’atto pubblico prevista per la donazione diretta, essendo invece sufficiente l’osservanza delle forme richieste per il negozio- mezzo, il cui effetto tipico è utilizzato per conseguire il risultato ulteriore dell’arricchimento del beneficiario (Cass., 5 giugno 2013, n. 14197); e

ii) che perseguono lo stesso intento liberale della donazione, attuando un’attribuzione senza corrispettivo, allo scopo di soddisfare direttamente un interesse di natura non patrimoniale del disponente.

Talvolta la linea di confine tra liberalità indiretta e donazione diretta nulla per difetto di forma è estremamente labile (Cass., SS. UU., 27 luglio 2017, n. 18725). È il caso, ad esempio, dei bonifici di denaro che avvengono tipicamente in ambito familiare: per costituire donazione indiretta è necessario che la dazione della somma di denaro sia effettuata quale mezzo per l’unico e specifico fine dell’acquisto di un bene (Cass., 2 settembre 2014, n. 18541). Diversamente, saremo in presenza di una donazione diretta in linea di principio civilisticamente nulla (per mancanza della forma solenne).

L’impossibilità di produrre gli effetti voluti, quale conseguenza della carenza della forma solenne prescritta ad substantiam, comporterà un obbligo restitutorio a carico del beneficiario - e dunque un credito a favore del disponente - che potrà comunque dare luogo ad una liberalità indiretta a seguito della remissione del debito restitutorio effettuata dall’avente diritto, ovvero a seguito dell’estinzione dell’obbligo di restituzione per il decorso del termine di prescrizione.

Tra i comportamenti materiali e negozi (a causa onerosa o neutra) che più comunemente possono dare luogo a liberalità indirette – ove realizzino un arricchimento animo donandi del destinatario - si possono, ad esempio, evidenziare l’assicurazione sulla vita a favore di terzo (e più in generale l’utilizzo dello schema negoziale del contratto a favore del terzo), la rinuncia abdicativa, la cointestazione di beni (ad esempio rapporto bancario), l’assunzione o pagamento di debito altrui, ecc..

Non è questa la sede per una esauriente analisi del complesso tema della causa donandi e della sua esplicitazione in tali atti. È sufficiente qui evidenziare che la

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problematica si pone soprattutto in relazione a quei contratti a causa variabile (o neutra) – è il caso ad esempio delle rinunzie abdicative, della cointestazione di conto corrente bancario (cfr. Risposta ad interpello del 9 luglio 2019 n. 205) o delle vendite concluse a prezzo irrisorio – rispetto ai quali non sia possibile predeterminare con certezza il relativo inquadramento tra le liberalità indirette (o comunque tra i negozi gratuiti) in quanto la relativa struttura negoziale potrebbe essere utilizzata anche per assolvere preesistenti obblighi di natura giuridica e morale, ovvero per conseguire da una aspettativa patrimoniale del disponente (sul tema della onerosità degli atti anche in assenza di un corrispettivo, cfr. Cass. 8 ottobre 2020, n. 21701).

4. Anteriormente all’ampia riforma dell’imposta sulle successioni e donazioni operata con la Legge del 21 novembre 2000, n. 342 era unanimemente riconosciuto – anche presso l’Amministrazione Finanziaria (cfr. SECIT, Relazione sull’attività svolta nell’anno 1993) – che la tassazione fosse limitata alle sole liberalità formalizzate nel territorio dello Stato in atti di donazione o, comunque, in atti scritti che come tali erano soggetti a registrazione.

Invero, per effetto del disposto dell’art. 55 del D.lgs. n. 346/1990 - che richiamava il meccanismo applicativo proprio dell’imposta di registro che postula necessariamente l’esistenza di un atto scritto soggetto a registrazione – risultavano esclusi da tassazione:

- gli atti di liberalità formati all’estero che, salvo i casi eccezionali dei “beni immobili o aziende” di cui all’art. 2, lett. d) del D.P.R. n. 131/1986, non erano soggetti a registrazione nel territorio dello Stato; nonché

- le liberalità che avvenivano in assenza di un atto documentale assoggettabile a registrazione (l’assenza della forma scritta comporterebbe altresì l’inapplicabilità dell’art. 38 del D.P.R. n. 131/1986 che prevede la tassazione degli “atti” nulli, proprio in considerazione del fatto che il citato articolo presuppone l’esistenza di un “atto” che, per definizione, manca nel caso delle liberalità informali. Sicché il diverso orientamento della Cass., Sez. trib., 18 gennaio 2012 n. 634 andrebbe contestualizzato nel fatto che le sentenze si inserivano in vicende avvenute precedentemente al 1997 e, quindi, nel solco del

“dover essere fiscale” metagiuridico e non dell’attenta lettura delle disposizioni normative).

In quest’ambito, il Legislatore, preso atto dell’intassabilità delle liberalità in parola, è intervenuto con l’art. 69 della Legge n. 342/2000, introducendo talune norme di

“chiusura” del sistema. Come infatti chiarito dai resoconti dei lavori preparatori del provvedimento “determinati trasferimenti inter vivos sono legalmente esclusi dall’ambito applicativo del tributo (…): si pensi alle donazioni formali stipulate all’estero intassabili a causa del trapianto delle regole di territorialità proprie della legge di registro”, ovvero ai “più diffusi e tradizionali sistemi per trasferire ricchezza [che] si caratterizzano, inoltre, per l’assenza di atti (scritti) soggetti all’imposta come ad oggi configurata” (così Marongiu G., Relatore del provvedimento presso la Camera dei Deputati nella seduta del 10 maggio 2000).

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A tal fine, è stato innanzitutto confermato, con l’inserimento dell’art. 1, comma 4 – bis del D.lgs. n. 346/1990 secondo cui resta ferma “l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione”, che la tassazione ordinaria delle liberalità indirette può avvenire solo in presenza di un atto soggetto a registrazione nell’ambito del quale le stesse siano evidenziate.

In secondo luogo, è stato introdotto il comma 1 – bis nell’art. 55 – secondo cui “sono soggetti a registrazione in termine fisso anche gli atti aventi ad oggetto donazioni, dirette o indirette, formati all’estero nei confronti di beneficiari residenti nello Stato”

– il quale, come anche precisato recentemente dalla stessa Amministrazione finanziaria, svolge una funzione “meramente” antielusiva e deve, quindi, essere coordinato con le regole di territorialità del tributo, estendendo l’obbligo di registrazione esclusivamente a quegli atti che – come già rilevato – finora risultavano esclusi dall’ambito applicativo del tributo per le peculiarità della legge di registro (cfr.

Risposta ad interpello n. 310 del 24 luglio 2019 che ha escluso la tassabilità di un “atto di donazione formato all’estero” disposto da un soggetto non residente a favore di un beneficiario residente in quanto i beni donati non erano “esistenti” nel territorio dello Stato).

Infine, è stato introdotto l’articolo 56 – bis, il quale prevede che le “liberalità diverse dalle donazioni e da quelle risultanti da atti di donazione effettuati all’estero a favore di residenti” sono accertate e sottoposte a tassazione al ricorrere, alternativamente, di una delle seguenti condizioni:

- nel caso in cui il contribuente proceda, ai sensi del comma 3 del citato art. 56- bis, alla loro registrazione volontaria (in tal caso, l’imposta era dovuta nella misura - 3%, 5%, 7% - indicata dall’art. 56 del D.Lgs. n. 346/1990); ovvero - quando l’esistenza delle liberalità - se di valore superiore a 350 milioni di lire –

risulti da dichiarazione circa la loro esistenza, resa dal contribuente nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi diversi dall’imposta sulle successioni e donazioni, qual è il caso, ad esempio, degli accertamenti sintetici in cui l’interessato ha la necessità di giustificare l’incremento patrimoniale. In tal caso, si applicava l’aliquota del 7% (a prescindere dal grado di parentela) sulla parte dell’incremento patrimoniale eccedente la franchigia all’epoca vigente.

Quanto all’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 56 – bis, lo stesso, a nostro avviso, deve desumersi agevolmente dal combinato disposto con il comma 1 –bis dell’art. 55: si voleva evitare che i ristretti limiti posti dall’art. 56 – bis comma 1 all’accertamento delle liberalità indirette tornassero applicabili anche a quelle liberalità che, viceversa, in quanto formalizzate in un atto, sono soggette a registrazione in termine fisso e, dunque, ordinariamente accertabili da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

Di tal ché, rientrano nel presupposto ordinario del tributo successorio e quindi sono ordinariamente accertabili da parte dell’Amministrazione finanziaria:

- le donazioni dirette, nonché le “liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione” di cui all’art. 1, comma 4-bis, formate nel territorio dello Stato;

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- ai sensi dell’art. 55, comma 1-bis, le donazioni dirette formate all’estero, nonché le liberalità indirette risultanti da atti che, ove posti in essere in Italia, sarebbero soggetti a registrazione in termine fisso (essendo il beneficiario residente in Italia, solo se anche il donante lo sia ovvero, e in caso di donante residente all’estero, solo se in Italia sia localizzato l’oggetto della liberalità).

Diversamente, rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 56-bis le liberalità non formalizzate, ovvero non risultanti da atti soggetti (o che sarebbero soggetti) a registrazione: esse possono assumere rilevanza tributaria unicamente, se non registrate volontariamente, solo ove “confessate” dal contribuente nell’ambito di procedimenti di accertamento di tributi, al fine di giustificare la provenienza non reddituale di un determinato incremento patrimoniale.

5. Come è noto, l’intera imposta sulle successioni e donazioni fu soppressa dall’art.

13 della Legge 18 ottobre 2001; successivamente, l’art. 2, commi da 47 a 53, del D.L.

n. 262/2006, ha istituito “l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione”, rinviando, in quanto compatibili, alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 346/1990.

Se da un lato è chiaro che le liberalità indirette sono rimaste oggetto della nuova imposta, rientrando nell’ampia nozione di “trasferimenti di beni e diritti … a titolo gratuito”, potevano sussistere dubbi sul fatto se l’art. 56-bis fosse “compatibile” e quindi sopravvissuto all’istituzione della nuova imposta.

Sul punto, l’Amministrazione finanziaria, con la circolare 11 agosto 2015, n. 30/E, ha chiarito che il disposto dell’art. 56-bis, rimasto immutato nella sua formulazione, deve essere armonizzato con le nuove disposizioni, e quindi deve logicamente riferirsi alle aliquote e alle franchigie attuali e non più a quelle previgenti.

In sostanza, l’art. 56-bis, comma 1, deve essere ora inteso nel senso che le liberalità in parola sono accertate e sottoposte ad imposta se ricorrono entrambe le condizioni seguenti:

- in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi;

- se siano di valore superiore alle franchigie oggi esistenti di cui all’art. 2, comma 49, del D.L. n. 262/2006.

La liberalità indiretta “confessata” nel corso del procedimento di accertamento sarà soggetta, a prescindere da rapporti di parentela, in ogni caso all’aliquota più elevata dell’8% (salvo franchigie). Trattandosi di liberalità indirette non altrimenti accertabili da parte dell’Ufficio, ovviamente non sono previste sanzioni: l’aliquota massima, è già una aliquota per così dire “sanzionatoria”, in quanto prescinde dal rapporto di parentela tra le parti.

Riguardo alla registrazione volontaria prevista dall’art. 56-bis, comma 3, il rinvio alle aliquote di cui all’art. 56 (disposizione espressamente abrogata dal D.L. n. 262/2006), dovrà invece essere ora inteso alle nuove aliquote e franchigie introdotte dall’art. 2, comma 49, del Decreto citato.

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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