Capitolo 1
L’evoluzione del magmatismo
nell’Appennino settentrionale dal Trias al
Quaternario
Premessa
Varie tipologie di magmatismo possono essere riferite al ciclo orogenetico Alpino e possono essere caratterizzate, oltre che da un punto di vista geochimico, petrografico e temporale, anche sotto il profilo tettonico. In particolare nell’Appennino settentrionale sono riconosciuti i prodotti di fasi magmatiche correlabili ad almeno quattro eventi geodinamici a scala regionale. Il primo di tali eventi che segnò l’inizio del ciclo Alpino, è rappresentato da un rifting continentale che cominciò nel Trias e che si trasformò nel Giurese medio in un processo di vera e propria oceanizzazione che perdurò anche per tutto il Giurese superiore. Questo secondo evento portò alla formazione della Tetide alpina e dell’oceano Ligure‐Piemontese nella sua porzione occidentale. Il terzo evento è contrassegnato dalla collisione a partire dall’Eocene della placca europea contro la placca africana e la fase magmatica che testimonia tale evento è rappresentata dal ritrovamento di prodotti calcoalcalini di arco vulcanico, d’età compresa tra l’Oligocene e il Miocene medio. Il quarto e ultimo evento che iniziò nel Miocene superiore fino al Quaternario, è legato alla tettonica distensiva del margine tirrenico dell’Appennino, a sua volta connesso con la rotazione antioraria della Penisola Italiana e all’apertura del Mar Tirreno.
1.1 Magmatismo di rifting continentale, Trias –
Giurese medio
La separazione della microplacca Adria dalla placca Europea fu preceduta da un rifting nel Trias. Tale estensione fu accompagnata da eruzioni di magmi basici mediamente alcalini con affinità intraplacca, i cui prodotti trovano una testimonianza sia sulle Alpi che sull’Appennino.
Nelle Alpi la frequenza maggiore di tali eventi magmatici propone una testimonianza migliore rispetto a quella nell’Appennino settentrionale. Sia nelle Dolomiti che nelle Alpi centrali sono visibili prodotti associabili a vari episodi di tale fase che ha inizio, in questa area, nel Ladinico inferiore. Tali prodotti, di natura vulcanica per lo più sottomarina, generano tra il Ladinico superiore e il Carnico prodotti basici effusivi come colate laviche, pillow lava, pillow breccia e abbondanti ialoclastiti ma pure prodotti basici subvulcanici come laccoliti e dicchi (Marinelli, 1975; cum biblio).
Nell’Appennino Lucano, livelli tufitici (con plagioclasio e sanidino) si trovano all’interno di calcari selciferi del Carnico all’interno dell’unità Lagonegro (Dietrich e Scandone, 1972). Gli stessi autori riferiscono della presenza di pillow lava basaltici nella stessa formazione, di prasiniti all’interno dell’unità Campotevese – Pollino e di basaniti picritiche nella porzione triassica dell’unità Verbicaro.
Inoltre nella Sicilia sud‐orientale all’interno di profondi pozzi per l’esplorazione petrolifera sono state carotate rocce magmatiche basiche alterate del Trias superiore mentre nella Sicilia occidentale sono state segnalati alcuni livelli tufitici con blocchi di lave basiche del Carnico.
Nell’Appennino settentrionale questi prodotti affiorano in poche località e si rinvengono a Punta Bianca e Monte Brugiana (Ricci e Serri, 1975), dove gli affioramenti sono di modesto volume e nel caso di Punta Bianca sono rappresentati da rocce metamorfiche verdi, verosimilmente prasiniti, che derivano con molta probabilità da flussi di lave basaltiche. Dai rapporti Al2O3/TiO2 sembrano essere basalti alcalini.
Il perdurare dell’attività estensionale nel margine continentale passivo dell’Adria è testimoniato ancora da prodotti di un vulcanismo alcalino intraplacca, generati tra il Giurese inferiore e il Giurese medio.
Rocce basiche del Lias sono state carotate da un pozzo petrolifero nell’Appennino Molisano e affioramenti di pillow lava sono stati trovati nell’Appennino Calabro‐Lucano all’interno di un flysch del Giurese medio (Bousquet, 1962). Nella Sicilia occidentale prodotti di vulcanismo basaltico con affinità alcalina del Baiociano sono stati rinvenuti all’interno di sedimenti carbonatici come flussi di lava, pillow lava, pillow breccia, ialoclastiti e talvolta dicchi (Jenkyns, 1970). Nell’Appennino settentrionale, ancora una volta soltanto in Toscana meridionale, si rinvengono, all’interno di sequenze carbonatiche del Giurese inferiore‐medio, alcuni livelli contenenti frammenti di olivin‐ basalti di probabile affinità alcalina (Boccaletti e Manetti, 1972).
1.2 Magmatismo del Giurese medio – Giurese
superiore
Durante il Giurese medio‐superiore il permanere della tettonica estensionale nell’area del Mediterraneo provocò lo svilupparsi di un
bacino oceanico, la cui esistenza è essenzialmente rappresentata, nell’Appennino settentrionale, da alcune litologie appartenenti alle unità Liguri. Tali unità si ritrovano in due diversi ambienti litostratigrafici e tettonici che corrispondono alle Liguridi Interne ed Esterne. Le Liguridi Interne sono costituite da sequenze ofiolitiche rappresentative della litosfera oceanica del paleo‐oceano Ligure‐ Piemontese, porzione occidentale della Tetide alpina. La parte magmatica di tali sequenze ofiolitiche, caratterizzata da prodotti di attività tipicamente sottomarina, è essenzialmente costituita da un complesso di rocce gabbroidi, coperto da rocce basaltiche con affinità da N‐MORB a T‐MORB. Il complesso gabbroide associato, si è formato per cristallizzazione frazionata a bassa pressione da liquidi N‐MORB, dando origine a delle cumuliti che presentano tessiture a grana grossa fino a pegmatitica con cristalli che possono raggiungere i 20 cm di lunghezza. Nelle Liguridi Esterne le rocce magmatiche delle ofioliti, si ritrovano, come slide‐blocks, in melange sedimentari. Questi melange sono più giovani, d’età compresa tra il Santoniano e il Campaniano inf., e prendono il nome di “complessi di base” (Marroni et al., 1998; cum biblio). Le rocce gabbroidi delle Liguridi Interne secondo Tiepolo et al. (1997) si suddividono da un punto di vista chimico in Mg‐gabbroidi e Fe‐gabbroidi. Le rocce Mg‐gabbroidi sono rappresentate da cumuliti di olivina, troctoliti e gabbri a olivina, mentre le rocce Fe‐gabbroidi da gabbronoriti, dioriti a ossidi di Fe e Ti e da albititi ad anfibolo. Nelle Liguri Esterne invece gli slide‐blocks gabbrici sono rari e variano da troctoliti fino a gabbri a olivina. I basalti si trovano generalmente come pillow lava, lave e sistemi di dicchi mentre quelli delle Liguridi Esterne possono trovarsi anche come slide blocks massivi. Rocce ignee più ricche in silice con tessitura microgranulare sono spesso trovate in piccole
quantità in volume. Tali prodotti sono trondhjemiti e la loro composizione chimica varia da quella di una trachite sodica a quella di una riolite sodica, e talvolta possono essere peralcaline. Queste apliti sono verosimilmente il residuo liquido della cristallizzazione frazionata che ha generato le cumuliti gabbro‐peridotitiche. Studi sugli elementi in traccia di questi basalti ofiolitici indicano caratteristiche geochimiche che variano tra quelle di basalti N‐MOR e T‐MOR (Marroni et al., 1998; Vannucci et al., 1993). Nell’Appennino settentrionale sono diffuse prevalentemente in tutta l’area tirrenica della Liguria e della Toscana e i loro affioramenti diventano più piccoli e sporadici nella parte adriatica. A differenza della Alpi e di alcuni affioramenti nell’Appennino meridionale, queste non sono deformate e hanno subito un metamorfismo al massimo in facies zeolitica.
1.3 Magmatismo dell’Oligocene – Miocene medio
Il magmatismo d’arco della Sardegna, sviluppatosi in due fasi, tra 32‐29 Ma e 15‐13 Ma, è la migliore testimonianza della convergenza e della collisione tra la placca Africana e Europea nell’area del Mediterraneo centrale. I suoi prodotti sono caratterizzati da vulcaniti appartenenti alla serie calcoalcalina.
Nell’Appennino settentrionale la prima fase magmatica correlabile alla subduzione, si verificò nell’Oligocene inferiore, più di 50 Ma d’anni dopo l’inizio della convergenza di tali placche. Questo magmatismo indica la probabile presenza di un arco magmatico nell’Oligocene‐ Miocene medio, poi smantellato completamente dall’erosione.
I prodotti di questo smantellamento hanno portato alla formazione di depositi di materiale vulcanico epiclastico risedimentato. Arenarie
tufitiche e livelli vulcanoclastici sono stati rinvenuti in varie formazioni sedimentarie, soprattutto in facies di flysch, nell’Appennino settentrionale. Tali litologie portano con se ciottoli andesitici a testimonianza di un magmatismo calcoalcalino. Questi si ritrovano, nelle porzioni conglomeratiche, in formazioni come le Arenarie dell’Aveto, le Arenarie di Petrignacola e le Arenarie di M. Senario all’interno dell’Unità di Canetolo. Livelli di detrito andesitico sono stati ritrovati nella Formazione di Ranzano appartenente alla Successione Epiligure e segnalati nella formazione del Macigno (Monte Arzè‐Lavaggiorosso, Levanto, Spezia). Livelli vulcanoclastici simili sono stati individuati anche nella Formazione Marnoso‐Arenacea, nelle Arenarie del Cervarola e nel Bisciaro (Aiello, 1975).
Le Arenarie della Val d’Aveto e di Petrignacola in dettaglio sono costituite da un’alternanza irregolare di arenarie, argilliti, marne e conglomerati e sono suddivise in due lithofacies, una arenacea e una conglomeratica. Quella arenacea è rappresentata da banchi di arenarie a granulometria compresa tra sabbia media e fine, mentre la lithofacies conglomeratica si ritrova in tasche e lenti, è di tipo poligenico ed è meno potente nella Formazione di Petrignacola. Le Arenarie di Monte Senario si presentano in alternanze di arenarie e argilliti con intercalazioni di lenti conglomeratiche (Aiello, 1975). Nella Formazione di Ranzano i livelli vulcanoclastici, a grana generalmente arenitica, si concentrano in facies torbiditiche prevalentemente pelitiche, in strati di spessore centimetrico (Cibin et al., 1998).
I clasti andesitici di Petrignacola possiedono una matrice olocristallina, ipocristallina e vetrosa, con tessiture pilotassitiche o intersertali. I fenocristalli sono di plagioclasio zonato, anfibolo e subordinatamente di pirosseno. La composizione dei plagioclasi varia da andesitica fino a
labradoritica. I clasti andesitici delle arenarie dell’Aveto sono simili a quelli di Petrignacola ma in quantità minore e con una percentuale maggiore di fenocristalli di plagioclasio. I litici eruttivi del Monte Senario sono prevalentemente andesitici e presentano le stesse caratteristiche di sopra (Aiello, 1975). Nella Formazione di Ranzano i livelli detritici vulcanogenici sono costituiti prevalentemente da cristalli singoli o geminati di plagioclasio euedrale e spesso zonato, al di sotto del millimetro. Minore è la quantità d’aggregati vulcanici, i quali sono caratterizzati da fenocristalli di plagioclasio immersi in una matrice cripto‐microcristallina. Tali plagioclasi risultano di composizione andesitico‐labradoritica, gli anfiboli sono orneblende e le biotiti in base al loro alto contenuto di TiO2 e al rapporto Fe/Mg, indicano magmi già differenziati, compatibili con quelli andesitici di arco (Cibin et al., 1998).
Nell’Appennino settentrionale la maggior parte dei dati di letteratura sulle età di questi ciottoli si riferiscono a datazioni biostratigrafiche per la mancanza di datazioni radiometriche (presenti invece sulle Alpi). La biostratigrafia indica un’età variabile dall’Eocene superiore al Miocene medio, anche se alcuni dati su nannoplancton calcareo forniscono un’età più precisa di Oligocene inferiore (Cibin et al., 1998; cum biblio).
1.4 Magmatismo del Miocene superiore –
Quaternario
Il terzo tipo di magmatismo ha inizio nel Miocene superiore e prosegue nel Quaternario. Questo è legato tettonicamente al processo di apertura del mar Tirreno in retro‐arco, causato dall’arretramento flessurale dello slab litosferico appartenente alla microplacca Adria in subduzione al di
sotto della placca Europea. In generale due sono le principali province petrografiche tradizionalmente individuate nei settori interni della catena appenninica e appartenenti a tale magmatismo: (1) La Provincia Magmatica Toscana (PMT), affiorante nell’arcipelago Toscano, nella Toscana meridionale e nelle aree del Lazio settentrionale (Innocenti et al., 1992; cum biblio); (2) La Provincia Magmatica Romana (PMR), che comprende un’area che si estende dal Lazio settentrionale alla Campania centrale. Sebbene la PMT sia interamente confinata nell’ Appennino settentrionale, la PMR ne occupa geograficamente una porzione tirrenica, sviluppandosi prevalentemente per tutto l’Appennino centrale e meridionale. La geochimica degli elementi in traccia dei prodotti della PMR ha rilevato una marcata differenza tra il vulcanismo della Campania settentrionale (Roccamonfina, Ventotene) – Lazio e quello della Campania centrale (Ischia, Procida, Campi Flegrei, Somma‐Vesuvio). A tal proposito la PMR è stata divisa in due subprovince; queste sono la Provincia Romana nord‐occidentale (NW‐ PMR) e la Provincia Romana sud‐occidentale.
Nell’Appennino settentrionale le rocce magmatiche della PMT e della NW‐PMR mostrano un ampio spettro di affinità petrogenetiche e si presentano in affioramento attraverso varie tipologie di strutture magmatiche quali stock, dicchi, sill, laccoliti, neck, colate laviche, duomi e attraverso importanti edifici vulcanici come quello dell’Amiata, dei Monti Cimini e dell’isola di Capraia. Facendo riferimento alle classificazioni in letteratura e agli schemi petrografici adottati da Serri et al., 1991‐1993 e da Innocenti et al., 1992, vengono definiti quattro principali gruppi. Il Gruppo 1 (saturated trend) è costituito da tutte le rocce, relativamente primitive, della PMT con Mg#>65 e include anche alcune rocce della PMR come le shoshoniti di Latera, le olivin‐latiti di
Vico e tutte le rocce del vulcano Torre Alfina. Nel Gruppo 2 (undersatured trend) si trovano le rimanenti rocce, relativamente primitive, della NW‐PMR (Mg#>65 e Mg#>60, a nord e a sud di Roma, rispettivamente), insieme a quelle di San Venanzo, Cupaello e Polino. Il Gruppo 3 include le rocce vulcaniche e plutoniche acide della PMT, derivate prevalentemente dalla fusione parziale di reservoirs di crosta superiore e costituiscono il cosiddetto magmatismo anatettico. Il Gruppo 4 (definito per la prima volta da Innocenti et al., 2001) è composto da rocce con una petrogenesi dominata da processi di mixing tra varie tipologie di magmi derivati dal mantello e dalla crosta, tanto da non poter derivare magmi end‐members per spiegare la loro genesi; comunque i termini derivanti dal mantello hanno un’affinità potassica e ultrapotassica (Innocenti et al., 1992). Le rocce calcoalcaline alte in potassio e le latiti di Capraia sono incluse in questo gruppo. Tutte le rocce della PMT sono incluse nei Gruppi 1,3 e 4 mentre le rocce della NW‐PMR sono quelle del Gruppo 2.
Dal punto di vista temporale se consideriamo, come lo è per molti autori, l’evento di Sisco (Corsica) appartenente alla PMT, possiamo affermare che l’età di queste rocce magmatiche varia da circa 14 Ma (Sisco) fino a 0,2 Ma (Monte Amiata) e soprattutto che questi valori diminuiscono chiaramente da ovest verso est, definendo una vera e propria migrazione spazio‐temporale di tale magmatismo.
1.5 Altri eventi magmatici poco conosciuti
Tra il secondo e il terzo evento geodinamico sopra citato, cioè tra l’oceanizzazione e la collisione continentale, esiste un altro evento importante, rappresentato dalla subduzione della litosfera oceanica
della Tetide Alpina, e che sembra non aver lasciato alcuna traccia magmatica nell’Appennino settentrionale. Questo processo tettonico comincia a circa 80‐90 Ma (Cretaceo superiore) nell’oceano Ligure‐ Piemontese e segna l’inizio della convergenza tra la placca europea e la placca africana. La chiusura di tale oceano diventa pressoché totale nell’Eocene in concomitanza della collisione continentale. Questa premessa per dire che non esiste un magmatismo Cretaceo superiore – Eocene in Appennino settentrionale ma che nei pochi affioramenti in Appennino meridionale, trova testimonianza della sua esistenza. Infatti sono segnalati prodotti ignei di quest’età sia vulcanici che intrusivi con affinità alcalina all’interno di unità carbonatiche appartenenti alla microplacca Adria (Dietrich e Scandone, 1972). L’esempio migliore di questo magmatismo proviene dalle melasieniti e dai melagabbri eocenici di Punta delle Pietre Nere in Puglia, le quali mostrano un’affinità chimica OIB (ocean island basalt) (Vollmer, 1976; De Fino et al., 1981). Inoltre P. Scandone comunica nel lavoro di G. Serri, F. Innocenti e P. Manetti del 2001 che i dati ricavati dai pozzi per l’esplorazione petrolifera nell’Appennino meridionale documentano che tale magmatismo è volumetricamente più importante rispetto a quello che gli affioramenti in superficie possono suggerire.
L’altra fase magmatica che andiamo ad accennare è la fase magmatica oggetto di studio di questa tesi. Finora è ancora poco conosciuta perché poco studiata, è presente nell’Appennino settentrionale in particolare in varie località della Toscana meridionale. La sua testimonianza è data
dal rinvenimento di pochi affioramenti di volume modesto,
rappresentati da dicchi lamprofirici, pillow lava. Il magmatismo è alcalino e l’età di tali prodotti appartiene al Cretaceo inferiore. Dunque questo magmatismo si inserisce in un periodo temporale che dal punto
di vista geodinamico coincide ancora con le ultime fasi distensive legate alla tettonica di divergenza tra la placca europea e africana. Di seguito in Fig. 1.1 viene presentato un disegno schematico, in scala, che mostra l’evoluzione temporale di tutte le fasi magmatiche legate all’orogenesi Alpina e caratterizzanti l’Appennino settentrionale. ( F i g . 1 . 1 ; S c h e m a e v o l u t i v o d e l l e f a s i m a g m a t i c h e n e l l ’ A p p e n n i n o s e t t e n t r i o n a l e . D a M a r c u c c i & P a s s e r i n i , 1 9 8 0 ; m o d i f i c a t o . )