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2. COMMENTO A SIMONETTA PERKINS

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Academic year: 2021

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2. COMMENTO A SIMONETTA PERKINS

2.1

La fabula

Lavinia è una giovane e ingenua bostoniana di buona famiglia in viaggio per l’Europa con l’austera madre, la Signora Johnstone. Il racconto si apre con l’immagine di Lavinia seduta sulla terrazza dell’albergo affacciata sul Canal Grande, mentre legge un saggio sull’amore, il quale, tuttavia, non la entusiasma: a suo parere sono solo sciocchezze, non crede nell’esistenza di un sentimento così forte da annientare la volontà di chi lo subisce. Lavinia è determinata nella sua ingenuità: se mai si sposerà, sarà solo per convenienza. Poco dopo, però, la sua lettura viene disturbata dall’arrivo di una gondola, portata con maestria dall’affascinante Emilio. Quasi senza accorgersene Lavinia s’infatua del gondoliere, ma lo capirà solo in seguito, grazie all’incontro con i signori Kolynopulo, coppia di americani “ibridi”1, rappresentanti dei nuovi ricchi dai modi un po’ grossolani, ma che su amore e sentimenti la sanno lunga. Nonostante le pressioni della madre, Lavinia decide di frequentare la coppia, e di sfruttare il loro invito per un giro in gondola per poter stare vicina a Emilio. Quel giro in gondola sarà

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rivelatore: Lavinia scopre aspetti sconosciuti della sessualità e dei rapporti sentimentali che prima ignorava, apprendendo dalla signora Kolynopulo che i gondolieri sarebbero una sorta di prostitute al maschile che “allietano” i soggiorni veneziani di facoltosi visitatori. Lavinia a quel punto è confusa: si ritrova a lottare contro emozioni e sentimenti, cerca di reprimere il suo subconscio. La sua frustrazione si accentua sempre di più, non riesce a ignorare il forte desiderio e l’attrazione per Emilio, e si sfoga con atteggiamenti nervosi e accessi d’ira con la madre e con una povera parrucchiera. Decide allora di chiedere consiglio alla sua amica mondana, Elizabeth Templeman, in vacanza a Roma, scrivendole una lettera dove spiega la sua situazione, ma finge che non riguardi lei personalmente bensì una conoscente, Simonetta Perkins. Elizabeth capisce che dietro a Simonetta Perkins si nasconde in realtà Lavinia, e le consiglia di abbandonare Venezia il più presto possibile, altrimenti potrebbe commettere qualche sciocchezza e compromettere la sua moralità esemplare. Nonostante il consiglio di Elizabeth, Lavinia prolunga il soggiorno a Venezia mentendo alla madre e raccontandole che non c’erano posti disponibili sull’Orient Express fino alla settimana seguente. La signorina Johnstone decide di confessare i propri sentimenti a Emilio, e, a questo scopo, lo assume come gondoliere personale fino alla fine del soggiorno. Quando finalmente ne ha l’occasione, Lavinia riesce a dire “ti amo” al suo gondoliere, il quale, senza dire una parola, la conduce attraverso stretti canali e rii interni, probabilmente diretto in qualche luogo appartato, dove potrebbe soddisfare la passione di Lavinia. Ma qualcosa cambia nella giovane bostoniana, la cui mente comincia ad essere assalita da strane visioni, cupe e torbide, che mutano l’immagine che si era creata di Emilio e della realizzazione della sua passione. Così, piena di dubbi e paure

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ordina a Emilio di riportarla in albergo all’istante. Il giorno seguente Lavinia si trova in viaggio sull’Orient Express con la madre e, ripensando al consiglio di Elizabeth, si convince di aver agito nel modo giusto, ma sa che non dimenticherà mai il suo gondoliere.

2.2 L’autore in breve

Leslie Poles Hartley nacque a Whittlesey, nel Cambridgeshire, il 3 dicembre 1895, da Harry Hartley e Mary Elizabeth Thompson (detta Bessie). Il padre era un avvocato del foro di Peterborough, ma si ritirò presto dalla professione per assumere la gestione di una piccola fabbrica di laterizi, attività che fece la fortuna degli Hartley.

Leslie era il secondogenito e unico maschio di tre figli. La sorella maggiore Enid, la minore Norah e la madre erano molto legate a Leslie, sul quale riversavano la maggior parte delle attenzioni. Queste eccessive cure e l’attaccamento morboso della madre all’unico figlio maschio portarono Leslie a sviluppare negli anni una sorta di repulsione per la casa in cui era cresciuto, Fletton Tower, e a girovagare per l’Europa e l’Inghilterra alla ricerca di maggiore libertà e di autoaffermazione. In particolare, il legame viscerale con la madre e l’atteggiamento iperprotettivo che lei aveva nei confronti di Leslie furono colti anche dall’amico Paul Bloomfield, il quale in un articolo dedicato a Leslie nota:

Her minute-to-minute proud solicitude for Leslie was something it did not enter her head to conceal.2

2

Paul Bloomfield, «L. P. H. Short Note on a Great Subject», Adam International Review, 29 (1961), p. 6.

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XIII

Il padre si preoccupò molto dell’educazione e della formazione dei figli, provvedendo personalmente alla loro istruzione. Fu proprio lui, infatti, a trasmettere la passione per la letteratura a Leslie, il quale nutriva profonda riconoscenza e ammirazione nei suoi confronti:

My father did not believe in sending his children to boarding school early; he was a man of culture, and at least half of my education was due to him.3

Leslie, di fatto, entrò a Clifton solo nel 1910, a quindici anni, ma vi rimase pochi mesi, ufficialmente per incompatibilità ambientali, ufficiosamente, secondo Adrian Wright,4 per essere stato scoperto in atteggiamenti compromettenti con un altro ragazzo più giovane di lui. A Clifton, tuttavia, era rimasto abbastanza per stringere amicizia con Clifford H. B. Kitchin, un’amicizia che tra alti e bassi durò tutta la vita. Leslie venne trasferito a Harrow, stavolta con più successo, per proseguire poi gli studi al Balliol College di Oxford, dove s’immatricolò nell’ottobre del 1915. Al Balliol conobbe molti degli amici che gli rimasero vicini per tutta la vita, a partire da Aldous Huxley, suo vicino di stanza, con il quale s’intratteneva in piacevoli conversazioni davanti a una tazza di cioccolato, e Francis King. Gli anni del college furono però interrotti in modo drammatico dallo scoppio della guerra. Nel 1916 si arruolò nel Norfolk Regiment in qualità di sottotenente. Nel 1918 fu riformato e riprese gli studi al Balliol, dove

3

Anne Mulkeen, Wild Thyme, Winter Lightning: The Symbolic Novels of L. P. Hartley, London, Hamilton, 1974, p. 30.

4

Adrian Wright, Foreign Country: The Life of L. P. Hartley, London, Tauris Parke Paperbacks, 2001, p. 34.

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conobbe una delle persone più importanti della la sua vita, Lord David Cecil. Ecco come lo descrisse:

His appearance, slightly dandified, with a tie or a waistcoat that one doesn’t quite expect; his hair which seems to move as rapidly and takes on as many aspects as his mind, and his gestures, which are so much his own, fidgety but not irritable. His feet, rocking to and fro from his knees, might be thought to be kicking an imaginary football; the sudden outflung, movement of his arms and hands, might be dismissive of something he has just said, or spontaneous recognition of a truth that someone else has just said. His whole being, physical and mental, seems to act together, and represent the same thing.5

In quel periodo, grazie all’amico Huxley, conobbe Lady Ottoline Morrel, la quale ospitava nella sua dimora di Garsington uno dei circoli letterari più importanti del momento.

Nel 1921 conseguì il titolo di B.A.. In quegli anni Hartley cominciò a collaborare a diverse riviste, scrivendo articoli e recensioni per Spectator, Saturday Review, Weekend Review e Observer, guadagnandosi l’ammirazione e la stima di colleghi e scrittori.

Between the wars, no reviewer of fiction, I dare say, did more than Hartley to accustom readers outside the rockpools of the literary world to those delicacies of perception which gradually invaded, and ultimately enfeebled, the novel in the assorted wakes of Henry James and Virginia Woolf. From Venice or from his house by the Avon in Bath, he led

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unadventurous readers down unfamiliar paths with demure charm and inflexible civility. 6

Nel 1922 visitò Venezia per la prima volta, in compagnia Clifford H. B. Kitchin. Per molti anni vi trascorse regolarmente l’autunno e la primavera, fino quando i rapporti tra Italia e Gran Bretagna non si raffreddarono a causa della guerra.

Nel 1924 Leslie pubblicò la sua prima raccolta di racconti, Night Fears, dietro consiglio della prima persona che vide in lui le qualità necessarie per diventare uno scrittore, l’amica Lady Cynthia Asquith, conosciuta nel 1921 durante un weekend a Wharf con Kitchin. La seconda opera letteraria arrivò l’anno seguente: il suo primo romanzo, anche se breve, frutto dei primi soggiorni veneziani, Simonetta Perkins. In seguito pubblicò solo un’altra raccolta di racconti, The Killing Bottle, nel 1932, e fino al 1944 Hartley si dedicò unicamente all’attività di critico e ad un abbozzo di romanzo che sembrava non essere in grado di concludere. Finalmente, nel 1944 uscì uno dei suoi romanzi più apprezzati, The Shrimp and the Anemone, prima parte della trilogia che completò con The Sixth Heaven nel 1946 e con Eustace and Hilda nel 1947.

Nel 1948 vinse il “James Tait Black Memorial Prize” per la trilogia e pubblicò il terzo volume di racconti, The Travelling Grave. Quello stesso anno morì la madre, all’età di ottantacinque anni.

Grazie alla sua affermazione come eccellente critico e, successivamente, anche come scrittore raffinato, il prestigio di Hartley nell’ambiente letterario e culturale andò crescendo. Forse rassicurato da quel successo, Hartley diventò un autore piuttosto prolifico: nel 1949

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pubblicò The Boat, nel 1951 My Yellow Devils e nel 1953 uscì il suo romanzo più apprezzato e famoso, The Go-Between, che gli valse il premio “W. H. Heinemann Foundation” della Royal Society of Literature. Fu quindi nominato responsabile per la sezione inglese dell’Association of Poets, Playrights, Editors, Essaysts and Novelists (P. E. N.) e membro del comitato della Society of Authors per diversi anni.

Nel 1954 pubblicò un’altra raccolta di racconti, dedicata all’amico Kitchin, The White Wand. Quello stesso anno venne a mancare il padre.

Fino al 1972, anno della sua morte, Leslie continuò un’intensa attività letteraria, pubblicando quasi un’opera all’anno: The Hireling, Facial Justice, Two for the River, The Brickfield, The Betrayal, la raccolta di saggi The Novelist’s Responsibility, The Love-Adept, My Sister’s Keeper, The Harness Room, e Mrs. Cartaret Receives. Furono pubblicati postumi il suo ultimo romanzo, The Will and The Way e la raccolta completa dei suoi racconti in The Complete Short Stories of L. P. Hartley.

Prima della sua morte Hartley ebbe la soddisfazione di essere nominato Companion of Literature dalla Royal Society of Literature, e di vedere la realizzazione cinematografica di The Go-Between vincere la Palma D’Oro a Cannes.

2.3 Gli anni veneziani

Leslie Poles Hartely arrivò a Venezia nel settembre del 1922, per raggiungere l’amico C. H. B. Kitchin, il quale soggiornava già da qualche giorno al Grand Hotel della città lagunare, ma l’esito della sua vacanza si

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era rivelato disastroso fino a quel momento. Kitchin aveva scritto all’amico Leslie, supplicandolo di andare ad allietare il suo soggiorno:

It was in atrocious blank verse and began

Leslie I charge thee…

While the only whole line I can remember is

The lovely, long, laborious voyage to Venice!

I posted my cri du Coeur – and with it all my hopes of a happy holiday – in the box in the hotel. 7

Hartley non era per nulla convinto di intraprendere quel viaggio, eppure, a metà settembre era già nel Nord Italia, completamente rapito dal fascino di Venezia.

It is almost delightful here…It has been sunny all the time and I bathed on what must be the safest shore in the world, the Lido. […] It is the least arduous town in the world – gondolas are so soothing and the journey, though long, is as easy as falling off a log. 8

Questo è quanto scrisse alla madre il 17 settembre, preso dall’entusiasmo per le novità che stava vivendo. Tuttavia, anni dopo, Venezia non gli sarebbe sembrata la città più semplice del mondo, diventando metafora di una difficile esistenza fatta di apparenze:

7

C. H. B. Kitchin, «Leslie Hartley: A Personal Angle», Adam International Review, 29 nn. 294-295-296 (1961), p. 11.

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On the map Venice is pear-shaped, or, to be more exact, the shape of a flat fish; and its course is set in a north-westerly direction towards the mainland. But there is not, I should think, another city in the world where cartography and actuality bear so little relation to each other. Once inside Venice, one’s sense of direction sickens from a surfeit of possibilities and then dies.9

La passione per Venezia trovava spiegazione nell’amore che Hartley aveva sempre nutrito per l’acqua e per il nuoto, in particolare per le acque calme dei laghi.

It was the stillness of the pools that so attracted Leslie, who never much cared for the sea; it was the placidity of water that thrilled him, the river Nene, tha calmness of Fen Water – and, when he became a man, the Venetian lagoon, and the gently flowing Avon.10

Come scrisse Kitchin nel suo affettuoso tributo a Hartley, per i primi giorni fece lui da guida, conducendo l’amico a San Marco, a Palazzo Ducale, a vedere i quadri del Tiziano e del Tintoretto, e, poiché si trovava a Venezia da più tempo, cercava anche di fare da intermediario con l’italiano. In realtà il ruolo non gli riusciva molto bene, e poco dopo fu completamente rimpiazzato da Leslie, il quale diventò un buon interprete nel giro di quindici giorni.

Venezia per Hartley significava anche nuove opportunità per fare conoscenze importanti, che gli avrebbero permesso di entrare a far parte di

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Hartley, The Novelist’s Responsibility, London, Hamilton, 1967, p. 209.

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quella classe sociale che, con le sue origini, gli era stata preclusa, e non sentirsi più un “outsider”. Nonostante l’ambiente della nobiltà veneziana gli sembrasse addirittura più chiuso di quello inglese, Hartley era in realtà molto bravo a ottenere inviti, come lo stesso Kitchin afferma:

I said that I went to Venice knowing no one. Within twenty-four hours of Leslie’s arrival all that was changed. Instead of rain he had a deluge of invitations and was kind enough to see that I wasn’t left out. It’s a pity there were no embassies in Venice, but both the English and French Consular Service paid a tribute. A principessa invited us to a concert in her palazzo on the Grand Canal. Our hotel, through which before Leslie’s coming I had wandered like a disconsolate ghost, proved full of knowable people.11

Probabilmente Kitchin faceva riferimento alla Principessa de Polignac, che era riuscito a conoscere tramite l’amica Elizabeth Bibesco – anche lei conosciuta in uno dei weekend a Wharf insieme a Kitchin. Ma frequentando il salotto della Principessa, personaggio controverso e chiacchierato per i suoi matrimoni non consumati e le relazioni lesbiche con donne sposate, Leslie dovette a malincuore rinunciare ad entrare nel prestigioso circolo di Mrs. Johnstone, poiché la padrona di casa nutriva profonda disapprovazione per il comportamento licenzioso e immorale della de Polignac. Mrs. Johnstone era la più importante organizzatrice di serate ed eventi mondani a Venezia in quegli anni, e, nonostante le difficoltà iniziali, Hartley riuscì ad entrare nel suo circolo, pur instaurando un rapporto conflittuale con la sua ospite.

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Da quanto emerge dai ricordi lasciati da Kitchin, la descrizione del soggiorno veneziano in compagnia di Leslie Hartley farebbe pensare più alla vacanza di una coppia di innamorati, e, per quanto non vi siano testimonianze concrete, è ipotizzabile che tra Kitchin e Hartley ci fosse più di una semplice amicizia. Il modo affettuoso con cui Clifford descrisse alcuni episodi di quelle giornate insieme a Hartley lascia trapelare un sentimento apparentemente molto profondo e intimo:

He didn’t realise that one can’t get through life in comfort unless one keeps one’s pocket full of small change. (Even in these days he is apt to offer a taxi-driver a five pound note for a three shelling fare).

The climax came one afternoon when we were visiting the church of San Alvisè [Sant’Alvise]. I was in a bad mood. […] At the moment I would gladly have swapped Venice and its thousand cultural monuments for Aix and its two casinos. Instead of pseudo-Carpaccios I wanted my tea. My left foot had gone so deeply asleep in the gondola that I could hardly step ashore. My fevered feelings were approaching boiling-point when Leslie, who wished to bestow a small gratuity on a ragazzo who helped us to disembark, murmured ‘Clifford, can you change a ten thousand lire note?’ My nervous thermometer burst and I delivered an ill-mannered tirade. Leslie waited till it was over and then said with more then his usual silkiness, ‘Clifford, aren’t you being really childish?’ this was our one row. By dinner-time we could laugh over it.12

Eventuali tracce di questa relazione, se mai ci furono, Hartley di sicuro le fece distruggere insieme agli altri scritti personali.

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Kitchin era attirato non soltanto dall’estetica di Venezia, ma soprattutto dalla sua dimensione sensuale: risalivano solo a qualche anno prima le Venitian Letters di Frederik Rolfe, ed era consapevole delle opportunità che la città offriva, di quella specie di mercato del sesso che aveva come protagonisti prestanti gondolieri e ricchi visitatori – realtà a cui accenna in modo più velato anche la Signora Kolynopulo in Simonetta Perkins. Probabilmente Kitchin sperava che in quell’ambiente sensuale, con la confortevole familiarità delle placide acque lagunari, Leslie potesse finalmente esprimere la sua sessualità naturale, abbandonando pregiudizi morali e inibizioni che lo rendevano incapace di amare completamente.

Alla fine di quel soggiorno Hartley ritornò in Inghilterra, dove riprese a frequentare Lady Ottoline Morrel e il circolo di Garsington. Qui, nel 1923 conobbe Virginia Woolf e E. M. Forster, con i quali però non ebbe molto a che fare. Risalgono a quel periodo le prime collaborazioni con diverse riviste letterarie come critico, in particolare con lo Spectator, per il quale continuò a scrivere fino alla morte. La prima recensione di Hartley riguardava la raccolta di racconti Encounters di Elizabeth Bowen e ne fu talmente entusiasta da voler incontrare l’autrice personalmente, incontro che segnò l’inizio di una solida amicizia. Le richieste di articoli e critiche per numerose riviste letterarie iniziarono a fioccare proprio in seguito alla prima recensione. L’attività di critico lo avvicinò anche a Leo Myers, scrittore e figlio del poeta F. W. H. Myers, il quale fu uno dei più frequenti ospiti di Hartley a Venezia. Nel frattempo Leslie aveva anche iniziato a scrivere racconti che faceva leggere esclusivamente a una ristretta cerchia di amici, e fu proprio una di loro, Lady Goodford, che lo mise in contatto con l’editore americano Constant Huntington. Fu allora che uscì la sua prima raccolta, Night Fears, la quale rappresentò per Hartley un esordio

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tiepido, con poche copie vendute ma un’incoraggiante recensione sul Times Literary Supplement.

All’inizio del 1925 si recò nuovamente a Venezia, questa volta in compagnia di Lord David Cecil. La visita consolidò il già forte sentimento di L. P. Hartley per la città, sentimento sfociato nella novelette Simonetta Perkins, pubblicata da Putnam nell’ottobre dello stesso anno. Come per la prima raccolta di racconti, anche Simonetta Perkins non fu un gran successo, tuttavia vendette un po’ di più, fruttandogli dodici sterline. Nell’agosto del 1925 Hartley e Cecil trascorsero qualche settimana a Londra insieme, quindi si recarono a far visita a Lady Ottoline Morrell a Garsington. Fu proprio lì che Leslie conobbe la pittrice americana Ethel Sands, dalla quale rimase molto colpito e che divenne una delle sue più care amiche. Inoltre, Ethel rappresentava per Hartley il contatto più vicino al gruppo di Bloomsbury.

Dopo quel soggiorno, Leslie decise di affittare una casa a Venezia, dove trascorrere la maggior parte del tempo e cercare l’ispirazione per la sua attività di critico e di scrittore. Nell’agosto del 1927 intraprese un piccolo tour dell’Europa, fermandosi prima in Francia a far visita agli Asquith nella loro residenza parigina, dove s’incontrò anche con i Bibesco; quindi proseguì per Portofino in compagnia di Leo Myers, dove rimase qualche giorno e ricevette la visita di Ottoline e Philip Morrell. Sempre accompagnato da Myers arrivò a Milano, dove fu raggiunto da Elizabeth Bibesco, e continuò con la compagnia diretto a Venezia. Alla fine di settembre si era già insediato nella nuova dimora veneziana, nel sestiere popolare di Dorsoduro, a San Sebastiano 2542.

Oggi il grazioso palazzo cinquecentesco che si trova al 2542 di San Sebastiano non è stato risparmiato dalla triste sorte toccata già a molti altri,

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andando a incrementare la lunghissima lista di alberghi della città. All’epoca di Hartley la residenza si presentava come un confortevole piccolo palazzo nobile, nel mezzo di un quartiere molto povero ma ricco di scorci e luoghi suggestivi, come le Zattere, il campo di San Sebastiano con la chiesa dove è sepolto Paolo Veronese, i Gesuati e la Salute. Hartley descrisse così la veduta alla fine della fondamenta:

In the thick, white sirocco sunlight the colours of the houses on the Giudecca – grey, yellow, terracotta, pink – seemed to merge and lose their proper qualities in a uniform lack of tone; and what stood out was the fenestration, the whitish oblongs and truncated ovals of the windows, monotonously repeated. Except for a dreadful travesty of Gothic, three enormous eyelets beyond the Redentore, scarcely a single pointed arch could I see. I suddenly felt a respect for the five factory chimneys, and I looked with indulgence, almost with affection, on the great bulk of Stucky’s flour mill, battlemented, pinnacled, turreted, machicolated, a monument to the taste of 1870, that might have been built out of a child’s box of bricks. A romantic intention had reared it, and left behind something that was solid and substantial and a benefit to mankind.13

Oltre al palazzo, Hartley affittò anche una gondola e un gondoliere personale, Pietro Busetti, che lo servì per tutta la durata dei suoi soggiorni veneziani, fino alla sua morte. Hartley aveva una vera passione per la tipica imbarcazione veneziana, sulla quale trascorreva la maggior parte delle giornate, tempo permettendo, imparando lui stesso a portarla. Il palazzo di San Sebastiano era di proprietà della Baronessa van der Hoeven, un’anziana

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nobildonna russa, che si trovava spesso a soggiornare a Venezia e cercava di coinvolgere Hartley in qualche conversazione o passatempo che lui accettava per cortesia, ma che non gradiva molto, poiché aveva lasciato Fletton Tower proprio per sfuggire alle opprimenti attenzioni della madre.

A Venezia Leslie cercava non solo sollievo, tranquillità e ispirazione: la città lagunare si prestava bene a far da sfondo alla sua vita sociale. Tra l’ottobre e il novembre del 1927 ricevette numerose visite, e questo lo rendeva felice, specialmente quando a fargli visita era Cecil. Per Hartley l’amicizia con Lord David Cecil era diventata quasi un’ossessione, e, probabilmente, sperava che Venezia favorisse la nascita di qualcosa di più tra loro. Anche gli amici si erano accorti dell’eccessivo trasporto che Leslie provava per Cecil. In effetti, i due trascorrevano molto tempo assieme, amavano andare in barca sulla laguna e rimanerci fino al tramonto. Come riporta Jane Brown,14 quella relazione suscitò grande perplessità e preoccupazione in Desmond McCarthy, il quale era a conoscenza della passione di sua figlia, Rachel McCarthy, per Cecil. Desmond scrisse all’amica Lady Cynthia Asquith alla ricerca di un appoggio, e le chiese di aiutarlo a spiegare a Rachel di non farsi illusioni. Nel frattempo Hartley continuava la sua vita veneziana, dove ormai trascorreva gran parte dell’anno, da aprile a dicembre, e dove continuava a tessere la sua rete di amicizie e conoscenze, tra le quali Cecil aveva sempre mantenuto posto di riguardo. Così, tra un’uscita in gondola e l’altra, tra cene, conversazioni e balli, Hartley trascorreva i suoi anni veneziani. Ma anche a Venezia, come in Inghilterra, si sentiva un “outsider”, non riusciva a trovare posto nell’alta società locale, ed era molto deluso di questo, perché gli avevano sempre detto che i veneziani erano molto ospitali. Tutti quegli anni trascorsi a

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Venezia furono caratterizzati da frequentazioni straniere, da quella che Adrian Wright definisce “a colony of English-American expatriates”.

La Pasqua del 1932 Leslie la trascorse a San Sebastiano, in compagnia dell’ormai inseparabile Cecil, suo cugino, Jimmie Smith, e Leo Myers. In seguito Cecil ritornò inaspettatamente in Inghilterra, e in primavera scrisse una lettera a Leslie, che rappresentò un drammatico cambiamento per lui:

Dear Leslie,

I am engaged to be married to Rachel McCarthy. You will know how – outside my own family I would tell you first of anyone. My dear Leslie – if I had the pen of Milton and the glow of Proust I could never tell you what happiness and wisdom you have brought me in my life – My dear Leslie

David15

Quella lettera arrivò come un fulmine a ciel sereno per Leslie, il quale non avrebbe mai pensato, e desiderato, che Cecil si potesse sposare. Probabilmente Cecil era consapevole della passione di Hartley nei suoi confronti, per questo motivo decise di informarlo con una lettera: sarebbe stato troppo difficile affrontarlo di persona. Inoltre, il tono della lettera sembra confermare la consapevolezza da parte di Cecil dei sentimenti di Hartley. Nonostante si sentisse tradito, Hartley decise di non uscire dalla sua vita, ma di condividerla con Rachel, trascorrendo molto tempo con la coppia e diventando il migliore amico di famiglia, e, alla fine, fece persino da testimone di nozze e da padrino. Tuttavia, da quel momento in poi, tutte

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le volte che Hartley nominava Cecil nelle sue lettere, lo faceva con tono amareggiato. Solo molti anni dopo la sua morte si apprese dall’amico Francis King, che Cecil era stato per Hartley l’amore della vita. Wright riporta la sua testimonianza:

One day he told me that David Cecil had been the love of his life. He said no more. I was too stunned to ask him to elaborate.16

I soggiorni veneziani continuarono, ma per Hartley era avvenuto un radicale mutamento: la perdita di Cecil aveva alterato anche il suo rapporto con Venezia. Nell’ottobre dello stesso anno scrisse a Lady Ottoline:

I feel a little out of love with it, the weather was so horrible and my Venetian personality irked me.17

Quello stato emotivo di agitazione, disillusione, amarezza, si può percepire anche nella raccolta che fece pubblicare alla fine dell’anno, The Killing Bottle. In particolare potrebbe destare interesse il racconto finale “Conrad and the Dragon” – che si differenzia per il genere fiabesco dagli altri racconti – nel quale un giovane, innamorato di una principessa, affronta come prova del suo amore un drago che le fa da guardiano. A differenza degli altri che lo hanno preceduto in quel tentativo, il giovane riesce a sferzare un colpo mortale al drago. Quindi corre nella stanza della principessa, dove la trova distesa sul letto in fin di vita, con una ferita uguale a quella che ha inferto al drago. In Simonetta Perkins Hartley scriveva della paura dell’amore e della sessualità, tanto che Lavinia decise

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Ibidem, p. 250.

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di rifuggirli; con questo racconto l’autore fa un passo in avanti, e, come in altre sue storie, sembra voler affermare che l’amore uccide.

Nella primavera del 1933 Hartley incontrò a Venezia un altro scrittore che sarebbe diventato un suo grande amico: Osbert Sitwell. Inizialmente Sitwell destò un certo disagio in Leslie, il quale si sentiva scrutato come se dovesse diventare il protagonista di un suo romanzo.

He keeps giving me searching looks, as though committing some defect to memory, for subsequent use.18

Il 7 aprile cenarono a San Sebastiano, e l’evento aveva destato molta agitazione in Leslie, il quale scrisse alla madre di temere qualche figuraccia. Fu in quella occasione che Sitwell gli presentò il suo compagno, David Corner, con il quale Leslie strinse una solida amicizia pur mantenendo buoni rapporti con entrambi. Lo stesso mese ricevette la visita di Jimmie Smith, e a maggio arrivarono Bessie e un amico di famiglia, il pittore Harry Clifford Pilsbury. Bessie si recò a Venezia solo due volte in tutti quegli anni, la seconda volta insieme alla figlia maggiore, Enid, mentre la minore, Norah, non gli fece mai visita. Ritornò in Inghilterra per l’estate, ma si stancò subito e a settembre era di nuovo nella sua casa di San Sebastiano.

L’anno successivo Hartley arrivò a Venezia in marzo e rimase per qualche giorno da solo, girando le isole della laguna con la sua gondola e trovando nuova ispirazione per la successiva raccolta di racconti e per un romanzo, che però non era ancora ben definito. Nei mesi seguenti ripresero le visite di Leo Myers, dei Morrel, di Ethel Sands, e continuava il frenetico lavoro di scrittura di saggi e critiche. Tutta quella richiesta di articoli e le

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costanti visite impedivano a Leslie di lavorare seriamente al suo romanzo “Eustace”, portandolo alla frustrazione. È certo, tuttavia, che nell’inverno del 1934 Hartley stesse lavorando al libro, poiché scriveva di sovente a Cynthia Asquith e a Elizabeth Bowen chiedendo loro consigli e sostegno. Nella primavera del 1935 ricominciarono i pellegrinaggi a San Sebastiano da parte dei soliti amici, e di nuovo della madre, accompagnata da Enid.

La situazione politica stava peggiorando, e i rapporti fra Italia e Inghilterra erano diventati molto tesi. Persino Pietro chiese a Hartley quali fossero le sue intenzioni, poiché già molti stranieri avevano rinunciato a soggiornare a Venezia. Nonostante gli fosse stato sconsigliato, Hartley continuò le sue visite a Venezia fino al 1938, ma in quegli anni molte cose cambiarono, a partire dalla morte di Lady Anne Johnstone nel 1937: la grande “hostess” che, nonostante disaccordi e battibecchi, aveva regnato sull’intera colonia di inglesi a Venezia, e che aveva ampiamente caratterizzato gli anni veneziani di Hartley. Anche Venezia dava segni di trasformazione: il canale che passava per San Sebastino divenne passaggio preferenziale di motoscafi e barconi a motore, impedendo a Hartley di lasciare la gondola sotto casa e provocando un notevole aumento di traffico e rumore; e poi c’era la Piazza, deturpata dai giganteschi manifesti di Mussolini. Le visite degli amici dall’Inghilterra si erano ridotte a causa dell’inasprimento dei toni sui giornali italiani nei confronti degli inglesi e a causa della visita di Hitler alla città. Infine venne a mancare un’altra persona che aveva allietato le giornate veneziane di Hartley: Lady Ottoline Morrell.

Venezia perse a quel punto il suo motivo di attrazione: non rappresentava più un santuario per Hartley, il quale dovette cominciare a rivedere la sua vita, perché da lì a poco sarebbe scoppiata la guerra. Hartley

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XXIX

lasciò Venezia a fine novembre del 1938. Tuttavia, la passione per la città che gli aveva dato rifugio non si attenuò con la guerra e la residenza obbligata in Inghilterra. Appena fu possibile, Hartley decise di riprendere le sue buone abitudini e di ritornare a Venezia. Arrivò alla stazione di Santa Lucia nel maggio del 1947, accolto da Pietro. Sapeva che non sarebbe stato come prima, ma il conforto della laguna e delle placide acque dei canali non lo avrebbero deluso. Testimone dei danni che la guerra aveva fatto in Inghilterra, temeva quello che avrebbe potuto trovare a Venezia, ma constatò subito che la città era rimasta pressoché intatta. Le porte di San Sebastino gli vennero spalancate, ma l’amarezza fu grande quando scoprì che la baronessa gli aveva messo a disposizione solo una camera interna, senza finestre, e la sala da pranzo. Dovette rinunciare anche a Pietro, che ormai non era più fisicamente in grado di vogare: al suo posto c’era Sergio, il quale, però, non gli piaceva molto. A parte questo, aveva ritrovato l’atmosfera che sperava. In una lettera a Ethel Sands scrisse: “I can’t say that the magic has not returned”.19 Il giro di amicizie veneziane si era notevolmente ridotto, ma Hartley era un maestro nel fare nuove conoscenze: cominciò con Gabriella Alzati, la traduttrice italiana di The Shrimp and the Anemone, la quale andò a trovarlo a San Sebastiano per lavorare insieme al testo e con la quale Hartley trascorse piacevoli serate all’opera.

All’inizio del 1949 decise di lasciare San Sebastiano, dove non si sentiva più di casa. La baronessa gli propose di comprare il palazzo per 1250 sterline, ma Hartley dovette rinunciare, in quanto avrebbe dovuto vendere la casa di Avondale, e questo avrebbe significato vivere parte dell’anno a Fletton Tower. Prese un appartamento in affitto a Palazzo

19

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XXX

Bonlini, a San Trovaso, poco distante da lì. La situazione non era comunque piacevole, poiché Hartley si trovò in costante conflitto con la sua ospite e l’affitto era decisamente alto. Ormai il costo dei soggiorni veneziani era lievitato enormemente, arrivando a farsi pagare 4700 lire al giorno per l’appartamento e 1000 lire per un giro in gondola, che ormai era diventato un lusso. A questo si aggiunse la morte di Pietro Busetti, evento che privò Hartley dell’entusiasmo dei suoi soggiorni veneziani.

Dal 1950 fino alla fine dei suoi giorni, Hartley continuò a far visita a Venezia per brevi periodi, alloggiando per lo più all’Hotel Europa, ma le visite si fecero sempre più sporadiche, anche a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute.

2.4 Elementi autobiografici

Come si è già accennato nel capitolo precedente, Simonetta Perkins è il primo romanzo, anche se breve, di Leslie Poles Hartley, pubblicato da Putnam nel 1925. Il rilievo di questa novelette non dipende solo dall’introduzione di temi fondamentali che Hartley sviluppò successivamente nella trilogia Eustace and Hilda, in The Go-Between e negli altri romanzi: quello che colpisce, infatti, è la forte presenza di elementi autobiografici, che inducono a vedere in Lavina Johnstone un Doppelgänger al femminile di Hartley stesso. Purtroppo le biografie di Hartley sono decisamente scarse, e questo non perché non vi fosse interesse nei suoi riguardi, ma perché era una persona molto discreta e riservata, il cui forte senso per la morale e il pudore gli impediva di rendere pubblici

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XXXI

fatti e vicende personali. Solamente alla fine degli anni Sessanta, Hartley si espose maggiormente, arrivando ad una dichiarazione quasi ufficiale della sua omosessualità con il romanzo The Harness Room, paragonato da molti al Maurice di Forster, tanto che l’editore Hamilton pensò di farlo pubblicare postumo.

La biografia più completa e attendibile di Hartley è quella scritta da Adrian Wright e pubblicata nel 1996, la quale, tuttavia, non dissipa completamente i dubbi relativi alla sua vita sentimentale per rispetto della volontà di Hartley stesso. I molti interrogativi sulla vita dell’autore non potranno mai trovare risposte concrete e, soprattutto, comprovate, poiché alla morte della sorella minore Norah Hartley tutti gli scritti personali di Leslie, lettere, diari e quant’altro, furono bruciati: solo Wright ebbe la possibilità di leggerli, poiché aveva ottenuto la stima di Norah. Pertanto, oggi si deve accettare quanto scritto da Wright e dai suoi predecessori.

Fino ad oggi Simonetta Perkins20 non era mai stata analizzata in modo dettagliato, in quanto primo lavoro, quindi convenzionalmente di valore inferiore alle opere della maturità, come la trilogia Eustace and Hilda o The Go-Between. Eppure Hartley aveva sempre dimostrato grande considerazione e affetto per quel primo romanzo breve: a distanza di trent’anni dalla pubblicazione, in occasione dell’uscita di The Go Between, l’autore definì SP il suo romanzo “most accomplished”21. Al giornalista che lo intervistò spiegò, infatti, che SP fu una scrittura spontanea, che gli richiese appena una quindicina di giorni perché scrisse esattamente quello che voleva esprimere:

20

D’ora in avanti Simonetta Perkins verrà segnalata dalla sigla SP.

21

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XXXII

[…] It only took me about a fortnight to write, but I knew just what I wanted to say and technique for saying it came automatically.22

La dichiarazione di Hartley lascia intendere che il contenuto di SP sia fortemente autobiografico: riuscirebbe difficile credere che l’autore sia riuscito a creare un’analisi psicologica della protagonista così complessa e profonda in poco più di due settimane, una figura che, peraltro, viene definita da Edward Jones23 il miglior personaggio femminile mai caratterizzato da Hartley. Inoltre, è particolarmente indicativa l’insistenza con cui l’autore chiedeva la ristampa di SP, arrivando addirittura ai ferri corti con l’editore Hamilton, il quale non voleva uscire con titoli vecchi senza la certezza che Hartley avrebbe prima consegnato materiale nuovo.24

L’analisi partirà da un confronto tra elementi diegetici ed elementi biografici, che permettono di confermare la tesi per cui Lavinia sarebbe in realtà la proiezione di Harltey e giungere quindi alla conclusione che SP sia un “gay book”.25

Confrontando le informazioni biografiche su Leslie Hartley, per quanto scarse, è possibile rilevare numerose coincidenze con quanto descritto in SP. Si deve considerare, comunque, come Hartley fosse una persona estremamente riservata, che aveva ricevuto una rigida educazione e nutriva profondo rispetto per gli altri, al punto di non volere dar adito a pettegolezzi o chiacchiere nei suoi confronti o nei confronti di chi gli stava vicino. Grazie all’articolo pubblicato da Clifford H. B. Kitchin su Adam International Review del 1961 vengono forniti alcuni dettagli sul primo soggiorno veneziano del 1922 di Leslie, i quali coincidono con quelli della

22

Wright, Foreign Country, p. 85.

23

Jones, L. P. Hartley, p. 142.

24

Wright, Foreign Country, p. 238.

25

(24)

XXXIII

novella. A cominciare dall’episodio in cui Lavinia vorrebbe pagare Emilio per il giro in gondola, ma ha solamente una banconota da cinquanta lire, compenso eccessivo per un gondoliere all’epoca, e, dato che lui non aveva resto, Lavinia è costretta a lasciargli la banconota, amareggiata perché, con una mancia così sostanziosa, sarebbe stata costretta in seguito a pagarlo meno del dovuto.

[…] but I felt, just at the moment, that I had overpaid him and it would be disagreeable, with the same man, to reduce the rate in the future; […] Emilio did’t take my saying no very well, not as pleasantly as he took my fifty-lire-note; I think he scowled at me, but it was almost to dark to see.26

Come Lavinia anche Hartley aveva avuto una discussione per lo stesso motivo con Kitchin, il quale si lamentava perché l’amico non aveva mai spiccioli con sé, ma solo banconote di grosso taglio.

But he didn’t realise that one can’t get through life in comfort unless one keeps one’s pocket full of small change. (Even in these days he is apt to offer a taxi-driver a five-pound note for a three shillings fare).27

Sempre Kitchin ci informa della passione di Leslie per l’arte e le chiese meno conosciute, e della sua bravura nell’apprendere l’italiano:

[…] but my little learning didn’t help much when it came to asking the way to some church so obscure that only Leslie and the most highbrow of guide-books had ever heard of it. No doubt with this in mind, Leslie

26

Hartley, SP, p. 21.

27

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XXXIV

acquired Italian overnight. Henceforth he talked and I listened and used him as my tutor.28

Lavinia vuole visitare con la madre le chiese che si trovano a nord, spesso sottovalutate, e di ritorno da Murano chiede di fermarsi a San Francesco della Vigna.

‘Then,’ pursued Lavinia, ‘we shall be able to see La Madonna dell’Orto and all those churches on the Northern Fringe.’ […]

‘Tourists often neglect Sant’Alvise, though it is a gem and well repays a visit, the book says.’29

On their way back, at Lavinia’s request, they visited St Francesco della Vigna. […] She promised herself a moment of meditation in the melancholy cloister; but for some reason the church failed her.30

Anche Hartley aveva apprezzato quelli che definisce “pseudo-Carpaccios”, ovvero i dipinti degli allievi del Carpaccio, citati da Kitchin nell’elenco delle attività veneziane in cui aveva accompagnato Leslie, ma alle quali avrebbe preferito qualche attività frivola, arrivando ad affermare “Instead of pseudo-Carpaccios I wanted my tea”.31

28 Idem. 29 Hartley, SP, p.13. 30 Ibidem, p. 46. 31

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XXXV

‘And,’ continued Lavinia, momentarily elated by the success of her ruse, ‘it contains the pseudo-Carpaccios, a notable instance, Mr Arrantoff says, of Ruskin’s faulty a priori method and want of true critical sense.’32

Un altro elemento di forte ispirazione autobiografica sembra la figura della Signora Johnstone: donna energica, volitiva e ipocondriaca, esattamente come la signora Bessie Hartley. Lavinia ammira il temperamento della madre, ma ne è allo stesso tempo succube, un po’ come è avvenuto tra Leslie e Bessie. Infatti, sono proprio le continue pressioni e ansie della madre che lo costringono a cercare un rifugio fuori da Fletton Tower, la dimora degli Hartley. La madre era una donna severa, rigida, ammetteva solo selezionatissime frequentazioni pur di mantenere il buon nome della famiglia; rigorosa nell’estetica, non apprezzava il lusso ostentato, proibiva i giochi con le carte perché immorali. Adrian Wright la descrive così:

Although not domesticated, she was a formidable manager, and had a nimble way with the housekeeping. Comfort was essential, luxury discouraged. Proper behaviour and economy were balanced.33

[…] Hartley spent his childhood in the claustrophobic atmosphere of Fletton Tower, under the never ceasing anxiety of his mother.34

They [Hartley’s parents] discouraged excitement and delight, distrusting pleasure and ostentation.35

32

Hartley, SP, p. 13.

33

Wright, Foreign Country, p. 21.

34

Ibidem, p. 22.

35

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XXXVI

Qui di seguito sono riportate alcune efficaci descrizioni della Signora Johnstone in SP, che ne sottolineano l’autorità e il forte temperamento – con affettuosa ironia dell’autore:

‘Where is my gondola?’ that lady demanded, her eye sweeping the Grand Canal with such authority that her daughter thought the craft must rise, like Venus, from the waves.36

Mrs Johnstone’s blameless desire that people should not get the better of her generally ended, Lavinia knew, in her getting the better of them.37

The unknown alarmed her [Mrs Johnstone] and she never paused to think how she, in her turn, would have alarmed the unknown.38

‘You cannot be too careful. Our station in life is associated with a certain point of view and a certain standard of conduct. Once you get outside it, anything may happen to you. People like that may easily put ideas into your head, and then it’ll be no good coming to me to get them out.’39

E poi c’è l’ipocondria, elemento ricorrente in moltissime opere di Hartley e che sembra proprio il riflesso dell’ansia e dell’eccessiva preoccupazione di Bessie per la salute, sua e dei figli. In SP la Signora Johnstone trascorre la maggior parte del soggiorno veneziano a letto con emicranie o presunti raffreddori. Il lettore deduce che sia una consuetudine della Signora

36 Hartley, SP, p. 8. 37 Ibidem, p. 12. 38 Ibidem, p. 17. 39 Ibidem, p. 31.

(28)

XXXVII

Johnstone grazie alla lettera dell’amica di Lavinia, Elizabeth Templeman, la quale scrive:

At ten, say, go and have a straight talk with your mother; tell her to get up, there’s nothing the matter with her, and she’s only wasting her time in bed.40

La coincidenza tra elementi biografici ed elementi diegetici unitamente alla dichiarazione rilasciata al giornalista41 danno ulteriore credito all’ipotesi che, come Lavinia ricorre ad uno pseudonimo per celare il suo alter ego, anche Hartley userebbe Lavinia per parlare di sé. Una descrizione tanto profonda e dettagliata della psicologia e dell’animo di un personaggio in così breve tempo consente in effetti di ipotizzare che l’autore stia in realtà analizzando se stesso: la frustrazione di Lavinia, i suoi dubbi, le perplessità e le contraddizioni sarebbero in realtà il riflesso dell’inquietudine di Leslie.

Costante non trascurabile nell’analisi dei testi di Harltey, e nello specifico di SP, è la presenza di uomini di bell’aspetto, appartenenti alla classe lavoratrice (autisti, camerieri, gondolieri, etc.), che generalmente fanno da catalizzatori di emozioni e consapevolezza emotiva nei protagonisti, rappresentanti dell’aristocrazia o dei ceti alti. Come avviene nei suoi libri, anche nella realtà la vita di Hartley era costellata di personaggi simili: aveva una vera e propria fissazione per il personale di servizio, che sceglieva a prescindere dalle referenze, soprattutto in base all’aspetto fisico, e generalmente erano uomini celibi. Questo gli provocò non pochi problemi, poiché, a causa della mancanza di referenze, finiva per

40

Ibidem, p. 73.

41

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XXXVIII

assumere individui poco professionali e piuttosto sinistri.42 Inoltre, il sospetto che tra Hartley e i suoi dipendenti si sviluppassero anche relazioni di tipo sessuale lo conferma Francis King anni dopo la sua morte, proprio in un’intervista con Wright:

There was one manservant, very handsome, but tough-looking and dangerous, as if he’d just come out of prison. Leslie gave me the impression he might have had sex with him. When he left the room, Leslie said, ‘Hasn’t he got a wonderful figure?’ Leslie liked to hear about my exploits, but I could never be totally frank with him as I could with Clifford [Kitchin]. I always thought Leslie slightly effeminate – he was given to giggling a lot – but not enough to be sent up in the streets.43

Hartley manifestava grande ammirazione per quelle figure, che diventavano materia prima per le sue opere. Il tema del rapporto tra padrone e dipendente comincia proprio in SP passando per The Go Between fino a The Harness Room, dove la componente sessuale del rapporto passa da velata a esplicita. In SP Emilio viene descritto con profonda ammirazione e particolare enfasi per la bellezza del suo corpo e dei suoi movimenti. Lavinia Johnstone giunge a Venezia forte delle sue convinzioni morali, dettate dalla rigida educazione puritana e dalle convenzioni sociali. Leggendo un saggio sull’amore, non riesce a comprendere quello che l’autore sta descrivendo, perché non lo ha mai provato sulla sua pelle: è fermamente convinta invece che se mai si sposerà, sarà solo per soldi.

42

Jones, L. P. Hartley, p. 141.

43

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XXXIX

‘The pinnacle of eligibility on which I sat, and to which in a month I must return, was, and no doubt again will be, festooned with offers of marriage. They affected me no more than an invitation to dinner, except that I was harassed by having to take some of them seriously. I am absolutely immune from love. If I marry, it will be from consideration of convenience.’ 44

Tuttavia a contatto con la bellezza sensuale di Emilio, il suo gondoliere, la giovane sente quelle idee vacillare: non si rende subito conto di cosa le stia succedendo, perché sono sensazioni nuove. Lavinia è una ragazza di ventisei anni, come ci fa sapere la madre, e il fatto che non abbia ancora trovato un marito è alquanto insolito per l’epoca. Anche Leslie Hartley visita Venezia per la prima volta a ventisei anni, e anche lui fino a quel momento non sembra aver mai conosciuto il sesso. L’amico Kitchin lo invita nella città lagunare nella speranza di aiutarlo a comprendere meglio la propria sessualità e a vivere più liberamente l’omosessualità. È assai probabile che anche Hartley fosse rimasto affascinato dalla bellezza rude e sensuale dei gondolieri, dai loro corpi scolpiti dalla dura attività fisica. La frustrazione di Lavinia diventa un crescendo che si palesa con sbalzi di umore sempre più evidenti e violenti: è combattuta tra la morale e la repressione dell’impulso sessuale nei confronti di Emilio. Quella stessa frustrazione sembra scandire la vita di Hartley, il quale non si sposa e non arriva mai alla concretizzazione di relazioni sentimentali; anche Edward Jones percepisce la frequente trattazione della sessualità, più o meno esplicita, nelle opere di Hartley come sintomo di un problema personale di fondo:

44

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XL

As if always somewhat suspicious of instinct and spontaneity, Hartley usually portrays passion, particularly adult sexual passion, as an invitation to disaster. […] Sexuality as a component of adult characterization presents difficulties for Hartley, and certain ambiguity on such matters is pervasive of his work.45

Francis King scrisse in occasione della morte di Hartley un articolo commemorativo in cui, con grande candore e discrezione, spiega il motivo di quella frustrazione e il paragone con E. M. Forster vuole alludere garbatamente all’omosessualità di Hartley e alle sue difficoltà ad accettarla.

Had he been a man less scrupulous about not offending convention or shocking his friends, there is no doubt, like E. M. Forster’s, his books would have been very different. But the tension set up between what he wanted to say and what he felt was sayable by a man of his position and age may, I suspect, have helped to generate the extraordinary electric energy that powers his finest works. Late in his career he began to be more explicit; but even over “The Harness Room” he worried aloud in my presence whether this or that friend might not be shocked and disgusted by it.46

Come per Lavinia, è ipotizzabile che anche per Hartley il soggiorno veneziano e il contatto con l’esuberanza e la sensualità degli Italiani, in questo caso dei veneziani, abbia messo a dura prova i forti valori morali a cui si è sempre attenuto, scatenando quei conflitti interiori così ben descritti

45

Jones, L. P. Hartley, p. 20.

46

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XLI

in SP. Il contrasto con la morale e le convenzioni che impedisce a Lavinia di arrivare all’oggetto del desiderio è ancora più evidente se si mettono a confronto alcuni brani di SP con alcune descrizioni di Hartley:

Brought up as he claims he was on the theories of John Stuart Mill concerning man’s moral responsibilities, Hartley shuns for himself and his characters sybaritic indulgence.47

Hartley worked to pattern his life with moral probity. 48

She could face the reproaches of her friends, the intimate disapproval of her conscience; they were part of her ordinary life. But the enmity of convention was outsider her experience, for she had always been its ally, marched in its van. She could not placate it because it was implacable; its function was to disapprove.49

Self-examination looks askance upon forbidden delights and morbidity is a force making for righteousness: away with it.50

Dal confronto dei brani sopraccitati emerge una chiara sovrapposizione ideologica e comportamentale tra Lavinia e Leslie. La sensazione che Lavinia sia in realtà il Doppelgänger di L. P. Hartley va affermandosi e permane fino alla fine della novelette. La protagonista, infatti, cede alle emozioni e decide di dichiararsi a Emilio, il quale, per nulla stupito e del tutto impassibile, cambia rotta e si addentra in canali sempre più stretti e

47 Jones, L. P. Hartley, p. 18. 48 Ibidem, p. 19. 49 Hartley, SP, p. 75. 50 Ibidem, p. 45.

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XLII

nascosti, probabilmente diretto verso un luogo appartato. Nel momento in cui Lavinia realizza cosa sta per accadere comincia a farsi prendere dal panico e ad affliggersi per quello che i suoi avi avrebbero pensato di lei; così, tormentata dai dubbi e dai rimorsi, ordina a Emilio di ritornare in albergo. Nel descrivere la scena, Hartley utilizza una sequenza di immagini allusive dell’atto sessuale che provocano un senso di disgusto in Lavinia. Ritornando quindi all’affermazione di Jones, nell’esito della vicenda si possono leggere con discreta certezza le difficoltà di Hartley nell’affrontare la sua sessualità. Lo stesso Kitchin, dopo aver letto SP, scrive a Hartley dicendosi deluso per il finale:

‘No one can fail to appreciate the formal perception, the splendid style, and the graceful but austere logic of its crescendo and accelerando. I cannot, of course, help regretting the volte-face at the end.’51

Come spiega Wright52, Kitchin evidentemente riconosce nella disonestà emotiva di Lavinia la stessa disonestà di Hartley: come la protagonista inventa SP per proteggere se stessa e prendere distanza dalle critiche, così Hartley inventa Lavinia. Nel “vivisezionare l’animo” della giovane bostoniana, per citare l’espressione usata da Melchiori53, Hartley sta in realtà vivisezionando se stesso, e da questa operazione emergono temi cari all’autore non solo per suo interesse, ma in quanto questioni morali e sociali che lo riguardano personalmente: la tradizione, le convenzioni, il peccato, la volontà, sono tutte questioni che hanno segnato profondamente la personalità e la vita di Hartley.

51

Wright, Foreign Country, p. 87.

52

Idem.

53

Giorgio Melchiori, «Tradizione Americana e Romanzo Inglese», Studi Americani, 1 (1955), p. 68.

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XLIII

2.5 Tematiche principali

Come si è visto nel paragrafo precedente, SP è un romanzo breve che, nonostante le sue ottantaquattro pagine, offre importanti spunti di riflessione sulla vita di Hartley, passando attraverso temi che sono diventati i Leitmotiv delle sue opere. Il particolare interesse e il coinvolgimento emotivo di Hartley per quanto espresso in SP lo conferma lo stesso autore nell’intervista in occasione dell’uscita di The Go Between di cui si è già parlato.

SP si può definire una sorta di Bildungsroman, in cui la giovane e ingenua protagonista, modello di solidi principi morali, scopre la passione e il desiderio: Lavinia di fronte a quelle sensazioni nuove e sconosciute si trova inerme, sente venir meno tutte le certezze e la consapevolezza di agire per il meglio. Lavinia incorre in una vera e propria crisi di identità, provocata dalla messa in discussione di quei valori di cui era la più orgogliosa rappresentante, valori in cui aveva sempre creduto e che erano l’eredità più preziosa della famiglia, in antitesi con quello che stava diventando la società dell’epoca, la quale prediligeva l’apparenza e il benessere materiale all’integrità morale.

In his [Emilio’s] place appeared all the generations of the Johnstones, sincere, simple, grave from the performance of municipal and even higher functions, servants of their own time, benefactors of the time to come.54

54

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XLIV

The matter of genealogy was common knowledge: it was a bond to hold them together, not a standard for others to fall short of. It was domestic, this society to which they belonged, it was respectable, it was as democratic as an aristocracy could well be. And stil, though threatened on all sides by an undifferentiated plutocracy, it kept its character, it preserved its primness, its scrupulosity, its air of homemade and old-fashioned, without gloss or glitter.55

‘We didn’t take things lightly,’ she boasted, ‘we made life hard for ourselves. We thought that prosperity followed a good conscience, not, as they think now, that a good conscience follows prosperity. We did not find an excuse for wickedness in high places.’56

Come afferma Bloomfield57, la sensibilità di Lavinia e il profondo rispetto per la sua famiglia e le persone care diventano i suoi peggiori nemici. Esattamente come avviene per Hartley.

Nel percorso verso la consapevolezza dell’amore e della sessualità Lavinia si trova ad affrontare questioni controverse fondamentali, alle quali molto spesso non sa dare risposte certe. Hartley, infatti, è un grande osservatore, che raccoglie ed elabora informazioni senza, però, voler trarre conclusioni o giudicare, pur essendo un moralista, e limitandosi a registrare quanto appreso: è il lettore che giudicherà alla fine.

Il primo importante tema trattato in SP è quello della tradizione. Per Hartley tradizione significa passato, le certezze e il conforto di solidi valori

55 Ibidem, p. 77. 56 Ibidem, p. 78 57 Bloomfield, L. P. Hartley, p. 8.

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XLV

morali in contrapposizione ai dubbi e all’inquietudine del Ventesimo secolo. Lavinia si trova a dover fare i conti con un passato a cui è legata per tradizioni, cultura e formazione, ma allo stesso tempo guarda al presente e ne è affascinata. Anche Hartley è legato alla tradizione, socialmente e culturalmente – suo padre gli leggeva Shakespeare e la Bibbia. Il significato che Hartley dà al concetto di tradizione viene perfettamente riassunto nel celebre incipit di The Go-Between: “The past is a foreign country: they do things differently there”. Il primo cenno sulla tradizione avviene durante una discussione tra Lavinia e la signora Johnstone sulle teorie di Ruskin, che Lavinia giudica prive di reale senso critico:

‘In most cases, as you have told me more times than I can count, the tradition is all we have to go on. Ruskin went on it, I go on it, and you will, if you are sensible. But I’m afraid sense is not your strong point, Lavinia. […].’58

Poco prima Lavinia spiega perché la madre apprezza così tanto Ruskin:

‘Mamma thinks he [Ruskin] is [right], because his judgements follow her beliefs; my beliefs, if I could entertain any, would follow my judgements, if I could be certain what they were.’59

In questo caso la signora Johnstone intende per tradizione tutto quello che è convenzionalmente e socialmente considerato giusto, il suo modo di giudicare è coerente con le sue convinzioni, anche Ruskin è in linea con le sue idee, perché segue la tradizione. Lavinia, al contrario, non è sicura di

58

Hartley, SP, p. 14.

59

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XLVI

credere in quello che le è stato detto di credere perché così vogliono la società e le convenzioni, e, pertanto, non è nemmeno sicura di trovarsi d’accordo con il famoso critico d’arte – proprio come in A Room With View. La signora Johnstone diventa quindi il simbolo della tradizione e della società del Diciannovesimo secolo, in antitesi con Lavinia, che invece rappresenta la nuova società e le sue incertezze. Il concetto di tradizione riappare quando Lavinia, che aveva mentito alla madre per restare qualche giorno in più con Emilio, si sente in colpa nei confronti dei suoi avi e della loro impeccabile condotta morale nel corso dei secoli:

But any closer identification, any claim on their long-preserved integrity, any assumption that she, for what now she would give up, was entitled to take her place beside them – this, their grave displeased faces, still circling about her, positively forbade. She might trade on their name, but their good will, the vitality of their tradition, could never be hers.60

In questo caso, “vitality of their tradition” indica l’orgoglio e la forza con cui i suoi avi hanno portato avanti i valori morali in cui credevano, mentre l’azione disonesta di cui lei si è macchiata le preclude di diventarne proselite. Per Hartley la tradizione vuol dire serenità interiore in opposizione alle tendenze del Ventesimo secolo che, discostandosene, mettono in dubbio la stessa civiltà, i suoi valori e le certezze.

While fully conscious of the social, psychological and moral dislocations of the twentieth century which have disrupted civilization and cast doubt on its existence and continuance, Hartley seems to hold the

60

(38)

XLVII

Jamesian notion that it takes an endless amount of history to make even a little tradition, an endless amount of tradition to make a little taste, and an endless amount of taste, by the same token, to make even a little tranquillity.61

Quello della tradizione si collega direttamente ad un altro tema chiave trattato in SP e in altre opere di Hartley: il peccato. Il contrasto interno vissuto da Lavinia tra l’io privato e l’io sociale – che si riflette nel contrasto esterno tra Lavinia e la madre – scaturisce dalla scoperta di emozioni e desideri facenti parte della natura dell’uomo, e, quindi, sono legati alla propensione naturale dell’uomo per il peccato. In tutte le sue opere Hartley ha sempre dimostrato grande interesse per il lato oscuro dell’uomo, che trova sfogo soprattutto nei suoi racconti gotici, ma che riceve grande attenzione anche nei suoi romanzi più realistici. Nel caso specifico di SP, Lavinia arriva al peccato perché sente l’esigenza di vivere in pieno l’esperienza del desiderio e della passione (anche se in realtà non riuscirà a soddisfarla) che la porta a deviare dalle norme sociali e dalle convenzioni.

Infected by his [Emilio’s] high spirits, exalted into a mood she did not recognise, Lavinia stretched out her hand for the bottle and smiled into his eyes. Their exquisite mockery, the overtone of their glitter, annihilated time. Lavinia passed beyond thought into a stellar region where all sensations where one. Then the innumerable demands of life swarmed back and settled upon her, dealing their tiny stings.62

61

Jones, L. P. Hartley, p. 33.

62

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XLVIII

È il contatto con l’esuberanza e la sensualità dell’Italia che trascina Lavinia da uno stato di iniziale innocenza alla consapevolezza del peccato, rappresentato da un amore proibito per un uomo che occupa gli ultimi posti della scala sociale e la cui concretizzazione nell’atto sessuale porterebbe la protagonista alla distruzione.

He [Emilio] smiled when you smiled, generally. He took you where you wanted to go. He forced nothing upon you. He demanded nothing of you. He had no questions, he had no replies. At every moment he was accessible to pleasure; at every moment, unconsciously, he could render pleasure back; it lived in his face, his movements, his whole air, where all the charms of childhood, youth and maturity mingled without losing their identity.63

Nel momento in cui Lavinia diventa consapevole dei sentimenti inizia una parabola discendente verso la catastrofe: prima tratta male Stephen Sleucis, poi la povera parrucchiera e infine sua madre, arrivando a mentirle pur di rimanere a Venezia qualche giorno in più. Lavinia conclude che la persona che era stata fino a quel momento sia solo il riflesso di quello che gli altri e la società volevano: una bella facciata che nascondeva il suo io privato, il suo lato oscuro.

I have always been, and always shall be, the kind of character the last few days have proved me to be: I am the Lavinia who was cruel to Stephen, who snapped the head off a poor hairdresser, who shocked her mother with an indecent word, and imperilled her health with a lie, who worried

63

(40)

XLIX

two boon companions into disclosing a scandal as untrue as it was vile. This is the house Lavinia has built, and a proper pigsty it is; but real, quite real, unlike the decorous edifice whose pleasing lines are discernible in the pages of this diary and which is a fake, a fallacious façade with nothing behind it.64

La scoperta dell’esistenza di una doppia personalità in Lavinia viene enfatizzata a livello narrativo dalla creazione di un Doppelgänger: Simonetta Perkins.

Un terzo elemento che entra in gioco quando Lavinia raggiunge la consapevolezza del peccato è la volontà. Lavinia ad un certo punto comprende l’origine del suo malessere e del suo conflitto, e si domanda se il desiderare qualcosa di sbagliato senza però realizzarlo si possa considerare peccato.

I thought, if the will is corrupt, that is enough to damn you. Try to thwart the will, try to control it, try to reform it: I have tried. […] To want to do wrong without doing it is concupiscence: it is in the nature of sin, but not sin. Isn’t that a quibble? And it’s cold comfort to be told that abstinence is concupiscence, and is in the nature of sin. […] However I argue it I shall still believe that the act does make the difference; if I wanted to throw myself off the Woolworth building, and didn’t, it would not be the same as if I wanted to and did.65

Hartley non vuole giudicare e non prova a dare una risposta alle domande che si pone Lavinia: sa che la natura umana è corruttibile, macchiata dal

64

Ibidem, p. 49.

65

Riferimenti

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