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PARTE PRIMA: PRESENTAZIONE DELL’AUTORE E DELL’OPERA.

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Academic year: 2021

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PREMESSA.

BIBLIOGRAFIA D’AUTORE.

Per una bibliografia delle varie edizioni delle molteplici opere di Luigi Gualtieri mi sono riferito in primo luogo ai tre principali cataloghi bibliografici italiani anteriori all’istituzione della BNI: CLIO (che copre esattamente tutto il XIX secolo), Pagliaini (che copre gli anni dal 1847 al 1899) e CUBI (che copre invece quelli dal 1886 al 1957). Tra i tre il CLIO è sicuramente il più completo; quindi riporterò, in primo luogo le notizie provenienti da questa fonte, e poi per ogni opera aggiungerò le eventuali integrazioni specificando il catalogo bibliografico di provenienza. Per gli anni superiori al ’57, mi sono riferito alla BNI che segnala solo l’edizione Bietti, ’73 de L’Innominato.

La bibliografia sarà riportata per intero nelle note del primo capitolo secondo la successione cronologica della biografia dell’autore; tuttavia, visto il grande numero di opere ed edizioni presenti, viene qui ripetuta in un apposito catalogo strutturato in ordine alfabetico.

Dello stesso autore esistono anche altre opere e altrettante pubblicazioni, non segnalate da CLIO, Pagliaini e CUBI; queste verranno evidenziate in neretto nelle note (del primo capitolo), ma non saranno però riportate nel seguente catalogo, che si attiene infatti alle tre principali bibliografie di riferimento.

Catalogo bibliografico.

L’ordine dei vari titoli è, come in CLIO, quello alfabetico senza l’articolo. All’interno di ogni voce le varie edizioni sono divise per editore1 e quindi ordinate cronologicamente. Le eventuali informazioni provenienti dagli altri due cataloghi non sono integrate con le altre, ma si trovano invece presentate, secondo lo stesso ordine, al termine di ciascuna voce. Sia editore che luogo di pubblicazione non sono indicati qualora risultino ripetitivi e la

1 Questi sono a loro volta ordinati cronologicamente secondo la data delle loro prime edizioni di

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sola indicazione cronologica preceduta da un trattino basta in questi casi ad indicare l’edizione specifica.

Inoltre tra le varie edizioni, relative a ciascuno dei romanzi della “serie dell’Innominato”, se ne trova sempre una evidenziata in neretto che corrisponde alla pubblicazione da me effettivamente consultata. Queste sette edizioni costituiscono dunque il riferimento bibliografico per tutte le successive note al testo riportanti solo il titolo del libro in questione.

- L’abnegazione: dramma, Milano, Borroni, ’63. Pagliaini: Sanvito, ’64. - L’amazzone, Milano, Sanvito, ’65.

- Amore e fede: leggenda storica, Milano, Guglielmini, ’57.

- I bevitori di sangue: romanzo storico, Milano, Bietti, ’86. CUBI: Bietti,

1905- Bietti, 1932.

- La biscia dei Visconti: romanzo storico, Milano, Guglielmini,

’58-Barbini, ’80- Wilmant, ’80. Pagliaini: Ronchi, ’58. - Bologna sotterranea, Bologna, Gamberini, ’50. - La campagna, Milano, Battezzati, ’70.

- Il capo delle cento tribù. Storia milanese del tempo dei Galli, Milano, Oliva, ’57.

- La città del sole: romanzo storico, Milano, Bietti, ’85. CUBI: Bietti, 1905-Bietti, 1933.

- Il consiglio dei dieci, Milano, Sanvito, ’72.

- La contessa di Cellant: dramma, Milano, Barbini, ’99.

- Daniele Manin, ossia Venezia nel ’48: dramma storico, Milano, Sanvito, ’62.

- Dio e l’uomo: romanzo storico, Milano, Sanvito, ’61- Battezzati, ’72- ’82-Barbini, ’77- ’82- Garbini, ’82- s. n., ’83- ’95- Paolo Carrara, (’87)2- ’93. CUBI: Carrara, 1905- Bietti, 1934.

- I dodici visconti signori di Milano: romanzo storico, Milano, Guglielmini, ’57.

- Il duello: dramma, ’64- Milano, Sanvito, ’73.

2 L’edizione di Dio e l’uomo (Milano, Paolo Carrara, ’87), da me reperita nella biblioteca civica di

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- Le fasi del matrimonio: commedia, Milano, Sanvito, ’63.

- La figlia di Ras Alula, o le notti abissine: romanzo, Milano, Bietti, ’88. CUBI: Bietti, 1903.

- La figlioccia di Cavour: romanzo contemporaneo, Milano, Bietti e Micca, ’81.

- La forza della coscienza, ossia davanti alla corte d’assise: dramma, Milano, Borrroni, ’63. Pagliaini: Sanvito, ’64. CUBI: Barbini, 1909.

- La forza irresistibile: romanzo contemporaneo della trilogia Madama Adele e La gabbia di ferro, Milano e Buenos Aires, Bietti, ’89.

- La gabbia di ferro: romanzo contemporaneo, Milano, Bietti, ’87. - Guerra d’Africa: romanzo, Milano, Bietti, ’95. CUBI: Bietti, 1903. - Gulnara la corsa, Milano, Sanvito, ’63.

- L’Innominato: romanzo storico, Milano, Battezzati, ’57- ’66- ‘77- Brasca, ’57- Bettoni, ’70- Politti, ’72- Garbini, ’82 (anche edizione con illustrazioni di Nicola Senesi)- Barbini, ’82- Paolo Carrara ’92. CUBI: Carrara,

1905-Bietti, 1933. BNI: 1905-Bietti, 1973.

- Madama Adele: romanzo sociale, Milano, Bietti, ’85.

- Malebranche: romanzo storico, Milano, Bietti e Micca, Bietti, ’83-’93. CUBI: Bietti, 1904- 1932.

- Memorie di Ugo Bassi, Bologna, Monti, ’61- Alberoni, ’62.

- Memorie di Vittorio Emanuele II re d’Italia, Livorno, tip. S.Belforte, ’92-93.

- I misteri dell’inqusizione di Spagna, dramma, collaborazione con Scalvini, Milano, Barbini e Pancelletti, ’82- Barbini, ’96. CUBI: Barbini (Wilmant), ’89- Barbini (Borroni), 1902.

- I misteri di Buenos Aires, Milano e Buenos Aires, Bietti, ’92. - Misteri d’Italia, Bologna, Tip. delle Muse, ’49.

- Il Nazzareno. Codice copto-sanscrito volgarizzato, Miano, Sanvito, ’65-’69. CUBI: Soc. edit. La Milano, 1904.

- Un ora d’amore: farsa, Firenze, Salani, ’75. - Oreste: tragedia, Napoli, S. Rocco, ’72.

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- Pape Satan: romanzo storico, Milano, Bietti, ’84. CUBI: Bietti, 1905-1933.

- I parenti: commedia, Milano, Sanvito, ’63.

- I piombi di Venezia. Romanzo storico, Milano, Guglielmini, ’58- Sanvito, ’64- ’72- Bettoni, ’67- Carrara, ’75- Barbini, ’80- ’83- ’88. Pagliaini: Milano, Bestetti, ’72. CUBI: Bietti, 1905- Bietti, 1934.

- La presa di Palermo: racconto storico, collaborazione con Scalvini, Milano, Wilmant, ’61. Pagliaini: Cioffi, ’61.

- Shakespeare: dramma, Milano, Sanvito, ’58.

- La signora di Monza: dramma storico, collaborazione di Scalvini, Milano, Barbini, ’82.

- Silvio Pellico e le sue prigioni: dramma, Milano, Sanvito, ’62- Firenze, Tip. Salani, ’94.

- Lo spiantato commedia, Milano, Sanvito, ’63. Pagliaini: ’64. - Gli studenti di Eidelberga: dramma, Milano, Bettoni, ’69.

- L’ultimo papa, Milano, Sanvito, ’64- Bettoni, Brigola ’67- s. n., ‘84. - La vita nomade, Milano, Battezzati, ’70.

CAPITOLO PRIMO.

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Luigi Gualtieri, noto anche con gli pseudonimi di Conte di Brenna3 o Duca d’Atene4, nacque a Saludecio il due aprile 18275, figlio di Isabella Donati e Lorenzo Gualtieri, medico del paese.

Verso i 20 anni, in seguito alla morte del padre e spinto dalla necessità economica, decise di abbandonare gli studi di diritto intrapresi all'università di Bologna per dedicarsi professionalmente alla letteratura cominciando così a comporre romanzi e drammi d’argomento storico e contemporaneo. A Bologna videro la luce le prime opere, ispirandosi allo stile d’autori come A.Dumas o E. Sue sui quali aveva compiuto la sua prima formazione: nel '49 riuscì infatti a far pubblicare, con un certo successo, il romanzo Misteri

d'Italia presso la Tipografia delle Muse.6 Lo stesso anno combattendo a Cornuda diede prova di quel fervente patriottismo che ritroviamo nei suoi libri quando, come scrisse Danelli, “moveva guerra con suo pericolo a coloro che reputava nemici d’Italia”7.

Nel '50 vide poi la luce Bologna sotterranea presso l'editore Gamberini e quindi nel '55 Bologna rediviva8 entrambi romanzi vicini al diffuso genere dei Misteri.

Sempre a Bologna, su invito del marchese Pepoli, fu capo redattore del giornale letterario “L'incoraggiamento. Teatri, letteratura, arti” (uscito in ventisei numeri ogni giovedì dall’8 novembre 1855 al 3 maggio 1856) che

3 Brenna secondo il Dizionario biografico degli italiani; Brena secondo il Dizionario biografico degli scrittori contemporanei De Gubernatis; Brenne secondo l’articolo necrologico in Il pensiero di Sanremo, 8 dicembre 1901.

4 Con tali pseudonimi (con probabile riferimento al capitano angioino Gualtieri di Brienne duca

d’Atene) si lasciava chiamare dagli amici nonostante fosse un convinto democratico.

5 Altre fonti indicano come data di nascita l’anno 1825; lo stesso Danelli segnala addirittura il 2

aprile del ’25 in necrologio in Il pensiero di Sanremo, 8 dicembre 1901. Io qui tuttavia preferisco riferirmi a quanto scritto nel Dizionario biografico degli italiani per il fatto che, tra le fonti indicate alla fine della voce dedicata all’autore, troviamo proprio il Registro battesimi dell’archivio parrocchiale di Saludecio.

6 Anche presso l’editore Battezzati in 12 volumi sempre lo stesso anno secondo il De Gubernatis.

Inoltre nell’introduzione a Pape Satan Gualtieri stesso parla di questa sua prima prova. Da quanto dice emerge che l’opera era stata affidata circa sette anni prima all’editore bolognese Gamberini, e che questi ne aveva fatto una collana a dispense di quarantotto volumi pubblicati in tre anni (tra i quali il fortunato Adele di Misene).

7 Proff. Danelli in necrologio in Il pensiero di Sanremo, 8 dicembre 1901.

8 Bologna rediviva viene segnalata dal Dizionario biografico degli italiani ma non dai principali cataloghi bibliografici; la stessa cosa vale anche per una riedizione del ’53 di

Bologna sotterranea. Piancastelli invece segnala per Bologna sotterranea le edizioni del ’51 e

’52; e per Bologna rediviva le edizioni ’52 e ’55 (in I promessi sposi nella Romagna e la

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si presentava a punto come un “incoraggiamento a tutti coloro che si adoperano al nobile e generoso scopo di rigenerare il nostro teatro”9. Questo invito venne seguito dallo stesso Gualtieri che in quegli anni esordì ufficialmente come scrittore drammatico.

Di tale esordio dà notizia il Costetti, noto drammaturgo, che nelle pagine delle sue Confessioni di un autore drammatico10 racconta, in modo ironico ecolloquiale, “i romantici errori della sua prima gioventù in compagnia dell’autore dell’Innominato”, lasciando così anche una viva testimonianza di quello che era l’ambiente teatrale di quel periodo. Nel terzo capitolo parla di come, “ancora nella luna di miele de primo successo”, fece “conoscenza e presto amicizia con Luigi Gualtieri”; ma soprattutto di come, dipingendogli “così vivamente le emozioni della scena” riuscì a convincerlo a “tentare un gran colpo”: creare, a due mani, “un dramma che chiami al teatro tutta Bologna”.

Gualtieri infatti sino ad allora non aveva pensato al teatro ma “si arrabattava nel mestierismo letterario componendo romanzi d’argomento locale”. Nel ’54 venne dunque scritto, e poi rappresentato dalla compagnia di Cesare Asti, La morte del conte di Monte Cristo che effettivamente, nonostante “l’arte bambina e la mostruosità dell’insieme”, fu applaudito dal pubblico bolognese proprio “perché opera di bolognesi, e non per altro”. Nel IV capitolo vediamo come, incoraggiato dall’effimero successo (soprattutto a livello economico), Gualtieri compose alcune altre opere per l’Asti. Con questi si recò, prima a Parma, per la quale “aveva preparato un

Parmigianino, dramma di apologia locale che non dispiacque”; e poi a

Firenze, dove invece gli studenti di Santa Maria Nuova “fecero giustizia sommaria” del Monte Cristo.

A seguito del meritato fallimento “la questione economica si fece così stringente che la compagnia si sciolse” e Gualtieri fu rivisto nuovamente a Bologna, “ritornato pedestre da Firenze, in arnese da cui trapelava (con evidenza) il disgusto per l’arte drammatica…”. Tuttavia, prosegue Costetti,

9 Nota redazionale di Luigi Gualtieri apparsa sul primo numero. 10 Bologna, N. zanichelli, 1883.

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“sepolto una buona volta per tutte Il conte di Monte Cristo all’ombra del cupolone di Brunellesco…evocammo dalle remote pagine della storia il nuovo nostro protagonista”. Il secondo dramma composto dai due amici fu infatti un Nerone che venne rappresentato per la prima volta nel ’55, sempre a Bologna, dalla compagnia del capocomico Astolfi. L’opera incontrò sicuramente qualche difficoltà con la censura se Costetti può scrivere che “nella libertina Torino si proibiva, per alto sentimento di moralità, quanto l’ignoranza o peggio aveva fatto permettere alla censura di Sua Santità ed al Sant’Uffizio”. Tuttavia ancora una volta l’opera piacque, “scosse e atterrì” il pubblico, “quelle gradinate gremite di popolo” che era convenuto in teatro nonostante, proprio in quei giorni, una terribile epidemia si fosse affacciata alle porte della città mietendo vittime anche nell’ambiente del teatro (fra cui lo stesso Astolfi).

Costetti tuttavia, pur ironizzando qui, a distanza di anni, sul valore artistico di questi primi lavori che definisce addirittura scellerataggini (soprattutto il

Monte Cristo), sembra invece, in Il teatro italiano nel 180011, apprezzare abbastanza altre opere composte non molti anni dopo dal solo Luigi Gualtieri. Infatti, nel punto in cui passa a parlare del giornale bolognese

L’incoraggiamento, coglie l’occasione per tessere un breve elogio

dell’amico il quale a suo dire “ebbe pel teatro un ingegno immaginoso e fertile dei più efficaci espedienti ond’ha vita uno scenico componimento”; e parla positivamente di alcuni dei suoi principali drammi: Lilia, Silvio

Pellico, Il duello e La forza della coscienza.In appendice è infine presentato un elenco completo delle opere drammatiche del Gualtieri in cui compaiono anche alcuni titoli non compresi nei cataloghi bibliografici.

Collaborò successivamente con Cantù alla compilazione della Grande

illustrazione del Lombardo-veneto edita a Milano tra il '57 e il '61. Nel

proemio anteposto all’opera, Gualtieri individua la rivitalizzazione narrativa degli eventi passati come caratteristica peculiare del suo impegno, dovuta da una parte all’amore per la ricerca d’archivio, dall’altra un’attenzione

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costante alla contemporaneità che passa sempre attraverso l’osservazione diretta della realtà.

Fu la fortuna dei romanzi editi sempre a Milano nel ‘57, soprattutto

L’innominato12 e Il capo delle cento tribù. Storia milanese del tempo dei

Galli13, ma anche I dodici visconti signori di Milano14 e Amore e fede15, a sancire una duratura collaborazione con gli editori di questa città e a garantirgli un certo successo di pubblico. Così a questi, nell’anno successivo, si aggiunsero I piombi di Venezia16 e La biscia dei Visconti17, nonché due opere teatrali: Shakespeare18 e Padroni e servi19.

Presumibilmente già da circa un decennio il Gualtieri si era inserito, poco più che ventenne, nell’ambiente romantico milanese degli anni subito successivi al ’48 distinguendosi per le sue bizzarrie come l’uso degli pseudonimi o gli interessi spiritistici. Con queste ultime prove fece suoi gli aspetti più vistosi e sensazionali della moda letteraria romantico-risorgimentale riproponendo una versione del languente filone del romanzo storico postmanzoniano arricchita di suggestioni nuove attinte dagli emergenti generi popolari d’oltralpe, e aggiungendovi un certo anticlericalismo ribellistico di marca tipicamente scapigliata.

Sin dagli esordi, si delineano chiaramente quelli che saranno i tratti distintivi della sua produzione artistica: sempre varia e abbondante, ma mai troppo curata a livello formale. E’ lo stesso Costetti a scrivere: “Fantasia presso che ariostesca, egli da gran signore ne ha sperperati di tesori in più e diverse manifestazioni dell’arte dello scrivere; così che alla profusa ricchezza del suo lavoro è mancata quella sapiente condensazione che sola poteva assicurarne la fama e la fortuna”; e, quasi a volersi far perdonare l’ultima affermazione prosegue ricordando che “i suoi romanzi però e in

12 Romanzo storico, Milano, Battezzati, ’57- ’66- ‘77- Brasca, ’57- Bettoni, ’70- Politti,

’72-Garbini, ’82- Barbini, ’82- Paolo Carrara ’92. CUBI: Carrara, 1905- Bietti, 1933.

13 Milano, Oliva, ’57.

14 Romanzo storico, Milano, Guglielmini, ’57. 15 Leggenda storica, Milano, Guglielmini, ’57.

16 Romanzo storico, Milano, Guglielmini, ’58- Sanvito, ’64- ’72- Bettoni, ’67- Carrara,

’75-Barbini, ’80- ’83- ’88. Pagliaini: Milano, Bestetti, ’72. CUBI Bietti, 1905- Bietti, 1934.

17 Romanzo storico, Milano, Guglielmini, ’58- Barbini, ’80- Wilmant, ’80. Pagliaini: Ronchi, ’58. 18 Dramma, Milano, Sanvito, ’58.

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ispecie L’Innominato (che ottenne lode dallo stesso Alessandro Manzoni) ebbero assai voga e numero grande di edizioni”20.

Circa in questi termini si esprimono anche altri coetanei ed amici dell’autore che ci danno un’idea di come quelle opere venissero percepite da un pubblico che accettava di buon grado la formula del romanzo popolare. Così A. Mombello dell’Associazione della Stampa di Sanremo, in un discorso ufficiale pronunciato in occasione delle esequie dello scrittore, dichiara: “Il più grande rimprovero fatto al nostro amico Gualtieri è la trascuratezza della forma per cui molto probabilmente nessuno dei suoi cento volumi sarà ricordato dopo il corso di alcune generazioni”, “ma - aggiunge poi - quante altre opere che hanno preteso all’immortalità saranno dimenticate prima delle sue!”21. Meno categoricamente ma sempre nella medesima occasione, il professor Danelli (preside del liceo Cassini di Sanremo) parlando del collega, che definisce l’Ovidio del dramma e del romanzo, nota (soprattutto per quest’ultimo genere) come lo stile e la lingua da lui utilizzati siano “non scevri di mende”, e come la veridicità storica venga fortemente piegata alle necessità di un intreccio che troppo spesso indugia su argomenti e descrizioni “un po’ troppo realistici”; “ad ogni modo”, aggiunge poi, è innegabile “ch’egli diverte sempre mentre qualche romanziere più recente e più decantato ci annoia”, e questo perché “egli rifulse sempre per una fantasia originale e meravigliosa”22, grazie alla quale alcuni personaggi e alcune creazioni sono rimasti indimenticabili.

Ad onta di questi successi tuttavia solo due anni dopo Gualtieri, giovandosi della raccomandazione dell'allora ministro dell'interno Minghetti, fece richiesta per l’assegnamento di una cattedra in uno dei licei del nuovo stato italiano; cattedra che, essendogli stata assegnata a Sassari, finì comunque per rifiutare.

Tornò così a scrivere pubblicando nel '61, come continuazione de

L’Innominato, Dio e l'uomo23, secondo romanzo di quel vasto ciclo di cui

20 G. Costetti, Il teatro italiano nel 1800, Rocca San Casciano, Licinio Cappelli, 1901. 21 In “Il pensiero di Sanremo”, 8 dicembre 1901.

22 In “Il pensiero di Sanremo”, 8 dicembre 1901.

23 Romanzo storico, Milano, Sanvito, ’61- Battezzati, ’72- ’82- Barbini, ’77- ’82- Garbini, ’82- s.

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faranno parte anche I piombi di Venezia (che si andranno ad inserire come terzo libro nella nuova edizione del ’64*), Malebranche (1883), Pape Satan (1884), La città del sole (1885) e I bevitori di sangue (1886). Sempre dello stesso anno sono anche altri due romanzi d’argomento risorgimentale composti in occasione dell'avvenuta unificazione nazionale: Memorie di

Ugo Bassi24 e La presa di Palermo25.

In quel periodo il Gualtieri fece la conoscenza della celebre attrice Giacinta Pezzana26 che diventò presto sua moglie (e da cui ebbe la figlia Ada) e lo influenzò non poco, almeno in un primo tempo, spingendolo a dedicarsi ancora di più alla scrittura teatrale a discapito di quella romanzesca.

Sono, infatti, dell'anno successivo due fortunati drammi sempre d’argomento risorgimentale: Silvio Pellico e le sue prigioni27 e Daniele

Manin, ossia Venezia nel ’4828 che inaugurano anche un felice sodalizio con l’editore milanese Sanvito, il quale si occuperà di quasi tutte le pubblicazioni del Gualtieri per i prossimi tre anni.

Sono affidati quindi principalmente alle sue cure i drammi e le commedie di argomento vario apparsi nel ’63, che si possono considerare in tale ambito tra le migliori prove dell’autore: Le fasi del matrimonio29, Gulnara la

corsa30, I parenti31, Lo spiantato32, L’abnegazione33e La forza della

coscienza, ossia davanti alla corte d’assise34. A questi si aggiungono l’anno

24 Bologna, Monti, ’61- Alberoni, ’62.

25 Racconto storico, collaborazione con Scalvini, Milano, Wilmant, ’61. Pagliaini: Cioffi, ’61. 26 Pezzana Gualtieri Giacinta nacque a Torino nel 1841 da una ricca famiglia di commercianti;

sposò il Galtierieri subito dopo il ’60 quando, agli inizi della sua splendida carriera, recitava ancora nella compagnia di Rossi e Dondini. Attrice versatile ed intensa, di bellissimo aspetto, fu tra le migliori del suo tempo; viaggiò lungamente, soprattutto in America, riscotendo sempre grandi successi; calcò le scene fino ad oltre sessant'anni prima di ritirarsi presso Catania dove morì quasi ottantenne nel 1919.

27 Dramma, Milano, Sanvito, ’62- Firenze, Tip. Salani, ’94. 28 Dramma storico, Milano, Sanvito, ’62.

29 Commedia, Milano, Sanvito, ’63.

30 Gulmona secondo Cristaldi in introduzione a L’Innominato, Milano, Bietti, ’73. 31 Commedia, Milano, Sanvito, ’63.

32 Commedia, Milano, Sanvito, ’63. Pagliaini: ’64. 33 Dramma, Milano, Borroni, ’63. Pagliaini: Sanvito, ’64.

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successivo, sempre presso lo stesso editore, il romanzo L’ultimo papa35 e il dramma Il duello36; e quindi nel ‘65 Il Nazzareno37, e L’amazzone 38.

Dopo la metà degli anni sessanta, la fertile creazione artistica del Gualtieri sembra conoscere una battuta d’arresto almeno al confronto con l’esuberante produzione immediatamente precedente. I “pochi” nuovi drammi e romanzi usciti, assieme alle riedizioni delle precedenti opere più fortunate, sino ai primi anni ‘80 risultano essere di genere vario e caratterizzati da un’altrettanto varia collaborazione editoriale: Gli studenti

di Eidelberga39, La vita nomade40?, La campagna?41, Oreste42, Il consiglio

dei dieci 43, “Un ora d’amore”44, “La figlioccia di Cavour”45, La signora di

Monza46 e I misteri dell’inquisizione di Spagna47. Inoltre il “Dizionario biografico degli scrittori contemporanei”, edito nel ’79, accenna ad un romanzo in via di pubblicazione dal titolo “Le anime” che sarà forse uscito in quegli anni, ma di cui non vi sono invece altre tracce bibliografiche. Nel 1882 Luigi Gualtieri si trasferì definitivamente a Sanremo, vistosi finalmente assegnare in questa città la tanto sospirata cattedra con la nomina di reggente di letteratura italiana presso il liceo Cassini. Qui si era “rifugiato coi ricordi della sua vita irrequieta, della giovinezza laboriosa, dei trionfi di giorni lontani, s’era acquistato per la bontà estrema dell’animo suo, talvolta anche ingenuo negli entusiasmi e nelle sue esagerazioni, molto affetto non

35 Milano, Sanvito, ’64- Bettoni, Brigola ’67- s. n., ’84.

36 Dramma rappresentato nel 1864 ma edito dallo stesso Sanvito solo nel 1873. Inoltre Cristaldi

segnala una prima rappresentazione del ’57 (in op. cit.)

37 Codice copto-sanscrito volgarizzato, Miano, Sanvito, ’65- ’69. CUBI: Soc. edit. La Milano,

1904.

38 Milano, Sanvito, ’65.

39 Dramma, Milano, Bettoni, ’69. 40 Milano, Battezzati, ’70. 41 Milano, Battezzati, ’70.

42 Tragedia, Napoli, S. Rocco, ’72. 43 Milano, Sanvito, ’72.

44 Farsa, Firenze, Salani, ’75.

45 Romanzo contemporaneo, Milano, Bietti e Micca, ’81.

46 Dramma storico, collaborazione di Scalvini, Milano, Barbini, ’82. In nota 100 de I promessi

sposi nella Romagna e la Romagna nei promessi sposi (Il Mulino, 2004), è segnalata invece per

la prima edizione: Milano, Barbieri, ’82.

47 Dramma, collaborazione con Scalvini, Milano, Barbini e Pancelletti, ’82- Barbini, ’96. CUBI:

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solo da parte degli studenti, ….ma anche di molti fra i cittadini che l’apprezzavano per il suo ingegno originale, per la conversazione spontanea e piena di brio”48.

Risale all'anno successivo la rottura del rapporto con la moglie (che, stanca di impegnare le proprie sostanze per pagare i debiti di gioco del marito, decide infine di abbandonarlo) e il conseguente abbandono della scrittura drammatica ad esclusivo vantaggio di quella romanzesca.

Intanto, a partire dal 1883 sino alla fine del decennio, sembra riaccendersi quella fertile vena creativa che aveva caratterizzato la giovinezza dell’autore. Nuovamente viene prediletta una specifica scelta editoriale e fu la casa editrice milanese Bietti a pubblicare le numerose opere di quegli anni (responsabile peraltro anche delle riedizioni novecentesche delle principali opere).

In questi anni Gualtieri rimette mano alla fortunata serie dell’Innominato a cui, nell’ambito di una tarda rifioritura del genere storico, si vanno ad aggiungere gli ultimi quattro romanzi usciti consecutivamente a scadenza annuale sino all’86: Malebranche49, Pape Satan50, La città del sole51 e I

bevitori di sangue52.

Nella breve dedica anteposta a Malebranche (datata 1883) è Gualtieri stesso a parlarci di sé facendo un po’ il punto della situazione di questi anni e di questa nuova fase della sua vita. Racconta qui la sua vecchiaia, condotta nel “piccolo eden di San Remo”, come una sorta di “postuma gioventù” riversata nel lavoro letterario, e confortata da uno spirito epicureo e da una sempre più convinta fede spiritistica. Anche i rapporti con la moglie e la figlia, ormai lontane in Sud America, sembrano comunque essere molto buoni e l’autore parla infatti con piacere dei rapporti epistolari con i suoi “esseri adorati”53.

48 Necrologio in “Il pensiero di Sanremo”, 8 dicembre 1901.

49 Romanzo storico, Milano, Bietti e Micca, ’83- Bietti, ’83- ’93. CUBI: Bietti, 1904- 1932. 50 Romanzo storico, Milano, Bietti, ’84. CUBI: Bietti, 1905- 1933.

51 Romanzo storico, Milano, Bietti, ’85. CUBI: Bietti, 1905- Bietti, 1933. 52 Romanzo storico, Milano, Bietti, ’86. CUBI: Bietti, 1905- Bietti, 1932.

53 Fa cenno qui anche all’amicizia con Felice Cavallotti e Reggiani; e viene poi annunciata, in nota, la prossima pubblicazione d’un racconto d’argomento spiritistico: Terra e cielo.

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La dedica del romanzo successivo è rivolta proprio alla figlia Ada (“ora fortunata sposa Gravano”), da poco sposata e residente a Montevideo. Anche qui tuttavia Gualtieri parla ancora di sé e, citando un passo dalle sue memorie inedite54, ci racconta per esteso del suo esordio letterario a soli 15 anni: quando, costretto dalle ristrettezze economiche seguite alla morte del padre, riuscì finalmente a far fruttare la sua arte ottenendo, con il romanzo I

misteri d’Italia, un contratto triennale presso l’editore bolognese Gamberini.

Anche La città del sole si apre in forma di dedica, stavolta all’indirizzo della moglie, e conferma nuovamente i buoni rapporti che, a distanza di due anni dalla separazione, intercorrono tra i due. E infine ancora una dedica apre l’ultimo romanzo: qui Gualtieri, rivolgendosi allo scrittore Raffaele Villari, riprende nuovamente il discorso della “postuma gioventù”, e si compiace con l’amico della nuova ed abbondante produzione letteraria: “Non ti pare, mio caro Villari… che invece di declinare noi acquistiamo maggior fuoco ed impeto e gagliardia nelle nostre passioni, e che diamo mano ad un più serrato lavoro?”.

Quasi contemporaneamente viene progettata e realizzata anche una nuova serie, una trilogia di argomento contemporaneo, composta da: Madama

Adele55, La gabbia di ferro56, e La forza irresistibile57. A questi si aggiungono poi altri due romanzi ispirati alla guerra d’Africa: La figlia di

Ras Alula, o le notti abissine58, uscito anch’esso alla fine degli anni ’80, e

Guerra d’Africa59, che vede la luce invece nel ‘95.

Per il resto nell’ultimo decennio del secolo giungono a pubblicazione solo poche altre opere isolate: I misteri di Buenos Aires60, le Memorie di Vittorio

Emanuele II re d’Italia61 (argomento su cui tenne anche una conferenza in Sanremo il giorno 11 novembre 1901, circa un anno prima di morire) e

54 Vita e miracoli: memorie inedite. 55 Romanzo sociale, Milano, Bietti, ’85.

56 Romanzo contemporaneo, Milano, Bietti, ’87.

57 Romanzo contemporaneo, Milano e Buenos Aires, Bietti, ’89. 58 Romanzo, Milano, Bietti, ’88. CUBI: Bietti, 1903.

59 Romanzo, Milano, Bietti, ’95.CUBI: Bietti, 1903. 60 Milano e Buenos Aires, Bietti, ’92.

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infine il dramma La contessa di Cellant62, estrema prova dell’autore che ormai anziano si avvicinava alla fine dei suoi giorni.

Luigi Gualtieri si spense infatti, a seguito di una lunga malattia, in Sanremo la domenica del primo dicembre del 1901 all’età di settantasei anni.

Ne danno tempestivamente notizia alla nazione i due sintetici necrologi apparsi il giorno successivo su “La Stampa” e su “Il corriere della sera” che sembrano in tutto attenersi (al di là di quello che è il dato prettamente cronachistico) a quanto scritto nella voce dedicata all’autore dal celebre

Dizionario De Gubernatis; a questi si associano poi altri giornali a grande

tiratura come “Il Secolo” di Milano (del 7 dicembre) o “Il Secolo XIX”. Tuttavia solo sulle colonne (nel numero dell’otto dicembre) del settimanale locale “Il pensiero di Sanremo”, su cui anche lo stesso Gualtieri scriveva articoli “cari e leggeri come rosee nuvolette” (Danelli), troviamo un più ampio articolo in omaggio all’estinto collega e concittadino. Salutato come “il romanziere illustre…che profuse nella stampa locale le creazioni vive della sua inesausta intelligenza”, si dice poi che “suo vivo desiderio era di spegnersi tra i fiori e l’azzurro di questo paese, sua seconda patria” e così, accortosi “negli ultimi tempi che la vita gli sfuggiva, con una fede immensa in Dio ed in un avvenire migliore, con suprema calma e rassegnazione aspettò l’ora estrema che passò serena e senza sofferenze”.

Ricordato come “spiritista caldo e appassionato”, il necrologio prosegue dicendo “oltre all’uomo d’ingegno, si spense…un amico caro e buono che lasciò in retaggio la ricordanza di tutto il segno di bontà fidente, di pensiero, di lavoro incessante”. Segue la descrizione del funerale al quale, si dice, era convenuta una “folla grandissima che volle dimostrare l’affetto al defunto accompagnandone la bara sino al limitare ove il rogo doveva ridurre in cenere le spoglie mortali, -e qui- vennero pronunciati elogi in diverso metro da numerosi ammiratori e discepoli” (trascritti per intero nel loro effettivo ordine). Infine troviamo espresso il proposito (a nome della compagnia Renzi-Gabbrielli e dell’associazione della stampa) di “dedicare la serata di

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Martedì ad una solenne commemorazione”, consistente nella rappresentazione del dramma La forza della coscienza, “uno dei più pregevoli lavori dell’illustre rimpianto”, e nella devoluzione di “parte del ricavo all’erezione d’un ricordo marmoreo che si sarebbe dovuto collocare preferibilmente nell’atrio del teatro civico.

I discorsi pronunciati dagli amici sulla salma del defunto, al di là della retorica del momento, danno comunque un’idea di quanto questo fosse apprezzato e stimato anche da persone tra di loro profondamente diverse sia ideologicamente che per convinzioni religiose. Così il professor Vespasiani (a nome del circolo spiritistico Campanella) saluta con un simbolico arrivederci “l’amico geniale e gioviale, il poeta dell’idealismo trascendentale”, ma soprattutto “lo spiritista veramente convinto” (“tanto da attirarsi talvolta perfino lo scherzo ed anche il dileggio dei più”), per il quale in Sanremo addirittura “fu gettata la prima pietra di questa nuova scienza”. Anche il preside Danelli, dopo aver ricordato per sommi capi la sua instancabile attività professionale, si associa a quell’arrivederci per chi, ”pensatore ed in pari tempo éternel enfant”, “magnificò lo spiritismo” come “prova dell’immortalità dell’anima e dell’esistenza di Dio”. Sullo stesso tono viene poi il ringraziamento degli studenti per il professore che, vista “la gioventù crescere indifferente, incuriosa, fredda, senz’anima”, tentò “porre un rimedio a tanta rovina” indirizzandola “ad una meta più nobile e più grande…, l’Idea, l’Idea generatrice di quel pensiero che fu chiamato raggio di Dio”. Mombello, invece, come portavoce dell’Associazione della Stampa, in contrasto con l’oratore che lo ha preceduto, dichiara di non ammettere l’immortalità dell’anima individuale ma solo quella “del pensiero e delle opere per le tracce indelebili che lasciano e che dall’anima collettiva sono raccolte e trasmesse”. Proprio in questo senso considera quindi l’opera del Gualtieri, in cui “non v’ha un pensiero, non una parola che non sia un inno al bello, al buono, al vero”, come qualcosa di estremamente benefico e destinato ad una lunga sopravvivenza. Per mezzo del signor Rubino infine, anche la loggia Massonica (di cui il Gualtieri evidentemente doveva fare parte), mantenendosi del tutto estranea a qualsiasi considerazione di tipo

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religioso o trascendentale, porge l’estremo addio dei fratelli della Libera Muratoria in nome di quella “fede che ha per bandiera il glorioso trinomio Libertà Uguaglianza, Fratellanza”.

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CAPITOLO SECONDO.

BREVE INTRODUZIONE ALLA SERIE DELL’INNOMINATO:

UN CONFRONTO TRA DUE GIUDIZI DIVERSI.

La serie dei sette romanzi che vanno a comporre il “ciclo dell’Innominato” racconta un’unica lunga vicenda variamente concatenata e affronta con essa fatti e aspetti culturali di un secolo di storia italiana. L’intreccio prende le mosse in Milano l’ultimo giorno di carnevale del 1555 (inizio de

L’Innominato) e si conclude giusto il primo gennaio 1654, giorno in cui

Innocenzo X muore e si sciolgono i vari percorsi narrativi (fine de I bevitori

di sangue).

Alla sua composizione il Gualtieri si interessò, se pure in modo molto discontinuo, per quasi della sua vita. Così dal ’57 al ’64 vengono pubblicati

L’Innominato e, sulla scia del primo successo, gli altri due romanzi che

concludono le avventure di questo personaggio; poi nell’83, a un ventennio di distanza, l’intreccio si riapre con gli ultimi quattro libri, usciti tutti entro l’86, e tutti incentrati sulla figura di Malebranche, nuovo protagonista e anello di congiunzione ideale tra la prima e la seconda parte della serie. L’intera opera nel suo complesso può essere considerata la prova migliore e più conosciuta di questo autore, e quindi anche metro di paragone per determinare la sua posizione all’interno del panorama letterario italiano della seconda metà dell’800 (almeno per quanto riguarda il particolare genere del romanzo storico).

In tal senso C. Piancastelli, in I promessi sposi nella Romagna e la

Romagna nei promessi sposi fa una radiografia abbastanza chiara della

situazione quando osserva come una delle più vistose e discusse caratteristiche dell’intera serie, la critica anticlericale, si vada a configurare anche come scelta di campo all’interno di una determinata gamma di possibilità operative, oltre che come necessità espressiva propria degli autori stessi. Così, là dove passa in rassegna quattro scrittori romagnoli di tardi romanzi storici, Veròli, Bianchi, Donati e Montazio, nota (a proposito

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di Donna Olimpia Panphili di quest’ultimo) come, quando il romanzo storico “si trovò d’aver esaurito le sue possibilità, allora cercò sfuggire al fato incombente allettando il pubblico con lo stimolo delle teorie anticlericali e antireligiose, come fu il caso del Montazio e più del Gualtieri…oppure col contro stimolo delle tesi antiliberali e antinazionali”; e arriva poi alla conclusione che, “volendo tenersi distante da questi due estremi, il romanzo fuggiva nella più remota antichità, ovvero si trasformava in narrazione storica in cui la parte storica era in assoluta prevalenza su quella fantastica, perdendo così ogni sua ragione d’essere”63. Il primo libro della serie, L’Innominato (uscito a dispense nel ’5764, e poi in volume sempre lo stesso anno), si presenta, secondo la moda del romanzo ciclico, come ampliamento, sviluppo e contestualizzazione della storia di un personaggio già molto noto. L’Innominato manzoniano, così carico di fascino e di mistero, fornisce il destro al Gualtieri per costruire una figura tipicamente romanzesca65 dove uno spirito nobile, fiero e perseguitato si associa mirabilmente ad una componente avventurosa e rocambolesca di sicuro effetto. E’ indubbio (come sottolinea anche Cristaldi nell’introduzione all’edizione del ‘73) che il successo da bestseller che l’opera ha incontrato al suo primo apparire sia da attribuire in primo luogo al suo essersi posta esplicitamente nella scia del romanzo storico postmanzoniano, averlo intessuto dei primi fermenti di quel ribellismo che sarebbe poi divenuto fenomeno di costume in ambiente scapigliato, e quindi calato in quello stile romantico alla francese d’immancabile presa sul grosso pubblico.

Di tale bifrontismo Piancastelli sembra volerne far una colpa all’autore che, accusato di opportunismo, viene trattato a parte rispetto agli altri scrittori romagnoli suoi contemporanei, collocato “in un luogo separato”, e questo

63 Piancastelli: I promessi sposi nella Romagna e la Romagna nei promessi sposi, Bologna, (Stabilimenti poligrafici riuniti, 1924) Il mulino, 2004; p. 119.

64 Cristaldi in p. 8 op. cit. parla di una prima edizione a dispense con disegni di Nicola Senesi risalente al ’57. Di tale pubblicazione non vi sono tuttavia altre conferme bibliografiche: per il ’57

sono ricordate infatti dai cataloghi solo le edizioni in volume Brasca e Battezzati; mentre per la pubblicazione con disegni di Nicola Senesi è citata solamente l’edizione Garbini, 1882.

65 Piancastelli in nota 96 (op. cit.) segnala tra i romanzi del Montazio un Innominata che tuttavia

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perché - a detta sua - in lui “non troviamo nuovi esempi di quel tanto di influenza che il Manzoni esercitò sui nostri scrittori, ma abbiamo un caso del tutto diverso; abbiamo un tale che con intendimenti e per scopi nemmeno artistici, ma di ambizione presuntuosa o di speculazione commerciale pura o amalgamata con accorgimenti di setta, s’impossessa dell’opera del Manzoni e ne trae profitto, mantenendosi affatto estraneo, anzi ostile”66. A proposito di tale estraneità rispetto all’alto spirito dell’opera manzoniana non abbiamo dubbi (come sottolineerà anche il professor Danelli); parlare di ostilità è invece forse un po’ eccessivo, visto che lo stesso Manzoni sappiamo lodò personalmente il Gualtieri per questo libro67.

I successivi due romanzi sono Dio e l’uomo (1861) e I piombi di Venezia, quest’ultimo, edito per la prima volta nel ’58, viene poi ripresentato in nuova edizione nel ’64 per essere così inserito al terzo posto nella serie. Qui troviamo tratteggiata la vita e le gesta del personaggio, ormai sulla via della conversione68, mentre intanto assumono sempre più rilievo figure e storie secondarie legate in vario modo con quella dell’eroe principale ma pur sempre disponibili a risoluzioni narrative autonome. L’effetto che ne risulta (e che era comunque già evidente sin dal primo libro) è quello della creazione di un universo tanto vasto quanto privo d’unità, simmetria e proporzioni, sullo sfondo di un intreccio complesso e macchinoso.

Quanto appena detto vale anche per quella seconda parte della serie, inaugurata nel 1883 con il romanzo Malebranche, e completata poi dagli altri tre che vi si aggiungono, usciti tutti di seguito a scadenza annuale presso l’editore Bietti: Pape satan (’84), La città del sole (’85) e I bevitori

di sangue (’86). Infatti, nonostante le date di pubblicazione possano far

pensare ad un lavoro creativo presumibilmente continuo, difficilmente si

66 Piancastelli: op. cit., p.126.

67 Ce lo dice Costetti in: Il teatro italiano nel 1800 (Rocca San Casciano, Licinio Cappelli editore,

1901), p. 288.

Lo stesso Gualtieri, nell’introduzione a L’Innominato, ricorda il suo incontro avuto con Manzoni, tuttavia su questo colloquio mantiene un tono alquanto riservato: “Male corrisponderemmo alla gentilezza con la quale volle onorarci l’inclito scrittore, se vi narrassimo alla distesa il colloquio avuto con lui”

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possono individuare (anche in queste ultime quattro prove) le tracce di una ponderata e misurata architettura complessiva: anche qui il solo elemento di unità e continuità risiede esclusivamente nella figura del nuovo protagonista (e della sua ristretta cerchia di amici) che subentra all’Innominato quando questi, uscendo progressivamente di scena69, passa il testimone al suo maestro e servitore Malebranche70.

Il nuovo eroe incarna (ancor più e ancor meglio del suo predecessore Bernardino) un personaggio divenuto fenomeno di costume in ambiente scapigliato71, “uno dei soliti tipi di furfanti tenerissimi di cuore e di sentimenti nobilissimi” che - osserva Piancastelli – qui risulta essere “fratello carnale” di Passerino Buntempo, un’altra creazione dello stesso autore che spicca nel dramma dell’anno prima La Signora di Monza. Questi dunque, assecondato da un’incredibile serie di colpi di fortuna porta a termine un’infinità di avventure che lo conducono sino al soglio pontificio; e da qui - come vediamo negli ultimi tre libri - tenendo personalmente le fila delle molteplici situazioni narrative che si intrecciano tra loro, tenterà poi una vasta riforma della chiesa in senso illuminato destinata però a rimanere inattuata dopo la sua morte.

Tratto distintivo comune di ogni azione o parola dei due principali personaggi della serie, e di quanti di volta in volta gravitino attorno a loro, è quello spirito di giustizia generoso e audace che si realizza sempre nell’aiuto verso il debole e trova come bersagli prediletti l’ipocrisia della chiesa cattolica e la prepotenza della nobiltà, soprattutto spagnola, con esso connivente.

In questo senso l’autore solidarizza pienamente con le sue creazioni (in quello che si può considerare l’intento morale sotteso), e queste fanno tutt’uno con la questione sociale, politica e religiosa assumendo quindi un’importanza fondamentale. Su tali argomenti infatti non si limita

69 Bernardino muore alla fine di Malebranche per ricomparire un attimo solo molto più avanti

come spirito.

70 Il nome trae origine, secondo Pancastelli, o da un filosofo francese del XVII secolo; o, più

probabilmente, da alcuni diavoli danteschi (nota 99 op. cit.).

71 Cristaldi in tal senso sottolinea anche il successo del romanzo di quegli anni Il contrabbandiere

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semplicemente ad attaccare, criticare e demolire lo stato vigente delle cose ma propone anche nuovi possibili sviluppi.

Così anche a fronte dell’ostentato anticlericalismo, che in parte si può considerare una ovvia scelta di campo, si fa strada anche un’idilliaca forma di cristianesimo alternativo “esercitato in tutta la sua semplicità e secondo le primitive istruzioni”72, nelle intenzioni molto prossimo a motivi luterani. Che la critica religiosa in generale costituisca poi per il Gualtieri un’importanza che va al di là del semplice adeguamento ad una moda del momento appare abbastanza evidente anche da un passo del romanzo Dio e

l’uomo in cui rivolgendosi direttamente ai lettori dichiara espressamente di

scrivere solo per quelle “anime ragionevoli” e quei “cuori cristiani, ch’abbiano solidità di principi da sostenere la vista del male senza corrompersi e il coraggio di tener dietro alla lotta di questo disperato Titano contro il vero Giove”.

Alla questione religiosa si connette anche la fede spiritistica sinceramente professata dall’autore e in questo caso si può dire attraversi trasversalmente tutta la serie riaffiorando come tematica di riferimento costante nei passi più importanti e nei punti cruciali della storia.

Il discorso più propriamente socio-politico si risolve (soprattutto nelle pagine del quarto libro), unitamente alla polemica anticlericale, essenzialmente come esaltazione di uno spontaneo ed eroico sentimento patrio. Di esso si fa interprete in primo luogo il fiero nazionalismo della lega di nobili lombardi, idealmente vicini al Visconti, che ci viene qui presentata come ultimo baluardo opposto dall’orgoglio italico al dilagante dominio straniero.

A tale riguardo un filantropico atteggiamento populistico d’ascendenza laico-repubblicana sembra essere la direzione a cui, secondo l’autore, dovrebbe tendere un popolo idealmente e legalmente libero da vincoli e costrizioni, quale appunto è, per esempio, l’ideale società agricola che vediamo costituirsi nella valle di Terrazzano.

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Il dato storiografico si rivela sin dall’inizio come una necessità imprescindibile per l’autore e questo spiega perché vengano impiegati documenti storici veri o presunti di ogni tipo, talvolta solo citati o riservati alle note, altre volte riportati in porzioni anche considerevoli, a cui si aggiungono analisi topografiche, toponomastiche, archeologiche, sociologiche ecc…tutte tese a consolidare quell’idea di concretezza storica che dovrebbe essere il presupposto di tali romanzi. Tuttavia il vasto apparato storiografico, pur costituendo la struttura portante dell’intera opera, non trova adeguata integrazione con essa e si risolve generalmente in lunghe parti descrittive quasi a sé stanti atte più allo sfoggio di dati eruditi che a suscitare la realistica impressione di un tempo e di un luogo.

A questo proposito Cristaldi sottolinea come “il Gualtieri, diventando romanziere, porta nelle sue pagine di artista… il suo rigore di erudito”, tanto da apparire in certi passi “quasi un pioniere di quello che oggi viene definito romanzo-saggio”73; mentre Piancastelli aveva notato invece come tali passi siano sostanzialmente avulsi dal resto del narrato e a questo, quanto a resa storica, viene imputata la totale inverosimiglianza e soprattutto la “mancanza di colore sia nel quadro d’insieme, sia nei particolari”.

L’invenzione romanzesca, apparentemente fertile, risulta essere frutto di una fantasia a tinte forti ma povera d’espedienti, che infatti, osserva ancora Piancastelli, “non sa trovar di meglio che annodar gli eventi, e lo fa più volte, intorno a due fatti, il travestimento in finzione di un dato personaggio, e la violenza carnale; una di queste inaugura il primo volume e una sigilla il quattordicesimo”.

Quindi l’intreccio, pur complesso e addirittura dispersivo, finisce poi con l’appiattirsi in un’estenuante ripetizione di analoghe situazioni: si ripete così ciclicamente la tragedia dell’Innominato che è all’origine di quella inarrestabile spirale di violenza, vero filo conduttore dell’intera serie; ma si ripetono altresì luoghi letterari accessori e di consolidata fortuna come l’epidemia, il rapimento, la fuga dal carcere o dal chiostro, la tortura, il

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processo, l’usurpazione dei beni, gli autodafè, e ancora gli equivoci e gli scambi d’identità, le spettacolari agnizioni, l’innamoramento a prima vista, la falsa amicizia e il tradimento, la vendetta, i duelli, l’eccezionale eroismo ecc… In ciascuno di questi casi i modi di costruzione del discorso narrativo sembrano accostarsi di volta in volta a moduli già codificati da coevi sottogeneri romanzeschi contribuendo anche stilisticamente a determinare quel frammentismo che rafforza l’effetto di dispersione complessiva.

Il romanzo d’avventure in particolare costituisce un fondamentale riferimento continuo tanto da concorrere effettivamente con il genere storico alla determinazione della struttura generale della serie: infatti sono riconducibili a questo, non solo particolari situazioni narrative (come le ricorrenti azioni rocambolesche), ma addirittura la struttura stessa dell’intreccio così vasto, articolato, pieno di colpi di scena e soluzioni sospese.

Il rapporto con i personaggi è lineare e di segno non problematico: la fissità dei ruoli consente l’attribuzione di un carattere fisso e inalterato sin dal primo affacciarsi sulla scena, in virtù di una precodificata tabella di modelli umani alla quale l’autore sembra sempre attenersi scrupolosamente.

Ad onta di questo schematismo, bisogna però ammettere (con Cristaldi) che in alcuni casi “il Gualtieri si rivela sempre buon psicologo”, per cui alcune sue creazioni (come sostiene il Danelli) non paiono assimilabili ad alcun modello e si possono dire indimenticabili.

Tuttavia spesso avviene che personaggi, sia principali che secondari, benché mirabilmente tratteggiati, perdano poi, al di fuori della sfera descrittiva, i loro connotati peculiari perché, come osserva Piancastelli con severità eccessiva, “mentre sono presentati pur con un loro carattere individuale, agiscono poi con la più assoluta incoscienza di loro stessi e degli avvenimenti cui sono mescolati”.

Questo, più della tipizzazione caratteriale, compromette il costituirsi dell’illusione realistico psicologica di una personalità che, per assecondare

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le necessità dell’intreccio, va a perdere sempre più in compattezza e credibilità.

Per quanto riguarda la lingua, Cristalli la riconduce, forse con eccessiva benevolenza, a quella della fase tosco-lombarda dell’eloquio manzoniano. Nella realtà su questa base si vanno poi ad innestare latinismi, citazioni, parole o costruzioni sintattiche inconsuete, settoriali o pedantesche tra le quali l’autore ama destreggiarsi ostentando una cultura accademica talvolta poco consona al tono generale della narrazione.

In questo senso il personaggio di Malebranche, ex maestro di scuola appassionato di cultura classica, diviene una sorta di alterego metatestuale dell’autore nonché una tribuna privilegiata per ogni sorta di virtuosismo linguistico dalla quale i grandi poeti del passato come Dante e Virgilio non cessano di commentare puntualmente la storia con le loro celebri frasi. Il discorso si sviluppa infine tutto nella terza persona (secondo la consuetudine del genere storico) del narratore onnisciente che qui coincide piuttosto uniformemente con la voce di un autore indiscreto che prende spesso la parola direttamente sia per chiarire e commentare i fatti narrati sia per accennare spunti polemici extratestuali e talvolta per farsi persino pubblicità per le successive pubblicazioni.

L’introduzione di Cristaldi e le pagine di Piancastelli si possono considerare i principali riferimenti per una valutazione critica dell’intera serie. Benché al primo non sfugga come “il racconto vada talvolta incontro a cadute di tono e a squilibri”, tuttavia la prefazione eccede nella benevolenza, anzi nella generosità, e si colloca quindi in una posizione antitetica rispetto alla dura stroncatura data a tutta l’opera, circa un cinquantennio prima, dal Piancastelli.

Probabilmente il motivo di una tale disparità di giudizio si fonda anche su ragioni di ordine ideologico: Cristaldi sembra infatti simpatizzare per questa “opera aperta e progressista” che, messasi sulla scia dei feuillettons francesi, si fa carico delle nuove idee democratiche europee. Al contrario il

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nobile Piancastelli, mostrando una pregiudiziale avversione nei confronti del Gualtieri, sembra non tollerare la sua “impudenza” nell’ambito della critica anticlericale, e soprattutto non voler perdonare la “aggressione” e il “massacro” fatto ai danni del personaggio manzoniano e la sua ripresa in un contesto estraneo, anzi ostile, alla lezione del maestro. Lo spiega abbastanza chiaramente là dove, liquidando senza riguardo l’intera sua opera, dice che sarebbe stata “tutta roba sommersa nell’oblio… se egli non avesse stampato nel ’57 quel suo romanzo L’Innominato” che (al contrario di quanto capitò ad altri che come il Rosini74 si erano messi sulla stessa strada) “invece ebbe incontro e…l’invogliò a proseguire”75; aggiungendo poi che “la ragione dell’incoraggiante buon successo va cercata - esclusivamente - negli sfruttamenti, prima del nome di Manzoni, poi dell’anticlericalismo”.

Altre ragioni tuttavia intervengono a spiegare tale disparità di giudizi e si sommano a quelle di ordine ideologico. In primo luogo bisogna considerare che Cristaldi fonda la sua critica sul solo Innominato mentre Piancastelli, riferendosi all’intera serie, ha modo di notare come, quella che da principio sembra essere una fervida immaginazione, sia in realtà piuttosto povera d’espedienti e come gli eventi si annodino sempre attorno agli stessi fatti principali con una ciclicità disarmante che si ripete di generazione in generazione.

Inoltre è probabile che il Cristaldi, più giovane di cinquant’anni, si avvicini al romanzo seguendo un approccio letterario metodologicamente molto diverso, e che abbia quindi anche una diversa capacità di valutarlo anche nella parzialità delle sue parti senza dover necessariamente approdare ad una sintesi definitiva e totalizzante. Il che lo conduce ad affermare che “nonostante certe sue fragilità, nel panorama dei repechages oggi in voga, potrà avere per molti suoi aspetti il sapore di una scoperta non priva d’interesse”76.

Gualtieri infatti, come abbiamo visto, riutilizzando la collaudata veste dell’ormai languente romanzo storico, lo ripropone qui come ampio e duttile

74 Rosini: romanzo La monaca di Monza, 1829. 75 Piancastelli: op. cit., p. 122.

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contenitore tramite il quale esporre un collage di vari stili e modi letterari. Arriva così a creare una sorta di labirinto narrativo in cui si vanno a intrecciare i sottogeneri romanzeschi più in voga in quegli anni e di maggior presa sul grosso pubblico ma che tuttavia difficilmente trovano una compatta coesione d’insieme. Se poi a questo aggiungiamo l’innegabile frammentismo dell’intreccio e l’incoerenza tra parti descrittive o strettamente storiografiche e parti più propriamente narrative, appare dunque evidente come i risultati migliori siano da cercarsi proprio in singoli frammenti testuali anziché nella resa complessiva che sembra invece incerta, stentata e disorganica.

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CAPITOLO TERZO.

RIASSUNTO DISCORSIVO DELL’INTERA SERIE.

Libro primo: L’Innominato.

In una breve introduzione, prima sono indicati quali ideali genitori del libro il Manzoni77 e la giovane Cecilia*, poi vengono anche specificate come fonti documentarie iniziali le cronache del Ripamonti (tradotte dal Cantù) alle quali si accompagna una presunta ispezione topografico-archeologica che l’autore dice di aver compiuto personalmente nei luoghi del racconto78. La narrazione si apre quindi nella città di Milano con la descrizione dell’ultimo giorno di carnevale dell’anno 1555. Qui Eriberto Visconti e sua moglie Valentina ci vengono subito proposti in media res, mentre tentano di districarsi in mezzo alla folla festante, per essere poi presentati più dettagliatamente assieme alla loro bambina Ida.

Già nel secondo capitolo si consuma la vicenda delittuosa motore propulsivo di quella spirale di violenza che sarà in vario modo il filo conduttore di tutta la serie: il governatore di Milano Duca d’Alba (presentato subito a tinte fosche nell’ambito di una digressione sulla condizione politica della città sotto la dominazione spagnola), invaghitosi perdutamente di Valentina, la costringe con la forza a darsi a lui sotto la minaccia di ucciderle il marito.

Questi infatti era appena stato posto agli arresti con un pretesto qualsiasi, e quindi sottoposto alla tortura di modo che la donna cedesse alla vista di quei supplizi. Poi, una volta compiuta la violenza, viene prontamente lasciato e riconsegnato nelle braccia della moglie, la quale tuttavia (per salvare il proprio onore) continua a tenergli celato il motivo della sua carcerazione e soprattutto della sua liberazione. Dunque, in un primo tempo, i coniugi Visconti continuano la loro vita come se apparentemente niente fosse accaduto, ritirati presso il castello di Brivio, loro dimora preferita.

77 Accenna anche ad un incontro avuto personalmente con l Manzoni.

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Qui però Eriberto, sventato il suicidio di Valentina, apprende finalmente dalle labbra di lei il tragico segreto; e quindi, prontamente risoluto, decide di lasciare il suo paese la notte stessa ed andare a combattere gli spagnoli ed il duca d’Alba nei domini delle Fiandre.

Il filo della narrazione compie adesso un salto cronologico di sei mesi andandosi a collocare nell’amena campagna di Terrazzano dove vive il “buon” Ambrogio, fattore e fraterno amico del Visconti, assieme con la moglie Geltrude e la figlia Bianca. Questi, oltre ad amministrare ormai tutti i vasti domini del suo signore con mirabile capacità, al momento si occupa pure dell’educazione della piccola Ida coetanea e fraterna amica di Bianca mentre la madre di lei si trova indisposta per una nuova gravidanza.

Sono trascorsi infatti già nove mesi dal giorno in cui Valentina subì la violenza del duca e il frutto di quello stupro sta ormai per venire alla luce. Per quell’occasione Eriberto torna a Brivio in incognito e così assiste alla nascita di Bernardino (futuro Innominato) ed alle ultime ore della povera donna che muore infatti a seguito del parto. Tuttavia, dopo aver provveduto ad affidare il piccolo allo zio monsignor Gaspare Visconti, torna nuovamente ad inseguire la sua vendetta lasciando definitivamente la figlia alle cure paterne del buon fattore.

Si conclude così questo primo “atto della tragedia” che, a mo’ di prologo, spiega l’antefatto e pone le basi per i successivi sviluppi dell’intreccio. Il sesto capitolo ci proietta infatti sei anni dopo i fatti narrati, nuovamente nella campagna di Terrazzano, al punto in cui, sempre secondo la presentazione in media res, fa il suo arrivo a piedi un ignoto giovane stanco e malconcio che, presentatosi alle due amiche (che sono ormai due ragazze parimenti belle e buone ma di indole del tutto diversa), chiede loro notizie della vecchia nutrice Marta. Si scopre poi costui esserne il figlio Andrea che, partito in seguito alla morte del padre per studiare architettura all’estero, fa ora ritorno dopo dodici anni d’assenza.

Il felice ricongiungimento con la madre e il desiderio d’Ambrogio di edificare una villa elegante fanno sì che il giovane finisca per rimanere a

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Terrazzano con l’incarico di sovrintendere ai lavori. In questo periodo sboccia l’amore (che si coronerà solo molto più tardi) tra lui e Bianca anche se in questa prima fase si mostra più come un gioco di schermaglie.

Tuttavia in occasione dell’inaugurazione della villa, due giovani di nobile famiglia, don Ramiro e don Luigi, fanno la conoscenza di Bianca ed Ida e se ne invaghiscono a prima vista. Anche l’indole dei due amici, come quella delle ragazze è del tutto diversa: così, mentre tra Ramiro e Bianca scoppia un sentimento acceso, Luigi e Ida nutrono piuttosto un amore di tipo platonico. Andrea invece, dopo essere ferito in duello dal rivale, esce sbrigativamente di scena per ricomparire solo più tardi giocando nuovamente un ruolo di primo piano.

Il decimo capitolo si apre, con la descrizione e la storia dell’abbazia di Castello e della sua vecchia e bigotta abbadessa donna Caritea Visconti. Questa infatti, su ordine del nuovo governatore di Milano marchese d’Ajamonte (intenzionato a colpire il ribelle Eriberto negli affetti più cari), dopo aver chiamato Ida al convento, le impone di rimanervi come novizia vantando su di lei il diritto di parentela, ma concedendole tuttavia di poter godere per un tempo iniziale della compagnia dell’inseparabile amica. Bianca sin da subito tenta di convincerla con ogni mezzo a fuggire dalla clausura profittando i questo dell’aiuto dei loro intrepidi spasimanti.

Il momento propizio non si fa molto attendere infatti una visita pastorale all’abbazia di Castello dell’arcivescovo Carlo Borromeo, recante tra il suo seguito monsignor Gaspare Visconti e il giovane chierico Bernardino, sembra capitare proprio a proposito. Anche lo stesso Borromeo non trascura la situazione della povera Ida e si offre personalmente di aiutarla, incontrando però in questo la fiera opposizione da parte della potente donna Caritea.

Comunque Ramiro non si lascia sfuggire l’occasione e, combinato un incontro privato con l’amico Bernardino (ex compagno di studi), gli racconta la presunta storia della sua nascita (che a quanto pare era nota a tutti tranne che al povero chierico) dicendogli di esser figlio di quell’Eriberto Visconti che da molti anni ormai combatte gli spagnoli nelle

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Fiandre. Quindi, dopo e averlo persuaso ad abbandonare la vita religiosa per la quale non era tagliato, pianifica poi assieme a lui la fuga e il “rapimento” delle due ragazze.

La decisione della badessa di nominare Ida sua erede impone la rapida attuazione del piano: così, durante la cerimonia di vestizione, Bernardino, mostrando tutta la risolutezza che lo renderà presto celebre come il terribile Innominato, appicca il fuoco al convento, getta tra le fiamme la crudele Caritea, e segue poi i suoi amici nella fuga (il cui esito rimarrà momentaneamente in sospeso).

Con un piccolo salto spazio temporale ci troviamo adesso a Milano qualche tempo dopo nella modesta casa di Marta e del figlio Andrea (recentemente ingaggiato da Borromeo per l’edificazione del Duomo) nel punto in cui si presenta, con una visita inaspettata, il buon Ambrogio.

Questi riallaccia i fili sciolti della narrazione spiegando come, in conseguenza dei fatti di Castello, siano stati sequestrati tutti i beni di Eriberto, lui stesso posto agli arresti e la compagnia dei fuggitivi fermata; per cui Luigi e Bernardino sono ancora agli arresti, Ida è sparita e non se ne ha più notizie, mentre Bianca e Ramiro già sono a piede libero in Milano grazie alle alte aderenze di quest’ultimo.

Ambrogio ed Andrea decidono dunque di recarsi a far visita a Bianca presso il suo protettore e in quell’occasione svelano agli occhi di lei la natura subdola di costui che fondamentalmente la teneva presso di se alla stregua di una concubina confondendola con false promesse e vaghe speranze. Ormai disillusa, la povera ragazza vorrebbe abbandonare quel luogo di vergogna; sennonché un repentino dilagare di casi di peste (quella di Milano del 1576 storicamente documentata), paralizzato immediatamente ogni spostamento verso l’esterno ed ogni attività all’interno della città, la costringe a prolungare l’inopportuno soggiorno.

Intanto, proprio nel momento di massima allerta, Ida ed Andrea si incontrano per puro caso nelle sale del cardinale Borromeo dove, spinti da nobile spirito umanitario e sprezzo del pericolo, erano giunti per offrire il

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loro prezioso e generoso aiuto alla comunità proprio quando i più erano sopraffatti dal panico. Infatti Ida, che apprendiamo aver preso i voti volontariamente dopo la cattura, diverrà famosa come “suora santa” per le amorose cure prestate in tale occasione ai malati della città. Anche Andrea, disposto a rischiare tutto dopo la morte della madre, fattosi nominare capo dei monatti intende ora portare una luce d’umanità in quel mestiere e negli estremi aneliti di molte persone.

Ramiro invece, intendendo trascorrere quei giorni in modo ostentatamente gaudente e spensierato, era rimasto in città barricato nel suo castello assieme a Bianca ed a un’allegra brigata di amici.

Tuttavia ad un certo punto anche la ragazza rimane improvvisamente contagiata e, in un momento di panico generale, vediamo sopraggiungere Andrea che, piombato improvvisamente nelle sue stanze (con un’irruzione teatrale), la afferra e la sottrae da quel luogo per condurla a casa propria e curarla opportunamente.

Infine Bernardino e Luigi, che erano stati reclusi nel carcere dell’inquisizione presso il monastero delle Grazie, fingendosi malati di peste, riescono a farsi consegnare ai monatti e riacquistano così la libertà. Una volta fuori però Luigi, che nel frattempo era impazzito, viene scambiato per un untore e, separato dal compagno, sarebbe stato linciato da una folla inferocita se Ida, provvidenzialmente intervenuta, non lo avesse sottratto da quella furia e condotto in un luogo riservato. Qui tuttavia poco dopo questi troverà comunque la morte per il contagio nonostante tutte le amorose cure prestategli da lei .

Bernardino invece, più fortunato, riesce a fare la conoscenza di un curioso e strepitoso personaggio: il dottor Malebranche il quale, da semplice maestro di scuola, era riuscito a ottenere una precaria fortuna improvvisandosi protomedico in ragione della dilagante epidemia che per uno strano caso sembrava volerlo risparmiare. Questi diviene subito amico e confidente inseparabile del giovane Visconti e, dopo averlo assunto come aiutante e discepolo nella sua nuova professione, si preoccupa poi di iniziarlo ai

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