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Appendice A: La produzione di energia elettrica in Italia

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Academic year: 2021

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Appendice A:

La produzione di energia elettrica in Italia

A.1 Generalità

Per comprendere il sistema elettrico italiano nel suo complesso di apparati di produzione, vettoriamento e di utilizzo dell’energia elettrica, si partirà con l’analizzare i dati relativi agli scambi energetici italiani riferiti ad uno specifico anno, il 2002.

I dati inerenti il suddetto anno sono stati pubblicati il 19 Gennaio 2004 dal Gestore di rete di trasmissione nazionale [26]: questi attestano un fabbisogno totale di energia elettrica di circa 310,7 miliardi di KWh, mostrando un aumento dell’ 1,9% rispetto all’anno precedente. Inoltre, confermano quella che è la singolarità del parco macchine di produzione dell’energia elettrica in Italia, che vede circa l’80% della potenza netta effettivamente disponibile sulla rete nazionale provenire da impianti termoelettrici.

Nei prossimi paragrafi si analizzano gli andamenti degli scambi energetici riferiti al 2002 e si cerca di dare una spiegazione a quella che si può definire una reale anomalia del nostro paese.

A.2 La domanda di energia elettrica

Secondo i dati del GRTN nell'anno 2002 la domanda di energia elettrica (cioè la quantità che deve essere resa disponibile sulla rete per soddisfare tutte le esigenze degli utenti) ha raggiunto i 310,7 miliardi di kWh, con un aumento dell'1,9% rispetto al 2001. Tale aumento è significativo se si tiene conto della congiuntura economica che nel 2002 è stata piuttosto sfavorevole (crescita del PIL molto bassa), ma occorre dire che nel quinquennio 1995-2000 l'aumento della domanda elettrica è stato in media di oltre il 2,5% per anno.

A riguardo, è importante considerare che la domanda elettrica cresce non solo in relazione all'andamento dell'economia, ma anche all'evolversi delle personali percezioni di benessere, il che porta ad aumenti dei consumi che in parte prescindono dalla congiuntura economica: ad esempio per la climatizzazione estiva, per l'utilizzo di nuovi elettrodomestici, per il maggior sviluppo di tecnologie informatiche.

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Che si stiano modificando le abitudini al consumo è chiaramente indicato dall'analisi dei picchi mensili di domanda. Tradizionalmente i maggiori consumi elettrici si sono sempre registrati nei mesi invernali, con punta massima in dicembre. Anche nel 2002 la punta di domanda si è avuta nei mesi di dicembre (52.590 MW) e gennaio (circa 51.200 MW), ma per la prima volta la domanda nei mesi di giugno (50.974 MW) e luglio (circa 50.500 MW) ha raggiunto valori simili a quella dei mesi invernali, per non ricordare, poi, i picchi registrati nell’estate 2003 (53.105 MW richiesti il 17 luglio alle ore 11:00). Nel giugno 2002 la richiesta è stata del 4,8% superiore a quella dello stesso mese del 2001.

A conferma del fatto che i consumi elettrici italiani sono inevitabilmente destinati a crescere, si può considerare che sempre nel 2002 l’energia media pro capite per abitante ammontava a circa 5.000 kWh/anno, cifra inferiore alla media dell'Unione Europea (circa 6.500 kWh/anno). Senza parlare degli Stati Uniti, ove i consumi pro capite nel 2002 hanno raggiunto i 13.800 KWh/anno . Si riporta di seguito la tabella dei consumi pro capite per area geografica:

Risulta interessante, inoltre, constatare che il settore Terziario è quello che ha fatto registrare la migliore performance del periodo, con un incremento di domanda pari al 5,9% rispetto al 2001, seguito da quello Domestico con un +2,3%, mentre il settore Industriale è praticamente costante, con un +0,2%, e quello dell’Agricoltura è in diminuzione del 5,3%.

A livello commerciale, il mercato libero ha assorbito 98,2 miliardi di KWh, facendo registrare un aumento del 29,5%, sempre rispetto al 2001. Tale aumento è dovuto in massima parte all’ampliamento della platea dei clienti idonei, cresciuti nel 2002 di circa 13.000 unità. Al mercato vincolato (famiglie e piccole utenze aziendali), sono andati 170,5 miliardi di KWh, con una diminuzione del 9%. Complessivamente nel 2002, i clienti idonei hanno coperto il 36,6% della domanda, mentre quelli vincolati il restante 63,4%.

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A.3 La generazione di energia elettrica

Prima di passare alla descrizione dell’offerta di energia elettrica relativa al 2002, è bene ricordare la situazione della potenza istallata nel nostro paese alla fine del 2001: la potenza elettrica lorda installata in Italia ammonta a 78.787 MW (dati riferiti al dicembre 2001, ma calzanti con buona approssimazione anche alla situazione attuale). La potenza efficiente netta, detratta cioè la potenza assorbita dai servizi ausiliari di centrale e le perdite nei trasformatori, è di 76.210 MW (sempre dicembre 2001), di cui 71.337 MW da società produttrici (Enel Generazione, aziende municipalizzate, Interpower, Elettrogen, Eurogen eccetera) e 4.832 MW da autoproduttori, cioè società che consumano non meno del 70% dell'elettricità che producono. Il 73% circa di tale potenza (55.110 MW) è dovuta ad impianti termoelettrici (compresi 590 MW geotermoelettrici); il 27% circa ad impianti idroelettrici (20.346 MW) e lo 0,5% da nuove fonti rinnovabili (eolico e fotovoltaico: 369 MW).

La valutazione della potenza efficiente si basa tuttavia sul presupposto che tutto funzioni secondo i parametri di progetto: cioè che tutti gli impianti siano in perfetta efficienza, senza malfunzionamenti o guasti, che gli impianti idroelettrici abbiano una disponibilità idrica ottimale, e che il vento per gli impianti eolici sia quello giusto per quantità e qualità.

Ovviamente bisogna mettere in conto tutti questi fattori, analizzando le indisponibilità dei singoli impianti.

Nel 2001, ad esempio:

• gli impianti idroelettrici hanno registrato circa 7.000 MW di indisponibilità per ragioni idrologiche (scarsa disponibilità idrica);

• l’indisponibilità degli impianti termoelettrici è stata di circa 15.700 MW, in parte dovuta ad alcune centrali ferme per ammodernamento, in parte perchè mediamente tali impianti hanno comunque una indisponibilità del 10-15% dovuta a cause non programmate (malfunzionamenti, interventi d'urgenza, ecc.) e, in misura inferiore, per fattori ambientali o altre esigenze industriali (ad esempio degli autoproduttori, che subordinano la produzione elettrica alla disponibilità di calore degli impianti); • la produzione eolica dipende da una fonte primaria (il vento) molto discontinua per

cui, di norma, la potenza disponibile è pari al 25% di quella installata e così via. In conclusione si stima che nel 2001 si siano avuti circa 25.000 MW di indisponibilità alla punta della domanda (o anche più, secondo stime forse

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eccessivamente prudenti del GRTN), per cui la potenza effettivamente disponibile è stata praticamente pari al picco di potenza richiesta in rete. Per coprire possibili eventi accidentali o imprevisti aumenti di domanda è stato dunque necessario ricorrere a quote crescenti di importazioni dall'estero: principalmente da Francia e Svizzera. Pur considerando le importazioni, resta comunque il fatto che il margine di potenza disponibile alla punta è stato di soli circa 5.000 MW.

Questo necessario ricorso all’importazione risulta anche dai dati del 2002: in questo anno la produzione nazionale ha contribuito alla copertura della domanda con 260,1 miliardi di KWh (più 1.4% rispetto al 2001), per una quota percentuale dell’83,7%; la quota restante di domanda, pari al 16,3%, è stata soddisfatta dal saldo tra import (51,5 miliardi di KWh, +5,3%) ed export (0,9 milardi di KWh).

Per quanto attiene alla tipologia degli impianti di generazione, la produzione termoelettrica (centrali a gas, olio combustibile, carbone) ha raggiunto nel 2002 i 218,4 miliardi di KWh (+5,4% rispetto al 2001), mentre il contributo della produzione idroelettrica è stato pari a 46,6 miliardi di KWh, con una diminuzione del 12,5% rispetto all’ anno precedente. In crescita l’apporto della produzione geotermica, che è passata dai 4,3 ai 4,4 miliardi di KWh del 2001, con un più 3,0%, mentre l’eolico ha fatto registrare nel 2002 un grosso balzo in avanti: 1,4 miliardi di KWh con una crescita percentuale del 19,2%. Si riporta di seguito una tabella di sintesi del bilancio dell’energia elettrica in Italia relativo all’anno 2002, con i relativi confronti con i dati del 2001:

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Infine, sul versante delle principali fonti energetiche, il 2002 ha confermato il gas naturale quale combustibile maggiormente utilizzato per la produzione termoelettrica. Nel 2002, infatti, la quantità di energia termoelettrica prodotta con gas naturale è stata di 95,4 miliardi di KWh, a fronte di una generazione da prodotti petroliferi pari a 72,1 miliardi di KWh; 32,4 miliardi di KWh è stata l’energia elettrica prodotta con il carbone. E’ stato così confermato il trend avviato nel 2000, anno in cui il gas ha superato per la prima volta l’olio combustibile, quale fonte primaria per la produzione di elettricità. La seguente tabella è, in questo senso, esemplificativa:

In definitiva, circa l'80% della potenza netta effettivamente disponibile sulla rete nazionale (48.900 MW nel 2001) viene prodotta da impianti termoelettrici, cioè bruciando gas (38% dell'intera produzione elettrica), olio (29%) o carbone (12%). Il rimanente 20% da idroelettrico e nuove fonti rinnovabili.

Si tratta di un mix di combustibili anomalo e penalizzante rispetto ai Paesi con cui competiamo. Anche nell'insieme dell'Unione Europea, ad esempio, l'idroelettrico e le rinnovabili coprono circa il 20% della generazione, ma per il resto si ha: olio 7%, gas 15%, carbone 27%, nucleare 31%.

Questa situazione è penalizzante perchè nella produzione termoelettrica il costo del kWh dipende soprattutto dai costi variabili dei combustibili, e meno dei costi fissi di impianto e trasporto. In tal modo, ogni aumento del prezzo del greggio si ripercuote immediatamente e pesantemente sul costo del kWh prodotto da olio e gas (il cui costo è sostanzialmente legato a quello del greggio), ma non nello stesso modo per tutti i Paesi. Ad esempio, il passaggio del prezzo del greggio da 24$/barile a 34$/barile implica un aumento della parte variabile di costo del kWh del 3% in Francia, del 6% in Gran Bretagna, del 12% in Germania e di ben oltre il 30% in Italia.

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A.4 Cenni storici sulla produzione di energia elettrica in

Italia

L’anomala configurazione del parco di generazione elettrica italiano è comprensibile solo attraverso un’infungibile ricostruzione del suo sviluppo storico, notevolmente condizionato dall’evoluzione dell’intero apparato industriale del nostro paese e da determinate scelte politiche.

La storia dell’industria elettrica italiana si può suddividere classicamente in sei fasi principali:

• le origini (1881-1914);

• il periodo di potenziamento tecnico e finanziario (1915-1925); • espansione ed oligopolio (1926-1945);

• dal dopoguerra alla nazionalizzazione (1946-1962); • lo sviluppo dell’ENEL (1963-1996);

• processo di liberalizzazione e di privatizzazione. A.4.1 Le origini

Le origini del sistema elettrico italiano si possono far risalire all’otto marzo 1883, giorno in cui entra in servizio la centrale di S. Radegonda a Milano, nei locali dell’ex Teatro di Santa Radegonda situato nei pressi del Duomo. Fu la prima centrale termoelettrica d’Europa, successiva nel mondo solo a quella di Pearl Street, nel cuore di Manatthan. Vi è ancora oggi una targa commemorativa all’angolo di via S. Radegonda con Corso Vittorio Emanuele.

La vera consacrazione delle possibilità offerte dal vettore energia elettrica avvenne, però, qualche mese dopo in occasione dell’inaugurazione della stagione lirica, quando la centrale consentì l’illuminazione della Scala alimentando 2.880 lampade ad incandescenza. Alla fine del 1883 la centrale di S. Redegonda disponeva di sei gruppi generatori in corrente continua “Jumbo” da circa 100 KW ciascuno a 125 V di tensione, capaci ognuno di alimentare da 1.000 a 1.200 lampade da 16 candele.

Le successive tappe fondamentali nello sviluppo del sistema elettrico italiano saranno contraddistinte da due grandi personalità della nostra storia: Giuseppe Colombo e Galileo Ferraris. Quest’ultimo, piemontese, laureatosi a Torino in Ingegneria Civile, è passato alla storia per la scoperta del campo rotante, che avrebbe rivoluzionato il sistema di generazione elettrica, come egli stesso mostrò in una pubblicazione del 1885 nella quale discusse il primo motore in corrente alternata.

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Oltre alla scoperta del campo rotante, inventò numerosi dispositivi, fra cui il “Ferrariszahler”, contatore di elettricità diffusosi in breve in tutta l’Europa orientale e centrale. Fu non solo un grande scienziato, ma anche un grande uomo: non volle mai brevettare nulla, in quanto riteneva che “la scienza ha ideali più alti di quello dell’utile materiale”; fu il propulsore della Scuola di Elettrotecnica torinese, nonché il promotore dell’Associazione Elettrotecnica Italiana (AEI), fondata a Milano il 27 dicembre 1896 ed alla cui presidenza egli fu eletto per acclamazione.

A succedergli alla suddetta presidenza fu proprio Giuseppe Colombo, che già nel 1881, con il sostegno di alcune banche, aveva fondato a Milano il Comitato promotore per l’applicazione dell’energia elettrica in Italia. Nato a Milano il 18 dicembre 1836 e laureatosi in matematica a Pavia, non trascurò mai l’impegno didattico, che sfociò nel 1877 nella pubblicazione del Manuale dell’Ingegnere, opera di fama duratura. Fu amministratore delegato Edison, della quale assunse la presidenza nel 1896, venne eletto deputato nel 1886 nel collegio di Milano, ed infine fu nominato direttore del Politecnico e presidente del Consorzio degli istituti superiori di Milano.

Proprio la Edison di Giuseppe Colombo nel 1887 firmò il contratto con il Comune di Milano per il sevizio di illuminazione della città, seguito da quello del 1895 per l’elettrificazione della rete tranviaria milanese. Il sistema energetico Edison prevedeva la produzione in continua attraverso piccole centrali termiche, di norma a carbone, dislocate all’interno delle città. Proprio a partire dagli anni novanta, però, il sistema Edison venne via, via accantonato a favore dell’avvento della corrente alternata, che ebbe un notevole impulso grazie alle scoperte di Ferraris sopra descritte. Attraverso il sistema in alternata si rese possibile il trasporto dell’energia a distanza a costi accettabili, con conseguente sfruttamento delle risorse idriche soprattutto dell’arco alpino, situate lontano dagli insediamenti produttivi. Fu proprio la crescente domanda di elettricità a sostenere lo sviluppo dell’alternata, che permise in breve tempo di passare dai 100 GWh annui del 1899 ai circa 2500 GWh annui del 1914. In questo anno la potenza istallata risultava essere di 1000 MW, di cui i tre quarti di origine idroelettrica ed i rimanenti di tipo termico, destinati oltretutto a compiti di riserva. Questi dati risultano evidenti nel grafico riportato.

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A.4.2 Il periodo di potenziamento tecnico e finanziario (1915-1925) Il decennio che va dal 1915 al 1925 segnò il declino dello Stato liberale: si è di fronte al periodo postbellico, segnato da grandi proteste sociali, gravissimo deficit statale ed inflazione galoppante. Intanto la richiesta di energia elettrica nel periodo bellico era aumentata sensibilmente fino a toccare i 3500 GWh annui. Determinante in questo periodo fu lo sviluppo dell’idroelettrico, in quanto gli approvvigionamenti di combustibile erano difficoltosi. Vi fu, comunque, un potenziamento della potenza istallata di circa il 7% annui, che vide, però, una concentrazione degli impianti nella Lombardia e nel Piemonte, le cui produzioni sommate costituivano metà dell’energia elettrica generata nel nostro paese.

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Nel 1925 la morfologia dell’industria elettrica vedeva da una parte le società private, SIP, Edison, Sade, La Centrale, SME, SGES, SRDA, che si erano di fatto spartite il territorio nazionale, avendo ognuno una determinata zona di influenza, dall’altra la nascita e lo sviluppo delle “aziende municipalizzate”; queste ultime, sostenute, tra l’altro, nel 1903 da una legge nazionale, nacquero nei principali comuni italiani, che se ne munivano per rispondere alla progressiva espansione delle metropoli ed al diffondersi dell’esigenza di nuovi servizi a costi più bassi di quelli applicati dalle società private, che di fatto godevano di singoli monopoli territoriali. Infatti, queste aziende non ebbero origine dall’acquisizione di imprese già esistenti, ma vennero create ex novo ed in competizione con le società già presenti sul mercato. La conseguenza principale di questo processo fu che tra il 1904 ed il 1909 nelle grandi città si ebbe una rilevante diminuzione dei prezzi dell’energia elettrica.

In questo periodo, proprio grazie alle municipalizzate, nascono una serie di nuovi impianti ad uso cittadino: la centrale termica di Piazza Trento a Milano (1905), la prima idroelettrica in Alta Valtellina (sempre dell’azienda milanese), la centrale a vapore nella città di Torino, la idroelettrica di Chiomonte (municipalizzata torinese), le centrali di Castelmadama e di Porta San Paolo a Roma. La produzione di energia elettrica delle municipalizzate (AEM di Milano, Torino, ACEA di Roma, l’azienda consortile di Merano e l’ente autonomo Volturno di Napoli) arrivò nel 1928 al 7,6% di quella nazionale.

A.4.3 Espansione ed oligopolio (1926-1945):

Questo fu il periodo della definitiva svolta autoritaria del regime, a seguito della chiusura della “questione morale” dovuta all’omicidio Matteotti, che decretò la soppressione degli ultimi sospiri democratici nel nostro Paese. D’altro canto, il settore elettrico continuò a svilupparsi con una crescita annua dell’idroelettrico del 6%, tale da toccare nel 1940 una potenza installata complessiva di 6000 MW. Nuovamente, lo sperequativo sviluppo già visto nei primi anni del novecento, causò la concentrazione dei tre quarti della produzione di energia elettrica nell’ambito territoriale di Lombardia, Piemonte e Veneto. Contestualmente la domanda di energia continuava a crescere grazie al progressivo aumento dei consumi industriali, soprattutto siderurgico e chimico, ed a quello dei trasporti, settore nel quale era stato lanciato il programma di elettrificazione delle ferrovie.

Il 24 ottobre 1929, però, ci fu il famoso “giovedì nero” di Wall Street, il cui crollo causò in un solo giorno la vendita di 13 milioni di titoli. In due mesi il valore della

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Borsa statunitense si dimezzò, dando adito alla più spaventosa crisi economica della storia. La recessione che ne conseguì, si risentì in tutto il mondo, compreso l’Europa: l’Italia, che iniziò ad avvertirla nel 1930, fu comunque più fortunata di altre nazioni come la Germania, più legata all’economia americana dopo la prima guerra mondiale.

La risposta politica a questa congiuntura economica fu la scelta da parte del regime di uno Stato “interventista”, che abbandonasse completamente la strada liberista. Il risvolto più evidente di questa decisione fu la fondazione dell’IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale, nato come ente provvisorio per la salvaguardia del sistema creditizio italiano; di fatto, nel giro di poco questo acquisì la proprietà di banche ed imprese, nonché di molte società elettriche, tra le prime la SIP (Società Idroelettrica Piemonte). Per farla breve, nel 1937 lo stato controllava direttamente ed indirettamente ampie fette dell’industria nazionale, del sistema creditizio (Banca Commerciale Italiana, Credito italiano, Banco di Roma) ed, infine, il 30% dell’industria elettrica. Intanto, il parco centrali complessivo continuava ad ampliarsi, a tal punto da raggiungere nel 1939 i 18.400 GWh, di cui 17.000 GWh (92%) di origine idroelettrica, 923 GWh termoelettrici, 488 GWh di tipo geotermoelettrico. Di lì a poco, però, a partire dal 1942 vi sarebbero state le gravi conseguenze dei nefasti eventi della seconda guerra mondiale, che distrusse circa un quarto della potenza istallata, causando ingenti danni soprattutto nelle regioni centrali e negli impianti termoelettrici, che per loro natura erano siti vicino ad obiettivi bellici, porti ed industrie.

A.4.4 Dal dopoguerra alla nazionalizzazione (1946-1962)

Questo è il periodo del “miracolo economico italiano”, periodo nel quale crebbe notevolmente la richiesta di energia elettrica, sia a seguito dello sviluppo industriale, sia ad opera della diffusione progressiva degli elettrodomestici. Proprio in questo contesto avverrà una scelta nell’ambito dell’industria elettrica che avrebbe condizionato la storia del nostro paese: l’oro nero, il petrolio. I motivi di questa scelta sono di diversa natura, e vanno dalle necessità del particolare panorama industriale che si andava configurando, a scelte di tipo politico. Infatti, lo sviluppo industriale di quegli anni fu segnato dal sillogismo che faceva del Petrolio una fonte di lavoro immediato; nel giro di poco tempo le coste italiane divennero luoghi di raffinerie, di cui si utilizzarono tutti i sottoprodotti di distillazione: l’olio combustibile, considerato come uno dei principali sottoprodotti, fu impiegato per la

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produzione di calore come fonte primaria per generatori di vapore, ed asfalto e bitume furono sfruttati per la costruzione di strade ed autostrade.

In poco tempo, si passò da un parco energetico prettamente idrico con pochi insediamenti termoelettrici di piccolo taglio (come la centrale C.T.E. Capuano da 45 MW, 3x15 MW, sita nel porto di Napoli), ad un sistema prettamente termoelettrico con grossi insediamenti in prossimità delle raffinerie e, quindi, in zone portuali vicino alle città. Un notevole impulso nella direzione del termico venne anche dal programma termoelettrico del 1949, sostenuto dagli aiuti provenienti dal Piano Marshall e dal progresso tecnico dell’industria elettromeccanica, fortemente influenzata dalle politiche aziendali delle multinazionali americane, che di fatto controllavano, seppur indirettamente, le imprese italiane che producevano componenti tecnologici per la produzione di Energia Elettrica. Di fatto, quello che avvenne non fu nient’altro che la conversione dei concentramenti industriali di meccanica pesante, che dal tipo bellico o parabellico si trasformò in meccanica varia, utilizzando, però, “Licenze di Costruzione e Progettazione” americane ed inglesi, sistema nato in conseguenza agli accordi tra gli Alleati ed ai trattati postbellici. Per queste ragioni, grandi Società americane come la General Electric CO., la Westinghouse e consociate concessero, o meglio, imposero all’industria italiana le loro progettazioni sotto forma di licenze.

All’epoca in Italia esistevano solo quattro concentramenti industriali senza considerare la FIAT, impegnata in prevalenza nell’ambito automobilistico; i complessi industriali in questione erano:

Soc. Ernesto Breda - Milano; Soc. Franco Tosi - Legnano (MI); Soc. Ansaldo – Genova;

Soc. Ercole Marelli – Milano.

Inoltre, altre attività di rilevante entità industriale erano quelle delle Fonderie Falc di Milano, l’Ilva, la Terni, ecc..

Le licenze per le quattro società sopraelencate erano così distribuite:

la Breda entrò a far parte della Linea General Electric Co. con concessione della licenza di progettazione e costruzione Babcock & Wilcox per generatori di vapore ed accessori;

l’Ansaldo, sempre sotto la General Electric Co., ebbe la licenza per Turbine a Vapore, Alternatori, Condensatori di vapore ed altri accessori vari;

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la Tosi entrò a far perte della linea Westinghouse con licenza per generatori di vapore (tipo Combustion), accessori per caldaie, condensatori di vapore, turbine a vapore;

la Marelli ebbe la licenza per gli alternatori ed i motori;

la FIAT ottenne la concessione per turbine a gas per uso aeronautico tipo General Electric CO..

In pratica si crearono due monoblocchi che si sarebbero dovuti dividere il mercato italiano dell’energia. Le licenze stabilivano perfino le taglie degli impianti, imposte in partenza intorno ai 30 MW per, poi, giungere ai 160 MW di lì a poco.

Le prime centrali comprese nel piano di assistenza americano furono quella di Palermo da 30 MW, quella di Napoli Vigliena con due gruppi, uno da 30MW e d uno da 75 MW, quelle di Civitavecchia, di Genova, di Gavazzano, ecc.. A completare questo quadro anomalo, va aggiunto che le società sopra indicate erano tutte caratterizzate da conpartecipazioni di capitale pubblico: l’Ansaldo era incorporato nel gruppo IRI-Finmeccanica, la Breda apparteneva al gruppo E.F.I..M.-Ente Finanziario per l’Industrializzazione del Meridione, mentre la Tosi era gestita dalla Bastogi, Banca di appartenenza vaticana, e la Marelli era a capitale azionario fluttuante. Tutto sembrava pianificarsi in questo sistema senza concorrenza, finchè nei primi anni 50, in seguito ai Patti di Roma, si affaccia alla ribalta italiana, l’industria francese e quella tedesca che si pongono non più in un’ottica di asservimento coloniale agli U.S.A., ma di collaborazione e di compartecipazione. L’industria tedesca ebbe uno sbocco commerciale attraverso l’Ansaldo, che fu autorizzata alla costruzione di un limitato numero di Generatori a vapore su progettazione Siemens-Benson, da collegare a turbine ed alternatori di produzione General Electric Co.: da questo connubio vennero fuori la centrale di Napoli Levante, con due unità da 160 MW e, in seguito, con medesime caratteristiche, quella di Civitavecchia.

I Francesi, invece, formarono con la Breda, una società chiamata Breda-Rateau-Schneider, a cui fu affidato il progetto della centrale termoelettrica del Sulcis in Sardegna, che prevedeva inizialmente due unità da 240 MW, con generatori di vapore di licenza Bebcok & Wilcox forniti direttamente dalla Breda di Milano, turbine delle società Rateau di Parigi, condensatori di vapore saturo di progettazione Sobelco, costruiti dalla Soc. Reggiane di Reggio Emilia, stesso gruppo finanziario della Breda, ed alternatori di progettazione Westinghouse forniti dalla Marelli. Delle

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due unità ne fu installata una sola a Sulcis, in quanto l’utenza sarda poteva utilizzare solo una trentina di MW di potenza e non era stato costruito ancora l’elettrodotto sottomarino che avrebbe collegato la Sardegna alla Toscana. In seguito, la seconda unità fu istallata a Civitavecchia.

All’inizio degli anni 60, le società elettriche fecero pressioni per incrementare la potenza istallata per far fronte al progressivo aumento di richiesta: in questa occasione la strategia delle multinazionali americane, soprattutto della Babcock & Wilcox, si orientò verso impianti di grosso taglio, 320 MW, con generatori di vapore da 1000 t/h e 540°C. La S.M.E., Società Meridionale Elettricità, accettò in pieno questo input, concretizzandolo nell’insediamento termoelettrico di Brindisi che, formato da tre gruppi da 320 MW, fu progettato per poter funzionare sia con combustibili solidi, che liquidi, che gassosi: di qui la scelta di Brindisi, che era a breve distanza dalla raffineria Montedison, disponeva di un porto adatto all’attracco delle carboniere ed, inoltre, era in linea per una deviazione del metanodotto Algeria-Italia. Grazie a questo progetto, i costruttori francesi della Rateau poterono inserirsi consistentemente nell’industria elettrica italiana, in quanto, nell’ambito dello sviluppo delle turbine, riuscirono a battere sul tempo i progettisti americani, adeguando le macchine utilizzate a Sulcis alle specifiche dei generatori di vapore da 1000 t/h e 540°C, di origine statunitense.

Quindi, la S.M.E. affida i lavori dell’insediamento di Brindisi alla Breda Elettromeccanica, legata alla Rateau, ed alla Marelli, collegata alla francese Schneider di Parigi. Con questa operazione, di fatto, termina nel mercato italiano la supremazia della G.E.Co., ma di qui a poco ci sarebbe stata una scelta politica che avrebbe cambiato profondamente il sistema elettrico del nostro paese: la nascita dell’Enel nel 1962.

Prima di approfondire questo argomento, oggetto del prossimo paragrafo, bisogna ricordare che tra il 1948 ed il 1960 ci fu un notevole sviluppo delle reti di vettoriamento, che vide aumentare le terne da 220 KV di 7 volte, realizzando una connessione in parallelo delle varie reti di distribuzione.

Si riporta di seguito un grafico esemplificativo dell’evoluzione che hanno avuto le reti di alta tensione tra il 1938 ed il 1960.

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Infine, bisogna sottolineare come nello stesso periodo sia cominciato anche in Italia lo studio e la realizzazione di centrali nucleari: nel 1952 nasce il CNRN (centro nazionale di ricerca nucleare), nel 1955 ci fu la prima Conferenza sugli impieghi a scopo pacifico dell’energia nucleare, organizzata dall’ ONU a Ginevra, nel 1958 in Italia partono le prime realizzazioni di impianti nucleari; sorge l’impianto di Latina (AGIP Nucleare ENI), quello di Garigliano (Senn IRI) e, nel 1961, quello di Trino Vercellese (Edison) per un totale di 620 MW. Le tre società, avendo scelto tre partners anglo-americani differenti, svilupparono tre tecnologie di reattore distinte.

A.4.5 Lo sviluppo dell’ENEL (1963-1996)

Il 27 novembre 1962 la Camera approva in via definitiva il disegno di legge sulla nazionalizzazione del sistema elettrico che all’articolo 1 recitava : “ E’ istituito l’Ente nazionale per l’energia elettrica (E.N.E.L.), al quale è riservato il compito di esercitare nel territorio nazionale le attività di produzione, importazione ed esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica da qualsiasi fonte prodotta,…”. Esclusi dal provvedimento furono gli autoproduttori e le imprese municipalizzate, che poterono, così, continuare le loro attività senza alcun cambiamento, mentre agli ex gruppi elettrici fu corrisposto un indennizzo in generale basato sul valore dei titoli di Borsa.

La scelta per la nazionalizzazione – assunta in un quadro politico che la vedeva quale precondizione dei socialisti all’appoggio del governo, inaugurando così la stagione del centrosinistra in Italia – fu presa al termine di un lungo dibattito civile. La

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gestione integrata e pubblica dell’intera filiera elettrica sembrava essere l’unica in grado di assicurare a lungo termine il soddisfacimento della crescente domanda di energia elettrica, l’utilizzazione ottimale delle risorse, condizioni uniformi di trattamento per ogni utente e, grazie alla programmazione economica, uno sviluppo armonico dell’intero settore.

Il primo anno di vita del nuovo ente vide, però, la più grande sciagura dell’industria elettrica italiana: quasi 2000 persone morirono sepolte da un’ondata di fango e detriti, che sommerse numerosi paesi della valle del Piave, tra cui in particolare Longarone e le frazioni vicine di Rivalta, Pirago, Faè, Villanova, oltre ad alcune frazioni di Erto e Casso. Dopo mesi di sommovimenti franosi nell’interno della diga, circa 300 milioni di metri cubi di roccia e fango si staccarono dal Monte Toc precipitando nel bacino idroelettrico del Vajont. La diga resse l’urto, ma fu superata da un ‘ondata alta più di 200 metri che si abbattè nella vallate sottostante.

Comunque, a parte questo nefasto evento, all’indomani della nazionalizzazione, l’Enel dovette assorbire più di mille aziende elettriche.

Dal 1963 ad oggi, il sistema elettrico italiano ha subito una radicale trasformazione, basti pensare al passaggio dai 18 GW del ’62 agli otre 60 attuali. Viene sviluppata in questi anni un’efficiente rete di trasporto a 380 KV e si fanno esperimenti di vettoriamenti a 1000 KV; vengono potenziate anche le interconnessioni con l’estero: gli scambi fisici di energia tra l’Italia ed i Paesi confinanti permangono sotto i 5000 GWh fino al 1965, per poi quintuplicare nel 1987.

Tra il 1955 ed il 1980 si compì quel procedimento che era iniziato nel periodo postbellico: si passò da una produzione basata per l’80% sull’energia idroelettrica ad una improntata quasi completamente sullo sfruttamento del petrolio e dei suoi derivati, non solo per offrire un doppio reddito alle raffinerie, che altrimenti avrebbero dovuto sostenere costi esagerati per lo smaltimento dei loro sottoprodotti, ma anche a causa del vertiginoso aumento della domanda e del conseguente esaurimento delle riserve idriche, nonché delle forte pressioni di indirizzo strategico imposte dalle multinazionali americane.

Si riporta di seguito il grafico sulla produzione di energia elettrica riferita proprio ai quinquenni, che vanno dal 1955 al 1980:

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La ricerca tecnologica del settore elettrico, con la nazionalizzazione fu demandata al centro di sviluppo e controllo fatto sorgere dall’Enel a Pisa.

Nell’ambito dello sviluppo del nucleare si scelse la collaborazione con i partner americani, General Electric Co. e Westinghouse, mettendo da parte reali cooperazioni con le industrie francesi. Con questi ultimi, però, si partecipò insieme alla Germania al consorzio per lo sviluppo del progetto Super Phoenix, al quale si prese parte attraverso l’Ansaldo Meccanica & Nucleare, che come quasi tutte le industrie elettromeccaniche italiane erano passate sotto lo stretto controllo statale attraverso l’I.R.I e la N.I.R.A.. Del progetto sopraindicato, nonostante la quota di partecipazione italiana pari al 33,3%, fu affidato all’industria italiana solamente la costruzione della sala macchine e della turbina da 1.000 MW, tenendola fuori da qualsiasi componente strettamente legato al reattore, per evitare qualsiasi pericolo di spionaggio industriale da parte americana. Dell’esperienza SuperPhoenix, che dimostrò le più grandi falle proprio nelle sue prime implementazioni, si pagano ancora le conseguenze a causa della quota di scorie da smaltire che spetta all’Italia. Comunque, più in generale, le esperienze nel nucleare sono andate avanti a singhiozzi, sempre sotto spinte dovute alle crisi petrolifere mondiali, come quella del 1973, innescata dalla guerra arabo-israeliana del Kippur. Le stesse crisi hanno

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permesso di prendere in considerazione come combustibile anche il carbone, che nel 1980 accresce notevolmente la sua importanza tra le fonti energetiche italiane.

Nello specifico, proprio in conseguenza degli aumenti dei prezzi del petrolio durante la guerra del Kippur, venne varato nel 1975 il Piano Energetico Nazionale (PEN), che sarà periodicamente aggiornato, ma subirà gravi ritardi di realizzazione. Per quanto riguarda l’Enel, il Piano previde che l’Ente dovesse indire “simultaneamente gare per l’assegnazione di otto centrali elettronucleari da 1.000 MW”. Il PEN di fatto prevedeva l’obiettivo di 20.000 MW di potenza da nucleare per il 1985. Una spinta positiva in questo senso venne dal raggiungimento dei 36$ al barile di greggio nel 1979, in conseguenza della rivoluzione in Iran e di seguito della guerra tra Iran ed Iraq: nel 1981 fu messa in attività la centrale nucleo-termoelettrica di Caorso, con una potenza di 840 MW, e vengono intraprese i progetti di costruzione di Montalto di Castro e di una seconda Trino Vercellese. Quando queste furono praticamente pronte, però, avvenne il disastro di Chernobyl (1986), che diede il colpo di grazia al nucleare in Italia, in quanto fu di spinta per il referendum del 1987, che decretò a larga maggioranza la rinuncia dell’Italia all’uso dell’atomo per produrre energia elettrica, con il conseguente blocco di nuovi progetti di centrali nucleari e progressiva messa fuori servizio di quelle esistenti.

L’11 luglio 1992 si compie il primo passo verso la privatizzazione: l’Enel diventa Società per Azioni, con unico azionista il Ministero del Tesoro.

Nel 1996 vengono promulgate le direttive UCPTE che impongono ad i paesi dell’unione la liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica. Di qui venne fuori in Italia il 19 febbraio 1999 il decreto legislativo di Liberalizzazione del mercato elettrico, noto come decreto Bersani; nello stesso anno l’Enel s.p.a approda in Borsa: con il collocamento di 30.000 miliardi di lire, l’Enel entra nel portafoglio Mib 30. Nascono le tre società Eurogen, Elettrogen ed Interpower che dovranno essere messe sul mercato nell’ambito dei programmi di dismissione della capacità produttiva monopolistica di Enel.

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A.4.6 Processo di liberalizzazione e di privatizzazione

per una approfondita conoscenza dello sviluppo di questo processo bisogna dividere questa tematica in due sottoparagrafi: Normativa Europea e Normativa Italiana.

Normativa Europea:

L’inizio del processo di liberalizzazione e di privatizzazione del mercato dell’energia elettrica in Italia si può far risalire alla Direttiva Europea 96/92/CE del 19 dicembre 1996, concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, che porta a compimento una proposta della Commissione che risale al 1992 (GU C65 14/03/92).

Con la direttiva citata si stabiliscono le regole per la libera circolazione della merce "energia elettrica" sul mercato europeo, nella prospettiva di conseguire un mercato concorrenziale e non discriminatorio per quanto riguarda obblighi e diritti delle imprese elettriche.

L’articolo 1 definisce chiaramente il campo di intervento della normativa: "La presente direttiva stabilisce norme comuni per la generazione, la trasmissione e la distribuzione dell’energia elettrica. Essa definisce le norme organizzative e di funzionamento del settore energia elettrica, l’accesso al mercato, i criteri e le procedure da applicarsi nei bandi di gara e nel rilascio delle autorizzazioni, nonché della gestione delle reti". In sostanza si prefigura un sistema di reti nazionali di trasmissione dell’energia interconnesse tra loro, sulle quali deve essere garantito il libero accesso ai produttori e genericamente ai fornitori di energia elettrica, in modo da permettergli di raggiungere gli utenti finali. In particolare, viene definita la figura dei clienti idonei, cioè quelli che hanno un consumo abbastanza elevato (sopra una soglia fissata attualmente in Italia a 100 MWh l’anno), ai quali deve essere garantito il diritto alla contrattazione e all’acquisto diretto dell’energia dai produttori/fornitori. E’ prevista la designazione, da parte degli Stati o delle imprese proprietarie delle reti di un gestore della rete responsabile dei flussi di energia sulla rete di trasmissione. Il gestore della rete deve essere indipendente, almeno sul piano della gestione, da altre attività non connesse al sistema di trasmissione. La rete di trasmissione nazionale e le reti di distribuzione dell’energia agli utenti finali devono essere gestite in modo imparziale, in maniera da non favorire eventuali imprese di produzione di energia ad esse consociate. Gli stati possono imporre al gestore della rete nazionale di favorire

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l’acquisto di energia prodotta da fonti rinnovabili e, in misura limitata, da produttori nazionali. Inoltre possono essere imposti ai soggetti privati obblighi di servizio pubblico per quanto riguarda la sicurezza, la regolarità, la qualità e il prezzo delle forniture, nonché la protezione dell’ambiente. La direttiva impone, inoltre, le procedure da seguire per la costruzione di nuovi impianti di produzione dell’energia elettrica. Gli stati possono scegliere tra un sistema di autorizzazioni ed una procedura di gare d’appalto. La direttiva impone ai paesi membri di conformarsi entro il 19 febbraio 1999.

La normativa non parla esplicitamente di privatizzazione delle società monopoliste nazionali, anche se un loro ridimensionamento è implicito nella garanzia del regime di libera concorrenza e nel pari trattamento che deve essere garantito a tutti i fornitori di energia elettrica, che vogliono accedere alle reti di trasmissione e distribuzione per raggiungere gli utenti finali. Inoltre i diversi soggetti ai quali si fa riferimento (produttori, grossisti di energia, proprietari/gestori delle reti di trasporto e distribuzione) agiscono tutti come imprese private.

In maniera schematica i punti fondamentale della Direttiva Europea sono: • abolizione di ogni esclusiva per la produzione e per l’import-export; • apertura di un mercato libero con l’istituzione dei clienti idonei;

• diritto di accesso alla rete per tutti i produttori ed i clienti idonei; sono previsti due modi diversi di accesso: TPA, “accesso da parte di terzi” (art.17) e SBM, “modello ad Acquirente unico” (art.18);

• separazione almeno contabile tra le funzioni di produzione, trasmissione, distribuzione nelle aziende verticalmente integrate;

• gestione unica ed indipendente delle funzioni di trasmissione e di dispacciamento in una assegnata area geografica;

• accettazione del monopolio naturale della funzione della distribuzione ai clienti vincolati per un’assegnata area geografica;

• assenza di ogni vincolo legato alla proprietà per rutti gli operatori del sistema. Normativa italiana:

La direttiva europea 96/92/CE viene recepita in Italia dal decreto Bersani: liberalizzazione del mercato elettrico (D.L. 79, 16 marzo 1999), che definisce le modalità di liberalizzazione del mercato dell’energia e il ridimensionamento di ENEL S.p.A., sia in termini di ruolo, che di capacità produttive. L’articolo 1 del

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decreto definisce chiaramente che "Le attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica sono libere nel rispetto degli obblighi di servizio pubblico…Le attività di trasmissione e dispacciamento sono riservate allo Stato ed attribuite in concessione al gestore della rete di trasmissione nazionale…L’attività di distribuzione dell’energia elettrica è svolta in regime di concessione rilasciata dal Ministero dell’industria…"

Gli utenti finali del sistema elettrico sono suddivisi fra gli utenti vincolati, ai quali è applicata una tariffa unica nazionale, e gli utenti idonei, che sono liberi di stipulare contratti di fornitura con i fornitori di energia.

Dal 1 gennaio 2003 a nessun soggetto è stato più consentito di produrre o importare più del 50% dell’energia elettrica utilizzata in Italia. A tale scopo, entro la stessa data, ENEL S.p.a. ha dovuto cedere non meno di 15000 MW della propria capacità produttiva. L’ENEL è stata divisa in società per azioni separate, ognuna finalizzata per lo svolgimento di una delle diverse attività connesse al mercato elettrico.

Le aziende distributrici hanno l’obbligo di connettere alle proprie reti tutti i soggetti che ne facciano richiesta. Le società di distribuzione con partecipazione degli enti locali possono chiedere a ENEL S.p.a. la cessione dei rami d’azienda dedicati all’attività di distribuzione nei comuni nei quali le predette società servano almeno il 20% degli utenti.

La gestione del mercato dell’energia elettrica è demandata a tre società per azioni: il gestore della rete di trasmissione nazionale (GRTN) S.p.a., l’acquirente unico S.p.a. ed il gestore del mercato elettrico S.p.a.. Il GRTN viene costituito separando dall’ ENEL S.p.a le attività relative al controllo della trasmissione di energia elettrica, mentre la rete di trasmissione rimane di proprietà ENEL. Il GRTN rimane di proprietà del Ministero del Tesoro. Le atre società sopraelencate sono state costituite successivamente dal GRTN.

La gestione del mercato dell’energia elettrica in Italia è gestito dalle tre S.p.a. precedentemente citate, che sono state istituite per effetto del Decreto Bersani, e dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas. Nel seguito si cerca di dare una breve descrizione del ruolo dei diversi istituti.

Il Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale è una società per azioni la cui costituzione è avvenuta in base al Decreto legislativo n. 79/1999. Per garantirne il ruolo neutrale nei confronti di tutti gli operatori del mercato elettrico, le azioni della Società, sono state assegnate al Ministero del tesoro, del bilancio e della

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programmazione economica. Gli indirizzi strategici ed operativi del Gestore sono definiti dal Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato. Al Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale sono attribuite in concessione le attività di trasmissione e di dispacciamento, e la gestione unificata della rete di trasmissione nazionale. A tal fine la Società, senza esserne proprietaria (la rete rimane di proprietà ENEL), gestisce la rete nazionale con la massima imparzialità.

Il GRTN svolge le seguenti attività:

• connette alla rete di trasmissione nazionale chiunque ne faccia richiesta senza discriminazioni e senza compromettere la continuità del servizio;

• gestisce i flussi di energia e i relativi dispositivi di interconnessione con altre reti nazionali e con le reti di distribuzione;

• garantisce la sicurezza, l’affidabilità, l’efficienza e il minor costo del servizio e degli approvvigionamenti di energia;

• gestisce senza discriminazione di utenti, la rete di trasmissione nazionale; • verifica la fattibilità tecnica e l’effettiva attuazione del dispacciamento,

ovvero dei piani di produzione assegnati a ciascun gruppo in base alle regole del mercato;

• in caso di insorgenze di congestioni di rete effettua un ridispacciamento delle unità di produzione in base a regole definite;

• acquista energia, potenza e servizi necessari al funzionamento della rete, recuperando tali costi mediante la tariffa di accesso alla rete;

• delibera gli interventi di manutenzione e sviluppo della rete di trasmissione nazionale.

L’Acquirente unico S.p.A. è una società per azioni costituita in data 12 novembre 1999 dal Gestore della rete di trasmissione nazionale, secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 1 del D.Lgs. 79/99.

Il Gestore, pur potendo cedere quote azionarie della società (non superiori al 10%) a soggetti che, singolarmente o in forma associata, rappresentino componenti significativi dell’attività di distribuzione dell’energia, mantiene la maggioranza del capitale sociale dell’Acquirente unico. L’Acquirente unico deve salvaguardare la sicurezza e l’economicità degli approvvigionamenti per i clienti vincolati e garantire la diversificazione delle fonti, utilizzando anche l’energia rinnovabile e l’energia derivante da cogenerazione, in base agli indirizzi adottati dal Ministro dell’Industria,

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sentiti il Ministro del commercio con l’estero e l’Autorità per l’energia elettrica e il gas.

L’Acquirente Unico svolge le seguenti attività:

• elabora la previsione della domanda di energia da soddisfare nei tre anni successivi, comprensiva della riserva;

• elabora analoga stima per il quinquennio successivo in base all’evoluzione del sistema;

• stipula e gestisce i contratti di fornitura e di vendita di energia, con procedure trasparenti e non discriminatorie, al fine di garantire ai clienti vincolati, la disponibilità della capacità produttiva e la fornitura di energia in condizioni di continuità, sicurezza ed efficienza del servizio, nonché di parità di trattamento, anche tariffario.

Il Gestore del mercato elettrico S.p.A. è una società per azioni costituita dal Gestore della rete di trasmissione nazionale, secondo quanto previsto dall’art. 5, comma 1 del D.lgs. 79/99. Al Gestore del mercato S.p.A è affidata la gestione economica del mercato elettrico. A tal fine il Gestore del mercato ne predispone la disciplina che è approvata dal Ministro dell’Industria, sentita l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, con proprio decreto.

Il Gestore del mercato elettrico svolge le seguenti attività:

• organizza il mercato secondo criteri di neutralità, trasparenza, obiettività, nonché di concorrenza tra produttori, assicurando la gestione economica di un’adeguata disponibilità della riserva di potenza;

• bilancia domande ed offerte di energia e prevede gli obblighi dei produttori e degli importatori di energia che non si avvalgono della contrattazione bilaterale;

• gestisce, dall’entrata in funzione del dispacciamento di “merito” (quello che prevede offerte dei produttori in borsa per ciascuna unità di tempo e per ciascuna unità di produzione), e la così detta "Borsa dell’energia", punto d’incontro delle offerte di acquisto e vendita di energia e di tutti i servizi connessi.

L’Autorità per l’energia elettrica e il gas è un’autorità indipendente istituita con la legge 14 novembre 1995, n. 481 con funzioni di regolazione e di controllo dei settori dell’energia elettrica e del gas. Un’autorità indipendente è un’amministrazione pubblica che prende le proprie decisioni in base alla legge istitutiva e ai propri

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procedimenti e regolamenti, ed è dotata di un elevato grado di autonomia nei propri giudizi e valutazioni rispetto all’esecutivo.

I poteri di regolazione settoriale fanno riferimento alla determinazione delle tariffe, dei livelli di qualità dei servizi e delle condizioni tecnico-economiche di accesso e interconnessione alle reti, in servizi in cui il mercato non sarebbe in grado di garantire l’interesse di utenti e consumatori a causa di vincoli tecnici, legali o altre restrizioni che limitano il normale funzionamento dei meccanismi concorrenziali. L’Autorità è un organo collegiale, composto dal Presidente e da due Membri. I tre componenti l’Autorità sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato. Le designazioni effettuate dal Governo sono sottoposte al parere vincolante, espresso a maggioranza assoluta, dalle Commissioni parlamentari competenti. I componenti dovrebbero essere scelti fra persone dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore. Gli incarichi durano sette anni e non sono rinnovabili. A tutela dell’indipendenza dell’Autorità è fatto esplicito divieto ai suoi componenti di avere interessi diretti o indiretti nelle imprese operanti nei settori di competenza; il divieto si estende anche ai quattro anni successivi alla cessazione dell’incarico.

Altri attori del mercato elettrico italiano sono anche i distributori, i produttori, compresi gli autoproduttori, ed i rivenditori.

I distributori svolgono le seguenti funzioni:

• gestiscono la rete di distribuzione, garantendo l’allaccio ad ogni Cliente vincolato o idoneo che, privo di contratto nel libero mercato, ne faccia richiesta;

• garantiscono, fermi restando i vincoli di rete, l’allaccio alla propria rete dei clienti idonei, che acquistano energia da Rivenditori ed altri Produttori; in tal caso ricevono una remunerazione (tariffa di accesso) per l’uso della propria rete;

• vendono l’energia ai clienti vincolati, per i quali svolgono anche le funzioni di fatturazione e gestione generale dei contratti;

• acquistano per i clienti vincolati energia in borsa, dall’Aquirente unico. Le società di produttori ed autoproduttori assolvono ai seguenti compiti:

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• gestiscono gruppi di produzione e vendono potenza ed energia in borsa o tramite contratti bilaterali direttamente a clienti idonei ed ai distributori attraverso l’Aquirente unico;

• stabiliscono giornalmente il programma orario della produzione per far fronte agli impegni assunti in borsa e confermati dal GRTN;

• possono acquistare potenza ed energia da altri Produttori;

• sviluppano il loro parco di produzione in armonia con le politiche di mercato adottate.

I rivenditori sono semplicemente degli intermediari, che non hanno a disposizione mezzi di produzione o reti di distribuzione, ma possono acquistare o vendere energia e potenza in borsa o tramite contratti bilaterali.

A.5 Situazione della produzione di energia elettrica in Italia

in seguito alla liberalizzazione

Nel novembre 2002 ENEL ha concluso la cessione di parte del suo parco centrali, per ottemperare al decreto Bersani. L’obbligo di cedere centrali di produzione per almeno 15000 MW ha ridotto la potenza installata di ENEL S.p.a. da 53000 a 38000 MW. Per rispondere agli obblighi di legge, ENEL aveva costituito tre società per azioni, denominate GENCO (Generation Company) alle quali aveva allocato le centrali termoelettriche ed idroelettriche da cedere, con la seguente ripartizione di potenza installata.: Eurogen S.p.a. (7000 MW), Elettrogen S.p.a. (5438 MW) ed Interpower (2600 MW).

Lo scorso novembre è stata realizzata la cessione dell’ultima delle GENCO (Interpower) realizzando il seguente quadro proprietario:

• Eurogen: Edipower, consorzio Edison, AEM Milano (municipalizzata, comune al 51%), AEM Torino (municipalizzata, comune al 69%), ATEL, Unicredito Italiano, Interbanca e Royal Bank of Scotland; gli azionisti principali di Edison sono Italenergia Bis SpA (76,9%) e Carlo Tassara SpA (3,6%); a sua volta Italenergia BIS Spa è partecipata da Fiat (24,6 %), EDF (18 %), Capitalia (14,2 %), IMI Investimenti (12,5 %), Intesa (10,7 %), Gruppo Tassara (20 %).

• Elettrogen: Endesa Italia, costituita da Endesa (ex monopolista e principale operatore del mercato spagnolo), ASM Brescia (municipalizzata, comune

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72%), e Banco Santander Central Hispano; ASM detiene il 14,67% di Endesa Italia S.r.l.

• Interpower: Electrabel (ex monopolista belga, controllata da Tractebel, che è il polo energia di SUEZ), ACEA Roma (municipalizzata, comune al 51%), Energia Italiana (controllata da Energia e partecipata da Hera, Amga Genova, MPS, BNL); Energia è controllata da CIR/De Benedetti e partecipata dall’austriaca Verbund.

In sintesi l’attuale panorama produttivo prevede comunque una posizione di predominanza dell’Enel e, comunque più in generale, un controllo diretto ed indiretto di società per azioni a maggioranza pubblica: oltre l’Enel, l’ASM Brescia, AEM Milano, AEM Torino, ACEA Roma. Il soggetto privato con quota di mercato più alta è l’Edison; bisogna, inoltre, rilevare che nel mercato italiano hanno fatto il proprio ingresso anche le ex monopoliste di Francia, Svizzera e Belgio.

In conclusione non si può non constatare l’assenza di un organismo che si occupi della pianificazione del sistema energetico nazionale e che stabilisca delle linee guida riguardo alla necessità di costruire nuovi impianti e nuove reti, alla loro localizzazione sul territorio, alla compatibilità ambientale del sistema energetico ed alla politica dei combustibili su scala nazionale; la regolazione del sistema è demandata al libero mercato ed agli organismi di controllo descritti nei paragrafi precedenti, che si ritiene siano in grado di garantire il miglior servizio possibile, intervenendo principalmente per garantire l’efficienza del sistema, la libera concorrenza ed il rispetto degli obblighi di servizio pubblico.

Questa mancanza è ancora più evidente quando si pensa allo sviluppo dell’apparato delle reti di vettoriamento del nostro paese ed alle procedure di esercizio di sistema e di controllo, che sono ancora tutte strutturate e tarate secondo esigenze di un’azienda verticalmente integrata: sicuramente questo è uno dei più gravi motivi del black-out estivo del 2003, avvenuto in orario notturno, quindi di basso carico, ma di più alta percentuale di importazione di energia dall’estero, situazione dovuta solo a motivi di tipo economico: visto il parco di produzione italiana, il mercato libero dà adito ad una spinta verso le importazioni dei KWh esteri, soprattutto francesi, perché risultano essere più economici.

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